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Valutazione di vulnerabilità sismica e ipotesi di intervento sul complesso scolastico G. Fattori di Rosignano Marittimo

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE E INDUSTRIALE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

INGEGNERIA EDILE E DELLE COSTRUZIONI CIVILI

CURRICULUM COSTRUZIONI CIVILI

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

VALUTAZIONE DI VULNERABILITÀ SISMICA E IPOTESI DI

INTERVENTO SUL COMPLESSO SCOLASTICO G. FATTORI

DI ROSIGNANO MARITTIMO

RELATORI CANDIDATO

Prof. Ing. Mauro Sassu Marco Marconcini

Prof. Ing. Linda Giresini

Ing. Mario Lucio Puppio

Ing. Martina Ferrini

Ing. Fabio Doveri

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“Gli scienziati sognano di fare grandi cose. Gli ingegneri le realizzano” James Michener

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Indice del documento

Premessa ... 7

1 Introduzione ... 9

2 Il cemento armato... 11

2.1 Centocinquanta anni di storia del materiale ... 11

2.2 Lo stato dell’arte negli anni ‘50-’60 ... 14

2.3 Il Regio Decreto del 16 Novembre 1939 ... 18

3 Gli edifici esistenti in cemento armato ... 20

3.1 La valutazione della sicurezza ... 20

3.2 Definizione del modello di riferimento per le analisi ... 21

3.2.1 Analisi storico-critica ... 21

3.2.2 Rilievo geometrico-strutturale ... 21

3.2.3 Caratterizzazione meccanica dei materiali ... 23

3.2.3.1 Metodi distruttivi ... 24

3.2.3.2 Metodi non distruttivi ... 26

3.3 Livelli di conoscenza e fattori di confidenza ... 30

3.4 Metodi di analisi ... 32

3.5 Classificazione e progettazione degli interventi... 33

3.5.1 Classificazione degli interventi ... 33

3.5.1.1 Riparazione o intervento locale ... 33

3.5.1.2 Intervento di miglioramento ... 34

3.5.1.3 Intervento di adeguamento ... 34

3.5.2 Progettazione degli interventi ... 36

4 Valutazione di vulnerabilità sismica: il caso studio del complesso scolastico G. Fattori di Rosignano Marittimo ... 37

4.1 Relazione generale sulla struttura ... 37

4.1.1 Ubicazione ... 37

4.1.2 Analisi storico-critica del complesso scolastico ... 38

4.1.2.1 Nucleo originario ... 41

4.1.2.2 Primo ampliamento... 45

(4)

4

4.1.3 Rilievo geometrico-strutturale dello stato attuale ... 54

4.1.3.1 Nucleo originario ... 54

4.1.3.2 Primo ampliamento ... 67

4.1.3.3 Secondo ampliamento ... 73

4.1.3.4 Criticità della struttura e prime osservazioni ... 81

4.1.4 Caratterizzazione meccanica dei materiali della struttura ... 84

4.1.4.1 Indagini sperimentali ... 84

4.1.4.2 Caratteristiche meccaniche dei materiali ottenute dai progetti originari ... 87

4.1.5 Livello di conoscenza acquisito ... 92

4.1.6 Indagini specialistiche sul terreno ... 93

4.1.6.1 Caratterizzazione del suolo ... 93

4.1.6.2 Indagini effettuate ... 95

4.1.6.3 Parametri geomeccanici del terreno adottati nei calcoli ... 96

4.2 Analisi dei carichi e loro combinazione ... 97

4.2.1 Analisi dei carichi ... 97

4.2.1.1 Carichi variabili di esercizio ... 97

4.2.1.2 Carico accidentale della neve... 98

4.2.1.3 Azione del vento ... 99

4.2.1.4 Carichi permanenti strutturali ... 101

4.2.1.5 Carichi permanenti non strutturali ... 102

4.2.1.6 Azione sismica... 103

4.2.2 Combinazioni dei carichi... 107

4.2.2.1 Combinazioni di carico statiche ... 107

4.2.2.2 Combinazioni di carico sismiche ... 108

4.3 Modellazione strutturale ... 109

4.3.1 Modello del Corpo 1 ... 112

4.3.2 Modello del Corpo 2 ... 115

4.3.3 Modello del Corpo 3 ... 117

4.3.4 Modello del Corpo 4 ... 119

4.3.5 Modello del Corpo 5 ... 120

4.3.6 Modello del Corpo Unico ... 122

4.4 Analisi di vulnerabilità statica ... 123

4.4.1 Verifiche degli elementi principali... 123

4.4.1.1 Solai ... 123

4.4.1.2 Fondazioni ... 126

4.4.1.3 Travi ... 128

4.4.1.4 Pilastri... 129

(5)

5

4.5 Analisi di vulnerabilità sismica ... 131

4.5.1 Analisi dinamica lineare ... 131

4.5.1.1 Analisi modale ... 132

4.5.1.2 Regolarità strutturale e fattore di comportamento ... 134

4.5.2 Verifiche degli elementi principali ... 136

4.5.2.1 Effetti del secondo ordine ... 136

4.5.2.2 Fondazioni ... 138

4.5.2.3 Travi ... 139

4.5.2.4 Pilastri ... 141

4.5.2.5 Nodi trave-pilastro ... 145

4.5.2.6 Verifiche di rigidezza allo S.L.O. ... 147

4.5.2.7 Confronto con il modello a Corpo Unico ... 148

4.5.3 Risultati ... 149

5 Stima della vulnerabilità sismica della palestra comunale Angelo Testoni ... 150

5.1 Descrizione generale della struttura... 150

5.1.1 Ubicazione ... 150

5.1.2 Rilievo geometrico-strutturale dello stato attuale ... 151

5.2 Analisi di vulnerabilità sismica ... 154

5.2.1 Progetto simulato ... 154

5.2.1.1 Caratteristiche meccaniche dei materiali ... 154

5.2.1.2 Dettagli costruttivi sulle armature ... 155

5.2.2 Metodo SAVE per la stima dell’indice di rischio della palestra ... 156

5.2.2.1 Descrizione della procedura... 156

5.2.2.2 Applicazione del metodo ... 157

5.2.3 Verifica a ribaltamento fuori piano dei pannelli prefabbricati ... 159

5.2.4 Risultati ... 161

6 Conclusioni ... 162

6.1 Riassunto della valutazione di vulnerabilità sismica... 162

6.2 Ipotesi di intervento ... 163

Bibliografia ... 167

Sitografia ... 168

(6)

6

ALLEGATO B – Fascicolo dei calcoli ... 182

B.1 Verifiche delle travi ... 182

B.1.1 Verifiche di vulnerabilità statica ... 182

B.1.2 Verifiche di vulnerabilità sismica ... 199

B.2 Verifiche dei pilastri ... 216

B.2.1 Verifiche a presso-flessione deviata ... 216

B.2.2 Verifiche a taglio ... 227

B.2.3 Effetto delle travi sotto-finestra ... 238

B.3 Verifiche delle fondazioni ... 243

B.3.1 Verifiche geotecniche ... 243

B.3.2 Verifiche strutturali ... 251

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Premessa

L’ingegneria sismica non ha lo scopo di annullare o attenuare un evento sismico, poiché tale obiettivo risulta impossibile, data la sua natura, ma quello di ridurre i suoi effetti su persone e cose. È noto infatti come l'elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano costituisca oggi la causa primaria degli enormi costi che la collettività deve affrontare dopo ogni evento sismico, sia per attività emergenziali e di ricostruzione, sia soprattutto in termini di perdita di vite umane.

Fino agli anni ‘90 il nostro paese non aveva attivato alcuna strategia di prevenzione contro la minaccia dei terremoti, se non quella di emanare norme tecniche per le costruzioni in zona sismica, obbligatorie per qualsiasi nuova costruzione e, solo in alcuni casi, per gli interventi sulle costruzioni esistenti.

Solo da pochi anni, a seguito dei disastri che hanno messo in ginocchio il nostro paese, si è messa in atto una politica di prevenzione, che parte proprio dalla valutazione della vulnerabilità

sismica del sistema edilizio esistente. Il punto di partenza è stato nel 2003, anno in cui per la prima volta si prevede la verifica sismica

di edifici e opere infrastrutturali “che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso”, tra i quali ricadono gli edifici pubblici. Essi hanno un ruolo importante all’interno della comunità, svolgendo compiti di tutela e gestione del territorio, istruzione e sanità. La loro integrità e operatività deve essere quindi garantita e mantenuta successivamente ad un evento sismico, in quanto svolgono un ruolo di primaria importanza per le attività di soccorso.

La vulnerabilità rientra nel più esteso concetto di rischio sismico, definito come il prodotto di pericolosità, esposizione e vulnerabilità. La pericolosità sismica è la probabilità che, in un certo periodo di tempo e in una determinata zona, si verifichi un terremoto di una certa intensità; essa è quindi una proprietà intrinseca del sito. L’esposizione misura l’importanza dei beni esposti al rischio sismico in funzione della destinazione d’uso della struttura e delle caratteristiche dell’ambiente circostante, quali il sistema

insediativo, la popolazione, le attività economiche e i monumenti. La vulnerabilità, invece, è definita come la predisposizione di una struttura a subire un

danneggiamento più o meno elevato a seguito di un evento sismico; quanto più un edificio è vulnerabile, tanto maggiori saranno le conseguenze sulla struttura.

Risulta evidente quindi che la mitigazione del rischio sismico è direttamente connessa con l’individuazione dei fattori di vulnerabilità del singolo edificio, sia a livello globale che locale. Se da un lato non è possibile agire per modificare la pericolosità sismica di un territorio e ben poco si può fare per modificare l’esposizione al rischio sismico, dall’altro ci sono molte possibilità di ridurre la vulnerabilità delle costruzioni e di attuare così politiche di prevenzione e messa in sicurezza degli edifici. La procedura di valutazione della sicurezza degli edifici esistenti proposta dalle Norme Tecniche ha proprio lo scopo di stimare la vulnerabilità di strutture esistenti e studiare gli interventi di ripristino più opportuni.

La maggior parte degli edifici esistenti è stata realizzata in assenza di regole di progettazione antisismica o secondo norme di vecchia generazione e pertanto non è in grado di garantire gli standard di sicurezza richiesti dalle attuali Norme Tecniche per le Costruzioni; risultano quindi necessari interventi di messa in sicurezza sismica. La valutazione di vulnerabilità e la progettazione di interventi di adeguamento o miglioramento sismico delle costruzioni suscettibili ai terremoti, costituisce un problema di notevole attualità e di grande importanza sociale ed economica, dato il grande numero di casi esistenti nel nostro paese.

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1 Introduzione

L’edificazione sviluppatasi in Italia nel dopoguerra, negli anni ’50-’60 in particolare, è molto spesso caratterizzata da strutture in cemento armato progettate e costruite senza tener conto delle azioni orizzontali che possono essere generate dai fenomeni sismici.

Di tali edifici, che costituiscono una ingente parte del patrimonio edilizio italiano, molto spesso non si conosce l’effettiva vulnerabilità sismica ed è quindi necessario effettuare una serie di indagini conoscitive e di verifiche strutturali per valutarne la sicurezza sotto le azioni orizzontali prevedibili per la zona di costruzione.

In Italia, la campagna di monitoraggio della vulnerabilità sismica si è avviata con l’entrata in vigore dell’O.P.C.M. 3274 del 20 marzo 2003, “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”, che richiedeva la verifica di sicurezza degli edifici pubblici, strategici e rilevanti esistenti, progettati secondo norme tecniche antecedenti al 1984 e/o situati in Comuni la cui classificazione sismica, sulla base dei moderni criteri di stima della pericolosità sismica di base,

comportasse livelli dell’azione sismica superiori a quelli relativi all’epoca di costruzione. Nell’ambito della protezione sismica degli edifici, le strutture devono essere concepite in modo

che la modalità di collasso sia globale, evitando possibili meccanismi locali. Il comportamento duttile in fase di collasso permette alla struttura di sostenere grandi deformazioni anelastiche, mantenendo un sufficiente margine di capacità portante; per contro, comportamenti fragili, non essendo dissipativi, possono determinare crolli improvvisi.

Inoltre, la norma ha posto l’attenzione sulla fase iniziale conoscitiva della struttura mediante l’introduzione dei livelli di conoscenza, ai quali corrispondono i relativi fattori di confidenza, utilizzati per determinare le caratteristiche meccaniche dei materiali da utilizzare nei calcoli. La fase conoscitiva, di acquisizione della documentazione originaria, è per gli edifici esistenti di importanza basilare e condiziona i metodi di modellazione e analisi della struttura.

Le metodologie attualmente più diffuse per la valutazione della vulnerabilità degli edifici sono i risultati di un insieme di studi seguiti ai più rilevanti eventi sismici. L’evoluzione storica degli studi di vulnerabilità ha prodotto da un lato a studi statistici o empirici, dall’altro ad approcci più propriamente strutturali: i primi sono finalizzati a indagini e valutazioni su larga scala, mentre i secondi, basati su metodi ingegneristici di analisi strutturale, sono adatti a valutazioni più puntuali dei singoli edifici.

Il presente studio è incentrato sulla valutazione della vulnerabilità statica e sismica del complesso scolastico G. Fattori, sito in Via Fratelli Bandiera n° 1 a Rosignano Solvay, nel comune di Rosignano Marittimo (LI). La scuola è costituita da una struttura in cemento armato, appartenente al patrimonio edilizio pubblico, di proprietà comunale e costruito in più fasi tra il 1956 e il 1966, ovvero prima dell’entrata in vigore della L. 1086/71 e della classificazione sismica della zona di edificazione.

Nella zona immediatamente adiacente, è presente inoltre la palestra annessa Angelo Testoni, costituita da una struttura prefabbricata in cemento armato e costruita successivamente alla scuola. La ricerca del materiale originario, reperito presso l’archivio comunale, ha messo in luce un’esaustiva e approfondita fonte di documentazione originale sulla scuola, che ha permesso di condurre uno studio sui criteri progettuali di quegli anni. L’edificio in esame si è ben prestato a quest’analisi grazie alla sua storia costruttiva, che ha visto l’alternarsi, nell’arco di circa dieci anni, di tre fasi successive, per cui è stato possibile seguirne l’evoluzione strutturale, architettonica e

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Per quanto riguarda la palestra annessa, invece, non è stato possibile reperire alcuna documentazione strutturale originale, ma solamente un rilievo architettonico, peraltro effettuato in maniera grossolana e senza alcuna informazione specifica riguardo gli elementi strutturali che compongono il fabbricato.

Prima di procedere allo studio del complesso scolastico, è stata effettuata una breve trattazione sullo stato dell’arte del cemento armato, che comprende uno studio sull’evoluzione delle caratteristiche meccaniche dei materiali, lo stato dell’arte all’inizio della seconda metà del 1900, l’evoluzione delle normative storiche di riferimento, i metodi di modellazione e di analisi.

La Tesi espone successivamente una descrizione della composizione dell’intero edificio scolastico, nonché delle relative tipologie costruttive, con particolare riferimento alle strutture portanti in elevazione ed orizzontali.

Dal punto di vista strutturale, i criteri adottati sono generalmente in linea con quelli dell’epoca, desumibili dai testi più utilizzati e dalle normative tecniche di riferimento. La scuola analizzata è stata progettata per resistere ai soli carichi verticali, secondo il Regio Decreto n. 2239 del 16 Novembre 1939. Il comune di Rosignano Marittimo, in cui è situata l’opera, fu infatti classificato in zona sismica due solo nel 1982; in seguito, nel 1998, fu declassato a zona sismica di terza categoria ed è tornato ad essere in zona sismica due con l’ordinanza n. 3274 del 2003.

Tale norma impone la valutazione della sicurezza sia per gli edifici d’interesse strategico, sia per quelli che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso. Il complesso comunale di Piazza Risorgimento ospita attività d’interesse collettivo, rientrando nelle categorie appena viste.

Non sono state condotte, in questa prima fase, indagini sperimentali sulla struttura esistente, né prove di carico sugli orizzontamenti; è riportata comunque la campagna di indagini da dover eseguire per ottenere un livello di conoscenza adeguato della struttura.

L’indagine del sottosuolo interessato dall’opera, per valutarne la natura e la sua caratterizzazione stratigrafica, è stata ottemperata consultando sia gli elaborati geologici del piano urbanistico di Rosignano Marittimo, sia le relazioni geotecniche relative ad altre opere in prossimità dell’edificio. Le informazioni ottenute hanno permesso di effettuare l’analisi strutturale, eseguita mediante un modello tridimensionale a elementi finiti, rappresentando lo stato attuale dell’edificio.

Infatti, qualsiasi percorso di intervento sul costruito, fatto per innalzarne le prestazioni, aumentarne la sicurezza e diminuirne la vulnerabilità, non può che iniziare con l’esame dello stato attuale. È stata, pertanto, eseguita innanzitutto una valutazione della sicurezza statica dell’edificio; successivamente, attraverso un’analisi dinamica lineare, sono state condotte le verifiche di vulnerabilità sismica, la quale ha dimostrato l’incapacità della scuola a sopportare l’azione sismica di progetto prevista dalle attuali NTC 2018.

Analizzando quindi le criticità della struttura, sono state formulate delle proposte d’intervento, che migliorerebbero il comportamento della struttura sottoposta ad azione sismica.

Per quanto riguarda la palestra, non avendo a disposizione alcuna documentazione originaria, è stata innanzitutto effettuata una stima dell’indice di rischio mediante la procedura semplificata SAVE, la quale ha mostrato la capacità dell’edificio a sopportare l’azione sismica.

Successivamente, è stata condotta una verifica a ribaltamento dei pannelli prefabbricati in calcestruzzo armato che costituiscono i tamponamenti esterni della palestra, la quale ha invece mostrato che questi elementi risultano vulnerabili all’azione sismica.

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2 Il cemento armato

2.1 Centocinquanta anni di storia del materiale

“Il cemento armato è il più bel sistema costruttivo che l’umanità abbia saputo trovare sino ad oggi. Il fatto di poter creare pietre fuse, di qualunque forma, superiori alle naturali poiché capaci

di resistere a trazione, ha in sé qualcosa di magico”. Con queste parole, Pierluigi Nervi, negli anni ‘50, esprimeva la sua ammirazione per una tecnica

le cui origini risalgono alla seconda metà del 1800, quando si realizzò la sintesi di due materiali fondamentali: la pietra artificiale a base di cemento e l’acciaio in barre ottenute per laminazione. L’esempio più antico in cui è possibile riconoscere principi vicini a quelli dell’odierno cemento armato è la piccola barca in cemento rinforzata sullo scafo da un graticcio di tondini metallici, eseguita nel 1848 da Lambot. Nel 1849 il giardiniere parigino Monier ideò vasi modellati con una malta di sabbia e cemento, in cui inseriva un’ossatura di fili di ferro, primo vero esempio di conglomerato cementizio armato, con lo scopo di sopperire alla debolezza a trazione del materiale. Ma le prime applicazioni a quello che ne sarebbe divenuto il settore principe, le costruzioni civili, sono dovute all’ingegner Coignet, che nel 1861 pubblicò un volume “Béton agglomerés appliqués à l’art de costruire”, in cui mostrava i risultati ottenuti sperimentando travi, solette e volte nelle quali aveva incorporato profilati di acciaio. I tre precursori si resero conto subito delle potenzialità delle loro invenzioni e brevettarono diversi elementi strutturali in cemento armato.

Durante questa primissima fase, però, piuttosto che gli aspetti tecnico-scientifici, prevalevano quelli di natura commerciale; si moltiplicavano i brevetti e i procedimenti esecutivi intestati a singoli individui. Gli iniziatori di questo nuovo mezzo costruttivo tentavano intuitivamente di conferire al calcestruzzo la necessaria resistenza a flessione e, pur basandosi sui suggerimenti dell’esperienza, non sempre riuscivano a darne la giustificazione statica.

Ottenevano valide soluzioni per problemi specifici, ma non fornivano indicazioni di validità

generale, necessarie per un’applicazione diffusa della nuova tecnologia. Mentre sui cantieri la tecnica progrediva, l’avvio di uno studio e una ricerca sistematica fu,

pertanto, più lento. Nel 1884 i brevetti di Monier si diffusero in Germania e laboratori e ingegneri cominciarono ad interessarsi attivamente al nuovo materiale. Fu la scuola tedesca che gettò le basi per l’organizzazione sistematica delle conoscenze sul cemento armato e la sua applicazione su vasta scala. L’ingegner Wayss e il professor Bauschinger, sulla base di esperienze sperimentali, fissarono i principi fondamentali riguardanti il posizionamento delle armature in prossimità della zona tesa e l’aderenza acciaio-calcestruzzo, che impone ai due materiali di agire staticamente insieme. A partire dalle loro pubblicazioni (1887), divenne chiara l’eccezionale importanza della

nuova tecnica e le ricerche, sia teoriche che sperimentali, ne ebbero un forte impulso. In Germania seguirono numerosi altri studi compiuti da Konen, Morsch, Back e Kleinloghel. Negli

stessi anni, alla École des Ponts et Chaussées, fu istituito il primo insegnamento teorico tenuto da Charles Rabut (1897) e Considère iniziò le sue indagini. In Austria lavoravano Neumann, Melan e Empergher; in Svizzera si affermarono Richter e Schule; negli Stati Uniti, sulla strada indicata da Hyatt, contemporaneo di Monier, proseguirono Ransome e Wilson, che proposero nuovi sistemi e tipi di armatura.

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Queste ricerche permisero di gettare le basi per una vera e propria teoria del cemento armato, che portò alla comparsa, nel 1906, delle prime norme tedesche e francesi. Documenti molto concisi, che si limitavano ad estendere al nuovo materiale la teoria della flessione, fondata sulle ipotesi di risposta elastica e planarità delle sezioni. Si metteva in luce il concetto di partecipazione dei due materiali base e si fornivano alcune regole di esecuzione. Alcuni anni più tardi si aggiungerà il modello di Ritter-Morsh per l’assorbimento degli sforzi di taglio. Il cinquantennio che ha visto la nascita del cemento armato e che si può concludere con l’apparizione dei primi regolamenti è caratterizzato, dal punto di vista tecnico, da alcuni punti salienti: netta prevalenza dell’inventiva; impiego di forti quantitativi di armatura; adozione, per le strutture più impegnative, di soluzioni spingenti, in cui la presenza di sforzo normale permetteva di sfruttare meglio le proprietà del materiale. Queste cautele ridussero a pochi casi isolati gli

incidenti, definendo così un inizio promettente. A questa fase primordiale, seguirà un nuovo periodo di sviluppo del cemento armato, che arriverà

sino agli anni ’50, che videro la nascita delle grandi associazioni internazionali di promozione e ricerca. Un periodo di tempo molto travagliato per l’incidenza dei due grandi conflitti mondiali, fatto che favoriva le applicazioni, a scapito però degli studi teorici e sperimentali.

Anche la didattica ufficiale era molto distante dalle realizzazioni dei grandi progettisti.

Nel nostro Paese, la diffusione del cemento armato fu merito soprattutto della Società Porcheddu di Torino, che costruì importanti opere pubbliche in cemento armato e introdusse in Italia il “sistema Hennebique”, un costruttore belga dall’eccezionale intuito statico e senso costruttivo, che sopperivano alla sua più debole preparazione teorica. Il sistema costruttivo, che porta il suo nome, raccoglieva le idee fondamentali del suo autore. A lui si deve la concezione della trave con sezione a T, armata in zona tesa e con barre ripiegate verso l’alto sugli appoggi. Ma la caratteristica saliente del sistema era la presenza di ferri piatti, sagomati a U, i quali, disposti a collegare le armature tese

con il calcestruzzo compresso, avevano la funzione di staffe, atte ad assorbire gli sforzi taglianti. Con tali caratteristiche, il brevetto Hennebique (1892) riassumeva le principali scoperte dei

precedenti vent’anni di attività del settore. Ebbe una grande influenza sugli sviluppi delle costruzioni in cemento armato, soprattutto in Francia e in Italia. Progettò il famoso ponte Risorgimento, a Roma, eseguito nel 1911 dalla Società Porcheddu. Con i suoi oltre 100 m di luce, per molti anni detenne il record mondiale e fu oggetto di studi e polemiche, dovuti in parte all’assenza di una rigorosa procedura di calcolo alla base della progettazione, in parte al fatto che presentò a breve dalla sua costruzione un diffuso stato di fessurazione. La causa era dovuta al disarmo precoce, ordinato a soli due giorni dal getto ed eseguito nottetempo, per superare le perplessità dei tecnici coinvolti nell’esecuzione dell’opera. L’ordine del costruttore, se da un lato favorì la fessurazione, dall’altro permise la ridistribuzione delle tensioni all’interno della struttura verso l’assetto statico, che ha consentito al ponte di arrivare pressoché intatto sino ai giorni nostri. Questo è solo uno degli esempi che possono essere citati, a dimostrazione di come in quest’epoca i progettisti precorrevano i tempi, superando l’arretratezza della normativa.

La Pratica dettava alla Teoria e la Teoria veniva applicata alla Pratica.

Durante questo secondo cinquantennio di vita, il cemento armato fece significativi progressi in vari campi di applicazione. Ai primi del ‘900, Considère studiava il calcestruzzo cerchiato e Mesnager le semi-articolazioni in cemento armato. Ci furono innovazioni formali, quali l’impiego del calcestruzzo faccia a vista e altre riguardanti il progresso nelle tecniche di cantiere, con

l’avvento dei vibratori per la compattazione del conglomerato cementizio. Si svilupparono gli studi sulla fabbricazione e collocamento delle grandi centine e si fecero prove

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Nervi ebbe un ruolo principale nella nascita della prefabbricazione, mentre Freyssinet, nel 1930, proponeva le prime applicazioni della precompressione. I progressi compiuti in questo periodo

ebbero il loro sviluppo negli anni che giungono fino ad oggi. Al termine di questa seconda fase, le ragioni del successo del cemento armato, che conservano

ancora oggi la loro validità, potevano essere riassunte in alcuni punti:

- la resistenza al fuoco, “plus d’incendie désastreux”, sottolineava Hennebique;

- l’economia di manutenzione, che lo pone in vantaggio rispetto alla costruzione metallica; - la flessibilità d’impiego;

- il progresso della tecnica;

- l’evoluzione nel cantiere di costruzione.

L’ultimo cinquantennio di storia del cemento armato ha visto l’introduzione sistematica, nel campo delle costruzioni, della ricerca scientifica e il trasferimento nella pratica corrente dei risultati via via conseguiti. Nei vari Paesi si stavano affermando criteri discordanti: le tensioni ammissibili assumevano valori molto diversi, ai due lati di una frontiera, in cui alcuni suggerivano di adottare armature di piccolo diametro, altri esattamente l’opposto. I contrasti riguardavano anche le verifiche a flessione e taglio, le regole sull’instabilità, sulle deformazioni ammissibili e sulle disposizioni costruttive. Il problema era evidente e particolarmente allarmante per chi, come

i costruttori, si doveva assumere la responsabilità di costruzioni sempre più impegnative. Non deve dunque stupire se a proporre la creazione di un organismo internazionale, capace di

armonizzare le diversità, sia stato Balency, un costruttore francese che, con la sua impresa, si trovava ad operare in nazioni europee ed extra europee. Nel 1953 nacque così il Comitato Europeo del Cemento Armato (CEB), al quale aderirono subito una ventina di paesi. Il fondatore si preoccupò di imporre che le rappresentanze nazionali fossero composte in modo equilibrato da

esponenti dei vari settori interessati: costruttori, studiosi e progettisti. Proprio nello stesso periodo, altre iniziative portavano alla creazione della FIP (Federation

Internationale de la Précontrainte), il cui scopo era promuovere e controllare l’evoluzione della nascente tecnica costruttiva della precompressione. Negli anni compresi tra il 1957 e il 1998, il CEB ha prodotto oltre 200 bollettini, alcuni utilizzati come base delle Raccomandazioni o Model Codes, altri vere e proprie bozze di norme riferite a specifici argomenti: si introdusse il metodo “semiprobabilistico agli stati limite”; si accettò il calcolo non lineare delle sollecitazioni; si enunciarono i principi relativi all’aderenza e all’ancoraggio delle armature; si diedero le regole per la verifica a torsione e le indicazioni per il controllo della fessurazione e della deformazione; si introdusse il diagramma sforzi deformazioni; si definirono i valori caratteristici per la precompressione.

Questi sono solo alcuni punti di un elenco comprendente la storia di circa quarant’anni di studi del CEB. I lavori del Comitato furono assunti agli inizi degli anni ottanta dalla Comunità Europea quale base per la redazione degli Eurocodici.

Il progresso degli studi teorici e sperimentali è avanzato e sta avanzando repentinamente, fornendo nuove tecnologie costruttive, nuovi materiali e nuovi assemblaggi. Guardando all’evoluzione dei primi cento anni di storia del cemento armato, si capisce come prima, dietro la storia delle tecniche costruttive, ci fosse una consapevole maturazione, che portava a progettare secondo le regole dell’arte. Oggi queste sono state sostituite da procedure di calcolo, contenute nella normativa tecnica, che rappresentano sicuramente un progresso necessario, ma che devono fare attenzione a conciliarsi con una maturazione che ne permetta l’impiego corretto.

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2.2 Lo stato dell’arte negli anni ‘50-’60

L’opera oggetto di questo studio è stata costruita per fasi successive tra il 1956 e il 1966, periodo

che, nella storia del cemento armato appena tratteggiata, è situato a cavallo tra le due fasi salienti della crescita di questa tecnica: quella di sviluppo sui cantieri, con criteri quasi esclusivamente empirici e quella in cui i centri di ricerca e i laboratori sperimentali hanno influito fortemente sull’evoluzione delle tipologie e delle tecniche costruttive. Questa seconda fase non ha avuto su

questo un’influenza immediata, pertanto l’opera si può ben inserire nella prima fase.

Si è già accennato alle caratteristiche peculiari di questo periodo, in particolare alla consapevolezza

dei progettisti dell’importanza di intuizione e inventiva per sopperire alle fragili nozioni teoriche sul nuovo materiale e sul suo utilizzo. Lo si nota dall’impostazione stessa dei volumi di tecnica del cemento armato degli anni ‘30-‘50. Mentre ora, nella maggioranza dei casi, viene loro data un’impostazione basata sulla “spiegazione e applicazione della normativa”, prima si trovava la volontà di rendere conscio il lettore del funzionamento del cemento armato e di intuire i meccanismi di una costruzione.

Scrive il Pugnali nel suo “La Pratica del Cemento Armato”, pubblicato nel 1930: “Il calcolo non sarà allora che uno strumento, bene o male impiegato secondo i casi, ma sempre uno strumento. E se i suoi risultati sono discordanti da ciò che noi intuiamo, si può essere quasi sicuri che ha torto e che va rifatto forse con altre basi”. È chiaro come una simile impostazione sia basata sull’ignoranza di un processo tecnologico complesso e ancora agli albori. L’avanzamento della tecnica e della ricerca ci ha offerto strumenti preziosi per poter superare molte incertezze, ma nel

contempo lascia meno spazio a quell’intuizione citata dal Pugnali. I progettisti di quegli anni erano coscienti di possedere il controllo dei mezzi più di quanto

l’avessero le teorie fino ad allora formulate, tanto che, sempre il Pugnali, scrive: “Noi non costruiamo le nostre strutture con lo scopo di mettere in pratica delle teorie, ma invece studiamo

delle teorie perché esse ci aiutino a risolvere i problemi pratici, il che è diverso”. Allo scopo di fornire ai futuri progettisti strumenti solidi di concezione strutturale, anche Pierluigi

Nervi, in “Costruire correttamente” (1955), propone, per la formazione dei giovani allievi ingegneri, dei corsi di statica delle costruzioni di carattere descrittivo e intuitivo.

Un’opera di riferimento per i progettisti italiani di quel periodo è quella del professor Santarella “Il cemento armato. La Tecnica e la Statica”, la cui prima edizione, a cui seguiranno innumerevoli altre, comparve nel 1925. Nella sua prefazione, parlando di “intuito creatore del Tecnico”, egli mostra lo spirito, già evidenziato, che animava gli addetti ai lavori dell’epoca. Nel volume sono presenti molteplici tabelle e grafici, utili strumenti all’epoca per il dimensionamento degli elementi strutturali. Sempre il Santarella presentò una monografia (1965) nella quale offrì una serie di esempi costruttivi in cemento armato, illustrati dalle tavole esecutive.

Fu un utile strumento per i Tecnici dell’epoca, che potevano trarre esempio, o utilizzare come

punto di partenza per le loro applicazioni, i casi pratici affrontati dall’autore. Negli anni ‘50-‘60, in Francia, il professor Guerrin scrisse l’opera in più volumi “Traité de béton

armé”, allo scopo di riassumere le conoscenze in materia. Il tomo IV “Ossatures d’immeubles et usines. Planchers. Escaliers. Encorbellements. Ouvrages divers du Batiment” (“Strutture di edifici civili e industriali. Solai. Scale. Elementi a sbalzo. Costruzioni speciali”), offre un quadro delle applicazioni pratiche del cemento armato e aiuta a riflettere sullo stato dell’arte di quegli anni. Spiega, ad esempio, come l’interesse del costruttore sia quello di risparmiare sull’acciaio, sovradimensionando, in caso di necessità, la parte in calcestruzzo. Parlando dei pilastri, specifica come solo motivi estetici o di ingombro possano obbligare ad aumentare le armature.

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I volumi dell’epoca, come mostrano gli esempi visti, oltre a riassumere le conoscenze alla base dei calcoli statici e dare informazioni sulle proprietà del nuovo materiale, miravano a fornire al progettista e al costruttore un aiuto di tipo pratico, fornendo consigli e metodologie costruttive che andavano oltre le normative vigenti. Queste ultime, infatti, erano rappresentate nei vari paesi da documenti piuttosto sintetici, che non fornivano indicazioni dettagliate. Come descritto precedentemente, infatti, il primo cinquantennio del ‘900 vide prevalentemente uno sviluppo empirico e le uniche prescrizioni erano rimaste quelle emanate in Francia e Germania nei primi anni del secolo.

All’atto della costruzione dell’opera in esame, la normativa di riferimento, in Italia, era il Regio Decreto del 16 Novembre 1939, che rimase in vigore per trentatré anni. Un aspetto particolare di questa normativa riguarda la regola che vengano effettuate, durante la costruzione degli edifici in cemento armato, delle visite di controllo da parte di tecnici incaricati dalla prefettura. Seguendo l’applicazione di questa norma sino alla sua abolizione, avvenuta con la legge n° 1086 del 1971, si ha un’ulteriore visione dei rapidi cambiamenti che caratterizzarono

la vita di cantiere di quegli anni. Nella prima fase di sviluppo, anni ’30, la normativa fu caratterizzata dalla preoccupazione che i

tecnici operanti sul campo fossero, in gran parte, inesperti della nuova tecnologia.

Si imponeva pertanto che i controlli sui materiali si facessero prevalentemente nei laboratori delle Università (con riferimento all’opera in esame, è stato reperito un certificato rilasciato dal laboratorio dell’Università di Pisa) e che i Prefetti effettuassero rigorosi sopralluoghi e verifiche delle attività di progetto e costruzione. Essi nominavano un Ispettore, esperto in questa nuova tipologia strutturale, per controllare in cantiere se la normativa veniva rispettata.

Accadeva che ingegneri appena laureati, che avevano studiato nei nuovi programmi il cemento armato, ritrovassero nei cantieri ingegneri più anziani che lo conoscevano poco, attrezzature di cantiere e criteri di dosatura degli inerti e del cemento primordiali e, quindi, risultati in termini di resistenza del calcestruzzo scadenti. Comunque, l’impiego del calcestruzzo si estendeva a tutte le

tipologie edilizie e col tempo progrediva la tecnica. Negli anni ’50, le imprese avevano ben imparato a costruire in c.a., gli ingegneri a progettare

secondo le teorie accreditate e si erano consolidate le tecniche del buon costruire. Al contrario, le nuove leve di ingegneri conoscevano solo la teoria, ma erano certamente di livello inferiore ai tecnici da tempo militanti sul campo. Si arrivò così ad una situazione difficile per l’Ispettore della prefettura, che continuava ad esser scelto dal Prefetto tra le nuove leve e in cantiere incontrava i colleghi costruttori e progettisti più esperti di lui. Il Prefetto, inoltre, affidava gli incarichi con criteri clientelari, finché il mondo della tecnica insorse per eliminare del tutto ogni controllo sulle

opere in cemento armato. Venne nominata una commissione per modificare la normativa e si pervenne ad una procedura

amministrativa di autocontrollo sistematico, che eliminava la figura dell’Ispettore.

L’opera di cui si occupa la presente tesi è stata ultimata nel 1966, per cui è stata oggetto, durante la costruzione, di visite da parte dell’Ispettore. Di seguito è riportata la relazione sulla visita di controllo relativa all’ultimo ampliamento dell’edificio.

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Figura 2 - Relazione sulla visita di controllo relativa al secondo ampliamento della struttura (parte 2)

All’aspetto normativo appena illustrato, è dedicato un ampio articolo, l’articolo 4 del Regio Decreto del 1939. Per quanto riguarda le prescrizioni contenute in tale decreto, si può notare come, dal punto di vista concettuale, siano ancora prive di particolari approfondimenti.

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2.3 Il Regio Decreto del 16 Novembre 1939

Il Regio Decreto n°2229 del 16 Novembre 1939, riguardante le “Norme per la esecuzione delle

opere in conglomerato cementizio semplice od armato”, dedica largo spazio alla parte iniziale riguardante le prescrizioni generali e le norme sulla qualità dei materiali. Seguono, in forma più breve, le indicazioni riguardanti la progettazione e quelle su esecuzione e collaudo.

Anche se sono state introdotte successivamente altre normative tecniche prima della costruzione dell’edificio, queste hanno modificato solo parzialmente il decreto, pertanto una breve analisi dei principali articoli del R.D. attinenti alla progettazione, articoli 18-34, è utile a fornire un quadro dello stato dell’arte negli anni in cui la struttura oggetto di studio è stata progettata ed eseguita.

Articolo 18 - Definisce i “carichi di sicurezza del calcestruzzo”, ovvero le tensioni ammissibili,

per le sollecitazioni di compressione, trazione semplice, flessione semplice o composta e taglio; quest’ultimo termine copre tacitamente anche la torsione. I valori stabiliti sono riferiti alle condizioni di esercizio e variano a seconda del tipo di cemento impiegato e della resistenza del conglomerato. Per la flessione, il fattore di sicurezza è pari a 3. Se però la resistenza supera i 225 kg/cm2, alla quota che supera tale valore si applica il fattore 9, a dimostrazione delle cautele che venivano prese quando ci si discostava dalle conoscenze maggiormente accertate. I limiti per le tensioni tangenziali, pari a 4-6 kg/cm2 e 14-16 kg/cm2 in assenza o in presenza di armatura specifica, sono calcolate nella struttura supposta non fessurata e sono quindi destinati a tenere sotto controllo la fessurazione e le condizioni del calcestruzzo nell’anima della trave.

Articolo 19 - Fissa i tassi di lavoro per le armature, nelle condizioni di esercizio, con sezione

parzializzata. I dati cambiano per i diversi tipi di acciaio e anche in funzione della qualità del calcestruzzo. I livelli di tensione ammissibili variano tra 1400 e 2000 kg/cm2.

Articolo 20 - Viene indicato il peso proprio del conglomerato cementizio armato, pari a 2500

kg/cm3.

Articolo 21 - Si fa un breve accenno agli effetti delle azioni dinamiche.

Articolo 22 - Questo articolo è dedicato all’analisi strutturale, fondata su non ben definiti “metodi

della scienza delle costruzioni”. All’armatura metallica si applica un coefficiente di ampliamento, pari al rapporto fra i moduli elastici dei due materiali associati, che viene assunto pari a 10. Successivamente, nel metodo delle tensioni ammissibili, il coefficiente di omogeneizzazione assumerà valore pari a 15. Nel calcolo globale della struttura, si ammette che il conglomerato reagisca a trazione.

La presenza dell’armatura può essere trascurata se la corrispondente sezione è inferiore al 2% di quella del calcestruzzo.

Articoli 23-28 - Riguardano diversi aspetti progettuali relativi ai solai.

Articoli 29-30 - Nell’articolo 29 viene introdotta la regola della parzializzazione, mentre

nell’articolo 30 vengono analizzate le membrature soggette a pressione assiale centrata o eccentrica.

Dopo qualche prescrizione sulla disposizione delle armature, si dedicano alcune righe al carico di punta, ma non viene specificato il fattore di sicurezza, che dovrebbe aumentare per tener conto del fenomeno di instabilità. Nell’attuale metodo semiprobabilistico, l’aumento del rischio è coperto dalla maggiorazione degli effetti del secondo ordine, provocati dall’adozione dei valori di calcolo per i carichi e per le resistenze.

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Articoli 31-32 - Si definiscono i pilastri cerchiati, con l’indicazione dei rapporti geometrici.

Articoli 33-34 - Anche questi articoli, come l’articolo 30, non danno indicazioni chiare e precise.

Il primo parla di deformazioni impresse, effetti termici e ritiro, quest’ultimo assimilato ad una variazione di temperatura. Non si fa riferimento agli effetti viscosi. Il secondo riguarda la verifica alle deformazioni, ma non fa riferimento a fessure e fenomeni di fluage.

Alle norme sulla progettazione seguono quelle sull’esecuzione: la preparazione degli impasti, la casseratura, la messa in opera delle barre e la loro sovrapposizione (almeno 40 diametri). Si danno indicazioni sulla piegatura delle barre e sul copriferro, pari ad almeno 2 centimetri.

Si definiscono le condizioni di posa in opera del conglomerato e quelle riguardanti il disarmo. Nell’articolo 49 viene infine prescritto che il direttore dei lavori tenga un registro “nel quale sono indicate le date dell’ultimazione del getto delle varie parti dell’opera, la quantità del cemento

impiegato e tutte le eventualità degne di nota verificatesi durante la costruzione”. Relativamente all’opera in esame, è stato possibile reperire tali registri. Il direttore dei lavori,

coadiuvato da un geometra, ha redatto, durante la realizzazione dell’edificio, i Libretti delle

misure, sui quali ha riportato dettagliatamente gli stati di avanzamento della costruzione. L’analisi di questi ha fornito esaustive informazioni sulla struttura della scuola.

Gli ultimi tre articoli del Regio Decreto si riferiscono al collaudo, definendone i tempi e le modalità. Anche riguardo al collaudo è stato possibile acquisire importanti documenti, in particolare riguardanti le prime fasi costruttive della scuola.

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3 Gli edifici esistenti in cemento armato

Secondo quanto espressamente citato nel Capitolo 8.1 delle NTC 2018 e poi ripreso dalla Circolare esplicativa approvata il 21 Gennaio 2019, si classifica come “edificio esistente” quello che abbia, alla data della redazione della valutazione di sicurezza e/o del progetto d’intervento, la struttura completamente realizzata.

Con ciò si intende che, alla data dell’intervento o della valutazione, sia stato effettuato il collaudo statico o, in assenza di esso, siano state realizzate le strutture portanti, gli orizzontamenti e le coperture.

3.1 La valutazione della sicurezza

La normativa afferma che la valutazione della sicurezza deve essere obbligatoriamente effettuata quando ricorra anche una sola delle seguenti situazioni:

✓ Riduzione evidente della capacità resistente e/o deformativa della struttura, dovuta a significativo degrado e decadimento delle caratteristiche meccaniche dei materiali, deformazioni conseguenti anche a problemi in fondazione, danneggiamenti prodotti da azioni ambientali (sisma, vento, neve e temperatura), da azioni eccezionali (urti, incendi, esplosioni) o da situazioni di funzionamento ed uso anomali;

✓ Provati gravi errori di progetto o di costruzione;

✓ Cambio della destinazione d’uso della costruzione o di parti di essa, con variazione significativa dei carichi variabili e/o passaggio ad una classe d’uso superiore;

✓ Esecuzione di interventi, non dichiaratamente strutturali, qualora essi interagiscano, anche solo in parte, con elementi aventi funzione strutturale e, in modo consistente, ne riducano la capacità e/o ne modifichino la rigidezza;

✓ Ogni qualvolta che si eseguono degli interventi strutturali.

La valutazione della sicurezza degli edifici esistenti, per quanto possibile, deve essere effettuata

in rapporto a quella richiesta per gli edifici nuovi. A tale scopo, le NTC 2018 introducono due nuovi parametri, che costituiscono fattori indicativi

per un rapido confronto tra l’azione sopportabile da una struttura esistente e quella richiesta, in un progetto ex-novo, alla stessa costruzione:

• ξE definito come il rapporto tra l’azione sismica massima sopportabile dalla struttura e l’azione sismica che si utilizzerebbe nel progetto di una nuova costruzione sul medesimo suolo e con le medesime caratteristiche (l'entità delle altre azioni contemporaneamente presenti è la stessa assunta per le nuove costruzioni);

• ξV,i definito come il rapporto tra il valore massimo del sovraccarico verticale variabile sopportabile dalla parte i-esima della costruzione e il valore del sovraccarico verticale variabile che si utilizzerebbe nel progetto di una nuova costruzione.

Si precisa inoltre che, nel caso in cui l’inadeguatezza di un’opera si manifesti nei confronti delle azioni non sismiche, quali carichi permanenti e altre azioni di servizio combinate per gli stati limite ultimi, è necessario adottare opportuni provvedimenti, quali ad esempio la limitazione dei carichi consentiti, restrizioni all’uso e/o esecuzione di interventi volti ad aumentare la sicurezza, che consentano l’uso della costruzione con i livelli di sicurezza richiesti dalle NTC 2018.

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3.2 Definizione del modello di riferimento per le analisi

Data la grande varietà di strutture, di tipologie strutturali e di casi particolari, risulta impossibile definire un unico modello, ma bisognerà stabilire un modello caso per caso, in relazione all’analisi sulle caratteristiche della struttura. L’adeguata conoscenza del manufatto è un presupposto fondamentale e una fase imprescindibile per la comprensione di singole criticità e del comportamento strutturale reale della costruzione;

l’attendibilità dei risultati, dunque, è strettamente legata al livello di conoscenza acquisito. Per definire al meglio il modello per la costruzione oggetto d’interesse, è necessario seguire

almeno tre fasi, di seguito riportate.

3.2.1 Analisi storico-critica

Ai fini di una corretta individuazione del sistema strutturale e del suo stato di sollecitazione, è importante ricostruire il processo di realizzazione e le successive modificazioni subite nel tempo dalla costruzione, nonché gli eventi, sismici e non, che l’hanno interessata.

L’analisi inizia col reperire tutti i documenti disponibili sulle origini del fabbricato, quali elaborati e relazioni progettuali della prima realizzazione e di eventuali interventi futuri, elaborati e rilievi già prodotti ed eventuali relazioni di collaudo e riguarda:

• L’epoca di costruzione;

• Le tecniche, le regole costruttive e le norme tecniche dell’epoca di costruzione; • La forma originaria e le successive modifiche;

• I traumi subiti;

• Le deformazioni, i dissesti e i quadri fessurativi e la loro evoluzione nel tempo; • Gli interventi di consolidamento pregressi;

• Gli aspetti urbanistici e storici che hanno regolato lo sviluppo del fabbricato.

In definitiva, questa fase deve permettere di interpretare la condizione attuale della struttura come risultato di una serie di vicende statiche e di trasformazioni che si sono sovrapposte nel tempo.

3.2.2 Rilievo geometrico-strutturale

Il rilievo geometrico-strutturale è finalizzato alla definizione sia della geometria esterna sia dei dettagli costruttivi di tutti gli elementi effettivamente raggiungibili, con funzione strutturale o meno.

Il rilievo dovrà essere riferito alla geometria complessiva sia della costruzione sia degli elementi costruttivi, comprendendo i rapporti con le eventuali strutture in aderenza.

Nel rilievo dovranno essere rappresentate le modifiche intervenute nel tempo, come desunte dall’analisi storico-critica.

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Il rilievo deve individuare l’organismo resistente della costruzione, tenendo anche presenti la qualità e lo stato di conservazione dei materiali e degli elementi costitutivi. Dovranno altresì essere rilevati i dissesti, in atto o stabilizzati, ponendo particolare attenzione all’individuazione dei quadri fessurativi e dei meccanismi di danno. Per gli elementi aventi funzione strutturale, la geometria esterna deve essere sempre descritta in maniera più completa possibile, allo scopo di ottenere un modello di calcolo affidabile, mentre i dettagli, spesso occultati alla vista (ad esempio la disposizione delle armature), possono essere rilevati a campione, estendendo poi le valutazioni agli altri elementi operando per analogia, anche in forza delle norme vigenti e dei prodotti in commercio all’epoca della costruzione.

Nel caso di edifici esistenti in cemento armato, il rilievo geometrico-strutturale deve permettere: a. l’identificazione dello schema strutturale, spesso costituito da telai piani in una direzione,

progettati per resistere ai soli carichi verticali, mentre nell’altra direzione si hanno travi secondarie di collegamento;

b. l’individuazione della posizione e delle dimensioni di travi, pilastri, scale e setti; c. l’identificazione dei solai e della loro tipologia, orditura, stratigrafia e armatura;

d. l’individuazione di tipologia e dimensioni degli elementi non strutturali, ad esempio i tamponamenti, i quali possono essere molto pesanti e spesso interferenti con la maglia strutturale, soprattutto se sono collegati lungo l’altezza dei pilastri e non alle loro estremità;

e. l’identificazione dello schema delle fondazioni.

Nel caso in cui la geometria della struttura sia nota dai disegni originali, deve essere comunque eseguito il rilievo visivo a campione per verificare l’effettiva corrispondenza del costruito ai disegni di progetto.

Nel definire il comportamento della costruzione in presenza di sisma, sono di particolare importanza i dettagli costruttivi: le informazioni su di essi possono essere desunte dai disegni originali, da un progetto simulato o da indagini in situ. Sia che si disponga dei disegni originali, sia che si sia prodotto un progetto simulato, per verificarne la rispondenza alla realtà del costruito in termini di particolari costruttivi occorre effettuare rilievi in situ.

Nei rilievi si possono individuare tre livelli di indagine, in relazione al grado di approfondimento:

Indagini limitate: consentono di valutare, mediante saggi a campione, la corrispondenza tra le

caratteristiche dei collegamenti riportate negli elaborati progettuali originali, o ottenute attraverso il progetto simulato e quelle effettivamente presenti;

Indagini estese: si effettuano quando non sono disponibili gli elaborati progettuali originali, o

come alternativa al progetto simulato seguito da indagini limitate, oppure quando gli elaborati progettuali originali risultano incompleti;

Indagini esaustive: si effettuano quando si desidera un livello di conoscenza accurato e non sono

disponibili gli elaborati progettuali originali.

Le indagini in-situ basate su saggi sono effettuate su una congrua percentuale degli elementi strutturali, privilegiando, tra le tipologie di elementi strutturali (travi, pilastri, pareti, ecc.), quelle che rivestono un ruolo di primaria importanza nella struttura.

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Il quantitativo di indagini in-situ basate su saggi dipende dal livello di conoscenza desiderato, in relazione al grado di sicurezza attuale e deve essere accuratamente valutato, anche in vista delle notevoli conseguenze che comporta sulla progettazione degli interventi.

Al fine di determinare, in maniera opportuna, il numero e la localizzazione delle indagini in-situ da effettuare, è utile eseguire, a seguito del rilievo geometrico, una campagna preliminare di indagini in-situ, volta alla conoscenza dei dettagli costruttivi ritenuti più significativi, seguita da un’analisi preliminare della sicurezza statica e della vulnerabilità sismica dell’edificio, eseguita estendendo il risultato dei rilievi dei particolari costruttivi agli elementi simili per dimensioni e/o impegno statico. Dall’esito, in termini di impegno statico e ruolo delle diverse membrature nella sicurezza della struttura, fornito dall’analisi preliminare, può scaturire la necessità di approfondimenti in termini di numero, tipologia e localizzazione delle indagini in-situ.

Il rilievo dei dettagli costruttivi è pertanto finalizzato a conseguire le seguenti informazioni: a. quantità di armatura longitudinale e trasversale in travi, pilastri, pareti e sua disposizione; b. quantità e dettagli di armatura trasversale nelle zone critiche e nei nodi trave-pilastro;

c. quantità di armatura longitudinale che contribuisce al momento negativo nei solai; d. lunghezze di appoggio e condizioni di vincolo degli elementi orizzontali;

e. spessore del copriferro delle armature;

f. lunghezza delle zone di sovrapposizione delle barre e dei loro ancoraggi.

3.2.3 Caratterizzazione meccanica dei materiali

Questa terza fase ha lo scopo di definire, nella maniera più efficiente possibile, l’insieme di operazioni da dover effettuare sulla struttura in esame per definire le caratteristiche meccaniche

dei materiali da utilizzare nelle verifiche di sicurezza. Per conseguire un’adeguata conoscenza delle caratteristiche dei materiali e del loro degrado, è

possibile basarsi sulla documentazione già disponibile, su verifiche visive in situ e su indagini sperimentali. Le indagini dovranno essere motivate, per tipo e quantità, dal loro effettivo uso nelle verifiche.

Per definire le caratteristiche meccaniche dei materiali, è possibile riferirsi anche alle norme dell’epoca della costruzione, includendo almeno le seguenti caratteristiche:

• resistenza e, ove significativo, il modulo elastico E del calcestruzzo; • tensione di snervamento, tensione di rottura e allungamento dell’acciaio.

Le prove sui materiali, in analogia a quanto definito per le indagini sui dettagli costruttivi, possono essere eseguite su un numero di elementi diverso, a seconda del livello di conoscenza che si vuole raggiungere.

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Si distinguono, in relazione al loro grado di approfondimento, tre livelli di prova:

Prove limitate: prevedono un numero limitato di prove in-situ o su campioni, impiegate per

completare le informazioni sulle proprietà dei materiali, siano esse ottenute dalle normative in vigore all’epoca della costruzione, o dalle caratteristiche nominali riportate sui disegni costruttivi, oppure nei certificati originali di prova;

Prove estese: prevedono prove in-situ o su campioni più numerosi di quelli del caso precedente e

sono finalizzate a fornire informazioni in mancanza sia dei disegni costruttivi, sia dei certificati originali di prova, o quando i valori ottenuti con le prove limitate risultino inferiori a quelli riportati nei disegni o sui certificati originali;

Prove esaustive: prevedono prove in-situ o su campioni più numerosi di quelli dei casi precedenti

e sono finalizzate a ottenere informazioni in mancanza sia dei disegni costruttivi sia dei certificati originali di prova, o quando i valori ottenuti dalle prove limitate o estese risultino inferiori a quelli riportati sui disegni o nei certificati originali, oppure nei casi in cui si desideri una conoscenza particolarmente accurata.

Al fine di determinare in maniera opportuna il numero e la localizzazione delle prove sui materiali, è utile eseguire un numero limitato di indagini preliminari sugli elementi individuati come rappresentativi a seguito dell'analisi storico-critica, della documentazione disponibile e del rilievo geometrico-strutturale, al fine di definire un modello preliminare della struttura.

Successivamente, è consigliato eseguire un'analisi per la verifica preliminare della sicurezza statica e della vulnerabilità sismica, utilizzando i dettagli costruttivi valutati nel corso della campagna di indagini preliminari.

In base all’esito dell’analisi preliminare, è valutata la necessità di approfondimenti della campagna di indagini in termini di numero e localizzazione, in relazione all’impegno statico delle diverse membrature, del loro ruolo riguardo alla sicurezza della struttura e del grado di omogeneità dei risultati delle prove preliminari.

Si riportano i principali metodi di indagine disponibili in letteratura per eseguire una corretta caratterizzazione meccanica dei materiali per costruzioni in cemento armato.

3.2.3.1 Metodi distruttivi

Le prove sui materiali di tipo distruttivo sono quelle che forniscono i risultati più attendibili, in quanto vengono effettuate su campioni prelevati direttamente dalla struttura in esame.

Per contro, esse comportano la perdita del campione prelevato, in quanto su di esso vengono eseguite prove che lo portano a rottura. Per questo motivo, solitamente, viene eseguito un numero piuttosto limitato di questo tipo di prove, estendendo i risultati attraverso prove non distruttive.

Carotaggio

Per quanto riguarda il calcestruzzo, rientra in questa categoria il carotaggio, che consiste nel prelievo di campioni (carote) dalla struttura, di forma cilindrica o pressoché cilindrica, mediante appositi strumenti. Su questi campioni vengono poi eseguite in laboratorio varie prove, generalmente di compressione, in modo da determinare la resistenza reale del materiale (fc). È buona norma prelevare carote di diametro almeno pari a tre volte il diametro massimo dell’inerte, limitare il più possibile le vibrazioni causate dalle operazioni di perforazione, evitare le zone in cui è presente l’armatura e cercare di prelevare provini con rapporto altezza/diametro circa pari a due. Tutti questi fattori di disturbo, infatti, fanno sì che la resistenza reale del provino sia diversa da quella determinata con le prove, per cui devono essere il più possibile limitati. In generale, i provini vengono prelevati nelle zone dell’elemento in cui le sollecitazioni sono minime, quindi in mezzeria per i pilastri (evitando prelievi eccentrici rispetto all’asse) e ai quarti della luce per le travi (preferibilmente all’altezza dell’asse neutro).

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Figura 3 - Carote di calcestruzzo

Prova di trazione

Per quanto riguarda l’acciaio costituente le barre di armatura, rientra in questa categoria la prova di trazione, che consiste nel prelievo di spezzoni di barre, di lunghezza circa pari a 50 cm, mediante appositi strumenti. Su tali elementi vengono poi eseguite prove in laboratorio sottoponendo il provino ad una prova di trazione a deformazione imposta, ottenendo il classico diagramma tensione-deformazione, in modo da determinare la tensione a snervamento (fy), la tensione a rottura (ft) e l’allungamento a rottura (Ag).

Anche in questo caso, i provini vengono prelevati nelle zone dell’elemento in cui le sollecitazioni sono minime, quindi in mezzeria per i pilastri e ai quarti della luce per le travi.

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3.2.3.2 Metodi non distruttivi

Le prove sui materiali di tipo non distruttivo sono quelle che forniscono i risultati più incerti e meno attendibili, in quanto vengono effettuate in situ su porzioni limitate della struttura. Peraltro, esse non comportano danneggiamento alla struttura, non alterando in nessun modo lo stato

tensionale e le condizioni al contorno della porzione indagata. Sono metodi poco invasivi, che consentono solamente di stimare la resistenza del materiale tramite

correlazioni empiriche, essendo soggetti a molti fattori di disturbo. Questo tipo di prove sono utili per capire l’omogeneità del risultato e del materiale e per questo motivo, solitamente, una buona campagna di indagini prevede un numero elevato di questo tipo di prove, estendendo i risultati ottenuti con prove distruttive a porzioni omogenee della struttura. Infatti, la norma prevede che, per determinare correttamente la resistenza meccanica dei materiali, oltre ai metodi di indagine distruttiva, sono ammessi metodi di indagine non distruttiva di documentata affidabilità, purché i risultati siano tarati su quelli ottenuti con prove distruttive.

Prova pacometrica

Questo tipo di metodo non distruttivo prevede l’impiego del pacometro, uno strumento che lavora per induzione magnetica: il campo magnetico presente nel calcestruzzo è alterato dalla presenza delle barre di armatura, tanto più quanto maggiore è la quantità di armatura presente o quanto

minore è lo spessore del relativo ricoprimento. Il pacometro consente di individuare la posizione delle armature, di determinarne il diametro e di

determinare lo spessore del copriferro, nonché il passo delle staffe. Solitamente è consigliato prima indagare, attraverso i progetti originari o il progetto simulato, la possibile posizione e il diametro delle barre di armatura e solo successivamente utilizzare lo strumento. Questo perché l’entità del segnale ricavata dal pacometro è funzione sia del diametro che del numero di barre, due fattori difficili da distinguere attraverso questo metodo di indagine, per cui bisogna conoscerne almeno uno dei due per ottenere informazioni utili.

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Prova sclerometrica

Questo metodo non distruttivo prevede l’impiego dello sclerometro, uno strumento che serve per

misurare la deformabilità del calcestruzzo e la sua resistenza superficiale. Il principio funzionamento è basato sul rimbalzo di una massa battente sul calcestruzzo: lo

strumento è costituito da un organo cilindrico al cui interno è presente un pistone, collegato ad una molla e ad una massa, la quale viene fatta sbattere in punti prestabiliti della superficie esterna dell’elemento di calcestruzzo, rilasciando una certa quantità di energia. Tale energia di impatto viene in parte assorbita dal calcestruzzo, sottoforma di deformazioni elastiche permanenti e in parte restituita allo strumento, attraverso la massa mobile che rimbalza: maggiore sarà l’altezza di rimbalzo, maggiore sarà la quantità di energia restituita e maggiore sarà la resistenza e la rigidezza del materiale.

I limiti di tale metodo sono dovuti al fatto che, proprio per sua natura, la porzione indagata è superficiale e quindi risente dei difetti dovuto ai fattori ambientali, su tutti l’ossidazione.

Pertanto, spesso i risultati ottenuti con lo sclerometro sono falsati dai difetti superficiali del calcestruzzo e quindi anche la stima della resistenza a compressione del materiale, ottenuta attraverso correlazioni empiriche una volta noto l’indice di rimbalzo, risulta poco affidabile. Eseguendo però questa prova su vari elementi, se la dispersione dei dati ottenuti attraverso l’indice di rimbalzo è bassa, è possibile affermare che il materiale, per tali elementi, risulta omogeneo e quindi è possibile estendere i risultati ottenuti con carotaggi a porzioni più estese della struttura.

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Prova ultrasonica

Il metodo ultrasonico si basa sul principio che la velocità con cui gli impulsi vibrazionali si propagano in un mezzo (calcestruzzo) è funzione delle caratteristiche elastiche e della densità del mezzo stesso. Con tale metodo, il materiale è cimentato a livelli di tensione e deformazione molto bassi, tali da farlo rimanere in campo sostanzialmente elastico, misurando il modulo di elasticità assiale del materiale (E) e il relativo coefficiente di contrazione trasversale (ʋ). Lo strumento è costituito da una sonda emittente e una sonda ricevente ed è dotato di timer per misurare il tempo di propagazione dell’onda nell’elemento. Noto lo spazio percorso dall’onda, funzione del modo in cui sono disposti tra loro la sonda emittente e la sonda ricevente, è possibile quindi calcolare la velocità di propagazione delle onde ultrasoniche nel calcestruzzo e quindi ottenere i parametri appena descritti.

I limiti di tale metodo sono dovuti al fatto che, proprio per sua natura, la porzione indagata è interna all’elemento e quindi risente dei difetti dovuti alla disomogeneità interna del calcestruzzo, come la presenza di vuoti e di barre di armatura. Eseguendo però questa prova su un elemento, se la variazione lungo il percorso della velocità di propagazione è bassa, è possibile affermare che l’elemento non presenta significative difettosità interne.

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Metodo combinato SONREB

La scarsa affidabilità dei metodi non distruttivi, se usati come unico metodo di indagine, hanno suggerito la sperimentazione di metodi combinati di indagine. L’impiego di diverse metodologie non distruttive sullo stesso campione, offre innanzitutto il vantaggio di poter confrontare i risultati ottenuti dal singolo metodo, in modo da poter individuare eventuali anomalie. Uno di questi metodi combinati è il metodo SONREB (SON = sonico, REB = rimbalzo). Tale metodo combina misure di velocità, ottenute con prove ultrasoniche, con misure dell’indice di rimbalzo, ottenute con lo sclerometro. Il metodo consente di ottenere un’informazione più completa sul calcestruzzo, in quanto prende in considerazione due parametri legati a caratteristiche diverse: la velocità di propagazione, legata alla densità e all’elasticità interne del materiale e l’indice sclerometrico, legato alla durezza superficiale. In questo modo, inoltre, le incertezze relative ai due metodi si riducono e di conseguenza la resistenza a compressione del calcestruzzo, ottenuta sempre attraverso correlazioni empiriche, è stimata in maniera molto più precisa, risultando simile a quella ottenuta con prove distruttive.

Riferimenti

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