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Il passaggio generazionale nel family business

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale

in Amministrazione, Finanza e Controllo

ordinamento ex D.M. 270/2004

Tesi di Laurea

Il passaggio generazionale

nel family business

Relatore

Ch. Prof. Marco Vedovato

Laureando

Roberta Longo Matricola 859030

Anno Accademico

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pag. 4

Sommario

INTRODUZIONE 7

CAPITOLO 1 – L’IMPRESA FAMILIARE 9

IL CONCETTO DI FAMILY FIRM 10

ELEMENTI CARATTERIZZANTI DEL FAMILY BUSINESS 11

Compattezza strategica e diversificazione 12

Prospettiva di lungo periodo 12

Flessibilità 13

Fiducia e impegno 14

LIMITI LEGATI AL FAMILY BUSINESS 14

Il coinvolgimento della famiglia nelle dinamiche dell’impresa 14

La gestione della successione aziendale 15

IL RUOLO DELLA FAMIGLIA NELL’AZIENDA 16

Principi dell’impresa familiare 16

La costituzione della famiglia 20

Management familiare 21

LE IMPRESE FAMILIARI IN ITALIA 23

CAPITOLO 2 – LA GOVERNANCE DEL FAMILY BUSINES 26

IL CONCETTO DI CORPORATE GOVERNANCE 27

Il concetto di sistema aziendale 27

La corporate governance 30

IL CONCETTO DI CORPORATE GOVERNANCE PER LA FAMILY FIRM 32

Il ruolo delle assemblee familiari e del consiglio d’amministrazione 34

L’importanza dell’advisory board 37

L’ASSETTO DI GOVERNANCE NELLE IMPRESE 39

I tre modelli di governance: tradizionale, monistico e dualistico 39

I modelli di corporate governance 44

La public company 45

L’impresa consociativa 46

L’impresa padronale 46

L’IMPRESA A CONTROLLO FAMILIARE 47

Tipologie delle aziende a controllo familiare 50

CAPITOLO 3 – IL PASSAGGIO GENERAZIONALE 54

IL RUOLO DEL FONDATORE 55

L’impostazione del processo di successione e la trasmissione dei valori 58

L’uscita di scena 59

LE CRITICITA’ LEGATE AL PROCESSO GENERAZIONALE 60

Il punto di vista della successione emergente 63

CAPITOLO 4 – IL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE DEL RICAMBIO GENERAZIONALE 71

L’IMPORTANZA DEL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE 73

L’avvio del processo di pianificazione 74

IL PASSAGGIO GENERAZIONALE 79

Il piano strategico aziendale 79

Il piano strategico familiare 80

Il successore: il percorso di crescita personale e professionale 83

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LA GESTIONE DEL CAMBIAMENTO 86

Gestione delle relazioni familiari 87

Gestione delle relazioni con gli esterni 89

I FATTORI DI SUCCESSO CHE INFLUENZANO IL PASSAGGIO GENERAZIONALE 91

La pianificazione 91

I diritti di voto concentrati in pochi membri della family firm 94

Gli accordi di famiglia 95

Il trasferimento del capitale sociale 95

IL RUOLO DEL DISCENDENTE 97

La costruzione della leadership 98

Il ruolo delle donne 100

Le idee innovative della nuova generazione 101

I discendenti inadeguati 101

Il discendente conservatore 105

Il discendente ribelle 106

Il discendente indeciso 107

4.6 LE DIFFERENZE SULLE PERFORMANCE AZIENDALI DAL FONDATORE AL DISCENDENTE 108

CAPITOLO 5 – IL CASO AZIENDALE DI CREAZIONI LA SPOSA 110

Il ruolo dell’imprenditore 112

Il ruolo del discendente 113

Il passaggio generazionale 113

CAPITOLO 6 – CONCLUSIONI FINALI 115

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 120

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INTRODUZIONE

L’attuale contesto economico italiano è formato da tante piccole o medie imprese dove la maggior parte di queste è di tipo familiare. Il ruolo del family business è quindi prevalente ed importante per l’economia italiana non solo per la ricchezza che possono generare ma anche per la creazione dei posti di lavoro.

Grazie al boom economico avvenuto tra gli anni ’60 e ’70, più di un milione di nuove aziende familiari nacquero, aziende che oggi si trovano ad affrontare il problema della succesione aziendale.

I dati dell’Osservatorio ASAM-PMI dell’Università Cattolica di Milano rilevano che tra il 2001 e il 2004 la fase del passaggio generazionale ha coinvolto un numero sempre più maggiore di imprese, passando dal 61% nel 2001 al 68% nel 20031 a dimostrazione del fatto che le aziende nate e sviluppate negli anni d’oro si sono trovate a dover sopperire a questo bisogno aziendale.

Bisogno che non viene sempre programmato e preso in considerazione per tempo, infatti se la fase del passaggio generazionale non viene gestita con le dovute attenzioni e cautele rischia di portare la stabilità e l’equilibrio aziendale verso il declino. Un passaggio generazione mal gestito può causare dei conflitti interni tra i vari membri, alla perdita di fiducia da parte del mercato o prima ancora degli stakeholder stessi o addirittura portare alla chiusura dell’azienda stessa.

Analizzando alcuni dati di UnionCamere2, gli imprenditori iscritti alle Camere di Commercio italiane sono circa 5 milioni, tra questi, nel momento del passaggio generazionale è emerso che:

- Solo il 20% delle imprese familiari italiane arriva alla terza generazione;

- La maggior parte delle aziende scompare dal passaggio dalla seconda alla terza generazione. Ancora, secondo gli autori3 “gli imprenditori italiani mostrano una bassa propensione a definire in anticipo la loro uscita e tendono a non formalizzare le modalità di passaggio del ruolo proprietario e imprenditoriale alla generazione successiva”.

Tema cruciale del ricambio generazione non è solo la pianificazione di tale processo ma anche la necessità di avere una base teorica di riferimento, in grado di capire tutte le variabili che

1 Dell’Atti A., Il passaggio generazionale nelle imprese familiari, Cacucci, 2007. 2 C. Benazzi, Il passaggio generazionale nelle aziende, in PMI, 2007.

3 Gnan L., Montemerlo D., Il processo di successione nelle imprese familiari di piccole e medie dimensioni. Alcuni confronti fra Italia e Stati Uniti, in Economia & Management, n°2, 1999.

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intervengono in questo processo e le leve su cui agire, in modo da far diventare la fase di successione come una normale fase di sviluppo aziendale e non un problema improvviso e gestito in malo modo. Questa tesi vuole quindi analizzare la situazione che si verifica all’interno di un’impresa familiare al momento del passaggio generazionale e fornire una base di supporto utile per fronteggiare questa fase. Dapprima si analizzeranno le imprese familiari nel loro genere, a partire dalle varie definizioni che meglio identificano la fattispecie, andando a delineare quali sono i tratti distintivi che le caratterizzano così come anche gli elementi che le penalizzano (rispetto alle grandi imprese). Verrà anche analizzata la corporate governance di un’impresa familiare per inquadrare meglio quali sono gli aspetti su cui una family firm si identifica e il ruolo del fondatore all’interno della stessa, il tutto per arrivare ad inquadrare al meglio il tema delicato del ricambio generazione e alle fasi procedurali per poterlo affrontare nel modo migliore: le attività preparatorie per la pianificazione, la selezione del successore, i rapporti che possono scaturire dal nuovo successore, sia positivi che negativi. Infine, si analizzerà un caso di passaggio generazionale per mettere in evidenza i fattori cruciali, i percorsi intrapresi ed infine le soluzioni adottate.

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CAPITOLO 1 – L’IMPRESA FAMILIARE

Le imprese familiari sono la forma più antica di organizzazione d’impresa ed è per questo che oggigiorno nel panorama non solo italiano ma anche internazionale si configurano come i principali

componenti del sistema economico e industriale.

Si pensi, per esempio, alla Spagna dove il 75% delle imprese è gestito da famiglie o agli Stati Uniti dove circa l’89% delle società del paese sono costituite da imprese familiari4. Il concetto di family firm, che in letteratura si riferisce spesso a realtà di piccole dimensioni, nella realtà economica si trova a doversi riscontrare con imprese che sopravvivono e, in alcuni casi, prosperano non solo a livello nazionale ma anche internazionale. In Italia e nel mondo esistono esempi di imprese familiari che sono riuscite ad affermarsi grazie alle loro peculiarità e soprattutto alle loro capacità, basti pensare a Brunello Cucinelli, Salvatore Ferragamo, Benetton, Ferrero e Fiat. Prima di cominciare ad affrontare nel dettaglio il problema del ricambio generazionale, è opportuno definire il concetto di family firm. È luogo comune pensare ad una piccola azienda, magari anche artigiana e nota solamente a livello locale, che viene tramandata nel tempo e che non assume mai grandi dimensioni. In realtà, come detto precedentemente, non è così e le imprese familiari possono differire tra loro in base a diverse variabili. Per questi motivi è opportuno analizzare le varie definizioni di family firm che si trovano in letteratura al fine di trovare gli aspetti che maggiormente identificano questa fattispecie.

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IL CONCETTO DI FAMILY FIRM

Partendo dal presupposto che non è possibile dare una definizione univoca di family firm, è possibile però ricercare tra le innumerevoli definizioni (civilistica, economico-aziendale ecc.) quali sono i confini entro i quali si può definire un’impresa familiare. Partendo dalla giurisprudenza, l’impresa familiare secondo l’art. 230 bis del Codice Civile è “[…] per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo” vengono dunque compresi i familiari dell’imprenditore che prestano lavoro in modo

continuativo all’interno dell’impresa.

Dal punto di vista economico-aziendale, la letteratura è molto più varia, si distacca dai concetti civilistici e dalle norme di legge e diventa una definizione più ampia. Ad esempio, Davis (1983) definisce impresa familiare “quelle dove la politica e la direzione aziendali sono soggette ad una significativa influenza da parte dei membri di una o più famiglie”. Secondo questa prima definizione, i ruoli gestionali e di management sono comunque rivestiti dai componenti della famiglia ma non è escluso che possano essere ricoperti anche da manager esterni alla family firm. Questo può essere un primo punto di svolta nell’analisi del concetto di impresa familiare in quanto si è sempre pensato che un’impresa familiare fosse gestita e guidata dal fondatore e dagli altri membri designati all’interno del management, tuttavia non è escluso che manager non facenti parte

della famiglia possono essere inclusi all’interno della gestione aziendale.

Volendo escludere questa ipotesi, altri autori come Anderson e Reeb (2003), Faccio e Lang (2002) identificano la family firm come un’impresa fondata da una famiglia o dal fondatore che detengono una quota di proprietà. Ampliandone il significato, anche una ditta individuale gestita dal fondatore

rientra nella definizione di cui sopra.

Nello specifico, Schillaci5identifica l’impresa familiare come “un’attività imprenditoriale che possa

intimamente identificarsi in una famiglia (od anche in più di una famiglia), per una o più generazioni. L’influenza della famiglia sull’impresa è legittimata dalla titolarità di tutto o parte del capitale di rischio ed esercitata anche attraverso la partecipazione di alcuni dei suoi membri di management”. Da questa definizione si passa già a un concetto più evoluto e più specifico di impresa familiare: si parla di titolarità del capitale di rischio detenuta dalla famiglia proprietaria, si fa riferimento non solo all’azienda come luogo di lavoro ma che per un membro della famiglia, indipendentemente dal ruolo ricoperto all’interno della stessa, può essere anche vista come una seconda abitazione ed essere così “intimamente” coinvolto dall’andamento dell’impresa.

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Unendo questi vari aspetti, è possibile giungere ad una definizione più precisa e che al meglio possa

identificare l’impresa familiare.

Dell’Atti6 la definisce così “un’impresa si definisce familiare quando una quota del capitale di rischio, sufficiente a garantire il controllo della medesima, è posseduta da una o più famiglie ed, inoltre, uno o più membri di queste famiglie prestano il proprio lavoro (direttivo o manuale) all’interno di essa”. Quindi, i punti fondamentali che identificano un’impresa familiare sono:

- La dimensione aziendale non conta: un’impresa familiare può essere una piccola impresa sviluppata a livello locale come una grande impresa multinazionale;

- Fondamentale è il controllo: per essere un’impresa familiare è necessario che una o più famiglie detengano il controllo della stessa e che siano attivamente partecipi nella vita aziendale. Non importa il legame con cui sono coinvolti, l’importante è che siano partecipi nell’attività operativa dell’impresa. Questo evidenzia anche il legame con cui i membri sono coinvolti all’interno della vita aziendale: non è un semplice rapporto di lavoro ma una sorta di dipendenza per la vita d’impresa;

- Le relazioni familiari sono la base per un family business: sono fondamentali sia per la vita dell’impresa e ancora di più nelle fasi cruciali, come il processo di successione;

- Ultimo aspetto ma non meno importante è il valore d’impresa che spesso coincide con quello della famiglia che l’ha fondata.

Elemento caratterizzante e distintivo è quindi il rapporto familiare all’interno dell’impresa, un rapporto che coinvolge i membri della famiglia nei vari ruoli d’impresa, da quelli di comando a quelli operativi, tuttavia sarebbe limitativo pensare che un’impresa familiare sia sempre e solo gestita dalla famiglia fondatrice e per questo è opportuno includere, come già detto in precedenza, anche le imprese familiari che sono affiancate anche da figure manageriali esterne alla famiglia.

ELEMENTI CARATTERIZZANTI DEL FAMILY BUSINESS

L’impresa familiare è dunque l’unione tra le necessità di fare impresa, e quindi legato al principio di economicità, e i valori della famiglia. Questa accoppiata non può che altro caratterizzarsi da dei punti di forza che identificano al meglio la fattispecie del family business. Grazie ai valori fondanti della famiglia trasferiti poi all’interno dell’impresa, alla completa dedizione della famiglia verso la società e alla visione di lungo periodo a cui sono legati, si può affermare che l’impresa familiare può

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attuare le proprie strategie in un modo diverso, differenziandosi rispetto ai competitor non familiari. Qui di seguito verranno presi in considerazione gli elementi che la caratterizzano e le strategie di business non convenzionali che essa può sfruttare.

Compattezza strategica e diversificazione

Dal punto di vista delle non family firm, la diversificazione può essere vista come l’opportunità per i manager di costruire i cd. imperi, cioè di diversificare le aree di business su cui investire (anche se poco profittevoli) al fine di dimostrare le proprie capacità imprenditoriali o per impressionare il mercato dimostrando la propria bravura nel saper gestire e amministrare un’azienda dalle dimensioni elevate. Tuttavia, Berger e Ofek (1995) hanno dimostrato che la diversificazione a livello d’impresa non aumenta il suo valore di mercato ma anzi il mercato può vedere tale diversificazione come la mancata capacità di uno o più manager di gestire più business tra loro profondamente diversi facendo così diminuire il valore di mercato dell’azienda.

Per un family business la diversificazione assume un significato diverso. Dal momento che l’attività d’impresa è gestita dalla famiglia risulta molto più difficile per la stessa mettere in atto investimenti che possano compromettere la vita dell’azienda e, successivamente, la reputazione della famiglia. Da questo si deduce che l’allineamento tra proprietà e controllo fa sì che gli interessi del management così come quelli degli azionisti riducano il rischio dei conflitti di agenzia (Fama e Jensen 1983a). Ciò è dovuto anche dal fatto che la famiglia investe la maggior parte della propria ricchezza all’interno dell’azienda e questo ulteriormente comporta la maggiore responsabilità in capo alla stessa e quindi l’impegno che metteranno per il sostegno della società. Ne deriva una maggiore stabilità e responsabilità nei propri investimenti, diversamente dai non family business che in alcuni casi preferiscono ottenere buoni risultati nel breve periodo a discapito di investimenti più profittevoli nel medio-lungo periodo.

Prospettiva di lungo periodo

Come detto in precedenza, l’impresa familiare tende ad allocare nel modo migliore le proprie risorse preferendo investimenti a rendimento positivo nel medio-lungo periodo a discapito di investimenti apparentemente profittevoli nel breve periodo. Difatti una family firm vede la propria azienda come un valore da tramandare nel tempo e da consegnare ai propri discendenti e per questo può attuare una strategia non convenzionale di questo tipo. Inoltre, l’aspetto reputazionale per un family

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business è fondamentale: il rapporto che si crea con gli stakeholder, intesi sia come fornitori o finanziatori, fa sì che si stabiliscano rapporti più duraturi nel tempo non solo dal punto di vista economico.

Ottica totalmente differente da un’impresa non familiare, dove i manager preferiscono sostenere gli utili correnti rifiutando progetti a valore positivo nel lungo periodo, dovendo rendere conto periodicamente dei progressi e dei traguardi raggiunti agli investitori. L’aspetto reputazionale con fornitori o investitori viene meno dal momento che i manager spesso cambiano e modificano le condizioni economiche e si instaurano rapporti prettamente lavorativi e meno “confidenziali”.

Flessibilità

La flessibilità per una family firm consiste nel saper gestire le, a volte, poche e limitate risorse al fine di porre in essere investimenti profittevoli nel lungo periodo. È risaputo, infatti, che il family business sia da sempre restio nel richiedere finanziamenti esterni o all’ingresso di soci “estranei” alla famiglia. Tuttavia, la flessibilità dell’impresa può concretizzarsi in uno sviluppo di forme di business più creative e magari più efficienti che possano così portare a una riduzione del debito e

ad una maggiore liquidità (Anderson e Reeb 2003).

Diversamente, le non family firm si caratterizzano per l’elevata disponibilità di liquidità che può comportare investimenti frettolosi e spreco di risorse in attività poco remunerative. Flessibilità è anche intesa come flessibilità gerarchica all’interno dell’impresa familiare. Generalmente l’impresa familiare viene vista come un’organizzazione poco strutturata, poco gerarchizzata e non professionale (Chandler, 1990). Di fatto, paternalismo e nepotismo sono i principali aspetti che emergono non appena si parla di family business (Schulze, Lubatkin e Dino, 2003) e immediatamente fanno pensare a una gestione poco efficiente. Tuttavia, uscendo da questo elemento di debolezza e cercando di interpretare la flessibilità come un elemento positivo, l’impegno dei familiari di tale organizzazione deve essere quello di imporre un certo tipo di disciplina (ovvero costruire una struttura gerarchica) al fine di ottenere performance più soddisfacenti nel lungo periodo.

Un non family business tende ad essere più gerarchizzato e manageriale, gode di meno flessibilità interna e risulta più concentrato a mettere in atto atteggiamenti legati al “fare ciò che si aspettano gli investitori” anziché “fare la cosa giusta”.

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Fiducia e impegno

Secondo Steier (2001b) alla base della famiglia ci deve essere un legame basato sulla reciproca fiducia dei membri che, se usato in modo efficace ed intelligente, può portare a un vantaggio strategico non da poco. La fiducia è importante anche per porre in essere una strategia a lungo termine. Senza di essa si genererebbe una sfiducia tra i vari membri, innescando un meccanismo volto a preferire risultati apparentemente soddisfacenti nel breve periodo a discapito di quelli a lungo periodo molto più profittevoli e redditizi. Fiducia è anche la completa coesione tra le varie aree di business dell’azienda, ovvero un business diversificato richiede fiducia tra le varie business unit e il vertice aziendale che possa garantire una certa stabilità seppure tra aree di business diverse. Inoltre, la famiglia di giorno in giorno cerca di far crescere ed espandere il proprio business, non solo per generare ricchezza attuale ma anche per trasmettere l’attività alle generazioni future. La completa fusione tra famiglia ed impresa fa sì che i membri si identifichino con l’azienda ed è anche per questo motivo che investono molte delle loro risorse così come dedichino il proprio tempo a favore dell’impresa.

LIMITI LEGATI AL FAMILY BUSINESS

Se da un lato il family business gode di vantaggi in termini di strategie dall’altro è anche vero che soffre di alcuni limiti legati soprattutto al coinvolgimento familiare all’interno della gestione operativa dell’impresa. Rispetto alle non family firm, il controllo da parte della famiglia proprietaria può comportare una gestione meno efficiente e soprattutto protettiva nei confronti dei terzi. Di seguito, nello specifico, alcuni dei limiti di cui il family business soffre.

Il coinvolgimento della famiglia nelle dinamiche dell’impresa

La completa fusione tra famiglia ed impresa può creare un forte limite per lo sviluppo e la crescita di quest’ultima. Un controllo familiare che si sviluppa in un arco temporale di lungo periodo potrebbe generare una situazione di stallo impedendo così l’apertura e lo sviluppo che un’impresa può richiedere. Al contempo, il controllo e la gestione detenuti per un lungo periodo nelle mani degli stessi soggetti determina una sorta di chiusura verso l’ingresso di soggetti terzi e quindi la mancata possibilità di sviluppare nuove idee, nuove opportunità e di ampliare le conoscenze che

dei potenziali nuovi investitori potrebbero portare.

Il coinvolgimento della famiglia porta anche al trasferimento dei valori familiari sui quali l’azienda è nata e si è sviluppata nel tempo, trasferendo così tutti i limiti caratterizzanti della famiglia

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fondatrice. Ad esempio, è da sempre risaputo il ruolo marginale affidato ai giovani all’interno dell’impresa, per quanto capaci e in grado di portare innovazione e approcci differenti al business.

La gestione della successione aziendale

Nel ciclo di vita di un’impresa familiare sono molteplici le fasi che essa affronta. Inizialmente, il fondatore gestisce ed amministra l’impresa in modo autonomo, prendendo le decisioni da solo o al massimo coinvolgendo i pochi membri familiari che partecipano nell’impresa. Questo tipo di sistema “flessibile” può funzionare solo durante il primo stadio di vita dell’impresa: il fondatore definisce in autonomia i processi aziendali, i prodotti da offrire senza i vincoli o gli obblighi di altri organi gestionali.

Nel momento in cui l’azienda cresce e amplia il proprio business essa richiede una struttura organizzativa sempre più strutturata e organizzata. In particolare, uno dei momenti cruciali e delicati della vita dell’impresa è la successione. Molti studi purtroppo affermano che la maggior parte delle imprese familiari difficilmente riescono a sopravvivere in seguito all’uscita di scena del fondatore, soprattutto a causa della mancata pianificazione del passaggio generazionale. Solamente un terzo delle family firm riesce a raggiungere la seconda generazione (Ward, 1987) mentre, secondo uno studio di Neubauer e Lank (1998), il 95% delle family firm fallisce prima che arrivi alla quarta generazione. Altri studi evidenziano che, in seguito alla presa di responsabilità gestionali della seconda generazione, meno del 30% sopravvive. Da questi dati emerge che il problema del ricambio generazionale non riguarda solo la vita dell’impresa e i relativi riflessi nella gestione e nel proseguo aziendale, in termini più ampi influenza anche l’economia in cui esse operano. Freidman e Singh (1989) mettono in luce le criticità legate al passaggio generazionale, evidenziando come tale annuncio comporti delle fluttuazioni nel valore di mercato. Oltre a questo, il passaggio generazionale può comportare un periodo di squilibrio legato a chi sarà il nuovo successore. Nel caso in cui il nuovo manager sia già un membro noto all’interno dell’impresa, il periodo immediatamente successivo al suo ingresso sarà poco movimentato, specialmente se il fondatore rimane all’interno del board. Al contrario, l’inserimento di un manager esterno all’impresa familiare, può portare a un periodo caratterizzato da forti squilibri interni. Anzitutto, il nuovo manager, pur di affermarsi all’interno dell’impresa e dimostrare la propria bravura, è capace di apportare importanti modifiche alle procedure gestionali o di modificare le strategie di business finora utilizzate (Helmich e Brown, 1972). Oppure, l’ingresso di un manager esterno può portare a dei conflitti tra i membri della famiglia mai appianati prima d’ora e questo potrebbe creare instabilità nella società.

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Il problema del passaggio generazionale, specialmente in una family firm, è una fase tutt’altro che marginale e, man mano che l’impresa cresce e con essa il numero di partecipanti, aumenta anche il numero di candidati che ambiscono a ricoprire ruoli gestionali o amministrativi di un certo livello. Date tutte queste possibili complicanze, diventa un po' più chiaro perché questa fase venga sempre rimandata nel tempo; talvolta è proprio questo continuo rimandare che porta alla fine della vita dell’impresa. Per questi motivi è opportuno che la fase di successione sia gestita come qualsiasi altra fase che un’impresa durante il proprio ciclo di vita incontra: deve essere pianificata, non solo per definire il nuovo successore, ma anche per riuscire a minimizzare tutti gli squilibri che il ricambio generazionale porta, sia all’interno dell’impresa ma anche nel mercato. È una fase da pianificare anche per il fondatore, in quanto dopo una vita dedicata all’impresa, il ritiro e il dover lasciare la gestione ad un nuovo manager, comporta non solo una perdita del controllo ma anche una riduzione del suo ruolo e della sua autorità oltre che all’accettazione dell’invecchiamento e al futuro abbandono della sua attività.

IL RUOLO DELLA FAMIGLIA NELL’AZIENDA

Come già detto in precedenza, il ruolo della famiglia all’interno dell’impresa diventa un elemento caratterizzante per e nella gestione dell’impresa, implicando poi forti coinvolgimenti da parte di ciascun membro. Di seguito verranno esaminati gli aspetti legati alla relazione tra impresa e famiglia.

Principi dell’impresa familiare

Quando si parla di impresa familiare, si intende un sistema che si distingue non solo dal punto di vista della composizione del board, piuttosto che dalla partecipazione dei membri della famiglia, ma si intende anche di un sistema aziendale dalle particolari caratteristiche. Alcuni studi hanno dimostrato il legame psicologico7 che lega l’azienda ai membri della famiglia, individuando così le dinamiche che la caratterizzano così come i conflitti che possono nascere nella

gestione di un’azienda familiare.

Tendenzialmente, i principi che regolano le relazioni all’interno del family business sono: - partecipazione;

- protezione; - uguaglianza.

7 Nello specifico si veda: Kepner E., The family and the firm: a coevolutianary perspective in Organization Dynamics,

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Mentre le non family firm sono solitamente gestite attraverso i principi di: - analisi critica;

- selezione; - meritocrazia.

È chiaro dunque che i possibili conflitti possano emergere sulla base dei principi appena evidenziati, conflitti come la suddivisione dell’asse ereditario, piuttosto che i vari ruoli da attribuire ai membri

della famiglia oppure alle decisioni di reinvestimento.

Lansberg8, nei suoi vari studi, evidenzia la sovrapposizione che si genera tra impresa familiare e azienda e indica i tratti distintivi che differenziano le norme e i principi che vigono nella famiglia contro quelli dell’impresa (intesa come quell’istituzione volta a generare profitti secondo il principio

di economicità).

A titolo di esempio, il processo di selezione all’interno di un’impresa avviene sulla base delle competenze e qualità che una persona possiede, sulla base di un’attenta selezione. Nel caso di un’impresa familiare, la selezione avviene (quasi) esclusivamente tra i vari membri della famiglia. Nel caso della formazione, l’impresa tende a fornire gli strumenti e i supporti adeguati alla formazione di un nuovo inserimento, sulla base delle esigenze dell’organizzazione. Al contrario, invece, per un family business, i membri vengono formati indipendentemente dalle loro capacità, purché rimangano all’interno dell’impresa familiare. È chiaro che in quest’ultimo caso viene meno il principio di meritocrazia a favore della protezione verso il familiare. Di seguito viene riportata la tabella che sintetizza quanto afferma Lansberg, evidenziando appunto le varie differenze che vigono tra impresa e famiglia.

Norme della famiglia Norme dell’impresa

Selezione Assunzione di persone di famiglia

Assunzione di persone competenti

Formazione In base alle esigenze del singolo

In base alle esigenze dell’organizzazione

8 Lansberg I.S., La gestione delle risorse umane: il problema della sovrapposizione istituzionale, in Problemi di gestione,

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Valutazione La persona vista come fine secondo il principio egualitario

La persona vista come mezzo per i fini dell’impresa secondo il

principio meritocratico, in base alle capacità e ai risultati

Ricompensa In base al fabbisogno del singolo (aiuto incondizionato

secondo le necessità individuali: criterio affettivo)

In base al valore delle prestazioni (compenso condizionato a competenze, risultati e mercato del lavoro)

Tabella 1 – Differenze tra norme della famiglia e norme dell’impresa

Altri autori9, invece, hanno identificato i principi che sono alla base del comportamento familiare,

traslandoli poi all’interno della family firm.

Aspetti come la coesione e la condivisione dei valori non fanno altro che rafforzare l’unione tra i membri e l’appartenenza all’organizzazione, permettendo loro di identificarsi all’interno della stessa. Un altro aspetto a cui la famiglia tiene molto è la reputazione, specialmente nel family business italiano. Se in passato la reputazione consentiva all’impresa di accedere con più facilità al credito, oggi le consente di instaurare rapporti non solo a livello economico (clienti, fornitori o

stakeholder) ma anche a livello locale o nazionale.

A livello locale, l’impresa familiare crea un legame con il territorio e con la comunità con cui opera che nel tempo può diventare simbolo della stessa. Questo tipo di legame viene ciclicamente rafforzato da un serie di elementi: la presenza dell’impresa nel lungo periodo (data la prospettiva intergenerazionale) ovvero la difficoltà nello spostare la propria sede dal luogo in cui è nata. Questa difficoltà nasce dai legami che l’impresa familiare crea con il territorio e con la sua capacità di attrarre risorse che, in un altro luogo, farebbe fatica a ritrovare, come ad esempio la forza lavoro, fornitori locali piuttosto che finanziatori consolidati e “fidelizzati”. L’impresa diventa un punto di riferimento per il territorio facendolo così crescere e prosperare; questo principalmente accade perché il fondatore, nato e cresciuto nel territorio, porta i suoi valori all’interno dell’impresa, valorizzandolo ancor di più e diventando “l’incarnazione della personalità del fondatore” (Hollander e Elman, 1988). Da una generazione all’altra, il radicamento con il territorio si fa sempre più forte,

9 R. G. Donnelley, The family business, in Family Business Review, 1 (4), 1998; R. Tagiuri e J. Davis, Bivalent attributes of the Family Firm, in Family Business Review, vol. 9, n.2.

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acquisendo identità e reputazione nella comunità locale sia per la famiglia sia per l’impresa (Davis, Schoorman e Donaldson, 1997). Inoltre, il forte legame del fondatore con il territorio, si tramuta poi nella partecipazione a consigli di amministrazione di ospedali o associazioni benefiche, creando anche un legame di tipo personale e contribuendo al benessere del territorio (Gnan e Montemerlo, 2002).

In generale, le imprese familiari tendono a condividere la loro fortuna con la comunità locale dove vivono (Graafland, 2002) e evitano di porre in atto comportamenti nocivi che possano compromettere la loro reputazione. Una serie di comportamenti negativi porta alla perdita della credibilità prima della famiglia e poi anche dell’impresa. Oltre al radicamento con il territorio e alle azioni benefiche, l’impresa deve anche dimostrare attenzione verso il proprio prodotto e alla qualità, aspetti che contribuiscono alla reputazione della famiglia.

L’unione di questi aspetti rende forte il legame tra azienda e territorio generando un clima di fiducia tra clienti, fornitori, dipendenti e cittadini necessario per la continuità e reputazione aziendale. Tuttavia, il rovescio della medaglia si tramuta nei problemi familiari che si manifestano nell’ambiente aziendale, generando conflitti e tensioni. Oltre ai favoritismi e la mancanza di principi meritocratici per l’assunzione (di cui si parlerà in seguito) un altro tasto dolente riguarda la questione successoria. Come già anticipato in precedenza e si approfondirà in seguito, è luogo comune che molti fondatori tendano a posticipare nel tempo la programmazione di questo momento, lasciandolo al caso oppure decidendo frettolosamente il nuovo successore, senza una

logica obiettiva e a favore del business.

Qui di seguito vengono illustrati i punti di forza e debolezza della famiglia, che poi incidono all’interno dell’organizzazione familiare.

Punti di forza Punti di debolezza

Coesione Condivisione Capacità di mobilitazione Reputazione – tradizione Autoreferenzialità Conformismo

Sottovalutazione dei segnali critici Favoritismo – nepotismo

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Solidarietà

Logiche di lungo termine Relazioni con il territorio

Attenzione al prodotto e alla qualità

Tensioni – disaccordi

Bassi livelli di competizione interna Scarsa disciplina al profitto

Tabella 2 – Punti di forza e debolezza nella relazione impresa/famiglia

La costituzione della famiglia

Ancor prima della costituzione dell’impresa, vi è la costituzione della famiglia. Tra i membri della famiglia si crea un legame di fiducia che si trasmette poi anche nella gestione dell’attività nei suoi diversi ruoli, creando così la possibilità per il business di crescere nel tempo. Tendenzialmente nelle piccole imprese familiari esiste un insieme molto informale di regole e consuetudini che regolano il funzionamento dell’impresa, definendo diritti e obblighi dei membri della famiglia, le conseguenti responsabilità di ciascun ruolo e, se definiti, anche gli organi che governano l’impresa. Una costituzione più formale comporta alla definizione molto più precisa della visione familiare dell’azienda, esprimendo non solo i valori della famiglia ma anche le regole tra i vari membri e ruoli aziendali; possono anche essere definite le istituzioni, come comitati ed assemblee, che intervengono all’interno dell’azienda.

Lo scopo della costituzione della famiglia, altrimenti detta “regole e regolamenti della famiglia”, è quello di stabilire i principi di vision e mission del business, raggiungibili attraverso l’impegno della famiglia. La costituzione stabilisce i ruoli dei membri, la composizione del board e i poteri di cui ciascun organo gode (come ad esempio il consiglio d’amministrazione). Vengono anche stabilite le relazioni tra i vari organi, imponendo regole anche ai membri su come relazionarsi con i vari organi, a seconda delle posizioni di cui ciascun membro gode (Montemerlo e Ward, 2005). Definendo i limiti entro cui un membro può muoversi e stabilendo i rapporti tra lui e gli organi di gestione, si crea una forte sinergia capace di evolversi man mano che si evolve il business e al contempo la family firm. Un ulteriore aspetto fondamentale per l’equilibrio all’interno della family firm riguarda le policy per l’assunzione dei membri della family firm. Sebbene possa apparire scontato che l’ingresso di un membro sia (quasi) automatico, è anche vero che l’accesso a tutti i membri, indipendentemente dalla loro capacità o bravura, deve essere in qualche modo regolamentato, in modo tale da non doversi ritrovare con più persone impiegate nell’attività rispetto a quelle di cui effettivamente

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necessita l’impresa. Tali regole dovrebbero essere introdotte valutando nello specifico le singole family firm e con lo scopo di attrarre le migliori competenze per lo sviluppo del business, non solo per quanto riguarda i membri ma anche per eventuali dipendenti o manager esterni alla famiglia. Inoltre, l’imposizione di regole può rendere l’ambiente lavorativo più equo e meritocratico, evitando conflitti o malumori tra i vari soggetti, siano essi interni od esterni all’impresa, creando così più valore all’interno dell’impresa (Dyer, 1996).

Management familiare

La combinazione tra famiglia e impresa spesso genera una fusione tra i due “sistemi” dalla quale nascono competenze peculiari che portano all’impresa un vantaggio non da poco.

L’insieme di soggetti che costituiscono una famiglia sono tra loro diversi, con diverse attitudini e ambizioni e conseguentemente diversi obiettivi. Sono proprio queste diversità, non solo caratteriali, ma anche attitudinali, che rendono più difficoltosa la relazione tra i vari membri e la società. Considerando i ruoli che un membro può assumere all’interno della family firm, capita spesso che in capo ad un soggetto si concentri più di un ruolo con le relative responsabilità del caso. Generalmente, questo tipo di ruoli concentrati su di un solo soggetto, sono tipici di un’impresa piccola e poco strutturata. Oltre a ciò, la molteplicità di ruoli in capo ad un soggetto, può portare alla mancata coesione decisionale rispetto alle varie strategie di business da porre in atto, generando così conflitti interni tra i vari membri.

La gestione manageriale affidata ai membri della famiglia mette in atto un processo di lealtà e fiducia fra loro, creando così un sistema decisionale flessibile e cercando di minimizzare la possibile tendenza di taluni membri nell’estrarre i propri benefici privati. Nel contesto della family firm, la “stewardship theory” (Davis, Schoorman e Donaldson, 1997) è ancora più forte, data la forte unione tra valori dell’impresa e valori della famiglia, comportando così la (quasi) completa esclusione di comportamenti opportunistici a favore degli obiettivi aziendali. A rafforzamento di ciò, Fahlenbrach (2009) afferma che la generazione del fondatore, identificandosi ancor meglio nelle idee e nelle strategie dell’impresa che sta creando il suo business, riesce a comprendere la responsabilità di far crescere il business e quindi risulta maggiormente coinvolta nel perseguire gli obiettivi aziendali. Di fatto, altruismo e vincoli di parentela riescono ad arginare i costi di agenzia e, grazie ai valori come l’unità e la fiducia reciproca, si riducono asimmetrie informative creando una proprietà collettiva (intesa come un’unità tra i vari partecipanti in cui realizzano sé stessi e gli obiettivi

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aziendali) che si traduce in un maggior impegno volto ad ottenere performance sempre più superiori (Van den Berghe e Carchon, 2003). La completa unione tra i membri della famiglia e il management interno crea dunque un vincolo basato su la lealtà e il rispetto verso l’attività stessa, l’amministratore è il rappresentante degli interessi dell’impresa, oltre che immagine per la stessa, e il board diventa così il suo braccio destro per creare ed accrescere valore d’impresa. Al di là della visione più ottimistica finora fornita, è opportuno anche considerare gli aspetti negativi del management familiare. Affidare la gestione dei ruoli manageriali ai soli membri della famiglia può presentare un duplice limite: il primo è correlato all’estrazione dei benefici privati da parte dei membri della famiglia e il secondo collegato alle scarse performance aziendali che una persona con poche doti manageriali può dare. Demsetz e Lehn (1985) affermano che tendenzialmente i membri della famiglia desiderano occupare i ruoli apicali all’interno del board in quanto, attraverso la buona retribuzione che essa può garantire, riescono a soddisfare i propri bisogni di consumo. Inoltre, come affermano Morck, Shleifer e Vishny (1988), soci di maggioranza e amministratori tendono a voler rimanere a lungo nel management per il solo scopo di estrarre benefici privati creando così un ostacolo alla vita dell’impresa, oltre che dell’equilibrio familiare.

In secondo luogo, la mancata apertura verso l’inserimento di manager esterni all’impresa può causare un costo-opportunità non indifferente. Affidare un ruolo manageriale a un familiare poco capace può causare un danno alle performance aziendali e comportare nel lungo periodo al declino dell’impresa. Alcuni studi (Morck, Shleifer e Vishny, 1988) dimostrano che sotto la guida del fondatore (che è anche l’amministratore, il cd. “founder CEO”) molte imprese hanno avuto importanti momenti di successo che sono venuti poi a mancare con l’ingresso dei suoi discendenti. A conferma di ciò, imprese familiari più longeve possono presentare performance peggiori grazie anche alla presenza di membri familiari che sono azionisti di maggioranza che, pur rimanendo a capo di ruoli importanti, non sono qualificati per gestire l’evoluzione e la crescita del business. La prevalenza di membri familiari nel board può mettere ulteriormente in cattiva luce l’impresa, dando l’idea al mercato che l’ingresso di amministratori esterni non sia così agevole e, conseguentemente, non sia così scontato il loro raggiungimento di posizioni di livello nel management (Schulze, 2001). Ciò può comportare la difficoltà da parte dell’impresa familiare di attrarre manager esterni qualificati. Tuttavia, come precedentemente detto, per ovviare a questo potenziale problema, l’impresa potrebbe impostare delle regole di assunzione meritocratiche, che rendano possibile non solo l’accesso a manager più qualificati ma che allo stesso tempo l’impresa riesca a motivare e conservare il rapporto con i manager e dipendenti. Ancora, secondo la

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“stewardship theory”, creando un’unione forte e sinergica tra famiglia e manager, quest’ultimi si identificano con l’attività di cui si occupano rispettando i valori dell’impresa e della famiglia fondatrice raggiungendo così gli obiettivi prefissati dalla società anziché perseguire i propri, per ambizioni o manie di grandezza e, così facendo, aumentando il valore dell’azienda.

LE IMPRESE FAMILIARI IN ITALIA

Le imprese familiari in Italia hanno un ruolo tutt’altro che marginale nell’economia. Uno studio10 di Banca d’Italia rileva che, su un campione di 1.200 imprese industriali italiane sono controllate circa il 46% direttamente dall’imprenditore o da una stretta cerchia di persone tra loro legate da un legame di parentela, mentre il 33% risulta essere controllato da imprese capogruppo al cui vertice vi sono altre famiglie.

Uscendo dal contesto italiano, i dati elaborati dal Centro Studi sull’impresa di famiglia “Di padre in figlio” rileva il peso delle imprese familiari nel mondo. La tabella 3 riporta i dati di tale studio:

Paese FB sul totale % Contributo FB sul PIL % Forza lavoro impegnata Usa 96 40 50 Australia 80 50 45 Cile 75 50-70 - Italia 90 80 75 Regno Unito 70 65 60 Francia 60 60 43 Portogallo 70 60 - Spagna 75 75 - Belgio 75 55 - Germania 60 66 71

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Finlandia 70 40-45 -

Tabella 3 – dati del 2002 del Centro Studi sull’impresa di famiglia “Di padre in figlio”.

Dai dati rilevati si evince il forte contributo che le imprese familiari hanno nello sviluppo della ricchezza dei vari paesi, che si deduce dalle alte percentuali di incidenza sul PIL. L’incidenza delle family firm a livello globale è elevata, negli stati presi in esame superano nella maggior parte dei casi il 60% con un contributo sul PIL superiore del 50%, ad esclusione di USA e Finlandia.

A livello nazionale emerge il ruolo rilevante delle imprese familiari e la conseguente incidenza sulla ricchezza totale. Nello specifico, Cnel e Unioncamere11 hanno voluto investigare sulle tipologie di settori in cui le imprese familiari italiane sono maggiormente presenti. La tabella 4 riporta tali dati:

Settore Totale imprese Imprese familiari %

Agricoltura e pesca 1.282.788 1.154.509 90

Attività manifatturiere 874.628 804.658 92

Commercio 1.632.639 1.485.701 91

Altre attività produttive e servizi 2.040.799 1.795.903 88

Totale 5.830.854 5.247.769 90

Tabella 4 – dati del 2002 Cnel e Unioncamere

La diffusione delle aziende familiari riguarda principalmente il settore manifatturiero, ovvero uno dei settori più tradizionali rispetto a quelli capital intensive, come può essere il settore terziario avanzato in generale. Dunque, il settore manifatturiero come quello del commercio, a distanza di un solo punto percentuale uno dall’altro, spiega come è composta la frazione delle imprese familiari. Dalla rilevazione Istat nell’anno 200712 si rileva che l’elevata percentuale di family firm è strettamente correlata con le piccole e medie imprese. Le PMI rappresentano più del 90% delle family firm e impiegano più del 94% della forza lavoro anche in questo caso nei settori più tradizionali come il tessile o l’abbigliamento, piuttosto che il meccanico o l’artigianato.

11 Dati del 2002 Cnel e Unioncamere

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Non da meno, l’incidenza delle family firm nella forza lavoro a livello nazionale è un aspetto molto importante. Sulla base dei dati riportati nella tabella 3, anche a livello mondiale le family firm creano molta forza lavoro. I dati riportati non comprendono tutti gli stati e pertanto non è possibile stabilire l’incidenza a livello globale, ma dai pochi valori riportati risulta comunque che una buona fetta del mercato del lavoro è impiegata all’interno di un’impresa familiare.

Appare dunque chiaro la rilevanza delle imprese familiari in Italia e nel mondo come appare chiaro che lo sviluppo economico e industriale sia fortemente legato a questa fattispecie. Una mancata gestione e una bassa tutela da parte delle istituzioni potrebbe compromettere la vita di questa ampia fetta di aziende, non solo per quanto riguarda l’aspetto economico, quale il PIL, ma anche per quanto riguarda il livello occupazionale della forza lavoro.

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CAPITOLO 2 – LA GOVERNANCE DEL FAMILY BUSINES

Al fine di arrivare a comprendere quali sono i meccanismi che portano a semplificare la fase del passaggio generazionale è opportuno inquadrare al meglio il concetto di governance che regola il funzionamento del family business.

Una buona struttura di governance consente all’impresa di organizzare e suddividere le varie fasi che essa incontra per affrontarle al meglio. Nel dettaglio, viene definita da Sifuna (2012) come “il sistema di leggi e meccanismi attraverso cui le imprese sono gestite e controllate […] con lo scopo di monitorare i comportamenti del management e degli amministratori mitigando il rischio di conflitti di agenzia”. Emerge dunque che la corporate governance riguarda le relazioni tra il management, il consiglio di amministrazione, gli azionisti di maggioranza e di minoranza e gli altri stakeholder. Di seguito verranno esaminati gli aspetti identificativi della corporate governance, analizzati poi nel contesto di riferimento della family firm.

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IL CONCETTO DI CORPORATE GOVERNANCE

Il concetto di sistema aziendale

Data la sua importanza a livello economico, l’azienda attraverso la produzione o lo scambio di servizi, ha una funzione primaria che consiste nel soddisfacimento dei propri bisogni oltre che quelli della collettività. La dottrina si è spesso occupata dello studio di questa entità dalle mille sfaccettature, analizzando soprattutto le relazioni che legano l’impresa con l’ambiente esterno. Considerando ad esempio la teoria sistemica, i vari elementi che costituiscono il sistema aziendale sono strettamente legati tra loro da vincoli di interrelazione e di coordinazione. Oltre alle relazioni interne, ci sono anche relazioni esterne di diverso tipo, in base al quale l’azienda interagisce con i diversi soggetti dell’ambiente esterno. L’interazione con l’esterno può condizionare l’impresa in modo da modificare continuamente la propria struttura interna al fine di soddisfare le esigenze e le richieste che arrivano dall’esterno. Da questo emerge l’ottima capacità di adattamento alle diverse condizioni, mantenendo uno stato di equilibrio compatibilmente con le potenzialità e i limiti di cui l’impresa gode. Così facendo, grazie a delle situazioni sempre tra loro diverse, l’azienda riesce a raggiungere condizioni di equilibrio dinamico che le permettono di creare valore durevole nel tempo. È anche vero che questo tipo di comportamento può essere visto come un atteggiamento passivo e che l’azienda può avere un ruolo attivo nel proprio rapporto con l’ambiente esterno, cercando di tenere un comportamento di tipo strategico e anticipativo, influenzando determinate variabili. Tuttavia, indipendentemente dal tipo di atteggiamento tenuto dall’impresa, ci sono alcune variabili che non possono essere controllate direttamente ma che invece scaturiscono da informazioni o atteggiamenti che impediscono di conoscere l’esito del suo operare. Individuate queste caratteristiche, l’azienda viene anche vista come l’insieme delle seguenti forze:

- i mezzi, ovvero tutto ciò che è necessario per la produzione o il consumo;

- le persone, comprendendo quindi tutti i soggetti che partecipano attivamente all’attività aziendale;

- l’organizzazione, ovvero quell’insieme di regole e vincoli che regolano e gestiscono l’impresa e che insieme ai mezzi e alle persone contribuisce all’unitarietà del sistema, stabilendo le mansioni, i compiti e le responsabilità di ciascuna risorsa.

Emerge dunque il ruolo chiave che l’organizzazione ha all’interno del sistema impresa, che è la componente essenziale della gestione aziendale. Affinché tutti i membri dell’impresa svolgano le proprie funzioni attraverso i “mezzi” dell’impresa, è necessario che entrambi gli elementi vengano gestiti e organizzati in modo da creare una sinergia tra i due.

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Il seguente schema13 riporta il ruolo centrale dell’organizzazione all’interno dell’azienda:

L’organizzazione rappresenta dunque una delle tre forze del sistema aziendale e allo stesso tempo uno dei pilastri su cui si fonda l’amministrazione dell’azienda14.

Al fine di garantire la dinamicità del sistema azienda, per ognuna delle tre forze è necessario il continuo rinnovamento nel tempo, oltre che per il raggiungimento degli obiettivi a cui è destinato. Tuttavia l’organizzazione è solo uno strumento attraverso il quale l’impresa opera. Per arrivare ad un’ottima organizzazione funzionante ed efficiente è necessario che la componente personale lavori in sinergia.

Le risorse umane costituiscono la base per la vita e lo sviluppo dell’azienda, a partire dalla costituzione fino alla cessazione della stessa. Attraverso l’intuito imprenditoriale, la creatività e le competenze, la componente personale si sviluppa e si afferma sempre più nella vita di un’impresa. Sebbene l’avvento della tecnologia e della meccanizzazione abbia ridotto la capacità produttiva in termini di personale impiegato, la centralità dell’uomo non è venuta meno, andando a ricoprire i ruoli di controllore dei processi produttivi o, comunque, quelli amministrativi-gestionali. Con riferimento ai ruoli amministravi, emerge il cd. soggetto aziendale, ovvero quel gruppo di persone che, a partire dall’idea imprenditoriale, intesa come il complesso di strategie e di scelte relative alla produzione, alla gestione dei fornitori, alla ricerca dei clienti e così via, pensa e mette in atto il progetto aziendale conferendo i mezzi necessari per la realizzazione. A contribuire alla

13 Dell’Atti A., Il passaggio generazionale nelle imprese familiari, Cacucci, 2007.

14 Amaduzzi A., Il sistema aziendale ed i suoi sottosistemi, in “Rivista Italiana di ragioneria e di economia aziendale”,

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crescita e allo sviluppo aziendale vi sono poi i collaboratori a seconda delle mansioni e dei ruoli stabiliti. Delineato questo tipo di contesto emerge quindi una sorta di gerarchia organizzativa, al cui apice vi sono gli organi di governo che con le loro scelte possono stabilire le scelte dell’impresa, in funzione dei cambiamenti ambientali in cui l’impresa opera o delle esigenze di sviluppo, in prospettiva di continuità d’impresa. In generale, il punto più alto della gerarchia organizzativa è rivestito dalla proprietà dell’azienda, in una prima fase di vita d’impresa, e successivamente, per effetto dell’espansione aziendale, anche da soggetti esterni all’impresa (amministratori, direttori generali, ecc.), avendo la necessità di maggiori mezzi finanziari e competenze professionali sempre più qualificate. Al di sotto degli organi di governo vi è poi il livello direttivo-amministrativo a cui è affidato il compito di mettere in pratica le linee guida stabilite dall’organo decisorio. È a questo livello della struttura organizzativa che troviamo il management il cui compito è quello di amministrare l’impresa, stabilendo i meccanismi necessari per la messa in atto della strategia avendo sempre come base di riferimento le indicazioni fornite dall’organo decisionale. Oltre a questo, un altro dei suoi compiti è quello di controllare il raggiungimento degli obiettivi e delle politiche adottate. Attraverso il rilevamento di quanto stabilito a livello direzionale e quanto effettivamente ottenuto è possibile ripensare e riprogrammare i processi di gestione. Tuttavia, nelle aziende di una certa dimensione, all’interno dell’organo amministrativo vi è un accorpamento con la direzione aziendale. Infatti, dato il suo ruolo sempre più importante per la vita dell’azienda, la presenza di un delegato del consiglio d’amministrazione o dell’amministratore delegato, fa sì che il controllo sul raggiungimento degli obiettivi e sul lavoro degli organi esecutivi sia seguito più da vicino, apportando fin da subito gli aggiustamenti necessari al fine di migliorare le performance contribuendo alla crescita aziendale. È possibile quindi notare come l’organo amministrativo venga in gran parte privato del proprio potere esecutivo diventando quindi un organo di supporto alla funzione imprenditoriale svolta dai pochi membri delegati e da alcuni dirigenti di livello più elevato. Fazzi15 evidenzia come nel tempo la figura dell’imprenditore, a suo tempo identificato nella figura dell’unico fondatore che costituisce ed avvia l’impresa avvalendosi di pochi collaboratori, cambi identità. In seguito allo sviluppo industriale è possibile affermare che risulti difficile, se non impossibile, concentrare in un'unica figura tutti i compiti e gli impegni a cui la figura imprenditoriale dà luogo diventando quindi un insieme di soggetti che esercitano la leadership aziendale attraverso strumenti quali la pianificazione, il controllo e i nuovi strumenti informativi. Attestata, dunque, l’importanza delle risorse umane all’interno dell’organizzazione aziendale

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diventa fondamentale agire su di esse per stimolare la produttività. È opportuno quindi, che tutti i segnali, specialmente quelli negativi, che possono emergere nei vari livelli dell’impresa, vengano gestiti per tempo al fine di ristabilire l’equilibrio aziendale. Per questo è importante che all’interno dell’impresa vi sia un ottimo sistema di comunicazione attraverso cui le informazioni possano girare molto più velocemente di modo che il governo dell’impresa possa agire rapidamente. Inoltre, la comunicazione, diventa un elemento di identificazione e coinvolgimento delle risorse umane all’interno dell’impresa16.

La corporate governance

Elencati dunque i caratteri essenziali sul funzionamento a livello decisorio-gestionale dell’impresa, diventa indispensabile dare una definizione esaustiva sulla corporate governance. La corporate governance rappresenta il sistema di regole e vincoli sia di natura istituzionale sia di mercato attraverso le quali si perseguono gli interessi delle varie categorie presenti, come azionisti, stakeholder ma anche management e soci di maggioranza17.

“Il Sole 24 Ore”18 la definisce come “l’organizzazione interna d’impresa, che regola le relazioni fra i soggetti che a diverso titolo intervengono nello svolgimento dell’attività e che punta a tutelare i diversi interessi coinvolti. L’obiettivo di queste regole è quello di affidare la gestione d’impresa alle persone più adatte tutelando gli interessi legittimi di soci, creditori sociali e dipendenti e la trasparenza nella gestione”. Un ulteriore precisazione viene fatta per il termine governance che prende il significato inteso come azione ma anche di metodo, ovvero facendo riferimento al senso di responsabilità con cui le aziende devono operare.

Le definizioni a riguardo sono molteplici, ma tutte fanno riferimento al bisogno di regole e vincoli per i vari ruoli presenti in azienda e alla difficoltà di regolamentare un sistema complesso come quello aziendale dove, non sempre, la flessibilità tra i vari membri e ruoli è così facile e scontata. Una buona struttura di governance consente di creare uno sviluppo economico sostenibile, migliorandone le performance e facendo così crescere l’impresa. I punti chiave su cui si basa la governance sono:

16 Deanna M., La gestione delle risorse umane, in Lezioni di economia aziendale, Giappichelli, Torino, 1996. 17 Airoldi G., Brunetti G., Coda V., Lezioni di economia aziendale, il Mulino, Bologna, 1989.

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- le decisioni che definiscono la direzione strategica, ovvero gli investimenti da attuare nel lungo periodo, i potenziali progetti di fusione o acquisizioni future e, non meno importante, la pianificazione del passaggio generazionale futuro;

- Le azioni necessarie per monitorare le performance del management; - Le interazioni tra gli stakeholder.

Il governo dell’impresa, dunque, necessita di una definizione chiara per ciascun ruolo, dei diritti e dei doveri di ciascuno tenendo in considerazione le aspettative a cui l’impresa aspira e quali sono i suoi obiettivi principali.

Il compito della corporate governance può essere paragonato ad un processo di mediazione che consiste nella messa in atto di un’azione unitaria da parte di una struttura complessa, per l’appunto l’azienda, che adotta tutte le metodologie decisionarie necessarie con lo scopo di coniugare i diversi interessi dei diversi attori (soci, azionisti di maggioranza, società, enti pubblici, ecc.) che intervengono nella struttura aziendale. È necessario quindi, che venga individuata la particolare relazione che lega i diversi stakeholders tra loro, a partire dai soci di maggioranza fino a quelli di minoranza, considerando l’organo amministrativo, l’eventuale organo di controllo19, che devono essere ascoltati e gestiti secondo gli obiettivi aziendali con la massima trasparenza. Come detto precedentemente, la struttura di governance deve esprimere i processi necessari utilizzati per prendere le decisioni da parte dell’organo decisorio, stabilendo gli obiettivi e i risultati da raggiungere e descrivendo i mezzi da utilizzare. Fondamentale per le imprese è il raggiungimento degli obiettivi prefissati coniugandoli con gli obiettivi dei portatori d’interesse e quelli dei diversi stakeholders che partecipano attivamente nell’impresa, senza però lasciarsi troppo influenzare da questi soggetti-attori che possono avere interessi che non sempre corrispondono con il benessere e alle performance dell’azienda. Perché la struttura di governance si possa definire efficiente è necessario che tutti i soggetti, a partire dalla direzione aziendale fino ai portatori d’interesse, siano tra loro i più idonei, in grado di apportare capitale o che abbiano accesso agli strumenti finanziari necessari per lo sviluppo aziendale.

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IL CONCETTO DI CORPORATE GOVERNANCE PER LA FAMILY FIRM

Il concetto di corporate governance nel costesto del family business non è un argomento molto trattato e diffuso all’interno della letteratura aziendale, in quanto riguarda l’analisi di un governo di una tipologia d’impresa in cui vi è una sovrapposizione tra proprietà, management e controllo. La sostanziale differenza tra un family business e un non family business, dal punto di vista della governance, è data dalla presenza della famiglia. Come si è già detto nel capitolo 1, l’influenza dei membri della famiglia si riflette nella gestione dell’impresa. Dapprima, tutto si concentra nelle mani del fondatore, che stabilisce le linee guida per l’inizio dell’attività, tracciandone i connotati fondamentali. La maggior parte delle decisioni vengono prese dal fondatore e la governance è pressoché informale: non vi sono organi che autorizzano le decisioni prese o assemblee che devono deliberare sugli investimenti futuri. Con il passare del tempo l’impresa cresce e con essa aumenta il numero di membri della famiglia che sono coinvolti nell’attività così come aumentano le idee e le opinioni su come debba essere gestita l’azienda e quali strategie commerciali debbano essere impostate. In un contesto come quello appena descritto è importante stabilire una struttura di governance necessaria per la sopravvivenza dell’impresa, così come è fondamentale per arginare i possibili conflitti interni tra i vari membri o le varie regole che disciplinano i ruoli in azienda. È possibile riassumere i punti essenziali che regolano una buona struttura di governance all’interno di una family firm20:

- i valori fondanti della famiglia, ovvero ciò che sono la mission della famiglia e quindi dell’impresa e la visione di lungo periodo;

- la comunicazione delle regole che stabiliscono i rapporti tra i vari membri della famiglia e l’azienda, come ad esempio la distribuzione dei dividendi o di altri benefici aziendali;

- la periodica e necessaria informazione sul raggiungimento degli obiettivi così come sui futuri obiettivi e sulla direzione strategica che l’impresa intende seguire;

- una struttura di canali di informazione necessaria per i componenti della famiglia nel condividere idee o possibili problemi che sorgono nella normale vita dell’impresa.

In generale, il governo dell’impresa viene gestito dai vari membri e per questo rischia di diventare un affare di famiglia anziché un business che coinvolge diversi attori. Spesso, la gestione delle questioni riguardanti la corporate governance vengono prese dall’imprenditore mentre per quanto riguarda le decisioni a livello strategico e gestionale si riuniscono tutti i membri in assemblea,

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arginando così il problema della presenza di altri organi di gestione e di l’attuazione di procedure formali, sia per quanto concerne l’attività gestionale sia di controllo.

Tuttavia, la corporate governance assume un aspetto più rilevante se parliamo di family business sotto forma di società di capitali. In quest’ultimo caso, il Codice Civile impone una gestione molto più formale, sia dal punto di vista delle procedure amministrative e gestionali sia per quanto riguarda gli organi previsti. Dato il ruolo di sovrapposizione della corporate governance fra l’assemblea, l’organo di amministrazione e di controllo, risulta dubbioso il ruolo e le funzioni dei vari organi imposti dal legislatore al fine dell’ottimale gestione della governance. L’assemblea dei soci, ad esempio, ha tra le varie funzionalità, quella di approvare il bilancio d’esercizio, decidere in merito alla distribuzione degli utili, nominare i membri del consiglio di amministrazione e il sindaco dell’organo di controllo. È proprio in quest’ultimo aspetto che sorge la non congruità tra la teoria della corporate governance e quanto effettivamente può essere messo in pratica tenendo conto dei vincoli legislativi. La nomina dell’organo di controllo, ovvero del collegio sindacale, diventa obbligatoria quando vengono oltrepassati alcuni limiti imposti dall’articolo 2477 del Codice civile, ovvero:

a) se la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; b) se controllo una società obbligata alla revisione legale dei conti;

c) se il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni; d) se per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti imposti dal primo comma dell’art.

2435 c.c. ovvero:

1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000€; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000€;

3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità.

È chiaro, dunque, che oltre un certo livello, il fatto che sia un family business diventa irrilevante difronte alla legge e debba sottostare ai vincoli imposti dal legislatore come qualsiasi altra azienda, a maggior ragione nel caso di una società per azioni che, secondo l’art. 2397 c.c. prevede la nomina di un collegio sindacale formato da tre o cinque membri effettivi più altri due sindaci supplenti. Nell’attuale contesto della family firm, gli organi e gli strumenti più formali a supporto di tale fattispecie sotto l’aspetto della corporate governance sono il consiglio familiare e i patti di famiglia. Non è quindi possibile identificare una definizione o un modello specifico di corporate governance per le imprese familiari, sottoposto spesso a dei vincoli legislativi e, prima ancora, alla composizione

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e caratteristiche dell’assetto proprietario, dal quale si possono ricavare tre tipologie che incidono sulla proprietà e quindi sul governo dell’impresa:

- il grado di concentrazione della proprietà, ovvero come sono distribuite le quote azionarie o quanti sono i proprietari;

- la tipologia dei proprietari, identificandoli se membri della famiglia o esterni;

- il ruolo dell’assetto proprietario nelle decisioni riguardanti l’impresa, ovvero come vengono gestite dai membri familiari e se l’impresa viene considerata solamente come un affare di famiglia.

Come già anticipato nel capitolo 1, l’elevato grado di concentrazione dei membri familiari comporta spesso alla chiusura all’ingresso di soci esterni all’impresa o all’assegnazione dei ruoli manageriali e amministrativi esclusivamente ai membri della famiglia. Tuttavia, risulta essere piuttosto duraturo nel tempo l’aspetto istituzionale dell’impresa familiare per lo meno fino a quando non si trova a dover fronteggiare situazioni che possono creare discontinuità nella vita della stessa, come ad esempio la cessione di una parte di quote azionarie o la fase del ricambio generazionale. Quest’ultima riveste un ruolo molto importante, come vedremo in seguito, e può comportare a un possibile fallimento o a gettare le basi per dei nuovi successi. Per questo e per altri motivi la gestione della corporate governance non può essere lasciata al caso ed è necessaria per gestire e tutelare gli interessi di tutti gli attori che partecipano all’interno del business familiare.

Il ruolo delle assemblee familiari e del consiglio d’amministrazione

L’impresa familiare può essere vista come un ente molto sensibile al cambiamento nel corso del tempo e dal punto di vista strutturale. Fin dalla sua nascita, quando la struttura e l’organizzazione sono elementi omogenei all’interno dell’impresa e soprattutto le dimensioni sono molto piccole, spesso capita che la funzione e l’utilizzo degli organi di governo siano molto informali e che si faccia spesso ricorso a strumenti come le riunioni familiari fino ad arrivare ad un concetto più istituzionale e formale che corrisponde a quello delle assemblee familiari. Quando si parla di family firm occorre sempre prestare attenzione alla particolare e pericolosa sovrapposizione tra l’istituto “famiglia” e “impresa”, in quanto quest’ultima potrebbe essere colpita da cattive scelte gestionali e di business da parte di alcuni membri e compromettere così la sopravvivenza della stessa. Come detto in precedenza, nella fase iniziale della vita d’impresa, le riunioni familiari programmate costituiscono i primi passi verso l’organizzazione d’impresa e sono

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