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Espropriazione presso terzi. Analisi dell'istituto alla luce delle recenti riforme sul processo esecutivo.

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SOMMARIO

Premessa ... 2 CAPITOLO PRIMO ... 4 NOZIONI GENERALI SUL PROCESSO ESECUTIVO ... 4 1. Processo esecutivo in generale ed esecuzione forzata ... 4 1.1. Il fondamento dell’esecuzione forzata nel codice civile ... 6 1.2. Espropriazione presso terzi ... 7 CAPITOLO SECONDO ... 8 L’OGGETTO DEL PIGNORAMENTO ... 8 2. Il pignoramento di cose e i rapporti con l’art 513 c.p.c. ... 8 2.1. Situazioni intermedie. I titoli di credito. ... 9 2.2. Documenti di legittimazione (art. 2002 c.c.) ... 11 2.3. Conto corrente ... 11 2.4. Quote sociali ... 14 2.5. I crediti ... 19 2.6. (Segue): I crediti impignorabili ... 34 CAPITOLO TERZO ... 47 IL PROCEDIMENTO ... 47 3. Il pignoramento e il suo contenuto ... 48 3.1. (Segue): Pignoramento della quota di credito ... 60 3.2. Pegno o ipoteca a garanzia del credito pignorato ... 63 3.3. Dichiarazione del terzo ... 64 3.3.1. Dichiarazione positiva e suo contenuto ... 75 3.3.2. La dichiarazione negativa e le spese ... 80 3.4. L’accertamento dell’obbligo del terzo ... 82 3.5. L’assegnazione o la vendita ... 86 3.5.1. L’assegnazione dei crediti con scadenza entro novanta giorni ... 87 3.5.2. L’assegnazione di crediti con scadenza superiore a novanta giorni ... 90 3.5.3. L’ordinanza di assegnazione ... 91 3.5.4. Irrevocabilità dell’ordinanza di assegnazione ... 93 3.5.5. I possibili rimedi contro l’ordinanza di assegnazione ... 94 3.5.6. (Segue): L’opposizione agli atti esecutivi ... 96 3.5.6. (Segue): Opposizione all’esecuzione e opposizione di terzo all’esecuzione ... 97 3.6. L’istanza di assegnazione o di vendita ... 99 3.7. Infruttuosità dell’espropriazione forzata ... 100 Conclusioni ... 101 BIBLIOGRAFIA ... 104 SITOGRAFIA ... 105

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Premessa

Gli ultimi interventi del legislatore sul processo esecutivo hanno inciso, in modo particolare, sull’espropriazione mobiliare presso terzi.

La peculiarità di questo tipo di procedura esecutiva risiede nella esistenza di un rapporto trilatero che vede protagonista, oltre al creditore procedente e al debitore esecutato, anche un soggetto terzo che, pur rimanendo estraneo al processo di esecuzione, ne diviene figura indispensabile. Oggetto principale del pignoramento, infatti, diventano i beni rientranti nel patrimonio del debitore ma che si trovano in possesso del terzo o i crediti vantati dal debitore pignorato nei confronti del terzo.

Scopo di questo elaborato è analizzare l’istituto forse più controverso del processo esecutivo, disciplinato al capo III del libro III del codice di procedura civile, alla luce delle diverse riforme che lo hanno interessato negli ultimi anni fino al d.l. n. 83/2015, convertito in l. n. 132/2015, in vigore dal 21 agosto 2015.

La seguente trattazione si propone, dopo un breve excursus sul processo esecutivo, di approfondire la figura del pignoramento presso terzi quale elemento centrale dell’espropriazione, cercando di delimitarne l’oggetto con un approfondimento sulla sua forma e i relativi contenuti necessari. Si tenterà, poi, di dare un quadro di insieme degli aspetti procedurali veri e propri: dalla notificazione del pignoramento come atto iniziale della procedura espropriativa fino alla sua conclusione con l’assegnazione o la vendita di beni o crediti del terzo, passando per lo studio della dichiarazione del terzo. Particolare approfondimento verrà riservato alla dichiarazione del terzo quale elemento fondamentale di questo tipo di espropriazione; segnatamente, si cercherà di porre attenzione all’impatto che su di essa hanno avuto le modifiche apportate dal legislatore, a partire dalla riforma dovuta alla l. n. 228/2012 che ha

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assegnato al silenzio del terzo (cioè, alla sua mancata dichiarazione) valenza di dichiarazione “presunta” a contenuto positivo.

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CAPITOLO PRIMO

NOZIONI GENERALI SUL PROCESSO ESECUTIVO

1. Processo esecutivo in generale ed esecuzione forzata

Il libro III del codice di procedura civile disciplina il “Processo esecutivo”. L’azione esecutiva è lo strumento posto a tutela di un soggetto -avente diritto-, titolare di una situazione sostanziale protetta dall’ordinamento, che non sia in grado di ottenere quell’utilità a causa di un comportamento illecito dell’obbligato, il quale non si sia spontaneamente adeguato alle regole di comportamento di diritto sostanziale.

L’esecuzione forzata interviene nel momento in cui il diritto sostanziale diventa definitivamente impotente1, cioè quando le regole di diritto sostanziale non bastano a far sì che l’avente diritto ottenga un determinato comportamento da parte dell’obbligato. Non è più sufficiente un processo di cognizione che accerti l’esistenza di un diritto in capo ad un soggetto e i relativi obblighi in capo ad un altro: diventa determinante che l’ordinamento si preoccupi di rendere effettivi questi diritti da esso stesso riconosciuti come effetto di disposizioni legislative o quale risultato di accertamenti giurisdizionali (ad es., sentenze, lodi), vincendo coattivamente le resistenze dell’obbligato.

È da precisare che, per ottenere la tutela esecutiva, non è necessaria l’esistenza di un atto di accertamento emesso in sede di tutela dichiarativa: il processo esecutivo non è per forza la logica conseguenza del processo di cognizione; l’esecuzione forzata, infatti, può anche

1 Cfr. FRANCESCO P. LUISO, Diritto processuale esecutivo, Il processo

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essere fondata su titoli esecutivi stragiudiziali (es., titoli di credito, atti notarili). L’esercizio dell’azione esecutiva non richiede l’accertamento dell’esistenza del diritto sostanziale e, quindi, dell’obbligo di comportamento posto in capo al soggetto contro cui si agisce ma lo dà per scontato2; condizione necessaria e sufficiente per l’attivazione di questo tipo di tutela da parte dell’ordinamento giurisdizionale è l’esistenza del titolo esecutivo, cioè quel complesso di elementi da cui deriva il diritto dell’istante ad ottenere la tutela esecutiva e il dovere dell’ufficio esecutivo di attivarsi per fornirla.

Dal punto di vista della struttura il procedimento esecutivo presenta delle peculiarità diverse a seconda del tipo di diritto che necessita concretamente attuare. Citando Chiovenda, il processo esecutivo deve permettere al creditore di conseguire “tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire”3, cosicché sarebbe perfetto avere un processo che consenta proprio l’attuazione di quel diritto oggetto della prestazione cui il debitore è tenuto. È nel codice civile, agli artt. 2930, 2931 e 2933 che si enuncia la generica esigenza di attuare, per quanto possibile, la tutela in forma specifica, nelle forme previste dal codice di procedura. A volte, però, manca questa possibilità: in questi casi l’ordinamento trasforma il diritto sostanziale specifico rendendolo quanto più generico possibile per poterne ottenere l’esecuzione coattiva. L’esecuzione forzata può essere diretta o indiretta. Nell’esecuzione diretta è l’ufficio esecutivo che, in presenza di un obbligo fungibile, sostituisce la sua attività a quella dell’obbligato, in modo omogeneo. Quando si tratta di obblighi infungibili, è necessaria l’esecuzione

2 L’eventuale inesistenza del diritto sostanziale può comunque essere fatta valere con appositi strumenti cognitivi e cioè l’opposizione all’esecuzione o l’opposizione agli atti esecutivi, a seconda che si voglia porre in discussione, rispettivamente, il diritto all’esecuzione o la legittimità di singoli atti esecutivi.

3 G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1935, p. 41.

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indiretta con la quale si cerca di persuadere l’obbligato ad adempiere

prevendendo per quest’ultimo conseguenze più gravose

dell’adempimento (di natura civile o penale).

L’esecuzione forzata può incidere direttamente nella sfera dell’obbligato, attraverso l’esecuzione in forma specifica, o per espropriazione, liquidando beni facenti parte del patrimonio del debitore o prelevando forzatamente del denaro attraverso un procedimento di attribuzione o distribuzione.

La trasformazione più generica del diritto è la sua conversione in una somma di denaro. Ogni diritto patrimoniale, cioè suscettibile di una quantificazione in denaro, può infatti essere soddisfatto attraverso il pagamento di una somma.

È qui che si inserisce l’espropriazione forzata, ossia l’esecuzione in forma generica del diritto sostanziale del creditore, previa sua trasformazione in un credito di denaro.

1.1. Il fondamento dell’esecuzione forzata nel codice civile

Il fondamento dell’espropriazione forzata risiede, non tanto nel c.p.c. ma nel codice civile, in particolare nell’art. 2740, letto unitamente all’art. 2910 (una volta dal punto di vista del debitore, l’altra dal punto di vista del creditore). L’art. 2740 c.c. sancisce il principio della cd.

responsabilità patrimoniale secondo cui “il debitore risponde

dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e

futuri”. Il principio della responsabilità patrimoniale e

dell’espropriazione, che oggi appare scontato, è frutto di una elaborazione ed evoluzione giuridica che prende avvio sin dall’epoca romana. Basti pensare che l’assoggettamento per debiti era allora la forma tipica di soddisfazione del creditore che si rifaceva direttamente sulla persona del debitore e non sui suoi beni. “La figura dell’addictus”

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appare nella “concezione più antica dell’obbligazione o dell’esecuzione forzata, parallelamente all’istituto del nexum”4. Il nexum era un atto che si compiva con l’intervento di cinque testimoni, cittadini romani puberi e di un libripens munito di bilancia; con tale atto si procedeva alla pesatura del metallo che si era dato in prestito altrimenti la pesatura era solo simbolica. Il nexus, cioè il debitore, rimaneva presso l’offeso, il quale esercitava su di lui una coercizione finché non avesse scontato il debito con il suo lavoro, o pagando personalmente o tramite il pagamento di un terzo. Questa forma arcaica di “esecuzione forzata” compare “pochi anni dopo la data tradizionale della fine della monarchia”, “anche se una testimonianza per il periodo precedente pure sussiste”5. È solo nel 326 a.C. che, grazie alla lex Poetelia Papiria viene abolito il nexum. Per secoli il corpo del debitore, nella sua materialità, è stato l’unico strumento di rivalsa del creditore nei confronti del debitore; esso non ha di per sé valore economico ma lo ha nella sua opera, cioè nel lavoro.

L’art. 2910 c.c., norma speculare all’art. 2740 c.c., sancisce lo stesso principio visto dal punto di vista del creditore: “il creditore (…) può far espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile”. È in questo articolo che viene chiarito come il potere espropriativo non sia proprio del creditore, il quale non può agire in prima persona ma solo avvalendosi del potere posto in capo allo Stato. “Quindi il creditore non ha un diritto sostanziale sui beni del debitore, bensì ha un diritto processuale verso lo Stato, acciocché lo Stato eserciti il suo potere espropriativo nei confronti del debitore”6.

1.2. Espropriazione presso terzi

4 LEO PEPPE, Debiti e debitori nei primi due secoli della repubblica

romana, Milano, 1981, p. 5.

5 LEO PEPPE, op. cit., pag. 23.

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Il processo di espropriazione forzata è in assoluto il più complesso perché consta di tre momenti: individuazione e conservazione dell’elemento attivo del patrimonio del debitore attraverso il pignoramento (primo atto dell’espropriazione), trasformazione del diritto pignorato (l’elemento attivo deve essere liquidato salvo che non si tratti di una somma di denaro) e distribuzione del ricavato.

Si tratta generalmente di beni appartenenti e posseduti dal debitore; può però accadere che un bene appartenente al debitore si trovi nel possesso di un terzo o che il debitore sia creditore di un terzo. In questi casi gli strumenti a favore del creditore sono disciplinati dagli artt. 543 e ss. c.p.c.

Oggetto del pignoramento presso terzi possono essere beni o crediti.

CAPITOLO SECONDO

L’OGGETTO DEL PIGNORAMENTO

2. Il pignoramento di cose e i rapporti con l’art 513 c.p.c.

L'eventualità del pignoramento di cose è statisticamente marginale. Il pignoramento di cose ha gli stessi effetti sostanziali del pignoramento presso il debitore, il pignoramento di crediti, invece, ha gli effetti sostanziali stabiliti dall’art. 2917 c.c. Il pignoramento di cose presso terzi va posto in relazione all’art. 513 c.p.c. nel quale viene disciplinata l’ipotesi in cui il presidente del tribunale (o un giudice da lui delegato) autorizzi il pignoramento presso il debitore di beni che non si trovano nei luoghi a questo appartenenti ma dei quali egli può liberamente disporre. È il caso di autoveicoli detenuti in pubblica autorimessa, oggetti custoditi in cassette di sicurezza (di cui la banca non conosce il

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contenuto), bagagli in custodia presso il deposito ferroviario, abiti nel guardaroba di un teatro.

Particolare è il caso disciplinato dall’art. 513, comma 4° c.p.c. per il quale “l’ufficiale giudiziario può sottoporre a pignoramento (…) le cose del debitore che il terzo possessore consente di esibirgli” con le forme del pignoramento presso il debitore. In caso di rifiuto di esibizione da parte del terzo possessore sembrano applicabili le forme del pignoramento presso terzi. Per questa ragione, l’uso dell’una o dell’altra forma di pignoramento è dovuto non tanto al tipo di rapporto ma alla volontà del terzo di esibire o meno detti beni. In caso di adozione di un’errata forma di pignoramento, cioè nel caso in cui l’ufficiale giudiziario proceda ugualmente ad un pignoramento presso il debitore nel caso di mancata esibizione da parte del terzo possessore, secondo la giurisprudenza il terzo non può proporre opposizione agli atti esecutivi bensì opposizione ex art. 619 c.p.c. La dottrina si oppone a questa posizione ed è ormai pacificamente affermata la possibilità per il terzo di avvalersi dell’opposizione agli atti ed in ogni caso dovrebbe ammettersi il rilievo d’ufficio.

2.1. Situazioni intermedie. I titoli di credito.

I titoli di credito sono considerati dalla legge come beni mobili materiali (non immateriali, come i crediti) per cui vanno espropriati con le forme dell’espropriazione presso il debitore. “Il pignoramento di un credito incorporato in un titolo cambiario che, anziché nella forma del pignoramento presso il debitore diretto (prenditore o giratario del titolo), con materiale acquisizione del medesimo (artt. 1997 c.c. e 513 c.p.c.), venga irritualmente eseguito nella forma del pignoramento presso terzi ai sensi dell’art. 543 c.p.c., cioè presso l’obbligato cambiario, è affetto da nullità radicale ed insanabile, la quale si riflette sugli atti successivi,

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ad esso collegati direttamente e necessariamente, e così anche sull’assegnazione del credito, e può essere dedotta e fatta valere dal debitore con l’opposizione agli atti esecutivi, senza essere vincolato al termine perentorio posto dall’art. 617 c.p.c.”.7

Diverso è il discorso da fare se il titolo di credito si trova in deposito presso un terzo, ad es. una banca nel c.d. “conto deposito titoli”. In tale circostanza il pignoramento sarà da effettuare nelle forme ex art. 543 c.p.c. e ss. poiché la banca diventa titolare di un fascio di poteri che tolgono tali titoli dalla diretta disponibilità del debitore.

Da segnalare è la decisione della Corte di cassazione del 24 febbraio 1993, n. 2276: “la mancanza delle cedole degli interessi e del cosiddetto “mantello” incide solo sul valore del C.C.T. (certificati di credito del Tesoro) e non sulla loro identità giuridica ed economica, con la conseguenza che, nel caso in cui questi siano oggetto di espropriazione forzata, la loro assegnazione al valore nominale non si risolve nella assegnazione di un bene non commerciabile, ma in una sproporzione tra il valore attribuito ai titoli ed il valore reale la quale può comportare solo la rettifica (e non l’annullamento) dell’atto, attraverso la sua impugnazione con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)”8. Una volta valutati i titoli in base ai listini ufficiali, essi vanno assegnati o venduti in base alla loro scadenza. Se hanno scadenza inferiore a 90 giorni essi vanno immediatamente assegnati al creditore e non previamente liquidati. Se il titolo ha scadenza superiore a 90 giorni esso va previamente venduto, l’espropriazione dunque si concluderà solo successivamente alla distribuzione del ricavato. Per le azioni si procede sempre alla vendita (si tratta di beni e non di crediti). La vendita

7 Cass. 7 aprile 1990, n. 2917.

8 Giust. civ. Mass. 1993, 369. Cfr. VALENTINA CACACE, SILVIA GRANA,

L'esecuzione mobiliare: espropriazione presso il debitore (artt. 513-542 Cod. proc. civ.), espropriazione presso terzi (artt. 543-554 Cod. proc. civ.) - 2. ed. aggiornata alle leggi n. 24 e 183 del 2010, Milano, 2011, p.

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è affidata al commissionario (istituto di credito o impresa di investimento autorizzata) escludendo così l’Istituto di vendite giudiziarie, vista la particolarità dei beni.

2.2. Documenti di legittimazione (art. 2002 c.c.)

I documenti di legittimazione servono ad identificare l’avente diritto alla prestazione. Tale è, ad esempio, il libretto di deposito bancario (a cui è stato assimilato il libretto postale): il libretto di risparmio, bancario o postale, è un supporto cartaceo sul quale vengono registrate tutte le operazioni sulle somme depositate. Si tratta di un vero e proprio credito che si pignora con le forme del pignoramento presso terzi. Il terzo è sempre la banca (o l’ufficio postale) presso la quale è depositata la somma oggetto del credito pignorato, non colui che abbia la materiale detenzione del libretto. A questi documenti sono assimilati “la polizza di assicurazione all’ordine o al portatore, il vaglia postale, la bolletta del lotto pubblico, il biglietto della lotteria, lo scontrino del deposito bagagli, quello di spedizione, la marca di guardaroba, lo "stabilito", i documenti da cui risulta la debenza di prestazioni contrattuali "all’ordine"”9.

2.3. Conto corrente

Il pignoramento presso terzi può avvenire anche per il conto corrente che rappresenta un credito del correntista nei confronti dell’istituto

9 ALBERTO CRIVELLI, Pignoramento presso terzi, seconda edizione, Milano, 2011, p. 32.

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bancario. In questo caso i fondi presenti nel conto del debitore vengono espropriati fino ad esaurimento del credito per cui si procede.

Una sentenza del Supremo Collegio del 25 febbraio 1999, n. 1638 stabilisce che “il creditore – che ben può direttamente pignorare le somme che siano nella disponibilità del proprio debitore – non può, una volta che esse siano invece affluite sul conto corrente bancario, pignorare i singoli versamenti, ma solo l’eventuale saldo positivo del conto, posto che il pignoramento non risolve il contratto in questione”10. Il pignoramento, dunque, non risolve il contratto di conto corrente ma lo blocca fino a totale soddisfacimento del creditore. È l’intero contratto che viene immobilizzato, indipendentemente dall’entità del credito per cui è in corso l’esecuzione. Risultano, dunque, non opponibili al creditore pignorante i prelievi effettuati sul conto corrente successivamente alla notifica dell’atto di pignoramento (si tiene conto della data effettiva e non della valuta), mentre gli ordini di bonifico in favore del debitore rientrano nel saldo positivo di cui il creditore stesso può beneficiare. “Allorquando la banca mandataria ha provveduto ad effettuare il richiestole bonifico, la somma oggetto dell'operazione esce dalla disponibilità del mandante - il quale non può più procedere alla revoca, stante l'avvenuta estinzione del mandato ai sensi dell'art. 1722 n. 1 c.c. - ed entra nella titolarità del destinatario, ancorché non si sia provveduto ancora all'operazione contabile di inserimento della relativa partita nel suo conto corrente, con la conseguente legittimità del pignoramento eseguito (nelle forme di cui all'art. 543 c.p.c., presso terzi) presso la banca, ove il debitore trattiene il suo conto, in data successiva

al bonifico, anche se anteriore alla formalizzazione

dell'accreditamento.”11

In relazione al fido bancario, attraverso il quale la banca si obbliga a

10 Giust. civ. Mass. 1999, 402. Cfr. VALENTINA CACACE, SILVIA GRANA, op.

cit., p. 653.

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mettere a disposizione del proprio cliente una determinata somma di denaro (stabilita e concessa a seguito di una complessa istruttoria eseguita dall’istituto di credito sui profili reddituali e patrimoniali del richiedente, predisposta al fine di valutare la capacità di restituzione del soggetto in questione) e il cliente a restituirla, “qualora alla chiusura del conto il saldo sia negativo, la Banca non può essere considerata debitrice del debitore, quindi non è pignorabile”12. Quindi, il fido, non rappresenta un credito per il correntista, bensì una disponibilità di credito che si risolve in un debito di questo nei confronti della banca. Altra problematica relativa al conto corrente si rileva in rapporto ai conti correnti cointestati e, in particolare, per quanto riguarda la quota oggetto di pignoramento. La questione è stata recentemente affrontata dall’Arbitro Bancario Finanziario che, con decisione n. 8227 del 30 ottobre 2015, ha fornito il proprio orientamento in materia. Quest’ultima pronuncia si è posta come “voce fuori dal coro” rispetto ad un precedente orientamento uniforme della giurisprudenza e dei Collegi di ABF che in numerose pronunce 13 avevano affermato come il pignoramento sulle somme depositate in un conto corrente bancario cointestato al debitore e ad una persona estranea non possa riguardare l’intero ammontare di tale deposito, dovendosi presumere la contitolarità degli intestatari del conto. Questo orientamento faceva leva sulla disciplina del codice civile, in base alla quale, ex art. 1298, 2° comma, che regola i rapporti interni tra i depositanti, “Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente”. La

12 MARIA MONTELEONE, Limiti al pignoramento del conto corrente

bancario, pubblicato il 29 gennaio 2015 su

http://www.laleggepertutti.it/74883_limiti-al-pignoramento-del-conto-corrente-bancario

13 Cfr.: Collegio di Milano, decisione n. 5398 del 25.10.2013; Collegio di Milano, decisione n. 2269 del 2011; Collegio di Milano, decisione n. 3137 del 7 giugno 2013; Collegio di Napoli, pronuncia n. 583 del 27 febbraio 2012; Cass. 29 aprile 1999, n. 4327.

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decisione dell’ABF in discorso ha invece precisato che “una volta rifluite le rimesse su un conto corrente cointestato, si produce la piena confusione del patrimonio dei cointestatari senza possibilità di distinguere, da parte del terzo debitor debitoris, il patrimonio personale di ciascuno dei cointestatari, neppure per quote ideali” e che i “problemi connessi ai diritti dei cointestatari (…) invece vanno affrontati nel corso dell’udienza di cui agli artt. 547 e 548 c.p.c.”. “In presenza di un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, l’intermediario può soltanto dare esecuzione senza nulla poter opporre o far valere”. Sempre nella stessa pronuncia si precisa come il cointestatario che ritenga lese le sue prerogative, “potrà far valere le proprie ragioni proponendo opposizione di terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c., ovvero agendo contro l’assegnatario, quando non avvisato ai sensi dell’art. 180 disp. att. c.p.c., per la ripetizione delle somme riscosse in eccesso”.

2.4. Quote sociali

Le quote sociali sono, entro certi limiti, passibili di espropriazione. Parlando di quote di società di capitali, le azioni di s.p.a. sono considerate titoli di credito per cui ad esse si applica la stessa disciplina prevista per questi ultimi. Si potrebbe ricorrere alla disciplina del pignoramento presso terzi solo nel caso in cui le azioni siano depositate presso la sede della società (il debitore non sarebbe nella piena disponibilità di queste azioni e il terzo sarebbe rappresentato dalla società depositaria) o nel caso in cui la società abbia statuito di non emettere azioni (come rende possibile l’art. 2346 c.c. introdotto dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6).

Molto più complessa è la questione in relazione alle quote di società a responsabilità limitata. L’espropriazione di quote di s.r.l. è disciplinata dall’art. 2471 c.c. che attualmente recita “La partecipazione può formare

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oggetto di espropriazione. Il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese. - L'ordinanza del giudice che dispone la vendita della partecipazione deve essere notificata alla società a cura del creditore. - Se la partecipazione non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all'incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la società presenta un altro acquirente che offra lo stesso prezzo. - Le disposizioni del comma precedente si applicano anche in caso di fallimento di un socio”.

Il testo indica le formalità essenziali del pignoramento senza però fornire delle specifiche indicazioni sulle modalità procedurali da applicare. Il problema che si poneva era se si dovessero applicare le modalità di pignoramento presso terzi o quelle del pignoramento presso il debitore. Questo silenzio normativo ha imposto a dottrina e giurisprudenza di dirimere la questione partendo dall’analisi della qualificazione giuridica della quota societaria. I primi orientamenti giurisprudenziali in merito ritenevano la quota di s.r.l. un diritto di credito verso la società14e appoggiavano la tesi dell’applicazione del pignoramento presso terzi per esclusione, non ritenendo applicabile il pignoramento mobiliare che, secondo la giurisprudenza, richiedeva pur sempre un bene materiale da apprendere, e tantomeno il pignoramento immobiliare. Giurisprudenza più recente ha più volte affermato15 come la quota di s.r.l. sia da considerare come un bene immateriale equiparato al bene mobile non iscritto in pubblico registro, ex art. 812 c.c. Anche in questo caso, secondo il costante indirizzo della Suprema Corte, la

14 Cfr., ad es., Cass. 14 marzo 1957, n. 859; Cass. 11 luglio 1962, n. 1835; Cass. 28 febbraio 1964, n. 454; Cass. 27 gennaio 1984, n. 640; Cass. 12 dicembre 1986, n. 7409; Cass. 9 dicembre 1992, n. 13019; Cass., 4 aprile 1997, n. 2926.

15 Cfr., ad es., Cass. 21 ottobre 2009, n.22361; Cass. 13 settembre 2007, n. 19161; Cass. 26 maggio 2000, n. 6957; Cass.23 gennaio 1997, n.697.

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qualificazione della quota di s.r.l. come bene immateriale non si pone in contrasto con l’applicazione della forma del pignoramento presso terzi.16 Anche buona “parte della dottrina (Zaganelli, Busani, Ferrara jr., Scotti, Crivelli, ecc.) interpreta l'attuale formulazione dell'art. 2471 c.c. come una conferma dell’applicabilità del pignoramento presso terzi, ove la notificazione sarebbe finalizzata a consentire alla società la comparizione all'udienza di cui all'art. 547 c.p.c., affinché la stessa riferisca sulla posizione globale del debitore, sulla consistenza, in termini di valore nominale, della sua quota e sulla presenza di eventuali vincoli gravanti sulla stessa.”17

Una prima svolta verso lo scardinamento di questi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali, costanti nel ritenere applicabili le forme del pignoramento presso terzi, si ravvisa nella sentenza del tribunale di Udine, 18 febbraio 2013, n. 209. “Nel caso di specie, l’opponente all’esecuzione aveva sollevato la domanda di nullità, illegittimità e/o inefficacia dell’atto di pignoramento di quote sociali asserendo che fosse necessaria la citazione dei terzi (la Società) a comparire davanti al Tribunale per rendere le dichiarazioni di cui all’art. 547 c.p.c.”. Il fatto che sia prevista la necessità di notificare l’atto di pignoramento alla società, secondo il Tribunale, non basta “per far ritenere che sia

sottoposto alle forme del pignoramento presso terzi”. La notifica

prevista dall’art. 2471 cod. civ. risponde unicamente “all’esigenza di

rendere opponibile alla società il vincolo (posto che il pignoramento cade su un bene che non è solo cespite patrimoniale del singolo socio ma anche frazione del capitale sociale e misura della partecipazione alla vita della società)”. Inoltre, sempre a sostegno della propria tesi, il

Tribunale precisa che “la società, nella veste di terzo, non è né

possessore né debitor debitoris e dunque non può usare o disporre della

16 Cfr. argomentazioni ordinanza del 20 maggio 2013 dott. Ferretti, Tribunale di Parma.

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quota, sicché l’intimazione rivolta al creditore di non disporre del bene pignorato senza ordine del giudice, tipica del pignoramento presso terzi, non avrebbe alcun significato.”18

È con l’ordinanza del Tribunale di Parma del 20 maggio 2013 che, in adesione alla già richiamata sentenza del Tribunale di Udine del 18 febbraio 2013 e a parte della dottrina19, si considerano “determinanti” le modifiche apportate all’art. 2471 c.c. e “superata la tesi del

pignoramento presso terzi, a favore di un procedimento esecutivo ad hoc”. Questo procedimento si intende “da svolgersi mediante notifica al debitore ed alla società di un atto complesso e la sua successiva iscrizione nel registro delle imprese, senza dover invitare la società a rendere la dichiarazione di cui all'art. 547 c.p.c. e tanto meno instaurare l'eventuale giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo”.

Secondo il tribunale di Parma, la notificazione alla società avrebbe lo scopo non “di consentirle di rendere la dichiarazione in udienza tipica

dell'espropriazione presso terzi” ma servirebbe “da un lato, a mettere a conoscenza la società di un evento che, incidendo sulla compagine sociale, produce effetti indiretti anche nei confronti della società stessa; dall'altro lato, è funzionale a rendere immediatamente operante anche nei suoi confronti il vincolo che costituisce l'effetto tipico del pignoramento e che consegue all'ingiunzione dell'ufficiale giudiziario di non sottrarre i beni pignorati alla garanzia del credito”. Nella stessa

ordinanza si precisa, concludendo, che dalla menzione nell’art. 2471 c.p.c. della notificazione - alla società - dell’ordinanza che dispone la vendita, da effettuarsi a cura del creditore procedente, si desume l’applicabilità del termine di 90 giorni di cui all’art. 497 c.p.c. che decorrono dal momento della notifica e quindi come, “da questo punto

18 Così riportato sul sito dello Studio Legale Avv. Antonio Pavan di Treviso alla pagina web http://www.studiolegalepavan.com/sentenza- trib-di-udine-18-2-2013-n-209-in-tema-di-pignoramento-di-quote-di-s-r-l/ pubblicata l’11 marzo 2013

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di vista, la fase finale del pignoramento della quota di s.r.l., torni nel solco della procedura espropriativa mobiliare presso il debitore con conseguente applicabilità degli artt. 534 e ss. del c.p.c.”.

Per le società di persone (società semplice, in nome collettivo o in accomandita semplice), quando l’espropriabilità delle quote è possibile, la forma da utilizzare è quella del pignoramento presso terzi, poiché non esiste una norma analoga all’art. 2471 c.c. e si rende indispensabile la collaborazione degli organi societari. Le quote di società di persone non possono essere espropriate finché non si verifichi lo scioglimento della società o del rapporto limitatamente al socio debitore (artt. 2270, 2289 e 2305 c.c.); siffatta conclusione non si desume da una specifica norma del c.p.c. ma dalla disciplina delle società personali secondo la quale nelle società semplici il creditore può chiedere in qualsiasi momento la liquidazione della quota del suo debitore, così come dispone l’art. 2270, 2° comma, ma solo se il patrimonio del socio risulti insufficiente a garantire la piena soddisfazione del creditore. Per le società in nome collettivo e per quelle in accomandita semplice, il creditore può opporsi alla proroga della società prevista dall’art. 2307 c.c. In caso di accoglimento dell’opposizione, “la società deve (…) liquidare la quota

del socio debitore dell'opponente”. In entrambe le situazioni è, in ogni

caso, necessario instaurare un apposito giudizio di cognizione. Quello che più conta della disciplina concernente questo tipo di società è il particolare tipo di rapporto che intercorre tra i soci, caratterizzato dal cd.

intuitu personae che consente il trasferimento della quota sociale “solo

con il consenso di tutti i soci ovvero della maggioranza del capitale”20. Non sono mancate posizioni giurisprudenziali di merito21 che hanno tentato di rovesciare questo principio sulla base del presupposto secondo cui l’espropriazione forzata può limitarsi alla sua fase iniziale, cioè al

20 Cass. 7 novembre 2002, n. 15065.

21 Cfr. Tribunale di Firenze, 4 marzo 1960 o Tribunale di Monza 8 maggio 2000, Giur. comm. 2001, II, 673.

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pignoramento, ritenuto a carattere sostanzialmente conservativo22. Rifacendosi ad un altro e diverso orientamento giurisprudenziale23 si è cercato di combinare il principio dell’inespropriabilità della quota di società di persone con la necessità di tutela del creditore del socio, facendo leva sullo strumento cautelare ex art. 700 c.p.c.: “il creditore

particolare del socio può richiedere l’emanazione di un provvedimento che gli consenta di vigilare che non siano compiute, in frode ai propri interessi, operazioni sociali che possano porre nel nulla il valore della futura quota di liquidazione, e in secondo luogo gli assicurino nel tempo successivo alla liquidazione le condizioni di vincolare – a quel punto anche attraverso il pignoramento – le cose o le somme eventualmente attribuite al debitore socio”24.

La Corte di cassazione ha preso in ipotesi, nella sentenza n. 15065/2002, le quote di società di persone per le quali è prevista, direttamente dallo statuto, la libera cedibilità. La libera cedibilità diventa condizione per la libera espropriabilità. Questa disciplina lascia notevoli spazi all’autonomia privata, salvo il diritto di prelazione agli altri soci: per questo motivo la decisione è stata fortemente criticata, con l’accusa di lasciare al socio la possibilità di acquisire la quota a prezzo irrisorio e di far assumere al creditore la posizione di socio illimitatamente responsabile.

2.5. I crediti

La forma di espropriazione presso terzi più frequente è quella che ha ad

22 Di diverso avviso Tribunale di Milano, 2 febbraio 1966, per il quale il pignoramento di una quota di società di persone non può essere considerato un atto conservativo.

23 Tribunale di Ravenna, 12 aprile 1994, Giust. civ. 1994, I, 2625, Foro it. 1995, I, 1051 e Società, 1995, 207.

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oggetto i crediti ed è, al contempo, quella rispetto alla quale si pongono maggiori difficoltà interpretative.

Va preliminarmente osservato che oggetto del pignoramento dei crediti può essere solo un credito di denaro: non sono pignorabili i crediti aventi ad oggetto una prestazione o un bene diversi dal denaro. Sono le stesse norme del codice di procedura civile che menzionano esplicitamente le “somme dovute”, in particolare gli artt. 543, n. 2, 546 e 547. L’art. 553 c.p.c., che si riferisce ai soli crediti, parla di “somme esigibili”. Anche nel c.c., all’art. 2928, rubricato “Assegnazione di crediti”, si fa riferimento a crediti di denaro, in quanto si parla di “riscossione del credito assegnato” come unico modo di estinzione del “diritto dell'assegnatario verso il debitore che ha subito l'espropriazione”.

Per i crediti aventi ad oggetto una prestazione o un bene diversi dal denaro il pignoramento, come già accennato, non è effettuabile; il creditore procedente, in questo caso, non avrà a disposizione uno strumento esecutivo ma potrà, con l’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c., agire direttamente nei confronti del debitor debitoris, sostituendosi -appunto- al debitore inerte.

È importante stabilire da quale momento è necessario che il credito sussista: ci si chiede, infatti, se esso debba sussistere fin dal momento della notifica dell’atto di cui all’art. 543 c.p.c. A dare una risposta a tale quesito è stata la Corte di cassazione, la quale ha chiarito che “Il pignoramento presso terzi costituisce una fattispecie complessa che si perfeziona non con la sola notificazione dell'atto introduttivo, ma con la dichiarazione non contestata del terzo o con la sentenza di accertamento dell'obbligo del terzo indicata dall'art. 549 c.p.c. Ne consegue che il credito pignorato deve sussistere al momento della dichiarazione del terzo o in quello del suo accertamento”25. La giurisprudenza della

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Cassazione pone l’accento sulla struttura del pignoramento presso terzi che può definirsi a formazione progressiva: per l’espletamento del pignoramento non è sufficiente la sola notificazione dell’atto introduttivo ma il suo perfezionamento si ha solo a seguito della dichiarazione del terzo, per cui è solo in questo momento che sorge l’esigenza che il credito sia esistente.

Posto che oggetto di pignoramento può essere solo un credito di denaro, resta da capire se il pignoramento deve essere limitato alla somma richiesta dal creditore procedente o si estende fino alla somma corrispondente all’intero credito del debitore nei confronti del debitor

debitoris. Nel corso degli anni si è giunti a soluzioni diametralmente

opposte. Prima della modifica dell’art. 546 c.p.c. ad opera dell’art. 2 della legge n. 80 del 14 maggio 2005, la giurisprudenza pressoché unanime ravvisava nel “credito indicato dal creditore esecutante, a norma dell’art. 543 c. 2 n. 1 c.p.c., costituisce soltanto il limite della pretesa fatta valere in executivis”26. Il ragionamento seguito dalla giurisprudenza arrivava alla conclusione che “oggetto del pignoramento è (…) non tanto una quota pari al credito per il quale l’esecutante agisce in forza del titolo esecutivo notificato (…) quanto la somma, unitaria o frazionata nel tempo, di cui il terzo è debitore” 27 . La stessa giurisprudenza di merito 28 ha successivamente affermato che il medesimo principio è applicabile anche nel caso dell’intervenuto. La dottrina, invece, si divideva prospettando concetti opposti. Secondo una prima tesi il vincolo esecutivo si estendeva all’intero credito del debitore nei confronti del debitor debitoris, senza tener conto dell’entità della somma richiesta dal creditore pignorante.29 Altra parte della dottrina, al contrario, sosteneva “che la delimitazione dell’oggetto del

26 Cass. 22 aprile 1995, n. 4584, FI, 1996, I, 3778. 27 Cass. sent. già cit. nella nota 26.

28 Cass. 29 gennaio 2000, n. 16, Giust. Civ., 2000, I, 673.

29 Cfr. ANNA MARIA SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Wolters Kluwer Italia, 2009, p. 586.

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pignoramento incombesse al creditore procedente, abilitato peraltro a espropriare «non soltanto una quantità di beni di un valore esattamente corrispondente al suo credito personale, ma una quantità di beni per un valore anche maggiore tale da coprire anche i crediti di eventuali intervenienti»”30.

Questa incertezza in relazione alla delimitazione dell’oggetto del pignoramento presso terzi causava non pochi problemi, in particolare quando terzo pignorato fosse un ente pubblico: “l’attuazione di un pignoramento «integrale» ne avrebbe invariabilmente importato la «paralisi amministrativa», oltre che (…) «la paralisi della stessa attività degli uffici esecuzione»”31. Subito dopo la pronuncia della Cassazione del 1995, in cui la Suprema Corte riteneva vincolata l’intera somma dovuta al debitore dal terzo, iniziò un certo fermento che mirava a una revisione del codice di procedura civile: si cercò di porre un argine alle derive di potenziali pignoramenti per così dire “aggressivi” - venivano vincolate somme troppo elevate a fronte di crediti magari esigui - che non trovavano un giusto limite, un contrappeso, a tutela del credito dell’esecutato (non risultavano infatti sufficienti la possibilità riconosciuta al pignorante di limitare gli effetti del vincolo esecutivo alle somme indicate nell’atto di precetto o la possibilità, per l’esecutato, di presentare istanza di riduzione del pignoramento ex art. 496 c.p.c.). È per questo che, con la già citata legge del 2005, è stato riformato il testo dell’art. 546 c.p.c., il quale attualmente recita, al 1° comma, “Dal giorno in cui gli è notificato l'atto previsto nell'articolo 543, il terzo è soggetto, relativamente alle cose e alle somme da lui dovute e nei limiti dell'importo del credito precettato aumentato della metà, agli obblighi che la legge impone al custode”. Da una prima lettura di questo comma, dunque, si deduce che il credito rimane vincolato solo per la

30 GABRIELLA TOTA, Individuazione e accertamento del credito

nell’espropriazione forzata presso terzi, Napoli, 2014, p. 69 cui si rinvia

per ulteriori riferimenti.

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somma per cui si procede, aumentata della metà, mentre la parte eccedente rimarrà nella piena disponibilità del debitore, che rimane libero di cederla, esigerla, di disporne a suo piacimento (l’importo vincolato rimane disponibile non solo per il credito vero e proprio ma anche per la copertura delle spese legali). A un’osservazione più attenta si può notare come la modifica di tale articolo non ha tolto al creditore il potere di individuare i beni da destinare al soddisfacimento della propria pretesa esecutiva, bensì ha circoscritto l’ambito degli obblighi posti in capo al debitor debitoris allorché la somma da lui dovuta al debitore esecutato sia superiore a quella del credito dedotto dal creditore pignorante. Rimane fermo il fatto che il creditore possa liberamente quantificare le somme da espropriare, individuando somme minori o, addirittura, maggiori rispetto a quelle individuate dalla legge. Il creditore, dunque, delimita l’oggetto del pignoramento con la sua richiesta ed è attualmente la legge, con l’art. 546 c.p.c., a determinare il limite dell’obbligo di custodia imposto al terzo. È da escludere che la modifica apportata dalla legge del 2005 abbia svuotato di contenuto la previsione contenuta nell’art. 543, 2° comma, n. 2 c.p.c. poiché “l’indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute” è tuttora destinata a fungere da fondamenta su cui si regge l’intera struttura di questa forma di procedura espropriativa.

Nel caso di intervento di altri creditori potrebbe verificarsi un’ipotesi di incapienza per cui il debito del terzo potrebbe non essere sufficiente a soddisfare tutti i crediti, compresi quelli degli intervenuti. Diventa necessario distinguere a seconda che ad intervenire siano creditori chirografari o privilegiati. Nel primo caso la soluzione è fornita dal 4° comma dell’art. 499 c.p.c. che prospetta il rimedio dell’estensione: il creditore pignorante ha la possibilità di indicare ai creditori chirografari -tempestivamente intervenuti- “l'esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili”, invitandoli ad estendere il pignoramento. Quando si tratta di creditori privilegiati si può ricorrere all’istituto

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disciplinato dall’art. 483 c.p.c., rubricato “Cumulo dei mezzi di espropriazione”, ma su opposizione del debitore il giudice può, con ordinanza, limitare la procedura all’uso di un solo mezzo di espropriazione deciso da egli stesso o dal creditore, nel caso ritenga l’azione cumulativa non necessaria in relazione all’entità del credito vantato (dal creditore pignorante e da uno o più intervenuti) e al valore delle singole espropriazioni. La Corte di cassazione32 ha chiarito come il creditore abbia la facoltà di eseguire un nuovo pignoramento sullo stesso credito e con lo stesso titolo esecutivo. “Il creditore, in forza del medesimo titolo esecutivo, può procedere a più pignoramenti dello stesso bene in tempi successivi, senza dover attendere che il processo di espropriazione aperto dal primo pignoramento si concluda, atteso che il diritto di agire in esecuzione forzata non si esaurisce che con la piena soddisfazione del credito portato dal titolo esecutivo. In tal caso non si ha una situazione di litispendenza nel senso previsto dall'art. 39 c.p.c. - la cui applicazione postula la pendenza di più cause, aventi in comune le parti, la causa petendi ed il petitum, incardinate dinanzi a distinte autorità giudiziarie e non davanti allo stesso giudice - ed alla pluralità di procedure così instaurate può ovviarsi con la loro riunione ex art. 493 c.p.c., senza che ciò comporti un pregiudizio per il debitore, poiché, in presenza di un pignoramento reiterato senza necessità, il giudice dell'esecuzione, applicando l'art. 92 c.p.c., può escludere come superflue le spese sostenute dal creditore procedente per reiterarlo ed il debitore può proporre opposizione contro una liquidazione delle spese che si estenda al secondo pignoramento.” In senso conforme si era precedentemente espresso lo stesso Supremo Collegio33 che ammetteva il cumulo dei mezzi di espropriazione “anche su beni omogenei” benché fossero beni diversi (non era ancora ammessa la pluralità di pignoramenti sullo stesso bene).

32 Cass. 18 settembre 2008, n. 23847, Giust. civ. Mass. 2008, 9, 1382. 33 Cass. 16 maggio 2006, n. 11360, Giust. civ. Mass. 2006, 5.

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All’ormai assodata possibilità posta in capo al creditore di determinare l’entità del credito da assoggettare all’espropriazione corrisponde la possibilità per il debitore (ma può agire anche l’ufficio34) di chiedere la

riduzione del pignoramento - ex art. 496 c.p.c. - “quando il valore dei

beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti” che erano stati indicati nell’atto iniziale dell’espropriazione. In questo caso è il giudice stesso che si occupa di fare un raffronto tra le somme poste a pretesa del proprio credito dal creditore procedente ed, eventualmente, dai creditori intervenuti e l’importo indicato nell’atto di pignoramento ex art. 543, comma 2° c.p.c. È appena il caso di sottolineare che il giudice debba usare questo strumento in modo assai ponderato poiché l’istituto della riduzione può essere impiegato anche prima dello scadere dei termini posti come limite per l’intervento tempestivo dei creditori, in modo da poter ben bilanciare gli interessi contrapposti di debitore e creditori. In relazione alla riduzione disciplinata dall’art. 496 c.p.c., la legge n. 80 del 2005 ha riformato il 2° comma dell’art. 546 c.p.c. che si riferisce al pignoramento presso più terzi e che attualmente dà la possibilità al debitore di chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti o la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi. Resta da chiarire se tale pignoramento presso più terzi possa essere espletato all’interno di un’unica procedura espropriativa o se si possa addivenire alla conclusione che il debitore ha la facoltà di chiedere la riduzione del pignoramento anche nel caso di processi differenti instaurati presso lo stesso giudice o presso giudici diversi in base alla competenza territoriale. Il mero dato letterale non sembra d’aiuto nel dirimere la questione ma può venire in soccorso, più che ciò che è stato effettivamente disciplinato, l’osservazione secondo cui manca interamente, all’interno e fuori dal codice di procedura civile, una regolamentazione di modi e termini per le richieste di riduzione ai diversi giudici, per la competenza territoriale, la necessità o meno di una

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riunione di tali procedimenti, etc.: si tratta di una serie di disposizioni che sarebbero fondamentali qualora si ammettesse la possibilità di una riduzione del pignoramento in occasione di plurimi processi espropriativi. Ciò basta a far concludere nel senso dell’applicabilità dell’art. 546, 2° comma solo all’interno di in un unico processo espropriativo, per il medesimo oggetto o comunque non prima di una riunione delle procedure presso terzi avviate dal creditore separatamente.

Fino alla riforma ad opera del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni in l. 10 novembre 2014, n. 162, sorgeva un particolare problema in riferimento alla necessità della dichiarazione dei terzi debitori, qualora questi avessero la residenza in diverse località. A norma del d.l. n. 132/2014 viene modificato il testo dell’art. 547 c.p.c. che disciplina la dichiarazione del terzo. Il 1° comma di tale articolo, nel testo precedente, disponeva: “Con dichiarazione all'udienza o, nei casi previsti, a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata, il terzo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale, deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna.”35 Dopo l’intervento del legislatore, con il decreto legge del 2014, l’art 547 c.p.c. dispone che la dichiarazione del terzo perviene al creditore procedente “a mezzo raccomandata (…) o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata”. Si evidenzia come non sia più prevista la presenza del terzo in udienza per la dichiarazione. La riforma

35 L'art. 1, comma 20, l. 24 dicembre 2012, n. 228, aveva introdotto le parole «o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata». In precedenza, l'art. 12, L. 24 febbraio 2006, n. 52, aveva apportato le modifiche al testo che disponeva: «Con dichiarazione all'udienza il terzo, personalmente o a mezzo di mandatario speciale, deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso, e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna».

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in parola, dunque, risolve il problema della competenza per territorio nel caso di espropriazione forzata di crediti presso più terzi. Il nuovo art. 26

bis c.p.c. stabilisce che “per l'espropriazione forzata di crediti è

competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede” (si tratta di una eccezione alla regola generale ex art. 26, 1° comma, c.p.c.: “Per l'esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano”). Nelle ipotesi di pignoramento multiplo, quindi, se in passato era necessario avviare diverse procedure esecutive in tanti uffici giudiziari quante erano le residenze dei terzi idonee a radicare la competenza territoriale in diversi uffici (con spese aggiuntive e difficoltà difensive), oggi il creditore dovrà sempre instaurare un solo processo esecutivo dinanzi al giudice del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore esecutato, anche qualora i terzi risiedano in località differenti.36

Un’ulteriore deviazione alle regole riguardanti l’oggetto del

36 L’art. 26 bis c.p.c. ha mantenuto la competenza del giudice del luogo in cui il terzo debitore ha la residenza, la dimora, il domicilio o la sede nel caso particolare in cui il terzo debitore sia una P.A. indicata dall’art. 413, 5° comma, c.p.c.: la ratio di tale previsione (che si ricava dai lavori parlamentari) sta nel tentativo di evitare che i tribunali delle grandi città siano gravati da un eccessivo e sopravvenuto carico derivante dall’esperimento di espropriazioni presso terzi nonché in quello di non rendere più gravosa l’azione esecutiva del lavoratore-creditore procedente ogniqualvolta la sede dell’Ente pubblico sia distante rispetto al luogo di lavoro in cui è sorto il credito. Va comunque considerato che le espropriazioni forzate di crediti per emolumenti retributivi da rapporti di lavoro con la P.A. sono numericamente esigue e dunque pare che l’art. 26 bis c.p.c. si riferisca principalmente ai debiti che la P.A. contrae con i privati per obbligazioni sorte a vario titolo; in questo senso il richiamo all’art. 413, comma 5°, c.p.c. sembra finalizzato al richiamo del TU sul pubblico impiego approvato con il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Per ulteriori approfondimenti cfr. ANNA MARIA SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano, 2015, quinta edizione.

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pignoramento di crediti è sancita dall’art. 492 c.p.c. Quest’ultimo articolo, al ricorrere di determinate condizioni, dà facoltà all’ufficiale giudiziario di procedere, al posto del creditore, all’individuazione di altri beni e/o crediti da sottoporre a pignoramento tramite interpello del debitore esecutato o mediante autonomi poteri di indagine. Il 4° comma dell’art. 492 c.p.c. chiarisce quali sono le condizioni al cui verificarsi è possibile estendere il pignoramento grazie ai poteri di intervento posti in capo all’ufficiale giudiziario: “Quando (…) i beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti ovvero per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione”. Da una parte l’istituto sembrerebbe essere destinato ad un uso marginale, vista l’assoluta insussistenza di parametri per la determinazione di un tempo giusto per l’espletamento della procedura espropriativa e vista l’improbabilità di un’attivazione dei poteri dell’ufficiale giudiziario per una presumibile lentezza della procedura espropriativa quando i beni assoggettati a pignoramento risultino sufficienti, sia nel caso di un’effettiva insufficienza dei beni poiché tale condizione non potrebbe essere appurata se non a seguito della dichiarazione del terzo, momento della procedura esecutiva nel quale viene meno la legittimazione di un intervento dell’ufficiale giudiziario. D’altra parte tali ostacoli all’applicazione dell’art. 492 c.p.c. paiono poter essere superati. In primo luogo i beni possono palesarsi insufficienti sin dalla dichiarazione effettuata nell’atto di pignoramento (primo atto della procedura espropriativa), tale per cui l’ufficiale giudiziario può da subito interpellare il debitore o cercare nuovi beni da assoggettare al pignoramento per la soddisfazione della parte creditoria. In secondo luogo può ben essere lo stesso debitore a esortare l’ufficiale giudiziario alla ricerca di nuovi beni, a fronte di una dichiarazione negativa da parte del terzo debitore.

Sempre nel 4° comma dell’art. 492 c.p.c. è bene notare come l’ufficiale giudiziario, nell’invitare il debitore a fornire indicazione su ulteriori beni in suo possesso utili al pignoramento, deve avvisarlo della

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“sanzione prevista per l'omessa o falsa dichiarazione”. Al successivo 5° comma, in apertura, si specifica come “della dichiarazione del debitore è redatto processo verbale che lo stesso sottoscrive” e si prevedono, successivamente, diversi effetti a seconda del tipo di bene indicato. Le leggi di riforma del 2005 e del 200637, il cui intento è stato quello di modificare le procedure esecutive nel senso della velocità e della efficienza per una maggiore tutela del credito, hanno introdotto una importante innovazione al comma 7 dell’art. 492 c.p.c. Questo comma, oggi abrogato, recitava: “In ogni caso l'ufficiale giudiziario, ai fini della ricerca delle cose e dei crediti da sottoporre ad esecuzione, quando non individua beni utilmente pignorabili oppure le cose e i crediti pignorati o indicati dal debitore appaiono insufficienti a soddisfare il creditore procedente e i creditori intervenuti, su richiesta del creditore procedente, rivolge richiesta ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre

banche dati pubbliche. La richiesta, eventualmente riguardante più

soggetti nei cui confronti procedere a pignoramento, deve indicare distintamente le complete generalità di ciascuno, nonché quelle dei creditori istanti. L'ufficiale giudiziario ha altresì facoltà di richiedere l'assistenza della forza pubblica, ove da lui ritenuto necessario”. C’è qui da osservare come non si tratti della possibilità per l’ufficiale giudiziario di accedere direttamente alle banche dati pubbliche; ci si trova, piuttosto, di fronte ad una facoltà di accesso mediato: l’ufficiale giudiziario deve formulare una richiesta ai gestori delle suddette banche dati e saranno questi ultimi a cercare le informazioni necessarie per conto dell’ufficiale giudiziario richiedente.

Il quadro normativo è stato modificato dal decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162. Tale riforma ha abrogato il 7° comma dell’art. 492 c.p.c. e ha introdotto l’art. 492-bis c.p.c. che, come descritto nella sua rubrica, disciplina la “ricerca

37 L. 14 maggio 2005, n. 80, di conv., con mod., del d.l. 14 marzo 2005, n. 35; l. 28 dicembre 2005, n. 263; l. 24 febbraio 2006, n. 52.

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con modalità telematiche dei beni da pignorare”. Tale articolo viene completato da altre due disposizioni introdotte dal medesimo decreto legge: gli artt. 155 quater e 155 quinquies disp. att. Diversamente da come regolato nell’ormai abrogato art. 492, con l’introduzione dell’art 492-bis cambia il momento in cui è possibile effettuare questa ricerca di beni che adesso precede il tentativo di inizio della procedura espropriativa. “Su istanza38 del creditore, il presidente del tribunale (…) autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare”39. Le modalità di accesso, secondo quanto disposto dall’art. 155 quater disp. att., nella versione originaria, sarebbero dovute essere regolate da un “decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro dell'economia e delle finanze e sentito il Garante per la protezione dei dati personali”. “Con il medesimo decreto sono individuate le ulteriori banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere, che l’ufficiale giudiziario può interrogare tramite collegamento telematico diretto o mediante richiesta al titolare dei dati”40. In attesa dell’emanazione di questo decreto attuativo si è sviluppata un’oscillazione dell’orientamento giurisprudenziale sulla possibilità di un’effettiva utilizzabilità di questo nuovo istituto. Secondo un primo orientamento41 era ammissibile

38 L’istanza deve essere presentata al Presidente del Tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza. Per farsi autorizzare ad effettuare la ricerca dei beni del debitore il creditore deve pagare un contributo unificato pari a € 43. L’istanza deve contenere l’indicazione delle generalità complete delle parti e dell'avvocato difensore, l’indirizzo PEC del difensore e tutti i titoli esecutivi. Il giudice emette un decreto di autorizzazione alla ricerca telematica dei beni pignorabili, che solo in via eccezionale potrà essere effettuata personalmente dall’ufficiale giudiziario.

39 Art. 492 bis c.p.c.

40 Art. 155 quater disp. att. c.p.c.

41 Cfr., ex multis, Trib. Napoli, 5 maggio 2015 consultabile su

http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=11533; Trib.

Napoli, 2 aprile 2015 consultabile su

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http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ricerca-telematica-un’applicazione della disciplina dell’art. 155 quinquies disp. att. c.p.c. che disponeva come “il creditore procedente, previa autorizzazione a norma dell'articolo 492-bis, primo comma, del codice, può ottenere dai gestori delle banche dati previste dal predetto articolo e dall'articolo 155-quater di queste disposizioni le informazioni nelle stesse contenute”. Si ammetteva, quindi, l’“accesso alle banche dati tramite i gestori” nell’attesa di un intervento ministeriale che disciplinasse compiutamente termini e modi per la ricerca telematica dell’ufficiale giudiziario e, dunque, l’accesso alle banche dati.42 Un secondo orientamento43, opposto al primo, negava l’ammissibilità di tale istituto proprio legandosi al fatto della mancata emanazione dei decreti ministeriali attuativi.

Sugli artt. 492 bis c.p.c. e 155 quinquies disp. att. c.p.c. è successivamente intervenuto il d.l. 27 giugno 2015, n. 83 convertito con

dei-beni-da-pignorare-anche-il-tribunale-di-napoli-accoglie-la-richiesta-del-creditore.html; Trib. Mantova, 3 febbraio 2015 scaricabile

su

http://www.eclegal.it/it/ricerca-beni-da-pignorare-modalita-telematica; Trib. Pavia, 25 febbraio 2015 massima consultabile su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/dpc.php?id_cont=12216 .php; Trib. Napoli, 24 dicembre 2014 massima pubblicata su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/dpc.php?id_cont=11985 .php. 42 Tali banche dati sono l’Anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, il Pubblico Registro Automobilistico, le banche dati degli enti di previdenza, le ulteriori banche dati di cui al futuro decreto di attuazione del Ministero della Giustizia, come indicato nell’art. 492-bis, 2° comma, c.p.c.

43 Cfr., ex multis, Trib. Alessandria, 30 giugno 2015, massima

consultabile su

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/dpc.php?id_cont=12983 .php; Trib. Novara, 21 gennaio 2015 massima consultabile su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/dpc.php?id_cont=12117 .php; Trib. Vicenza, 19 marzo 2015 massima consultabile su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/dpc.php?id_cont=12538 .php; Trib. Modena 30 gennaio 2015 consultabile su http://www.tribunaledimodena.it/public/Allegati/News/2015/130/15 5quinquies.pdf.

(32)

modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132 che ha introdotto alcune novità. Innanzitutto è stata estesa a tutti i creditori muniti di titolo esecutivo la possibilità di inoltrare la richiesta per la ricerca telematica tramite ufficiale giudiziario, essendo stato espunto dall’art. 492 bis c.p.c. il termine “procedente” originariamente posto accanto alla parola creditore ed essendo stato modificato in questa direzione, in armonia con quest’ultimo articolo, anche l’art. 155 quinquies disp. att. c.p.c. Un’altra novità riguarda i termini per la presentazione dell’istanza che, a seguito della riforma, “non può essere proposta prima che sia decorso il termine indicato nel precetto entro cui l’obbligato può adempiere spontaneamente e, in ogni caso non prima che siano decorsi dieci giorni dalla notificazione di esso: dal tenore letterale del nuovo testo dell’art. 492-bis c.p.c. è evidente che l’istanza non potrà essere proposta prima della notifica del precetto”44; la stessa norma precisa poi che, in caso di pericolo nel ritardo, il presidente del tribunale autorizza la ricerca telematica anche prima della notifica del precetto.

Infine, è da osservare che il d.l. n. 83/2015, aggiungendo un 2° comma all’art. 155 quinquies disp. att. c.p.c.45, aveva consentito al creditore di chiedere al presidente del tribunale di essere autorizzato ad accedere alle

44 Cfr. “La ricerca telematica dei beni da pignorare: una novità in continua evoluzione”, a cura di EMANUELA BENANTI, pubblicato il 14 settembre 2015 su Legal Euroconference, Settimanale sul Processo Civile, consultabile alla pagina web http://www.eclegal.it/it/ricerca-telematica-beni-da-pignorare

45 “La disposizione di cui al primo comma si applica, limitatamente alle banche dati previste dall’articolo 492 bis del codice, anche sino all’adozione di un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, che attesta la piena funzionalità delle strutture tecnologiche necessarie a consentire l’accesso alle medesime banche dati. Il decreto di cui al periodo precedente è adottato entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 155 quater. La disposizione di cui al presente comma perde efficacia se il decreto dirigenziale non è adottato entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”

(33)

banche dati tramite i gestori delle stesse, nell’attesa del decreto ministeriale previsto dall’art. 155 quater disp. att. c.p.c. (che non era stato intaccato). Nella conversione in legge del decreto, il testo dell’art. 155 quater disp. att. c.p.c. è stato completamente stravolto. Il nuovo 1° comma di quest’ultimo articolo recita come segue: “Le pubbliche amministrazioni che gestiscono banche dati contenenti informazioni utili ai fini della ricerca di cui all'articolo 492 bis del codice mettono a disposizione degli ufficiali giudiziari gli accessi, con le modalità di cui all'articolo 58 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, su richiesta del Ministero della giustizia. Sino a quando non sono definiti dall'Agenzia per l'Italia digitale gli standard di comunicazione e le regole tecniche di cui al comma 2 del predetto articolo 58 e, in ogni caso, quando l'amministrazione che gestisce la banca dati o il Ministero della giustizia non dispongono dei sistemi informatici per la cooperazione applicativa di cui all'articolo 72, comma 1, lettera e), del medesimo codice di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, l'accesso è consentito previa stipulazione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di una convenzione finalizzata alla fruibilità informatica dei dati, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Il Ministero della giustizia pubblica sul portale dei servizi telematici l'elenco delle banche dati per le quali è operativo l'accesso da parte dell'ufficiale giudiziario per le finalità di cui all'articolo 492 bis del codice”. In seguito a queste modifiche, quindi, le modalità di accesso degli ufficiali giudiziari vengono disciplinate dal Codice dell’Amministrazione Digitale che, al suo “articolo 58, nel porre l’attenzione sulla fruibilità dei dati, prevede che le amministrazioni titolari di banche dati accessibili per via telematica, al fine di dare concreta attuazione a quanto previsto dal predetto articolo 50, predispongono apposite convenzioni finalizzate ad assicurare la

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