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Ideazione, progettazione, costruzione, gestione: l’architettura del progetto. Sette note costruite

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Academic year: 2021

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Tecnologia e progetto

per la ricerca in Architettura

a cura di

Alessandro Claudi de Saint Mihiel

Gli aspetti caratterizzanti la cultura contemporanea, individuabili

nella crescente complessità e interdipendenza dei fenomeni, nella frammentazione delle conoscenze, nella pluralità dei soggetti coinvolti, nella rapidità delle trasformazioni e della loro diffusione, richiedono una riflessione sull’attuale contributo della ricerca tecnologica in architettura. Tale apporto deve essere valutato nei termini di riconnessione dei legami teorici, metodologici e progettuali inerenti i processi di modificazione dell’habitat nell’ottica di individuare gli indirizzi strategici della ricerca identificando nuovi paradigmi in grado di produrre avanzamento scientifico e innovazione.

Si può riscontrare come i recenti drivers della ricerca tecnologica in architettura, nati dalla crisi energetica, dalla rivoluzione digitale, dalla non emendabilità della questione ambientale, dallo sviluppo e dall’implementazione di nuove tecnologie, da nuove prassi e procedure di governance, richiedono la necessità di un approccio olistico in cui la tecnologia dell’architettura si ponga come apparato scientifico che intende stabilire relazioni tra innovazione, progetto e ambiente.

Alessandro Claudi de Saint Mihiel, architetto, ricercatore in Tecnologia dell’Architettura presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, svolge studi sull’innovazione e sulla sostenibilità negli interventi di costruzione e trasformazione dell’ambiente. L’attività di ricerca è volta a indagare le ricadute che sperimentazione e avanzamenti tecnologici hanno sia sui processi di progettazione e realizzazione sia sull’evoluzione dei linguaggi architettonici.

con scritti di:

Alessandro Claudi de Saint Mihiel Giorgio Giallocosta Rosario Giuffrè Daniele Fanzini Emilio Faroldi Antonio Laurìa Massimo Lauria a cura di Alessandr

o Claudi de Saint Mihiel

Tecnologia e pr

ogetto per la ricer

ca in Ar

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tecnologia e progetto collana diretta da Mario Losasso

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Tecnologia e progetto

per la ricerca in Architettura

a cura di

Alessandro Claudi de Saint Mihiel

con scritti di:

Alessandro Claudi de Saint Mihiel Giorgio Giallocosta Rosario Giuffrè Daniele Fanzini Emilio Faroldi Antonio Laurìa Massimo Lauria Mario Losasso Maria Teresa Lucarelli Fabrizio Tucci Fabrizio Schiaffonati

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Il volume Tecnologia e progetto per la ricerca in Architettura restituisce l’elaborazione e la sistematizzazione di diversi contributi di docenti dell’area tecnologica al dibattito disciplinare a partire da alcune lectio tenute negli ultimi anni nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura dell’Università di Napoli Federico II.

Prendendo spunto da tale momento di confronto, nel volume gli autori hanno elaborato ed aggiornato le proprie riflessioni all’interno dei temi dell’area tecnologica sul processo, sul progetto, sull’ambiente e sull’approccio sistemico. I contributi affrontano inoltre il tema della ricerca sia dal punto di vista teorico, di cultura tecnologica, sia attraverso il riferimento a sperimentazioni progettuali come risposta - in termini di innovazione e governance - alle attuali problematiche in materia di crisi ambientale, sociale e culturale.

Copyright © 2014 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli tel. 0815524419

www.cleanedizioni.it info@cleanedizioni.it

Tutti i diritti riservati è vietata ogni riproduzione / All rights reserved. No part of this publication may be reproduced in any form or by any means without permission in writing from the publisher

ISBN 978-88-8497-492-1

Editing

Anna Maria Cafiero Cosenza

Graphic Design Costanzo Marciano

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Indice

7 Prefazione

La ricerca tecnologica per l’architettura: fondamenti e avanzamenti disciplinari

Mario Losasso

15 Continuità e nuovi indirizzi per la ricerca in Tecnologia dell’Architettura

Alessandro Claudi de Saint Mihiel

Lectio

32 Architettura e percezione nell’approccio esigenziale Giorgio Giallocosta

39 La Progettazione Ambientale, una disciplina umanistica, non un mestiere tecnico

Rosario Giuffrè

52 Approccio esigenziale-prestazionale e qualità dell’abitare Antonio Laurìa

65 Innovazione e imprenditorialità in epoca di crisi Daniele Fanzini

71 Riflessioni sulla crisi del settore delle costruzioni Massimo Lauria

80 I processi di housing come innovazione delle “dimensioni” della sostenibilità: alcune riflessioni Maria Teresa Lucarelli

85 Ideazione, progettazione, costruzione, gestione: l’architettura del progetto. Sette note costruite Emilio Faroldi

103 Innovazione e sostenibilità: strategie, strumenti e tecnologie per gli interventi di retrofit dell'edilizia residenziale pubblica

Fabrizio Tucci

121 Progetto e cultura tecnologica nel contesto milanese. Origine e sviluppi

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Ideazione, progettazione, costruzione, gestione:

l’architettura del progetto. Sette note costruite

Emilio Faroldi

Si può insegnare a progettare? E se sì, qual è il metodo idoneo? Qual è il ruolo della progettazione tecnologica all’interno dei processi d’ideazione, progettazio-ne, costruzione e gestione dell’architettura?

Questi i quesiti che uno studioso di cultura del progetto e, ancor più, un inse-gnante impegnato in ambiti connessi al mondo dell’architettura, si pone ogni qual volta si trovi in un’aula gremita di studenti ai quali tenta di trasmettere la passione per un’architettura costruibile e concreta, progettata per gli uomini e non per una legittima ma sterile azione di autocompiacimento.

Armonia

La forma del viso appartiene ad ogni individuo; naso, bocca, fronte, eccetera, così come una proporzione media tra questi elementi. Ci sono milioni di visi co-struiti su questi tipi essenziali; ma sono tutti differenti tra loro: variazioni della qualità dei tratti e variazione dei rapporti che li uniscono. Si dice che un viso è bello quando la precisione del modellato e la disposizione dei lineamenti rivelano proporzioni armoniose, perché provocano nel nostro intimo, oltre i nostri sensi, una risonanza, una specie di cassa armonica che si mette a vibrare.1

Nella ricerca di armonia tra gli elementi che compongono un insieme, si trova, secondo Le Corbusier, la chiave per definire la bellezza di un’architettura e in que-sto gioco di relazioni la tecnologia trova un suo inaspettato e privilegiato campo d’azione.

Il dizionario della lingua italiana definisce il termine proporzione come quella

rela-zione tra parti diverse che crea un rapporto armonioso dei componenti rispetto al tutto. A sua volta armonia, nella sua accezione musicale, è quella

concordan-za di suoni che conduce a un risultato gradevole per l’orecchio. Mutuando tali concetti in forma ausiliaria alla nostra disciplina, l’architettura, possiamo definire l’armonia come una composizione di nozioni teorico-pratiche che regolano in maniera proporzionata la struttura di un insieme, all’interno del quale ogni sin-golo elemento possiede una ragion d’essere e una sua identità autonoma e in

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parallelo, un significato proprio proveniente dalla relazione che esso instaura con l’insieme.

Progetto e Costruzione

Dopo aver definito il risultato finale di ogni buona architettura, obiettivo questo che supera la semplice sommatoria delle operazioni eseguite dal progettista per divenire opera poetica, è utile decifrare, per quanto possibile, i termini del proces-so che raccorda l’ideazione con la realizzazione dell’opera, per conseguentemen-te approfondirne caratconseguentemen-teri e momenti. Nicola Sinopoli definisce il processo edilizio come una sequenza di operazioni finalizzate alla realizzazione di un manufatto2. Il

progetto di architettura può essere perciò inteso come astratto contenitore di tale processo, giacché prevede l’organizzazione e la sistematizzazione di una molte-plicità di saperi differenti e strumentali a raggiungere tale scopo.

Prima di porsi il problema del “come” si progetta è forse utile domandarsi in modo compiuto “perché” si progetta e, conseguentemente, qual è lo scopo intimo e primario di tale attività.

La prima ragione dell’architettura è di natura funzionale, non spaziale o formale; per tale motivo nell’architettura esiste un complesso di regole prestazionali, esi-genziali e di utilità per l’uomo alle quali il progetto deve inevitabilmente confor-marsi.

Negli ultimi due decenni si è assistito di frequente al rovesciamento dell’assunto presente all’origine di tale principio e che l’architettura moderna aveva esplicita-mente e definitivaesplicita-mente sancito: la funzione di un edificio ne determina la forma. Ora, prendiamo atto che molte architetture legate alla contemporaneità ribaltano tale processo, ponendo l’esito spaziale e formale in anticipo rispetto ai valori funzionali e d’uso.

In parallelo, nelle città e nei contesti urbanizzati sono sempre più frequenti, para-digmi di riuso di un manufatto, o casi in cui l’opera è concepita come un conteni-tore destinato a un utilizzo indefinito e/o variabile nel tempo.

Per tale motivo, in architettura, la conformità a una grammatica codificata diviene azione sempre più prioritaria nel processo costruttivo: come per il linguaggio par-lato anche in quello costruito, costatiamo che componendo le lettere con modi diverse si generano parole dal significato differente.

All’architetto moderno e post-moderno che era uso progettare nel dettaglio ogni più piccola componente dell’edificio si contrappone ora un’altra, più complessa figura professionale, per la quale la costruibilità dell’opera obbliga alla scelta di elementi propri di un linguaggio espressivo all’interno di un inventario discreto, seppure vasto, di possibilità.

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tutto ciò che un progettista doveva conoscere per svolgere la professione. Oggi il testo è sostituito da un’indefinita quantità di cataloghi e trattati tecnici, provenienti dal mondo della rete e connessi alla polverizzazione e decentramento della pro-duzione, non più contenibili e concentrabili all’interno di un unico, seppur virtuale, volume.

Le opzioni tecnologiche risultano infinite e poiché tali non riconducibili a un siste-ma facilmente e spontaneamente organizzabile e sistesiste-matizzabile.

Il termine Costruire, invece, deriva dal latino construere, cioè comporre unendo insieme più cose convenientemente: il significato letterale, perciò, è quindi quello di mettere insieme.

Tale verbo entra nella lingua italiana tra il Due e il Trecento a indicare l’attitudine, fondamentale per l’uomo, di fabbricare qualcosa, congiungendo elementi diversi e organizzandoli in un determinato modo: costruire equivale, in questa accezione, all’atto di assemblare dei frammenti al fine di creare opere valide ed efficienti. Un ulteriore valore significativo del termine costruire, afferisce alla sfera dello spiri-to, dove il costruire, nel senso di ordinare una materia dandole forma realizzando così un’opera, giunge a produrre un testo letterario, un pezzo musicale, una pit-tura, una scultura: un’architettura.

Proprio in architettura, ogni elemento ha importanza in se medesimo, a prescin-dere dall’ambito nel quale viene inserito, seppure assuma il suo reale valore nella forma e nel modo in cui esso si relaziona con le ulteriori parti dell’insieme. L’organicità delle relazioni è uno dei fattori imprescindibili che ci permette di os-servare e giudicare una costruzione in quanto tale. In architettura la costruzione, intesa come strumento di concretizzazione materiale di un’idea, supera nel suo valore nominale il termine progetto, in quanto quest’ultimo trova la sua più elevata valenza culturale solo nel momento in cui tende a essere costruito. In assenza, nel suo orizzonte strategico e operativo, di tale mansione, il progetto si trova limi-tato a un’affermazione implosiva e autoreferenziale, non trovando la sua emanci-pazione all’interno della sfera delle arti figurative materiali.

Il costruire, in realtà, è un atto istintivo, espressione e arte della volontà naturale dell’uomo dal momento in cui inizia ad abitare la terra e a riconoscere le sue esi-genze primordiali e indispensabili. L’opera costruita va intesa come sintesi tra due elementi primari: una componente fisica, risultato di un lavoro sulla materia e una componente teorica, esito di attività intellettuali e artistiche.

La cultura architettonica europea, per tutto l’Ottocento e fino ai primi decenni del secolo scorso, ha risentito delle conseguenze di un sistema scolastico superiore impostato sul modello francese, che prevedeva una netta separazione tra un approccio assoluto ingegneristico alla costruzione e una limitazione delle com-petenze dell’architetto ai soli aspetti formali, se non, il più delle volte, decorativi.

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Chi si occupa oggi di tecnologie avverte con chiarezza che per fare bene il proprio mestiere occorre giocare all’interno di queste due polarità. Le Scuo-le del Politecnico di Milano partono da questa consapevoScuo-lezza, proponendo una combinazione di scienze umanistiche e tecnico-scientifiche. Per architetti come Franco Albini - per citarne uno che ho sempre studiato e ammirato per coerenza e rigore - cresciuti nella tradizione milanese, l’opera costruita è in sé sintesi tra tecnica e teoria, per cui oggi possiamo conoscere il loro pensiero studiandone le opere.

La fase di riunificazione delle Scuole di architettura milanesi, in atto proprio in questo periodo, persegue esattamente la logica di fondere i saperi, perse-guendo l’obiettivo di formare un architetto in grado di confrontarsi con l’attua-lità, con i suoi paradigmi, attraverso l’adozione di tecniche e strategie capaci di contrastare il rischio di errore che qualsiasi azione porta con sé. A sintesi di tali concetti, perciò, qual è la relazione tra progetto e costruzione?

Possiamo paragonare il primo a uno spartito musicale che consente, attra-verso una sua corretta lettura e interpretazione, di eseguire l’opera in esso contenuta e tradotta tramite simboli codificati.

Nelson Goodman, filosofo statunitense, ha evidenziato come l’architettura e la musica condividano la peculiarità, non comune alle altre arti, di utilizzare per esprimersi una notazione codificata attraverso un numero limitato di simboli3.

La musica non è quindi simile alla nostra disciplina solo nella ricerca dell’armo-nia e della proporzione, esiste un legame anche a livello metodologico perché essa ci fornisce suggerimenti sul come può essere gestita la progettazione e, ancor più, quel magico momento di passaggio tra scrittura di un brano e sua esecuzione. In architettura, ciò, si concreta nella costruzione.

Tuttavia, il rischio di una non perfetta esecuzione, di un’errata cioè traduzione della volontà del compositore è maggiore in architettura rispetto all’ambito musicale a causa di una serie di caratteristiche proprie del “mondo dell’edili-zia”: un ambito, questo, costretto a demandare gran parte delle competenze a un elevato numero di esecutori esterni e di figure intermedie, dalle relazioni tra le quali e dalle capacità delle quali dipende il successo dell’opera.

Eppure il disegno, in particolare quello tecnico, che coincide con il nostro

spar-tito, è l’elemento intellettuale e contrattuale sulla base del quale si concretizza il

rapporto concept-progetto esecutivo-costruzione: la qualità del progetto e della costruzione non può prescindere da aspetti di natura immateriale e procedurale, sui quali fonda le proprie aspirazioni di buona e conforme esecuzione .

Ritengo inoltre, al contrario di quanto di usi pensare, che nelle fasi di ap-profondimento esecutivo e costruttivo del progetto, risiedano ampi spazi di creatività: una possibilità, cioè, di “controllata invenzione” che rende tale fase

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decisiva per la conferma qualitativa delle auspicabilmente buone premesse progettuali.

Il vero compito dell’architetto sempre è stato e sempre sarà quello di interve-nire sull’ambiente che noi abitiamo al fine di migliorarlo, tentando di adeguare al meglio le mutate esigenze dell’uomo e della società, conformando l’habitat a tale scopo.

L’architetto parla con la materia e con lo spazio che essa crea: per cui ho pensato di mostrare alcuni esempi che mi hanno aiutato a comprendere il passaggio da un’idea alla sua costruzione.

Opere

Per dare concretezza a tali concetti può essere utile introdurre sinteticamente alcune opere che lo studio Emilio Faroldi Associati ha realizzato in ambienti urbani e non, cimentandosi su temi tra loro diversi per tipologie di committen-za e utencommitten-za, tentando sempre di interpretare la tecnologia dell’architettura co-me tecnologia per l’architettura, verificando, insieco-me ai fondaco-mentali e prioritari valori morfo-tipologici e linguistico-spaziali dell’architettutra, come essa possa coinvolgere in modo positivo e attivo la città, i suoi manufatti, i suoi paesaggi. Le opere - sette per rimanere nel tema musicale - sono scelte in forma esempli-ficativa all’interno del lavoro di uno studio che opera nel campo dell’architettura da ormai venticinque anni e sono svolte in collaborazione con la mia socia-ar-chitetto Maria Pilar Vettori, anch’ella docente presso il Politecnico di Milano. È il recupero della chiesa romanica di San Lorenzo, ad Alberi di Vigatto, in provincia di Parma, consistito nella ricostruzione del transetto e dell’ingresso, e nell’inserimento di una serie di elementi dedicati alla funzione liturgica nel presbiterio e nelle cappelle laterali.

L’introduzione della nuova oggettistica sacra persegue l’obiettivo di donare omogeneità e funzionalità all’ambiente, inoltre la posizione di ogni elemento è espressione del legame, inscindibile nell’architettura sacra, tra spazio, uso e significato.

In questo caso il progettista ha come codice cui uniformarsi non le solite norme dell’edilizia ma le indicazioni della CEI sulla progettazione dello spazio liturgico. L’azione di riqualificazione e valorizzazione dello spazio sacro, esito di accurate verifiche d’archivio, ha cercato di restituire alla chiesa quel grado di uniformità e di armonia nel tempo perdutesi.

Riequilibrio materico, recupero filologico e restauro scientifico delle parti me-ritevoli, costituiscono la cifra qualitativa dell’intervento. Lo studio e l’introdu-zione della nuova oggettistica sacra perseguono l’obiettivo di donare omoge-neità e funzionalità all’ambiente, instaurando un dialogo con lo spazio interno

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e, al tempo stesso, trasmettendo materiali e segni del fare contemporaneo. Nel 1994 lo studio è stato chiamato a San Paolo in Brasile per realizzare la nuova Chiesa di Sant’Anna, un complesso per circa 300 posti a sedere. L’idea progettuale è nata dalla volontà di creare un segno elementare e universale nella città. La croce diventa così elemento generatore della facciata principale e dell’intero volume che si sviluppa elevandosi da una pianta a “T”, attorno a quattro grandi setti verticali.

Chiesa di San Lorenzo, Alberi di Vigatto, Parma 1993. Restauro architettonico e artistico con inserimento di nuovi arredi sacri.

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Dal punto di vista tecnologico è stata utilizzata una struttura portante metallica accoppiata a paramenti in mattoni non portanti. Lo scheletro è sempre leggi-bile nell’intero volume, a quota zero una serie di feritoie orizzontali denunciano la non strutturalità del muro. Al fine di fornire all’opera il giusto apporto artisti-co, fu bandito un concorso per artisti locali vinto dall’artista brasiliano Claudio Pastro, che ha realizzato le 14 stazioni della Via Crucis che corrono a quota +3 metri lungo tutto il perimetro dell’edificio. Per gli oggetti liturgici è stata Chiesa di Sant’Anna, Jundiaì, San Paolo, Brasile 1994-1996. Complesso di Chiesa e teatro all’aperto.

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utilizzata la pedra sabão, “pietra sapone”, una pietra brasiliana, molto tenera, tipicamente utilizzata per l’oggettistica sacra.

L’opera è stata realizzata in sei mesi perfettamente identica al plastico in scala 1:50 che era stato spedito in cantiere a titolo di confronto e di comprensione di alcuni nodi.

Elementi unificatori dell’impianto sono i quattro grandi setti che configurano la croce, nel cui punto d’intersezione s’innalza il campanile, essenziale ossatura metallica articolata secondo uno schema simmetrico e reticolato a ricordare l’ascesa verso il cielo. All’accostamento e al contrasto di materiali, è affidata la soluzione della simbologia liturgica.

L’aula si sviluppa, quadripartita, attorno allo spazio presbiteriale. L’edifico si eleva dal suolo attraverso un taglio vetrato posto alla quota di calpestio. La luce naturale costituisce l’artificio scenico percepito dall’interno: quella arti-ficiale esplode la sua essenza all’esterno, definendo il linguaggio simbolico dell’opera.

Nel 1996, abbiamo avuto occasione di realizzare, all’interno del Teatro Far-nese di Parma, l’allestimento per un’esposizione di circa 120 abiti scultorei, disegnati e realizzati dallo stilista Roberto Capucci.

Il teatro, progettato da Giovan Battista Aleotti e costruito all’inizio del Seicen-to, era fornito di un impianto idraulico che, utilizzando un vicino alveo tor-rentizio, riusciva a portare attraverso pompe naturali l’acqua fino all’interno dell’edificio, consentendo di svolgere degli spettacoli con battaglie navali. Il progetto costituisce una suggestiva mise-en-scène della moda d’autore, ospitata nello splendido invaso del Teatro, esempio superstite dell’architettura teatrale del XVII secolo: il confronto tra arte e architettura costituisce il binomio caratterizzante l’intero percorso allestito.

Il ventaglio di un abito definisce la composizione planimetrica dell’allestimento: la narrazione corre lungo una metaforica via Emilia che dall’esedra invita a sa-lire sulla pedana, per giungere sino al palcoscenico sul quale gli attori, i dodici abiti realizzati in occasione della Biennale di Venezia, recitano la loro opera. Una gioiosa folla di abiti disposta liberamente sulle gradinate, colora e occupa il teatro, in una silenziosa e composta contemplazione dello spettacolo. I manichini che occupano l’esedra poggiano su piedistalli di cristallo, rielabo-rati con tecniche antiche - come la macchiatura con il caffè - al fine di ottenere il colore desiderato. La mostra, che si è sviluppata anche nelle parti interrate, nei sotterranei e in altre zone del teatro, è stata occasione per fare rivivere il luogo con la sua funzione originaria, uno spettacolo colorato di spettatori e attori.

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paradigmati-93 Teatro Farnese, Parma 1996, Allestimento della mostra “Roberto Capucci al Farnese”. Spazi e strutture espositive per la mostra “Roberto Capucci al Farnese”.

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Studio di architettura, Parma 2001, Restauro e recupero funzionale di un’unità a uso ufficio in Palazzo del Campo, Parma.

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ca, sulle criticità e valenze insite nell’intervento contemporaneo in un contesto antico. Lo spazio sul quale si è lavorato è parte di Palazzo del Campo (XVI - XVII secolo), oggi vincolato come Bene Monumentale. Il nostro sforzo è stato mirato a realizzare uno spazio di lavoro funzionale senza tradire la spazialità originaria. La sala delle colonne, in precedenza parte dell’Università degli Studi di Parma, è stata riconvertita in ambiente per la progettazione, mentre in altri spazi ha trovato posto la biblioteca.

Ogni nuovo elemento inserito cerca una relazione in misure e materiali con la to-talità dello spazio esistente. Anche in questo caso, la progettazione del dettaglio tecnologico è risultata essere la chiave per realizzare il legame tra antico e con-temporaneo, in una relazione non di mimesi, ma di eterea riconoscibilità.

La navata centrale, ricavata da un antico androne seicentesco, luogo dello scam-bio delle idee e punto d’incontro quotidiano, costituisce lo spartiacque, ma anche il bacino di confluenza, tra gli ambienti di progettazione e amministrazione e quelli destinati alla ricerca, alla grafica e alla pubblicistica.

Le due aree di lavoro ritrovano nell’affaccio baricentrico verso la corte interna, realizzato in vetro strutturale, un ideale sfogo verso il futuro e verso la città. La trasparenza testimonia la continua visibilità delle idee che costantemente vengo-no discusse, prodotte e rielaborate negli spazi dello studio: l’architettura diviene se stessa testimonianza di un modo di pensare e di credere nella disciplina me-desima.

Nel 2002 lo studio si è occupato del restauro del seicentesco Giardino Garzoni, della sua Villa e della Palazzina dell’Orologio, oltre che di una nutrita gamma di corpi annessi, nel piccolo Borgo di Collodi, a fianco del celebre parco di Pinoc-chio, contenente opere di Marco Zanuso, Pietro Consagra, Venturino Venturi, Pietro Porcinai, Giovanni Michelucci e altri artisti e architetti a partire dagli anni Cinquanta.

Collodi, situato in provincia di Pistoia a poca distanza dalla Versilia, è un paese particolare per la sua posizione altimetrica che lo costringe ad arroccarsi lungo il versante montuoso. Anche il parco ha una morfologia complessa, estendendosi su un terreno dalla forte pendenza, dove la Villa fa da quinta scenica a una quota più alta.

Il Giardino, che versava in uno stato di degrado molto elevato, è stato totalmente restaurato.

Un lavoro durato diversi anni, riconducibile a uno dei massimi esempi di buone pratiche legate alla valorizzazione e fruizione di Beni Culturali e Architettonici a elevata complessità paesaggistica e ambientale, dove l’arte dei giardini si fonde con l’idraulica; il paesaggio con la botanica; la storia degli edifici con i valori del disegno barocco.

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L’esito del lavoro rientra in una categoria di gestione del progetto semi-tradi-zionale con una sorta di esternalizzazione e messa a sistema delle competenze tipiche dello scenario italiano. Il lavoro è stato possibile attraverso il coinvol-gimento di esperti del settore per il ripristino delle specie arboree, per le quali si è optato per un vero restauro filologico; lo stesso è valso per il trattamento delle superfici affrescate della Palazzina dell’Orologio. Nei corpi secondari sono state allestite delle mostre e concentrati gli ingressi.

Avviati i lavori per il restauro del Giardino e della Villa, la committenza espresse il desiderio di riportare nelle antiche serre del Giardino alcune specie di farfalle, come nella loro originaria vocazione.

All’interno del complesso storico di Villa e Giardino Garzoni, la Casa delle Farfalle Villa e Giardino Garzoni, Collodi, Pescia, Pistoia 2001-2007. Restuaro e recupero

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- la Collodi Butterfly House - rappresenta un intervento di architettura contem-poranea destinato all’allevamento, catalogazione e musealizzazione di numerose specie di farfalle tropicali.

Pietra e vetro strutturale s’incontrano nella compenetrazione dei due volumi, ruotati e traslati secondo gli assi scenografici della Villa. L’habitat verdeggiante, idoneo al ciclo vitale delle centinaia di farfalle ospitate nella serra, riafferma la vocazione naturalistica dell’edificio: il vetro diviene l’elemento di confronto con il parco della Villa, creando continuità, armonie, emergenze.

L’esito è un museo interattivo per farfalle tropicali in grado di ospitare visite di-Collodi Butterfly House, di-Collodi, Pescia, Pistoia 2004-2008. Edificio-serra destinato alla vita, catalogazione e musealizzazione delle farfalle e servizi a esso integrati nel complesso di Villa e Giardino Garzoni.

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dattiche e altri eventi. Nonostante la scala ridotta, l’intervento ha presentato un elevato grado di complessità: il nuovo padiglione, che sorgeva sul sedime delle antiche serre, doveva integrarsi con il parco e con la memoria delle preesistenze, garantire un ambiente adatto per luce, temperatura e dimensioni all’effimera vita delle farfalle ed essere in grado, allo stesso tempo, di accogliere un gran numero di visitatori.

La struttura biologica della farfalla, l’antico sedime delle serre, gli assi scenografici della Villa sono gli elementi ispiratori dai quali è nato il progetto, costituito da una compenetrazione di due volumi cubici, uno chiuso e pesante, l’altro completa-mente vetrato. Le componenti tecnologica, impiantistica, climatica, illuminotecni-ca, hanno rivestito un ruolo molto importante. Gli interventi sia del parco sia della villa sono stati realizzati in collaborazione tra regime il privato e quello pubblico. La settima nota, ultima esperienza che qui presento, riguarda la realizzazione del-la sede, destinata aldel-la ricerca, dell’azienda Chiesi Farmaceutici a Parma. L’edificio si colloca in un territorio dalla morfologia piuttosto indefinita, lungo l’autostrada A1. L’intervento è stato concepito come occasione per ordinare il paesaggio. Sono stati scelti due elementi guida che costituiscono gli assi generatori dello spazio esterno: la direzione dell’infrastruttura autostradale e l’impostazione car-do-decumanica della città di Parma.

Il nuovo Centro Ricerche Chiesi si sviluppa su di un’area di 60.000 mq, per una superficie coperta di 22.000 mq, e mette a disposizione della ricerca una superfi-cie di circa 28.000 mq comprensivi di 181 laboratori e 254 uffici. Fulcro dell’inse-diamento è l’edificio destinato ai laboratori di ricerca e agli uffici, attorno al quale si articolano i corpi e gli spazi a esso strumentali dal punto di vista tecnologico (centrale utilities e impianti), funzionale (magazzino e depositi) e organizzativo (guardiania, parcheggi e strutture accessorie).

La forma planimetrica dell’edificio principale nasce da un processo di ottimiz-zazione degli spazi del lavoro, personalizottimiz-zazione e riconoscibilità delle differenti funzioni senza rinunciare alla loro integrazione: tre ali (due destinate ai laboratori e una agli uffici) connesse da un elemento baricentrico (l’atrio) destinato a costituire l’elemento d’interrelazione verticale come orizzontale e spazio di relazione attra-verso la presenza di servizi e aree destinate alla socialità.

Il progetto si appella alla forza dell’elemento ordinatore e razionale esaltato dal-la grande dimensione attraverso le texture ritmate daldal-la rigida maglia strutturale o dalla modularità della componentistica di facciata. Di qui una differenziazione anche materica dei volumi: alla leggera trasparenza dell’elemento centrale si con-trappone il linguaggio massivo e solido dei due copri destinati ai laboratori, e il corpo degli uffici, più snello e mutevole per l’ottimizzazione dell’apporto solare. L’insieme è quindi composto da tre bracci indipendenti (laboratori e uffici) uniti

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in un’articolazione centrale (atrio). Lo studio delle facciate, differenti per ognuna delle tre ali del complesso, è stato determinato dalle differenti necessità di luce naturale e di rapporto con l’esterno. Il corpo contenente gli uffici è completamen-te vetrato e trasparencompletamen-te, per i laboratori invece la facciata in pietra risponde alla necessità di una chiusura maggiore.

Gli spazi aperti, invece, sono stati considerati come un valore aggiunto in grado di svolgere un ruolo aggregativo per chi frequenta l’edificio. Abbiamo cercato, in-fatti, di offrire ai 450 lavoratori uno spazio il più possibile domestico, per una vera e propria casa della ricerca.

In un lavoro di questo tipo si sovrappongono tre grandi layer funzionali: quello del visitatore - chi viene dall’esterno per incontrare persone all’interno del centro-, quello dei percorsi - per chi vi lavora - e quello della rete tecnologica. È stato quin-di necessario un enorme sforzo quin-di progettazione esecutiva nella quale gli architetti sono stati affiancati, lungo tutte le fasi, da una società d’ingegneria, che ha svolto i ruoli di project management e construction.

Commentario_Al termine di questo percorso narrativo progettuale, è legittimo domandarci: cos’è la tecnologia e quale ruolo svolga nell’azione progettuale. Nel campo dell’edilizia - e più auspicabilmente dell’architettura - possiamo definire

tecnologia lo studio delle scienze applicate alla trasformazione delle materie

pri-me in prodotti d’impiego o di consumo.

L’architettura è sia prodotto d’impiego sia di consumo. Un consumo colto che l’uomo da sempre frequenta.

I progetti presentati scaturiscono da logiche e metodologie nelle quali la specifi-cità della ricerca progettuale di area tecnologica svolge un ruolo fondamentale. Si comprende che il risultato di un processo edilizio, inteso come successione di eventi che raccorda il progetto alla costruzione, segue una determinata

procedu-ra: la qualità dell’esito progettuale e, di conseguenza, dell’opera costruita

dipen-de molto dall’organizzazione dipen-del lavoro e dalla qualità e velocità dipen-delle informazioni che circolano tra gli attori coinvolti.

Attualmente, i momenti più critici all’interno del processo edilizio ritengo possano essere individuati nelle estremità del percorso, e cioè nella fase d’ideazione e nell’atto realizzativo di un’opera: infatti, mentre tutte le altre fasi legate alla proget-tazione risultano sottoposte a studi e a normative stringenti che forniscono una garanzia sistemica, la prima e l’ultima, rimangono le più vulnerabili poiché molto mirate e perimetrate per ogni contesto.

La specificità del processo edilizio tende a fornire, nella prima fase, una grandissi-ma importanza al committente che, esprimendo una necessità, giustifica la realiz-zazione dell’intero processo ed è garante della responsabilità di un’impostazione corretta del processo rispetto a un quadro esigenziale.

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La figura del progettista, invece, viene sempre più frequentemente sostituita da una squadra che congiuntamente al committente e a tutti gli altri attori coinvolti costituisce quella che, ancora Sinopoli, definisce una multi organizzazione

tempo-ranea4, cioè non stabile, ma limitata alla durata del processo edilizio.

Facendo un confronto fra l’Empire State Building realizzato tra il 1929-31 e una delle ultime opere di Renzo Piano che sorge poco distante, il New York Times

Building, notiamo come prima differenza il numero delle figure presenti nel team design. Nel progetto più recente esse sono decuplicate rispetto agli attori

coin-volti nella realizzazione dell’Empire, caratterizzato solo da un gruppo di architetti e ingegneri. La seconda differenza consiste nel tempo di realizzazione: tre anni per l’Empire, circa sette per l’opera di Renzo Piano. L’unico aspetto che è solo leggermente migliorato dal 1929 a oggi riguarda la sicurezza in cantiere.

Dietro ogni opera vi è un grande pensiero manageriale dal punto di vista dell’ap-proccio organizzativo. I progetti citati e presi in considerazione danno lo spunto per evidenziare tre diversi modelli di regia: per la Chiesa di San’Anna un modello tradizionale; per la Butterfly House e il Parco, un’esternalizzazione sistemica, cioè si è fatto in modo che nel team design ci fossero tutte le competenze tranne alcu-ne esternalizzate ad hoc, mentre per la Casa della Ricerca sono state adottate le tecniche del project management con una riduzione dei tempi e una cantierabilità che si è conclusa in poco più di tre semestri.

Lo studio BBPR, possiamo oggi affermare per quanto riguarda il contesto locale, costituì una prima espressione di team design italiano organizzato, costituito da quattro sensibilità diverse: Lodovico Barbiano di Belgioioso

l’imprenditore-po-litico del gruppo, Enrico Peressutti il disegnatore, Ernesto Nathan Rogers l‘in-tellettuale-teorico. Per la cultura architettonica italiana la storia della costruzione

della Torre Velasca rimane un caso paradigmatico in quanto, ad alcuni decenni di distanza, attraverso il passaggio dalla prima versione del progetto a struttura metallica all’ultima versione in calcestruzzo armato non emerge un processo e un atto decisionale finalizzati a rispondere a un problema costruttivo, bensì concre-tizza la volontà intellettuale di ribadire la strada da seguire per l’architettura italia-na. In sintesi, ciò che è avvenuto non è un ripensamento tecnologico bensì una volontà di segnare una posizione culturale finalizzata a far sì che l’Italia, dal punto di vista architettonico, non si omologasse a ciò che avveniva in tutto il mondo, ma affermasse una propria identità e autonomia.

Questi ultimi esempi ci fanno riflettere su quale sia il ruolo e la responsabilità dell’ar-chitetto nel complesso processo edilizio contemporaneo. L’immaginario brunelle-schiano dell’architetto-maestro, che si costituisce unica autorità decisionale e di controllo nel progetto e nella realizzazione di un’opera, non è più attuabile dato l’altissimo grado di specializzazione che caratterizza oggi il campo delle costruzioni.

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Ciò non sminuisce affatto l’importanza del ruolo che ci appartiene. L’architetto oggi deve agire sempre più come un “costruttore intellettuale”, vicino alla figura del direttore di orchestra che non solo conosce ogni strumento, ma ha anche cura di perfezionare l’armonia tra i diversi ritmi, potendo controllare i tempi di ogni componente, in quanto solo egli, tra le principali figura professionali del mondo della costruzione, possiede la capacità e la formazione per dialogare con tutte le discipline tecniche, economiche, umanistiche, scientifiche, che ruotano attorno alla nascita di un’opera.

Solamente riconoscendo tale valore potremo, noi architetti, renderci indispensa-bili all’interno di un sistema che non sarà mai privo di specialisti, bensì necessiterà sempre più di luoghi di sincronizzazione e coordinamento tra le parti, tentando di ri-affermare con forza il ruolo sociale ed etico che l’architetto ha sempre avuto nella storia della costruzione dei luoghi in cui l’uomo abita.

1. Le Corbusier, Vers une architecture, Paris, 1923, ed. it. Verso una architettura, a cura di P. Cerri, P. Nicolin, Longanesi, Milano, 1984; p. 165

2. Sinopoli, Nicola, La tecnologia invisibile. Il processo di produzione dell’architettura e le sue

regie, ed. Franco Angeli 2002, Milano

3. Goodman, Nelson: Languagues of Art. An approach to a theory of symbols, Hackett Publishing Company Inc., Indianapolis/Cambridge 1976

4. Op. cit SINOPOLI, Nicola, La tecnologia invisibile. Il processo di produzione dell’architettura e

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2014 per conto delle edizioni CLEAN dalle Officine Grafiche Francesco Giannini e figli s.p.a. / Napoli

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