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La crisi del linguaggio e della ragione, l'antiautoritarismo e l'angoscia esistenziale nel teatro di Eugène Ionesco.

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione... 2 1. Una vita tra Romania e Francia

1.1. I primi anni: «l'età dell'oro»...5 1.2. La Romania e l'esperienza di Criterion...10 1.3. La Francia, la guerra e la carriera teatrale...13 2. La crisi del linguaggio e della società nel contesto del Teatro dell'Assurdo e dei suoi precedenti culturali

2.1. Ionesco e la tradizione dell'Assurdo 20

2.2. L'esordio teatrale e La cantatrice calva 33

2.3. Il vuoto, l'insensatezza della vita e la critica al teatro: Le sedie e Vittime del

dovere...57

2.4. Contro l'autoritarismo: La lezione e Il rinoceronte...72 3. Il sentimento della morte e l'angoscia della vita

3.1. Il senso di colpa e la morte in Amedeo o come sbarazarsene e Il re muore....108 3.2. L'angoscia, la depressione e l'analisi interiore in Il solitario...129 Conclusioni...141 Bibliografia...145

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INTRODUZIONE

Questa tesi prende in esame la vita e alcune delle opere, le più famose e anche quelle meno conosciute, del drammaturgo Eugène Ionesco.

L'obiettivo è quello di evidenziare le particolarità e le novità delle prime pièce rispetto al teatro tradizionale e stabilire, dove possibile, un contatto tra la dimensione teatrale e creativa dell'autore con quella emotiva ed intima.

Partendo dalla vita di Ionesco, dall'esperienza delle due guerre e delle dittature sotto cui ha vissuto, descritte nel primo capitolo, viene sviluppata tutta la carriera teatrale dell'autore, ricca di novità e sfumature.

Il secondo capitolo prende in esame la prima opera di Ionesco, La cantatrice calva e ne descrive gli aspetti principali. Nata dalla volontà dell'autore di imparare l'inglese e dall'adozione, per raggiungere il suo scopo, del manuale franco-inglese Assimil, dal titolo

L'Anglaise sans peine, questo dramma porta per la prima volta Ionesco sulla scena

teatrale. Purtroppo La cantatrice non viene apprezzata dalla critica parigina dell'epoca, a causa dell'estrema novità che l'autore propone rispetto al teatro tradizionale e per la tematica affrontata: la crisi del linguaggio, dei rapporti umani e la critica contro la classe borghese e l'oggettificazione dell'uomo.

Nonostante l'insuccesso della prima opera, apprezzata soltanto da pochissimi critici e letterati, Ionesco continua nel suo intento: andare contro lo sterile teatro tradizionale, psicolgico e di discussione, per proporre qualcosa che possa scuotere gli animi del pubblico.

In Le sedie viene nuovamente affrontata la crisi del linguaggio collegata al tema dell'insensatezza della vita umana, confermata dal suicidio dei due protagonisti, mentre in

Vittime del dovere Ionesco esprime più esplicitamente le sue convinzioni teatrali:

l'addentrarsi del protagonista Choubert nella propria interiorità, associata ad una discesa nel fango da cui viene sommerso è una chiara provocazione fatta nei confronti del teatro tradizionale che ormai non può portare più ad alcuna novità in quanto ha esaurito il suo potenziale innovativo ed emotivo.

La Lezione e Il rinoceronte si concentrano sull'antiautoritarismo. Ciò che Ionesco

esprime in queste due pièce è il disprezzo nei confronti di qualsiasi forma di dittatura, di autorità e di totalitarismo. La critica non è soltanto politica, ma arriva ad includere anche la cultura, i letterati e i critici che nel corso degli anni hanno cercato di screditare l'opera

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del drammaturgo, non comprendendolo fino in fondo. È proprio Il rinoceronte che lo porta al successo mondiale e ciò avviene grazie all'essere riuscito, tramite quest'opera, a dar voce ai sentimenti di tutti coloro che hanno sofferto per le conseguenze delle guerre e dei regimi dittatoriali quando l'uomo dà pieno sfogo alla volontà di sopraffazione e alla violenza.

Tutte le opere precedentemente citate sembrano in qualche modo staccate dalla vita dell'autore: nessun riferimento biografico esplicito viene inserito ed è anche per questo che prima del Rinoceronte Ionesco è stato ripetutamente accusato di essere troppo staccato dalla storia, dalla società e quindi dal mondo che lo circonda. In verità, alcuni riferimenti alla propria biografia sono stati inseriti, ma sono ben poco visibili ad una prima lettura.

Ciò viene testimoniato nel terzo capitolo da Amedeo o Come sbarazzarsene e nella trasformazione che l'opera ha subìto da prosa a testo teatrale. In questo passaggio Ionesco elimina un passo, molto breve, in cui descrive quello che è il significato dell'enorme cadavere che cresce nella casa dei due protagonisti: egli incarna il proprio senso di colpa, che prova principalmente nei confronti della moglie Rodica, per non riuscire a sostenerla tanto quanto lei avrebbe necessità e per aver bisogno lui, in prima persona, del suo appoggio senza cui crollerebbe, sommerso delle sue ansie e delle sue nevrosi. Amedeo, rappresentato per la prima volta nel 1953, è una delle prime opere messe in scena da Ionesco quindi, come affermato in precedenza, in una fase in cui l'autore tende dunque a celare la propria biografia.

Questa tendenza cambia progressivamente, tanto che nel Re muore, dramma più tardo, del 1962, l'autore affronta uno dei temi a lui più cari: il rapporto con la morte. Berenger, sovrano che sta per morire, nei suoi ultimi giorni di vita rifiuta di accettare la propria fine. L'altalenanza tra rifiuto e accettazione, a cui il re arriverà alla fine della

pièce grazie alla guida della moglie Margherita, riflette esattamente i sentimenti di

Ionesco. Venuto a contatto con la morte molto precocemente, durante la prima infanzia, a causa dello scoppio della prima guerra mondiale, ne rimane terribilmente colpito. Per tutto il corso della propria esistenza svilupperà un rifiuto verso la morte e quindi un attaccamento ossessivo alla vita. Tuttavia, in più di un'occasione, Ionesco invoca l'estinzione come termine tanto atteso delle sue ansie e delle domande esistenziali che non potranno mai avere una risposta, ma che tanto lo assillano. L'autore quindi, in questa

pièce, contrariamente alle precedenti, dà voce ad una parte importante della propria

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Ciò accade anche nel romanzo Il solitario, in cui il drammaturgo sfoga tutta la sua emotività, dando voce alle domande esistenziali che spesso si pone e agli incubi più ricorrenti nelle sue notti. Il protagonista, suo alter ego, porta avanti la vita che Ionesco avrebbe vissuto se si fosse lasciato sopraffare dalla propria interiorità.

La scelta delle opere che analizzeremo in questo lavoro ha lo scopo di sottolineare le caratteristiche principali del teatro ioneschiano. Esse sono anche descritte con la volontà di far risaltare aspetti, di struttura delle pièce, di innovazione e autobiografici, che ad una prima lettura non sono evidenti, ma che sono fondamentali per comprendere realmente e profondamente la sua drammaturgia.

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CAPITOLO 1

Una vita tra Romania e Francia

1. 1 I primi anni: «l'età dell'oro»

L'infanzia è il mondo del miracolo o del meraviglioso: come se la creazione, luminosa, sorgesse dalla notte, nuova di zecca, fresca, piena di stupore. L'infanzia è finita dal momento in cui le cose non stupiscono più. Quando il mondo ti sembra «già visto», quando ci si abitua all'esistenza, si diventa adulti. Il mondo di favola, la meraviglia intatta, diventano banalità, luogo comune. Essere cacciati dall'infanzia, significa essere cacciati dal paradiso, diventare adulti1.

Partendo dalla precedente citazione, in questo capitolo verrà presentata in sintesi la vita di Eugène Ionesco, non soltanto per quanto riguarda i fatti più salienti e gli avvenimenti più importanti, ma cercando di dare una panoraminca del contesto storico e sociale in cui l'autore ha vissuto, le influenze che questi hanno avuto sulle sue opere future e sulla sua personalità.

Eugène Ionesco nasce il 26 novembre a Slatina, dal padre Eugen Ionescu, di origini romene,e dalla madre Thérèse Ipcar, francese di origini romene e greche. Sull'anno preciso della nascita le fonti sono contrastanti: prima del 1940 è attestato come anno il 1909, ma dal 1950 in poi la data cambia nel 1912. Leggendo ciò che l'autore scrive all'interno del saggio Nu [No], la datazione corretta da seguire sarebbe quella più lontana nel tempo: «Je m'appelle Eugen Ionescu (E-u-gen-io-nes-cu), j'ai “vingt-trois ans” (pourquoi ai-je vingt-trois ans?), note I: 1933 au printemps»2. La datazione della propria

nascita rimane comunque un caso molto particolare e forse unico nella storia della letteratura, difficilmente spiegabile.

Trasferitosi con la famiglia a Parigi l'anno seguente alla nascita, durante l'infanzia il futuro drammaturgo ha vissuto la terribile esperinza della Prima Guerra mondiale. Sono anni difficili e movimentati in quanto la famiglia trasloca spesso, come si evince dagli scritti autobiografici dell'autore: «tutto ciò doveva accadere ad Alfort, o a Maison-1 Eugène Ionesco, Briciole di diario, in E. Ionesco, Passato presente, trad. di Gian Renzo e Jole Morteo, Rizzoli, Milano, 1970, [Ed. orig. Eugène Ionesco, Journal en miettes, Éditions Gallimard, Parigi, 1967], p. 48.

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Alfort.»3, «Un'altra casa. Traslochiamo spesso. A quell'epoca era facile. Prima o dopo

Alfort? Si tratta dell'alloggio della rue Madame, vicinissimo alla rue Sèvres.»4, «Ci

sistemiamo all'albergo della rue Blomet.»5, «Abitiamo in rue du Théâtre, nel XV

arrondissement»6.

L'esperienza della guerra ha toccato a tal punto il giovane Eugène da ritornare sull'argomento non soltanto nei suoi sogni, ma anche nelle opere teatrali composte in età adulta. L'accusa che viene fatta contro la guerra è anche quella di averlo strappato all'infanzia troppo presto: “Esiste l'età dell'oro: è l'età dell'infanzia, dell'ignoranza; dal momento in cui ci rendiamo conto che moriremo, l'infanzia è finita. Come ho già detto, per me è finita molto presto”7.

«L'età dell'oro» a cui Ionesco si riferisce nella precedente citazione non sono soltanto gli anni della fanciullezza precedenti all'esperienza della guerra, ma anche il periodo trascorso nelle campagne di Chapelle-Anthenaise, piccolo villaggio nel quale si trasferisce insieme alla sorella, all'età di 8 anni, dopo che gli è stata diagnosticata l'anemia, presso il mulino di Maria, una contadina che teneva a pensione diversi bambini. È un periodo di serenità e tranquillità in cui Ionesco dimentica in parte l'orribile esperienza appena vissuta: “A sette anni, ero a Parigi. A otto, in campagna. Mi domando se, nel periodo in cui sono vissuto in campagna, ho ancora pensato alla morte. […].”8.

Nel pieno dell'adolescenza tuttavia è costretto dalla madre a tornare a Parigi, nonostante ciò, in un primo momento, non lo renda affatto felice:

Mia madre viene a prendermi. È autunno. “Devi tornare a Parigi”, mi dice “non abitiamo più in albergo. Abbiamo un appartamentino, insieme con il nonno e la nonna, in rue de l'Avre. A due passi da zia Sabina. Non puoi restare qui, devi continuare gli studi” […]. Rivedo le grandi strade di Parigi. Com'è possibile abbandonare la campagna9?

Il soggiorno nella capitale francese dura fino al 1922, quando il giovane Eugène viene costretto a tornare a Bucarest dal padre, a causa del divorzio dei suoi genitori e dei problemi finanziari che la madre deve affontare, nonostante faccia parte di una famiglia

3 Idem, Passato presente presente passato, in Eugène Ionesco, Passato presente, trad. di Gian Renzo e Jole Morteo, Rizzoli, Milano, 1970, p. 177 [Ed. orig. Eugène Ionesco, Présent passé passé présent, Mercure de France, Parigi, 1968].

4 Ivi, p. 178. 5 Ivi, p. 181. 6 Ivi, p. 189.

7 Idem, Briciole di diario, cit., p. 26. 8 Ivi, p. 28.

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molto facoltosa. È in questa occasione che Ionesco impara il romeno, venendo realmente a contatto con la cultura della sua terra natìa e con una società borghese in piena crescita10. La gioia iniziale per la riunione con il padre, figura quasi assente nella sua

infanzia e negli anni parigini, viene ben presto sovrastata dalla scoperta di quella che è la realtà romena, definita dal giovane totalmente refrattaria all'arte, alla bellezza e incapace di rendere sensibile e curioso l'animo umano. L'immagine che Ionesco ha della capitale è condizionata da un profondo risentimento nei confronti della figura paterna che non gli permette di giudicare oggettivamente questo «carrefour cosmopolite bariolé»11. Da questo

momento in poi il futuro drammaturgo avrà due patrie e due lingue che assumeranno per lui diverso significato e valore. La lingua francese sarà sempre collegata ad un senitmento di amore profondo che prova nei confronti della madre, mentre la lingua romena rispecchierà sempre il risentimento provato verso il padre:

Mia madre è molto infelice. Piange. Lui la rimprovera, grida, sempre restando sul letto. Mia madre viene verso di me, si allontana. Finisce di vestirsi, oppure rassetta la stanza, si accosta al letto su cui lui si trovava, parla, si allontana, si innervosisce sempre più. Lui non si commuove. Ha una voce molto forte, un'aria cattiva. Insiste. Dev'essere molto duro ciò che dice. Mia madre scoppia in singhiozzi. […]. Prende un bicchierino d'argento che le avevano regalato, per me, in occasione del mio battesimo. Prende il bicchierino, ci versa dentro un'intera boccetta di tintura di iodio, il liquido trabocca, come se fossero lacrime o sangue, macchia l'argento. Sempre piangendo, con il suo modo infantile di piangere, il viso contratto dalle smorfie, mia madre porta il bicchiere alle labbra. Lui, rapidissimo, da qualche attimo è già balzato in piedi, e lo vedo, in camicia da notte, con le mutande lunge, precipitarsi a grandi passi e trattenere la mano di mia madre. La chiama per nome, cerca di calmarla. Mia madre continua a piangere, mentre lui le ha tolto il bicchiere di mano. […]. La mia pietà per mia madre risale a quel giorno. Devo essere stato infinitamente stupido nell'accorgermi che lei non era altro che una povera creatura, disarmata, un burattino nelle mani di mio padre, e l'oggetto della sua persecuzione 12.

E ancora, contro suo padre:

Un altro ricordo d'infanzia è collegato ai precedenti, e mi ha sconvolto. […]. Ciò che vi è di essenziale in questa scena non può essere strappato dal mio cuore. Se io sono quello che sono e non un altro, lo debbo tutto o quasi tutto a questo fatto iniziale. Non so perché ma esso ha 10 Cfr. Bogdan Ghiţă, Eugène Ionesco. Un chemin entre deux langues, deux littératures, L'Harmattan, Parigi, 2011, p. 24.

11 Cfr. ivi, p. 26.

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condizionato il mio atteggiamento verso i miei genitori, e probabilmente anche le mie avversioni sociali. Ho l'impressione che da lì derivi il mio odio dell'autorità, che lì stia l'origine del mio antimilitarismo, in altre parole il mio rifiuto di tutto ciò che è, di tutto ciò che rappresenta l'universo marziale di qualsiasi società basata sulla supremazia dell'uomo rispetto alla donna. Mio padre non potrà mai leggere queste pagine. Ne ho scritte su di lui, e pubblicate, di molto crudeli. Forse ho avuto torto. Non si sa mai, tra un uomo e una donna chi sia la vittima dell'altro. […]. Tutto ciò che ho fatto, in un certo modo, l'ho fatto contro di lui. Ho pubblicato dei libelli contro la sua patria (la parola patria è insopportabile in quanto significa paese del padre; […].). Lui voleva che io diventassi un borgese, un magistrato, un militare, un chimico. Gli avvocati mi riempivano di orrore, la vista di un presidente di tribunale provocava in me il desiderio di ucciderlo. […]. Tutto ciò che è autorità mi sembrava, ed è, ingiusto. Sono stato condannato per i libelli che ho scritto contro l'esercito e i magristrati del suo paese. Ne ero fiero.[...].

Il rifiuto dell'autoritarismo, oltre ad essere espressione del risentimento che Eugène prova contro il padre, è una delle tracce più profonde che l'esperienza della Prima Guerra Mondiale ha lasciato al giovane intellettuale. Questo aspetto sarà una costante del pensiero ioneschiano anche in età adulta e verrà esaminato ed espresso più volte all'interno dei suoi drammi teatrali, come vedremo più dettagliatamente nel capitolo successivo.

La citazione riprende così:

L'ultima volta che l'ho visto, avevo terminato gli studi, ero diventato un professorino, ero sposato; ci aveva invitati a pranzo e avevamo litigato perché lui era un intellettuale di destra – oggi naturalmente, sarebbe di sinistra, tanto è vero che fu uno dei rarissimi avvocati di Bucarest mantenuti in servizio al Tribunale dai comunisti all'inizio del loro regime. Mio padre non fu un opportunista cosciente, egli credeva nell'autorità. Rispettava lo stato, qualunque esso fosse. Io non amavo l'autorità, detestavo lo stato, non credevo nello Stato, qualunque esso fosse. Per lui, non appena un partito prendeva il potere aveva ragione. Così fu la Guardia di ferro, frammassone democratico, nazionalista, stalinista. Tutte le opposizioni secondo lui avevano torto. Per me tutte le opposizioni avevano ragione. […]. Sono molti anni che è morto. In pratica gli rimproveravo di essere come la maggior parte della gente. […]. Era come tutti gli altri, questo gli rimproverai. Questo ho avuto il torto di rimproverargli13.

Da queste lunghe citazioni, si può capire il rapporto che legava Ionesco a entrambe le figure genitoriali. La madre viene spesso descritta nei suoi scritti autobiografici con grande tenerezza e amore, spesso succube del marito dalla personalità assai più forte e

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autoritaria.

Alla figura materna è spesso collegato anche il pensiero della morte, che matura già nell'età dell'infanzia, e la paura costante di perderla improvvisamente. Il rapporto con il padre è sempre stato difficoltoso, sia per l'atteggiamento che Eugène vede tenere nei confronti di Theresa, sia per la costante assenza dalla vita del figlio, nonché per la totale divergenza di ideali testimoniata nella seconda lunga citazione, in cui l'autore descrive il rapporto che lo ha legato al padre e alla Romania, ma anche la nascita, nel periodo universitario, di un pensiero critico nei confronti della società che si svilupperà negli anni successivi e soprattutto durante e dopo l'esperienza di Criterion.

Il ritorno nel paese romeno significa per Ionesco tornare a parlare e a scrivere nella sua lingua di origine che, nonostante sia disprezzata ed odiata perché collegata alla figura paterna, non lo abbondonerà mai, neanche dopo il traferimento in Francia. Il giovane Eugène dà prova di una naturale predisposizione all'apprendimento delle lingue: “L'adaption à une langue étrangère, qui se détache du même fond de latinité que sa langue maternelle ̶ le français ̶ se fait sans aucun problème particulier”14.

Grazie a questo periodo di apprendimento Ionesco ricaverà un cospicuo bagaglio di motti e di espressioni che ritorneranno frequentemente nelle sue opere, nei suoi scritti personali e nella sua quotidianità. Nel momento in cui sono impiegati essi rivelano uno stato d'animo particolare che porta l'autore a ricordare e rivivere il proprio passato. È da sottolineare la grande naturalezza con cui Ionesco inserisce le espressioni relative alla lingua romena nella lingua francese. Questo dualismo non lo abbandonerà mai, anzi sarà da lui sfruttato soprattutto nel periodo in cui si dedicherà alla traduzione in francese di autori romeni come Urmuz, Caragiale, Dan Pavel,... e fitti saranno sempre gli scambi epistolari con l'importante critico romeno Tudor Vianu.

I contatti con la lingua e l'attualità romena continueranno anche dopo il trasferimento in Francia nel 1942 grazie al posto che andrà ad occupare presso la legazione romena di Vichy e al compito di informare sull'attualità francese il pubblico romeno tramite i suoi articoli e le sue pubblicazioni.

Il bilinguismo di Ionesco si diversifica rispetto all'adozione della lingua francese da parte dei due intellettuali che saranno a lui maggiormente legati da un forte sentimento di amicizia. Per Eliade e Cioran l'acquisizione di una lingua diversa rispetto al romeno vuol dire non rimanere bloccati in un universo chiuso, ma avere una maggiore visibilità europea e quindi superare i limiti di un paese culturalmente considerato inferiore. Cioran, 14 Bogdan Ghiţă, Eugène Ionesco, cit., p. 170.

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Eliade e lo stesso Ionesco probabilmente non avrebbero avuto lo stesso successo a livello mondiale se fossero rimasti ancorati alla Romania e alla lingua romena15.

Tuttavia questa acquisizione porta anche il segno negativo di un allontanamento forzato dal paese di origine, di un'emigrazione politica non voluta e di un progressivo rinnegamento della propria patria. Rinnegamento che ha caratterizzato anche la personalità di Ionesco, il quale rinuncerà al romeno (senza però distaccarsene mai davvero), non soltanto per un'ideologia politica e l'aspetto culturale, ma anche per la volontà di lasciare alle proprie spalle il passato e di rompere con la figura e il paese del padre:

Partagé entre deux pays et duex langues, entre un père tyran et une alma mater, entre une culture mineure ou petite et une culture majeure, profonde, chassé par une contamination politique et idéologique qui le dégoute et l'effraye, il est accueilli par un pays avec lequel il se trouvait en plein accord. Pourtant, il n'y trouve plus sa place aussi confortablement. Incosciemment, renoncer volontairement à parler une langue (pour Ionesco le roumani pourrait etrê considéré comme une langue maternelle) c'est en quelque sorte vouloir rompre avec le passé, avec le vécu, avec le père ed avec le pays du père16.

1.2 La Romania e l'esperienza di Criterion

Come precedentemente detto, Ionesco ritorna in Romania nel 1922, a causa del divorzio dei genitori, dell'affidamento ottenuto dal padre e delle difficoltà economiche della madre che li raggiungerà soltanto più tardi, rimanendo con loro fino alla morte avvenuta nel 1936.

Nonostante il desiderio di studiare per diventare attore, nel 1925 si iscrive alla Facoltà di Lettere, seguendo il volere paterno e si laurea nel 1929 con una tesi in letteratura francese. L'anno precedente alla laurea esordisce come poeta sulla rivista

Bilete de papagal [Biglietti del pappagallo], con il patrocinio culturare di Tudor Arghezi e

nel 1931 pubblica a Craiova la sua prima e unica raccolta di versi dal titolo Elegii pentru

fiinţe mici [Poesie per piccoli esseri]. Sempre nel 1928 conosce la donna che gli starà

vicino per tutto il percorso della propria vita e che sposerà nel 1936, Rodica Borileanu, figlia di un'importante famiglia di diplomatici di Bucarest, dalla quale avrà sua figlia

15 Cfr. idem, Eugène Ionesco, cit., p. 169. 16 Ivi, p. 175.

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Marie-France, nata nel 1944.

Dal 1932 il gruppo fondatore della società culturale Criterion, capeggiata da Mircea Eliade e coordinata da Petru Comarnescu, formata da brillanti giovani intellettuali romeni, di cui anche Ionesco farà parte, inizia ad organizzare una serie di conferenze aperte al pubblico che trattano di varie tematiche: la filosofia, l'economia, la politica nazionale ed estera, le arti e molti incontri vengono dedicati a grandi nomi come Freud, Chaplin, Lenin, Bergson ecc... Ionesco entra nell'associazione abbandonando i panni del poeta e vestendo quelli del «critico militante generazionalista»17, defindendosi come un

“sovversivo” all'interno della giovane generazione e dichiarandosi avverso alla critica letteraria dominante in Romania, contro la quale scriverà il volume critico Nu [No].

La principale novità introdotta da Criterion è la volontà di “far rivivere nella ʽBucarest capitale del futuroʼ lo spirito democratico della polis greca”18, anche grazie al

metodo di dialogo adottato che rappresenta ciò che Platone descrive nel Simposio. Ad ogni conferenza, tenuta in un cinema, in un teatro o nei circoli culturali, è prevista la presenza di più relatori (solitamente 4 o 5) che, parlando dell'argomento scelto, cercano di affrontarlo secondo punti di vista diversi, talvolta anche in contrasto.

Il parlare al pubblico non vuole soddisfare un'esigenza puramente spettacolare, ma ha il fine di distaccarsi da un complesso di inferiorità culturale rispetto alla generazione a loro precedente, detentrice del potere culturale, delle università e spesso anche della stampa e delle case editrici. L'obiettivo inoltre è di divulgare la cultura mondiale all'interno del paese, cercando di ʽsvecchiareʼ la cultura della capitale, rimanendo comuque vicini alle tradizioni. Per i Criterionisti, il rapporto ʽclasse-erudito/professoreʼ non può più esistere, non deve esserci un sapere preso come verità assoluta, ma cercano di aprire loro stessi e il pubblico ad una valutazione critica di esperienze culturali che vanno oltre i confini di Bucarest19.

Nell'andare avanti con le conferenze la politica inizia ad entrare sempre con maggior forza all'interno della società culturale: a partire dalla serata dedicata a Lenin, Mihail Polihrniade mostra sempre più interesse nei confronti delle schiere legionarie, Lucreţiu Pătrăşcanu si rivela un marxista riformista, Belu Silber viene definito da Eliade “il solo comunista tra di noi”20, Cioran, trasferitosi in Germania, si avvicina al nazismo e

lo stesso storico delle religioni inizia ad avvicinarsi all'estrema destra.

17 Giovanni Rotiroti, Odontotyrannos. Ionesco e il fantasma del Rinoceronte, Il Filo, Roma, 2009, p. 53. 18 Idem, Il segreto interdetto. Eliade, Cioran e Ionesco sulla scena comunitaria dell'esilio, Edizioni ETS, Pisa, 2011, p. 59.

19 Cfr. ivi, pp. 60-62. 20 Ibidem.

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Lo spostamento progressivo dei “giovani intellettuali” su posizioni politicamente ferme e decise, si deve in gran parte all'influenza che Nae Ionescu, professore di Storia della logica, di Metafisica e Filosofia delle Religioni all'Università di Bucarest, esercita sugli studenti a partire già dal 1922. Vivendo sotto la sua influenza, in lui i giovani hanno trovato un professore autorevole e una personalità affascinante. Nonostante questi aspetti positivi, Nae Ionescu attacca sulla stampa tutti i partiti democratici. Amico del re Carol II e di Condreanu, militò a favore del nazionalismo estremo, dell'antisemitismo e dell'anticosmopolitismo21. Il suo schierarsi su posizioni di estrema destra segnò

profondamente la giovane generazione, così legata alla personalità dell'autorevole professore, divenuto suo punto di riferimento. Alcuni dei giovani intellettuali lo affiancheranno nel sostegno dato al Movimento Legionario e all'estrema destra, mentre altri se ne discosteranno.

A causa dell'entrata in gioco della politica l'associazione inizia ad essere vista con sospetto dalle autorità ufficiali e dalla polizia interna, che l'accusano di bolscevismo e criptocomunismo, mentre i movimenti nazionalistici di estrema destra la additano come filosemita e antipatriottica. Da questo momento in poi, nonostante il continuo sforzo di organizzare conferenze ed incontri, portato avanti soprattutto da Comarnescu, l'esistenza di Criterion è segnata: beché continui a riscuotere successo, è diventato sempre più difficile radunare sullo stesso palco legionari, comunisti e democratici. L'associazione muore definitivamente nel 1934, anno di nascita dell'omonima rivista, che tuttavia non rappresenta la società culturale e non ne incarna la natura, poiché i legami che uniscono gli ex-criterionisti adesso sono fondati soltanto sul sentimento dell'amicizia e non sulla comune volontà di diffusione di una cultura aperta e apolitica. Sulla morte di Criterion Eliade scrive nelle sue Memorie: “L'unità del gruppo Criterion fu spezzata; e la tensione politica degli anni 1935-1939 non fece che approfondire la spaccatura”22.

Dopo la decisione di Nae Ionescu di optare per lo Stato Legionario, alcuni degli intellettuali di Criterion adottarono posizioni di estrema destra. Gli unici a non cedere al fascino della politica attiva furono Comarnescu e Eugène Ionesco.

Sarà proprio l'entrata della politica e della storia all'interno di Criterion, l'aspetto che Ionesco criticherà maggiormente e con questo anche la “rinocerontizzazione” di alcune della personalità a lui più vicine, come Mircea Eliade e Emil Cioran, che hanno

21 Cfr. Emilia David, Modelli di intellettuali nella cultura romena tra le due guerre, in Intellettuali. Preistoria, storia e destino di una categoria., a cura di Angelo d'Orsi e Francesca Chiarotto, Nino Aragno Editore, Torino, 2010, pp. 403-404.

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passivamente ceduto al potere attrattivo delle ideologie e dei totalitarismi invece di opporvi resistenza.

1.3 La Francia, la guerra e la carriera teatrale

Dopo l'esperienza criterionista, l'impiego come professore di francese prima a Cernavodă poi al liceo “Sfîtul Sava” di Bucarest23 e la premiazione del saggio Nu [No],

nel 1938 Ionesco parte come borsista per la Francia, insieme alla moglie, per scrivere una tesi di dottorato mai conclusa sul peccato e la morte nella poesia francese dopo Baudelaire. Il traferimento fu un evento molto desiderato a causa della situazione politica romena: dopo la dittatura istituita dal re Carol II per prevenire l'entrata nel governo di membri della Guardia di ferro, durata fino al 1939, viene firmato il patto Molotov-Ribbentrop tra Germania e Urss e conseguentemente conquistate dal governo sovietico la Bessarabia e la Bucovina, antiche province romene, evento che provoca stragi e massacri imprevisti.

Nonostante il trasferimento a Parigi Ionesco continua a portare avanti la sua aspra critica contro la ʽrinocerontiteʼ della giovane generazione romena e spedisce sette articoli, datati dal 1938 al 1940, chiamati le Lettere di Parigi, che racchiudono un inno alla libertà, all'eguaglianza e alla democrazia ormai minacciate seriamente dalla svolta dittatoriale impressa in Romania da Carol II.

La Francia appare come una terra di pace non ancora colonizzata da alcuna ideologia e proprio dalla capitale Ionesco si fa portavoce dei valori di verità e democrazia contro i due profili negativi della civiltà, «l'uomo borghese e individualista» e «l'uomo nuovo fascista e marxista»24, opponendo all'idea della comunità di sangue e di suolo,

l'ideale di libertà e della pietà universale:

Si direbbe che esistano due razze umane: l'uomo e l'uomo nuovo.

L'uomo nuovo mi sembra anche fisicamente diverso dall'uomo. Io non sono un uomo nuovo. Sono un uomo. Immaginatevi un bel mattino di scoprire che i rinoceronti hanno preso il potere. Hanno una moralità da rinoceronti, una filosofia da rinoceronti, un universo rinocerontesco. Il nuovo capo della città è un rinoceronte che adopera le vostre stesse parole, eppure, nonostante ciò, la lingua non è la stessa. Le parole, per lui, hanno un altro senso. 23 Cfr. Davide Astori, Ionescu prima di Ionesco, in Eugène Ionesco, La Cantatrice Calva. Le poesie giovanili, Monte Università Parma Editore, Parma, 2006, p. VI.

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Come riuscire a capirci25?

Nonostante la Francia in un primo momento appaia come la ʽterra della salvezzaʼ, l'autore sarà costretto ad abbandonarla dopo l'occupazione nazista per far ritorno in Romania. Intanto nel paese natio la situazione è cambiata, il re ha abdicato in favore del figlio Michele, avendo perso consensi a causa della sua arrendevolezza e sale al potere, in veste di dittatore, il generale Antonescu, filofrancese, sostenuto dall'esercito e non inviso ai partiti democratici. Il paese si sta preparando a partecipare alla seconda Guerra Mondiale. L'autore rischia anche di partire per la Crociata antibolscevica indetta dal regime di Antonescu e dai Legionari. È un periodo ricco di tensioni e di paure, come scrive nei suoi diari:

Mi chiedo come potremo fuggire. Nel nostro cielo la minaccia. Il pericolo si avvicina, ci accerchia, stringe sempre di più. Saremo schiacciati, come resistere e durare? Voglio dire: come resistere e durare moralmente, come mantere la fiducia, come non cedere, come credere nella giustizia26?

Ionesco è testimone della scalata al potere del Movimento Legionario e della Guardia di ferro, anche chiamata la “Legione dell'arcangelo Michele”, gruppo politico armato cristiano che si costituisce intorno alla figura di Corneliu Zelea Condreanu, nel quale si incrociano fascismo, antisemitismo e xenofobia. I Legionari vengono sostenuti da Antonescu con la promessa di posti al governo, dopo l'alleanza con il potere tedesco finalizzata a recuperare la Bessarabia e la Bucovina. Il generale vuole portare sotto il proprio controllo le forze imprevedibili e violente dei Legionari, che però il 14 gennaio del 1941 si ribellano dopo aver ripetutamente chiesto al Conductător poteri estesi. Antonescu riesce a schiacciare rapidamente la rivolta, mette fuori legge la Guardia di Ferro, ne imprigiona e ne espelle i capi.

In questo clima di tensione, Ionesco non vuole fare la guerra né per i nazisti né per i comunisti e sa bene di essere rimasto ormai uno dei pochi a non essersi fatto catturare dalla politica delle ideologie. Decide quindi di tornare nuovamente a Parigi, ma la partenza si rivela un'impresa assai ardua da compiere:

Che stupida idea è stata quella di lasciare la Francia. Saremmo dovuti rimanere, anche se c'era 25 Eugène Ionesco, Passato presente presente passato, cit., p. 233.

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l'occupazione. Mi mordo le dita. Forse che qui non siamo occupati? Anzi doppiamente, anzi cento volte di più. Compio sforzi sovrumani per tornare laggiù, o quanto meno per andarmene da qui. Tre settimane fa avevamo passaporti e visti. Abbiamo aspettato due giorni di troppo per avere in regola il congedo accordatomi dal ministero. I due giorni sono stati fatali: La Jugoslavia è stata invasa e naturalmente il transito attraverso il paese è diventato impossibile. Allora siamo andati a chiedere un visto al consolato tedesco […], per andare dalla Germania alla Svizzera, e di là nella Francia non occupata. Qualche giorno fa sono dunque andato al consolato tedesco e ho saputo che il visto mi era stato accordato […]. Nonostante ciò non mi fidavo del visto tedesco: la salvezza era a cinquecento metri da noi, nelle mani della segretaria d'ambasciata.

Adesso, il visto tedesco è scaduto, insieme con il passaporto. Decido di ricominciare tutto daccapo e di cercare di ottenere l'apertura della porta della prigione. Ma non posso fare una richiesta di visto senza un nuovo passaporto. Mi informo: vengo a sapere che da ieri il consiglio dei ministri ha deciso che nessuno può più attraversare le frontiere, salvo che in missione ufficiale27.

E ancora: “Disperazione, rabbia, stasi, apatia. Come ho potuto essere così stupido, bisogna ricominciare tutto” 28.

Dopo vari tentativi per ottenere un visto per la Francia, nel 1942 Ionesco finalmente parte insieme alla moglie per una missione ufficiale che ha come destinazione Vichy, capitale della Francia collaborazionista, dove svolgerà l'attività di adetto-stampa per la legazione romena.

Nonostante la durezza dei primi anni, l'arrivo in Francia sarà come una seconda rinascita. Inizialmente per riuscire a mantenere se stesso e la moglie, aldilà dell'incarico presso Vichy, lavora come correttore di testi giuridici per l'Edizioni Durieu. Questo periodo di transizione, in cui Ionesco non pubblica alcun lavoro rilevante, se non qualche traduzione di testi romeni e qualche presentazione di autori del suo paese d'origine, soprattutto Urmuz e Caragiale dai quali sarà molto influenzato, termina con la riscrittura in francese di un testo redatto precedentemente in lingua romena dal titolo Englezeşte

fără profesor [Inglese senza professore], che prenderà poi il titolo La cantatrice calva.

Ionesco successivamente scrive, nel volume autobiografico Note e contronote, un bellissimo ritratto di Caragiale, drammaturgo romeno nato a Haimanale nel 1852 e morto a Berlino nel 1912, in cui evidenzia tutto ciò che apprezza di tale autore che tanto lo ha influenzato.

Caragiale è un critico dell'uomo e di tutta la società. L'umanità, per come viene da 27 Ivi, p. 291.

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lui presentata, sembra quasi non meritare di esistere29. La sua principale originalità sta nel

dare vita a personaggi imbecilli, senza intelligenza, ma molto scaltri: sono arrivisti, eredi, beneficiari dei rivoluzionari, impazziscono per la politica anche se non la comprendono nel modo corretto e per questa loro incapacità mentale hanno deformato il linguaggio, intriso da una strana eloquenza, fatta di frasi fatte tanto risonanti quanto improprie e insensate30:

Il divario esistente tra un linguaggio tanto oscuro quanto elevato e l'astuzia meschina dei personaggi, la loro correttezza cerimoniosa e la loro disonestà di fondo, e vi si aggiungano ancora gli adulteri che si mescolano a tutto ciò, fanno sì che questo teatro, andando oltre il naturalismo, diventi assurdamente fantastico. Incapaci di un sentimento di colpa, come dell'idea di un sacrificio, come di qualsiasi idea (« poiché abbiamo una testa, a che ci servirebbe l'intelligenza», si domanda ironicamente Caragiale), questi personaggi, dalla coscienza sorprendentemente tranquilla, sono i più meschini della letteratura universale. La critica della società acquista così in Caragiale una ferocia inaudita31.

Caragiale, spirito naturalista, sceglie i suoi personaggi nel mondo quotidiano, li rivela nella loro profonda essenza e ne crea dei modelli in cui il pubblico può riconoscere facilmente i ministri del paese o i politici che occupano la scena in quel momento storico. Per questa profondità che contraddistingue le sue opere, Caragiale è lontano dai suoi colleghi illustri come Feydeau (Parigi, 1862 – Rueil-Malmaison, 1921), uno dei più grandi autori della commedia francese32, di cui condivide il genio della costruzione, o da

Labiche (Parigi, 1815 – Parigi, 1888), altro grande drammaturgo parigino33, con il quale

ha alcune affinità tecniche.

Caragiale non combatte i principi della nuove istituzioni, ma la mala fede dei loro rappresentanti, l'ipocrisia e la stoltezza borghese. Non pensa che la società precedente fosse migliore, qualsiasi società in qualsiasi periodo storico presenta queste caratteristiche e così i politici e gli uomini di potere che spiccano sugli altri34.

Tornando a Ionesco, grazie alla Cantatrice calva si affaccia per la prima volta sulla scena teatrale francese. La pièce viene rappresentata l'11 maggio 1950 nel piccolo Teatro

29 Eugène Ionesco, Note e contronote. Scritti sul teatro, trad. di Gian Renzo Morteo e Giovanni Moretti, Einaudi, Torino, 1965 [Ed. orig. Eugène Ionesco, Notes et contre-notes, Éditions Gallimard, 1962], p. 132. 30 Cfr. ivi, p. 133.

31 Ivi, p. 134.

32 Giovanni Bellini (a cura di), Dizionario enciclopedico moderno, compilato da L. Bertana, D. Ercoli, A. Molinari, A. Tacchinardi, settima edizione, Edizioni Labor, Milano, 1956., II voll, p. 641.

33 Ivi, III voll, p. 206.

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dei Nottambuli con la regia di Nicolas Battaille e la direzione di Pierre Leuvis. In questa data nessuno conosce ʽl'uomo dei balcaniʼ, che vive ai margini della società francese grazie alla traduzione di testi romeni. Per la prima volta il pubblico di Parigi, sebbene assai esiguo, viene a contatto con il surrealismo e l'antiteatro che renderranno grande questo autore.

La carriera teatrale prosegue con altre opere importanti, come La Lezione del 1951,

Le Sedie del 1952 , Vittime del dovere del 1953. Nel 1958 viene pubblicato Il Rinoceronte,

rappresentato poi l'anno seguente, che porterà Ionesco all'apice del successo: conferenze, viaggi e colloqui diventano la sua quotidianità, ma a tutto ciò si accompagna anche un'aspra critica nei suoi confronti, che lo accusa di essere troppo distaccato dalla società, dalla storia e dalla filosofia nelle proprie opere. In realtà ciò che Ionesco preciserà, grazie anche alla pubblicazione del volume Note e contronote, è che la condizione tragica dell'uomo che lui vuole rappresentare non può essere ancorata alla storia, ad un'ideologia o ad un avvenimento particolare, ma è una condizione assoluta che attraversa tutta l'esistenza umana, senza limiti di tempo o di luogo. Le sue opere non sono quindi legate alla contingenza della storia, ma guardano all'assoluto avendo sempre al centro l'uomo e la sua esistenza.

Progressivamente il suo teatro si evolve, andando ad analizzare e rappresentare il momento della morte e il sentimento dell'assurdo, come in Assassinio senza movente del 1958, nel Re Muore del 1962 e nel Pedone nell'aria del 1963. Ionesco cerca così di affrontare quel sentimento di angoscia che non lo aveva più lasciato dall'età di quattro anni, quando venne per la prima volta a contatto con l'idea della morte:

Sono sempre stato ossessionato dall'idea della morte. Dall'età di quattro anni, quando ho saputo che si deve morire, l'angoscia non mi ha più lasciato. È come se avessi capito improvvisamente che non c'era più nulla da fare per sfuggirla e che non c'era nulla da fare nella vita35.

La consacrazione artistica avviene nel 1966 quando viene rappresentata La sete e la

fame presso la Comédie-Francaise, il più importante teatro parigino. Nel 1970 l'autore

viene eletto all'Accademia di Francia.

Nel corso della propria vita Ionesco oltre a pubblicare opere di critica letteraria, di traduzione e di teatro, non cessa mai di scrivere molte pagine di diario e di scritti

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autobiografici che raccolgono la sua visione del mondo e i propri sentimenti. Questi volumi, la cui scrittura lo accompagnerà costantemente e che saranno per lui una vera e propria valvola di sfogo, saranno poi pubblicati con i titoli di Briciole di diario, Passato

presente Presente passato, La ricerca intermittente.

Gli anni dal 1970 al 1980 rappresentano un periodo di pausa nella carriera teatrale dell'autore, che a causa di un'acuta depressione non riesce a trovare l'equilibrio necessario per la creazione delle proprie opere. Si dedica principalmente alla scrittura autobiografica, che confluirà nel volume La ricerca intermittente e rilascia numerose interviste.

Soprattutto in questo ultimo volume Ionesco si concentra sulla figura di sua moglie Rodica. Sempre presente in tutti gli scritti autobiografici, è ritratta qui con amore e con grande ammirazione, essendo stata per l'autore una vera e propria ancora di salvezza, impedendogli di essere consumato dal profondo sentimento di angoscia e di incertezza che lo ha accompagnato per l'intero percorso della sua vita, specialmente negli ultimi anni.

Eugène Ionesco, Portrait de Rodica, 1980.

Speranza e disperazione... Disperazione che vorrebbe ingoiare la speranza, ma no, no, la speranza non si lascia sopraffare.

Non è vero, piccola, mia piccola Rodica, non è vero, mio tesoro, non è vero, o tu, mia salvaguardia, mia difesa, mio scudo, isola di realtà circondata dal caos del nulla? Ma tu, tu così fragile, così indifesa, unico scudo, alzi muraglie, per noi assediati dagli assalti del nulla... Il ritorno dell'angoscia come ritorno a casa...

….L'angoscia familiare... La nostra casa, i nostri muri...angoscia del di dentro contro l'angoscia del di fuori...36.

36 Eugène Ionesco, La ricerca intermittente, trad. di Gian Renzo Morteo, Ugo Guanda Editore in Parma, Parma, 1989,[Ed. orig. Eugène Ionesco, La quête intermittente, Éditions Gallimard, Parigi, 1988] pp. 30-31.

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Negli ultimi anni oltre a portare avanti una profonda analisi quotidiana di se stesso, per cercare di dar ragione al profondo sentimento di angoscia e disperazione che sente dilagare dentro di sé, si dedica anche alla pittura, da lui usata come una vera e propria medicina per l'anima.

Eugène Ionesco, SOS, 1986.

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CAPITOLO 2

La crisi del linguaggio e della società nel contesto del Teatro dell'Assurdo

e dei suoi precedenti culturali

2.1 Ionesco e la tradizione dell'Assurdo

Questo capitolo tratta del contesto culturale in cui Ionesco ha sviluppato la propria drammaturgia, dei rapporti con le correnti artistiche che lo hanno preceduto e delle influenze che ha subìto.

L'autore commenta nei suoi scritti autobiografici molti autori di spicco della cultura a lui precedente, come Molière, Hugo, Marivaux e temporalmente più vicina, come Brecht, prendendone le distanze. Parole di stima sono invece rivolte a letterati come Caragiale, Kafka, Artaud, Cocteau e Beckett, che sente artisticamente più affini, come verrà approfondito successivamente.

Il drammaturgo si distanzia da due correnti principali del teatro che si sono svviluppate dopo la rivoluzione romantica: il teatro psicologico e di indagine interiore è troppo limitato alla dimensione soggettiva dell'uomo e la semplifica in modo estremo, mentre il teatro popolare è troppo concentrato sulla dimensione sociale. Entrambi gli stili drammatici affrontano la condizione umana in modo parziale, senza comprenderla nella sua interezza. Ionesco inoltre critica negativamente il movimento del teatro boulevardier, sviluppatosi in Francia dopo la seconda metà dell'800, che ha come fine pricipale il puro intrattenimento di un pubblico borghese con drammi leggeri e commedie comiche. Il successo economico degli spettacoli di tale genere è fondamentale, per questo vengono utilizzati attori di successo, scenografie lussuose e trame che non urtano la sensibilità del pubblico, ma che si limitano a esprimere le emozioni superficialmente e a sostenere le convinzioni politiche e filosofiche del momento37.

Le certezze e i valori antichi dell'uomo e la speranza di poter spiegare il mondo in cui vive, sono stati spazzati via dalle due guerre mondiali. È impossibile quindi per Ionesco poter accettare ancora forme d'arte che si basano su criteri e concetti che ormai hanno perso la loro validità. Gli autori dell'Assurdo compiono uno sforzo costante per 37 Cfr. Giovanni Bellini (a cura di), Dizionario enciclopedico moderno, cit., I voll, p. 591.

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cercare di andare oltre al falso ottimismo e all'automatismo della cultura, per arrivare ad una più vera consapevolezza della condizione umana dopo le due terribili guerre che hanno sconvolto il mondo intero38.

Martin Esslin definisce tale tendenza artistica, in cui inserisce anche Ionesco, Teatro

dell'Assurdo. È fondamentale specificare che questa denominazione non indica una scuola

ben definita o un movimento consapevole che racchiude un determinato numero di autori, tra i quali Beckett, Adamov, Genêt. I drammaturghi la cui opera può essere così definita hanno molti punti in comune, ma ciascuno rimane un'individualità artistica che ha un personale approccio nei confronti del mondo e dell'epoca in cui vive e anche nei confronti del soggetto e della forma teatrale. Il Teatro dell'Assurdo, in ogni caso, è un riflesso dell'atteggiamento più rappresentativo della loro epoca: la sfiducia nella fede religiosa, nel mito del progresso, nel nazionalismo e nei regimi totalitari derivata dallo scoppio della seconda guerra mondiale.

Il termine ʽassurdoʼ, seguendo la definizione del dizionario, significa contrario alla ragione, incongruente, paradossale, illogico. A questo significato specifico si riferisce Camus, spiegando sotto questa luce il rapporto che intercorre tra l'uomo e il sentimento dell'assurdo39:

Un mondo che possa essere spiegato sia pure con cattive ragioni, è un mondo familiare; ma viceversa, in un universo subitamente spogliato di illusioni e di luci, l'uomo si sente un estraneo, e tale esilio è senza rimedio, perché privato dei ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa. Questo divorzio tra l'uomo e la sua vita, fra l'autore e la scena, è propriamente il senso dell'assurdo40.

Una delle caratteristiche principali che accomuna gli autori citati precendentemente, e anche altri, è la volontà di esprimere l'insensatezza della condizione umana e l'inadeguatezza della ragione attraverso l'abbandono del pensiero razionale e del ragionamento costruito secondo logica. Non si limitano a discutere sull'assurdità della condizione umana, ma la rappresentano sulla scena, nella sua essenza.

Il Teatro dell'Assurdo ha avuto il suo centro a Parigi, anche se non è esclusivamente francese, ma ha esponenti in Gran Bretagna, in Italia, Germania, Svizzera,... Parigi tuttavia agisce come una calamita per gli artisti di tutte le nazionalità che sono alla ricerca

38 Cfr. Martin Esslin, Il Teatro dell'assurdo, traduzione di Romeo de Baggis e Magda Trasatti, Edizioni Abete, Roma, p. 392.

39 Cfr. ivi, pp. 18-19.

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di libertà creativa. Nella capitale francese era possibile portare avanti questa ricerca indisturbati, senza scandalizzare nessuno e in modo decoroso, senza bisogno di grandi guadagni. Ciò non significa comunque che il pubblico parigino non si sia dimostrato ostile alle prime rappresentazioni di questa tipologia teatrale, ma essendo comunque vivo sensibile e attento, dopo un primo momento di rifiuto, sviluppa la curiosità verso questi scandali e i più appassionati non hanno mai rifiutato di andare a teatro e confrontarsi anche con nuove realtà.

Malgrado queste circostanze favorevoli relative alla città e alla cultura di Parigi, il successo così grande di tale tipologia teatrale rimane un aspetto singolare e stupefacente. Il pubblico, per quanto sia curioso e recettivo, abitutato al teatro tradizionale tende ad accogliere le novità riportandole ai cardini della tradizione41. Questo sistema di valori

porta a reazioni inaspettate nei confronti dell'anticonvenzionale e del rivoluzionario: si apre un conflitto tra le sensazioni percepite dal pubblico e i preconcetti critici che escludono la possibilità di tali percezioni.

Nonostante questo aspetto fondamentale il Teatro dell'Assurdo ha avuto un successo estremamente veloce in quanto queste opere così singolari e lontane dalle convenzioni teatrali sono state rappresentate in meno di un decennio dalla Finlandia al Giappone, dalla Norvegia all'Argentina42.

Ionesco è stato definito spesso anche autore di teatro d'avanguardia, contro la sua volontà. È difficile da tracciare una linea di demarcazione tra ciò che è avanguardia e ciò che invece fa parte del Teatro dell'Assurdo, dal momento che entrambi si affidano alla fantasia, al sogno della realtà e non tengono conto della coerenza dei personaggi e della necessità di una trama ben impostata. La differenza fondamentale è nel diverso stato d'animo che spinge gli autori d'avanguardia: più lirico, meno violento e grottesco.

Diverso è anche l'atteggiamento nei confronti del linguaggio: il teatro d'avanguardia si basa su un discorso poetico cosciente, le commedie sono assimilabili a poemi. Il Teatro

dell'Assurdo tende invece ad un deprezzamento del linguaggio, che viene superato per

importanza dalle immagini sceniche che spesso sono in contraddizione con le parole dei personaggi. Un esempio efficace è la pièce Le sedie, che sarà qui affrontata successivamente, la cui qualità poetica non nasce dalla banalità delle battute pronunciate dai due anziani protagonisti, ma dal fatto che queste frasi sono rivolte ad un grande numero di sedie vuote43.

41 Cfr. Martin Esslin, Il Teatro dell'Assurdo, cit, p. 22. 42 Cfr. ivi, pp. 23-24.

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Ionesco rifiuta la definizione di avanguardista sia per le differenze precedentemente citate tra avanguardia e Teatro dell'Assurdo, sia perché dichiara di essersi attenuto fedelmente alle leggi del teatro tradizionale con la proposta di un'idea, uno svolgimento e una conclusione. Anche nelle strutture interne della rappresentazione sono rispettate alcune regole: come nel teatro di tradizione, anche nella Cantatrice la seconda scena è solo di passaggio, con l'ingresso del servo, che nella scena successiva porta avanti il compito di annunciare i personaggi che dovranno entrare sul palcoscenico, i quali non possono fare il loro ingresso se non dopo essere stati chiamati.

Oltre a ciò sono rispettate anche le unità aristoteliche di luogo, tempo e azione: la vicenda deve svolgersi in un unico luogo in cui i personaggi agiscono e raccontano (la casa dei coniugi Smith), l'azione deve iniziare e terminare in un'unica giornata (il tempo, nonostante il suo disgregarsi testimoniato dal malfunzionamento della pendola, è quello relativo alla sera e al momento della cena), il dramma deve comprendere un'unica azione senza trame secondarie o successivi sviluppi della stessa vicenda (non sono presenti trame secondarie che si intrecciano alla principale, né sviluppi successivi tantoché l'opera finisce nello stesso modo in cui è iniziata, seguendo un movimento circolare di ripetizione)44.

Nonostante questi rimandi alla tradizione, ci sono anche dei veri e propri contrasti con questa: Mary, nella Cantatrice calva, annuncia i Martin in modo classico, ma fa attendere a lungo la coppia di coniugi, che non può entrare in scena proprio perché non viene annunciata. Oltre a ciò la cameriera rimprovera gli ospiti e cerca in più occasioni di uscire dal ruolo marginale che il teatro tradizionale le ha assegnato. Ionesco instaura quindi un vero e proprio gioco, a volte polemico, con il teatro del passato.

Sia Ionesco che gli altri autori del Teatro dell'Assurdo si rifanno ad un'ampia tradizione teatrale che arriva addirittura a inglobare il mimo dell'antichità e la pantomima, spettacoli che si basano su una vasta rappresentazione di tipi di personaggi che compiono azioni improvvisate, spontanee e comiche, dei clowns che hanno comportamenti assurdi nati dall'incapacità di capire le relazioni logiche più semplici. Le rappresentazioni sono realistiche anche se contengono una parte di sogni e allucinazioni, come nelle opere di Aristofane45.

Poco si è conservato del mimo, essendo improvvisato, ma la sua tradizione si mantiene per tutto il Medio Evo. Un diretto discendente di questo è il buffone di corte ed

44 Cfr. Giovanni Bellini (a cura di), Dizionario enciclopedico moderno, cit., I voll., p. 311. 45 Cfr. Martin Esslin, Il Teatro dell'Assurdo, cit., pp. 320-322.

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entrambi sono adottati da Shakespeare, come personaggi comici del proprio teatro, ricco di falsi sillogismi e libere associazioni46.

L'autore inglese è stato oggetto di riflessione da parte di Ionesco, che lo apprezza per molti aspetti delle sue creazioni, che sono da lui definite così grandiose, da essere addirittura sminuite una volta messe in scena. Inoltre i drammi di Shakespeare hanno la facoltà di non ridursi soltanto alla dimensione sociale e storica dell'uomo e, parlando della trama di Riccardo II, Ionesco afferma: “Così a ben guardare, Shakespeare non fa della storia, per quanto si serva della storia; non è storia, ma mi presenta la mia storia, la nostra storia, la mia verità oltre il tempo, attraverso un tempo che va di là dal tempo, per raggiungere una verità universale, inesorabile”47. Egli mette in discussione la totalità della

condizione e della vità dell'uomo, non si sofferma ad analizzarne soltanto un aspetto parziale, questa è la grande forza delle sue opere.

La tradizione del dramma spontaneo continua in Italia con la Commedia dell'Arte che in Francia viene assorbita nella drammaturgia tradizionale con le opere di autori come Marivaux e Molière, sul cui teatro Ionesco esprime un giudizio abbastanza duro: “I problemi di Molière mi sembravano, insomma, relativamente secondari, alle volte dolorosi […], ma in nessun caso tragici; perché potevano essere risolti. Non si può trovare soluzione all'insostenibile e solo ciò che è insostenibile è profondamente tragico, profondamente comico, essenzialmente teatro”48.

Dai mimi antichi, dai clowns ed i buffoni prende vita nel Novecento il film muto, di autori come Cops, Chaplin e Keaton, che ha avuto un'importante influenza sul Teatro

dell'Assurdo per il sentimento di separazione dal mondo, visto da un personaggio che è

tagliato fuori dalla realtà. Tale mondo è in un costante ed inutile movimento e l'azione dell'uomo è muta e senza significato.

Anche autori come Raimund e Nestroy hanno influenzato Ionesco e gli altri. Essi rappresentano la condizione umana come un'immagine poetica che prende vita sul palcoscenico e che a volte è comica, mentre altre è profondamente tragica, precedendo così il contatto tra tragico e comico che sarà tipico degli autori dell'Assurdo49.

Altro filone letterario che ha avuto una forte influenza su Ionesco e i suoi ʽcolleghiʼ è quello del nonsense verbale, che esprime l'esigenza di libertà e spazio di cui l'uomo ha sempre avuto bisogno, ma che non era ammesso dalla rigida borghesia nel periodo della

46 Cfr. ivi, p. 323.

47 Eugène Ionesco, Note e contronote, cit., p. 34. 48 Ivi, p. 23.

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Prima Guerra Mondiale. Questo genere di letteratura non è soltanto volto al puro divertimento, ma tenta di scavare nella condizione umana attraverso l'abbattimento dei legami della logica e del linguaggio50. Una volontà che si ritrova nelle opere di Rabelais,

il quale attraverso il nonsense cerca di allargare e trascendere i limiti imposti dalla logica nella conoscenza del mondo.

Caratteristiche simili posso essere riscontrare anche nell'opera di Carrol, in cui esistono creature che cercano di rompere il significato delle parole e della lingua. L'identità individuale, definita dal linguaggio e da nomi determinati, è la causa dell'isolamento degli uomini. Soltanto attraverso la distruzione della logica e del discorso ragionato l'uomo può riuscire a integrarsi con l'universo. Anche molti poeti importanti appartententi a questo genere di letterature hanno influenzato Ionesco: Johnson, Keats, Hugo; come anche molti prosatori: Sterne, Nodier, Twain, Bierce51. Teatralmente

parlando, esponente di spicco di tale tendenza è l'italiano Ettore Petrolini.

Esiste un altro filone di tale genere che si basa sulla contrazione del linguaggio piuttosto che sulla sua incondizionata espansione. Tale procedimento, molto utilizzato anche da Ionesco, si serve di motti e clichés. Il più importante artefice di questo tipo di

nonsense è Flaubert che, concentrandosi molto sulla stupidità umana, arriva addirittura a

comporre un dizionario di modi di dire e risposte convenzionali. Un lavoro simile viene compiuto anche da Joyce nell'Ulisse, il quale compone un'enciclopedia di clichés della lingua inglese nell'episodio di Gertie McDowell-Nausikaa52. Di tali motti è ricca tutta la

drammaturgia ioneschiana.

Nonostante tali influenze siano innegabili negli autori dell'Assurdo, Ionesco nuovamente non risparmia le opinioni negative sulla tradizione teatrale a lui precedente:

Schiller mi è insopportabile. Il teatro di Marivaux mi è sembrato per molto tempo un gioco futile. Le commedie di Musset sono troppo deboli, quelle di de Vigny irrecitabili. I drammi sanguinosi di Victor Hugo ci fanno ridere di cuore; […]. Dumas figlio, nella sua Signora delle camelie, sfoggia un sentimentalismo ridicolo. E gli altri? Oscar Wilde? Facile; Ibsen? Goffo; Strindberg? Maldestro53.

Questo giudizio, che può sembrare impietoso ed esagerato nei confronti di autori così importanti che lo hanno comunque influenzato, si inserisce in una riflessione più

50 Cfr. ivi, p. 332. 51 Ibidem, p. 334. 52 Cfr. ivi, p. 338-339.

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ampia relativa al teatro, al quale manca la capacità di durare nel tempo.

Un quadro o un'opera letteraria sopravvivono per secoli e in questo lungo lasso di tempo riescono a toccare ancora gli animi degli interessati che le osservano. Il teatro non ha la durevolezza tipica delle altre arti e ciò è da imputare agli autori drammatici (quelli elencati nella precedente citazione ed altri) che si sono affidati soltanto a “mezzucci”54.

Hanno confermato la convinzione univeralmente condivisa che il teatro sia un'arte letteraria minore e proprio per questo una drammaturgia piena di sottigliezze letterarie si esaurisce, perché non rispiecchia la sua verà identità.

Il teatro semplifica: se vuole essere strumento per la diffusione di ideologie le sminuisce, se vuole indagare la psicolgia umana non ha gli strumenti per farlo abbastanza in profondità, ecc... Spesso la costruzione drammatica è eccellente, ma le opere non riescono a raggiungere un grado di profondità tale da smuovere il pensiero umano. Ciò di cui Ionesco è profondamente convinto è che la sola chiave giusta per sfruttare realmente il potenziale dell'arte drammatica, sia forzare gli effetti, sottolinearli, accentuarli, per spingerla al di là di quella zona intermedia che non è né teatro né letteratura e restituirlo così al suo ambiente naturale55.

Nonostante le opinioni di Ionesco, ugualmente importante per lo sviluppo del

Teatro dell'Assurdo è il mondo del sogno, anche se, teatralmente parlando, non è sempre

facile tracciare la linea di divisione tra la rappresentazione poetiche della realtà e l'apertura verso il mondo onirico. Tale dimensione è collegata al mondo soggettivo e psicologico ed è significativo che da opere espressioniste come quelle di Strindberg si sviluppi il movimento che ha portato al naturalismo. Esso nasce dal desiderio di rappresentare tutta la realtà, che porta inizialmente alla descrizione vera e dettagliata delle apparenze e in seguito alla conclusione che la realtà oggettiva è solo una parte del mondo reale. Da qui parte Zola con i suoi romanzi descrittivi, che porterà in Proust ad una ancor più meticolosa descrizione del mondo, così come si riflette nella mente del personaggio56.

Egli viene considerato da Ionesco come un autore d'avanguardia, intendendo con questo termine un fenomeno artistico e culturale precursore che racchiude un cambiamento e che per questo viene generalmente riconosciuto soltanto a posteriori, quando ha sfondato. Solitamente l'avanguardia si contraddistingue per l'opposizione e la rottura rispetto alla situazione precedente. Mentre la maggior parte degli uomini di cultura e degli artisti è convinta di appartenere al proprio tempo, l'autore che si ribella è cosciente 54 Ivi, p. 27.

55 Cfr. ivi, pp. 28-29.

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di essere contro il suo tempo57. In questo si contraddistingue Proust:

Le canzoni popolari di Béranger erano ben più popolari che le poesie di Rimbaud che erano del tutto incomprensibili al loro tempo. Bisogna, perciò bandire la poesia di Rimbaud? Eugène Sue era popolare, per eccellenza. Proust non lo era. Non era capito. Non parlava a tutti indistintamente. Egli si limitava ad offrire il contributo della sua verità, utile all'evoluzione della letteratura e dello spirito. Bisognava interdire Proust e raccomandare Eugène Sue? Oggi è Proust ad apparire ricco di verità; Eugène Sue è vuoto. Fortunatamente le autorità non hanno proibito a Proust di scrivere linguaggio proustiano58.

Altra grande influenza è stato Kafka, con i suoi brevi racconti e romanzi incompiuti che sono, per la maggior parte, descrizioni di incubi e ossessioni derivanti dal senso di colpa e dall'angoscia provati dall'essere umano per la perdita di se stesso in un mondo di convenzioni e di abitudini. Queste le riflessioni di Ionesco in merito all'opera kafkiana:

Questo tema dell'uomo perduto nel labirinto, senza filo conduttore, è all'origine, come si sa, dell'opera di Kafka: l'uomo non ha filo conduttore perché lui stesso non ha più voluto averne. Di qui il suo sentimento di colpa, la sua angoscia, l'assurdità della storia. È assurdo ciò che non ha un fine: e questo fine non può trovarsi che di là dalla storia, e deve guidare la storia dell'uomo, cioè darle il suo significato. […].

Ma perché l'uomo di Kafka soffre? Perché, in fondo, egli vive per un fine che non è la comodità materiale, che non è l'effimero; la reale vocazione, da cui si è allontanato, non può che essere la ricerca dell'incorruttibile. Kafka denuncia un mondo che ha perduto il senso del sacro, è questo, veramente, il mondo senza uno scopo; nel labirinto tenebroso del mondo, l'uomo non cerca più che inconsciamente e a tentoni una dimensione perduta, che non può nemmeno intravedere59.

Del teatro di Kafka non è rimasto molto, ma un adattamento della sua opera Il

processo da parte di Andrè Gide e Jean-Louis Barrault, rappresentato per la prima volta il

10 ottobre del 1947 al Théâtre de Marigny, scuote profondamente il pubblico e dà la piena immagine contemporanea del Teatro dell'Assurdo60. Nonostante preceda le opere di

Ionesco, Beckett e Adamov, Jean-Louis Barrault unisce la tradizione dei clowns, al

nonsense e alla letteratura onirica. Egli fonde l'opera di Kafka con uno stile a cui era stato

educato e che fa capo ad Apollinaire, ai Dadaisti, agli Espressionisti tedeschi, ai

57 Cfr. Eugène Ionesco, Note e contronote, cit., p. 42. 58 Ivi, p. 45.

59 Ivi, p. 269.

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Surrealisti e agli anticipatori del teatro della crudeltà come Artaud, tutti collegati a filo diretto anche con gli autori dell'Assurdo61.

Contemporaneo degli Espressionisti tedeschi, Brecht, riuscì ad avvicinarsi alla realizzazione di un teatro grottesco e crudele. Tuttavia, questo autore, fa comprendere come la drammaturgia dell'irrazionale, propria delle opere di Ionesco, non possa conciliarsi con un teatro socialmente impegnato e apparentemente razionale. Anche se la nevrosi e la disperazione, caratteristiche del periodo anarchico e grottesco dell'autore tedesco, continuano ad essere presenti nelle opere relative al teatro politico, Ionesco non lo apprezzerà mai totalmente, tantoché Brecht e i brechtiani vengono da lui definiti “terroristi”62.

Secondo l'opinione del drammaturgo romeno, per l'autore tedesco l'arte deve essere intesa come uno strumento di azione e insegnamento. La lingua è asservita ad un fine pratico di persuasione e mai vista come oggetto d'interesse in se stessa. Il fine ultimo del teatro brechtiano si concretizza nella scrittura dei cosiddetti “drammi didattici” e nella formulazione della definizione di “teatro dialettico” che deve stimolare il pubblico all'azione63. L'avere una finalità ben precisa e calcolata è ciò che Ionesco critica

maggiormente:

Io non difendo nulla, né accuso; credo soltanto che il teatro, indirizzato verso un fine esterno a se stesso, non tocchi che la parte più superficiale dell'essere umano. Credo che le sovrastrutture sociali e il pensiero discorsivo nascondano l'uomo a se stesso, lo separino dai desideri più repressi, dai bisogni più essenziali, dai miti, dall'angoscia autentica, dalle realtà più segrete, dai suoi sogni. Ogni teatro asservito ad una ideologia perde valore nel momento in cui si palesa l'inutilità dell'ideologia che esso rappresenta64.

La precedente citazione non è l'unica critica che l'autore rivolge al drammaturgo tedesco, ma evidenzia come tratto negativo il fatto che per Brecht l'essere umano sembra essere caratterizzato soltanto dalla dimensione sociale quando, in realtà, esiste tutta una parte extrasociale che viene da lui totalmente tralasciata. I personaggi brechtiani sono deboli perché viene loro negata la realtà interiore e sono falsi perché sono divisi dalla dimensione che più dovrebbe definirli65:

61 Ibidem. 62 Ivi, p. 210.

63 Cfr. Ilaria Formisano, Bertold Brecht. Il drammaturgo socialista, in Scrittori del '900, 2 Agosto 2014, disponibile sul sito https://www.900letterario.it/scrittori-del-900/bertold-brecht-drammaturgo-socialista/ consultato il 24/10/2019.

64 Ivi, p. 212.

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Non amo Brecht proprio perché è didattico, ideologico. Non è primitivo, è elementare. Non è semplice, è semplicistico. Non fa pensare, […] è egli stesso il riflesso, l'illustrazione di una ideologia; non m'insegna nulla, è ripetizione. Inoltre l'uomo brechtiano è piatto, ha due sole dimensioni, quelle di superficie; è soltanto sociale, gli manca la dimensione del profondo, la dimensione metafisica. […].

Non v'è teatro senza un segreto che si riveli; non c'è arte senza metafisica, non c'è neppure il sociale senza uno sfondo extrasociale66.

Brecht inoltre non analizza tutto l'universo sociale dell'uomo, ma soltanto il conflitto di classe. Anche il teatro politico è troppo sociale e rappresenta solo una realtà umana ridotta, quella di un partito preso. Ciò che interessa a Ionesco è il complesso della dimensione umana, che comprende anche e soprattutto la dimensione extrasociale, quando l'uomo è “profondamente solo”67, come nel momento della morte nel quale non

c'è niente di sociale68.

In realtà la personalità dell'autore tedesco contiene una forte componente anarchica e di disperazione, che anche nel periodo dell'impegno politico, fornisce un'immagine del mondo capitalista per lo più assurda e negativa69.

Mentre in Germania il movimento moderno si arena a causa del periodo nazista, la linea di sviluppo continua in Francia dove il Surrealismo, nato anche dal movimento dadaista, si concentra sull'importanza e la forza del subconscio. In ambito teatrale i risultati di tale movimento sono scarsi, per l'impossibilità di usare un completo automatismo nella composizione delle opere. Importanti risultati, tuttavia, vengono raggiunti da alcuni surrealisti dopo aver lasciato o essere stati allontanati dal movimento stesso. È il caso di Artaud e Vitrac, banditi da Breton alla fine del 192670.

Per quanto riguarda Vitrac, per alcuni aspetti la sua drammaturgia si avvicina a Ionesco, soprattutto per la banalità di un linguaggio carico di clichés e per la commistione di elementi appartenenti al teatro tradizionale con altri puramente assurdi. Tuttavia Vitrac non riesce a raggiungere la poeticità e la compostezza formale ioneschiane, che esaltano e completano la follia delle sue pièce. In lui, secondo Esslin, la fusione degli elementi è incompleta e l'incubo, il tragico, si alternano allo spirito goliardico, senza unirsi71.

66 Ibidem. 67 Ivi, p. 129. 68 Cfr. ibidem.

69 Cfr. Martin Esslin, Il Teatro dell'Assurdo, cit., p. 369. 70 Cfr. ivi, p. 372.

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