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Trattamento dell'esofago di Barrett con radiofrequenza: tecniche di esecuzione e risultati in un centro di riferimento

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di Laurea Magistrale

Trattamento dell'esofago di Barrett con radiofrequenza:

tecniche di esecuzione e risultati in un centro di riferimento

RELATORE:

Chiar.mo Prof. Santino Marchi

CORRELATORI:

Dott. Stefano Santi

Dott. Simone D’Imporzano

CANDIDATO:

Cosimo Bisci

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Sommario

1. Riassunto ... 5 2. Esofago di Barrett ... 7 2.1 Definizione ... 7 2.2 Epidemiologia ... 8 2.3 Fattori di rischio ... 8 2.4 Fattori protettivi ... 10 2.5 Istologia ... 11 2.6 Patogenesi ... 12

2.6.1 Alterazioni alla base dello sviluppo dell’esofago di Barrett ... 12

2.6.2 Dall’esofago di Barrett all’adenocarcinoma esofageo ... 13

2.7 Classificazione di Vienna ... 14 2.8 Storia naturale ... 17 2.9 Diagnosi ... 18 2.9.1 Classificazioni endoscopiche ... 18 2.10 Screening ... 20 3. Tecniche endoscopiche ... 20 3.1 Tecniche classiche ... 20

3.1.1 White light endoscopy ... 20

3.1.2 Protocollo di Seattle ... 21

3.2 Tecniche recenti ... 21

3.2.1 High resolution endoscopy ... 22

3.2.2 Cromoendoscopia e magnificazione endoscopica ... 22

3.2.3 Narrow band imaging ... 25

3.3 Sorveglianza endoscopica ... 27

4. Selezione del paziente ... 28

5. Stadiazione ... 29

6. Terapia ... 34

6.1 Terapia medica ... 34

6.2 Terapia endoscopica ... 35

7. Buried Barrett ... 40

8. Qualità di vita in pazienti con esofago di Barrett ... 42

9. Ablazione con radiofrequenza: note tecniche ... 43

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9.1.1 Generatore di energia Barrx Flex ... 43

9.1.2 Cateteri per ablazione circonferenziale ... 44

9.1.3 Cateteri per ablazione focale “through-the-scope” ... 46

9.1.4 Cateteri per ablazione focale “over-the-scope” ... 46

9.2 Procedura terapeutica ... 47

9.2.1 Ablazione circonferenziale ... 48

9.2.2 Ablazione focale ... 51

9.3 Controindicazioni... 53

9.4 Effetti avversi ... 54

9.5 Istruzioni post-ablazione per il paziente ... 54

9.6 Follow-up ... 55

9.7 Trials clinici di efficacia e sicurezza... 55

9.7.1 Studi dosimetrici ... 55

9.7.2 Efficacia ... 56

9.7.3 Eventi avversi ... 56

9.7.4 Efficacia nel lungo termine ... 57

10. Scopo dello studio ... 58

11. Pazienti, materiali e metodi ... 58

11.1 Pazienti ... 59

11.2 Raccolta dati ... 63

11.3 Elaborazione dei dati ed analisi statistica ... 64

12. Risultati ... 65

12.1 Risultati primari ... 65

12.1.1 Efficacia del trattamento ... 65

12.1.2 Sicurezza del trattamento ... 69

12.2 Risultati secondari ... 71

12.2.1 Confronto tra i tempi operatori del Barrx 360 e del Barrx 360 Express ... 71

12.2.2 Confronto di efficacia tra le tecniche di ablazione circonferenziale ... 72

12.2.3 Confronto di efficacia di CR-IM in base alla istologia pre-ablazione ... 74

13. Conclusioni ... 75

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1. Riassunto

L’esofago di Barrett è una condizione caratterizzata da una sostituzione metaplastica dell’epitelio squamoso esofageo con un epitelio colonnare simil-intestinale, della quale si stima un importante aumento di incidenza nel mondo occidentale negli ultimi decenni, con una prevalenza nella popolazione generale di circa l’1,6%. Nonostante la sua totale asintomaticità, la presenza di metaplasia intestinale comporta un aumento del rischio di sviluppare l’adenocarcinoma esofageo; tale rischio aumenta progressivamente in relazione al tipo di metaplasia presente: se non è presente displasia si attesta intorno allo 0,3% annuo, se è presente displasia di basso grado sale allo 0,5-0,7% annuo mentre se è presente displasia di alto grado sale al 6,6% annuo. Questo ci permette di capire la rilevanza dell’individuazione di tale metaplasia e l’importanza della sorveglianza endoscopica e del trattamento di questi pazienti. Negli ultimi anni sono state sviluppate nuove tecniche, come la High Resolution Endoscopy, la cromoendoscopia, la magnificazione endoscopica o la Narrow Band Imaging, per permettere una miglior individuazione dell’esofago di Barrett all’esame endoscopico e incrementare la nostra capacità di individuare endoscopicamente l’eventuale displasia presente, consentendo quindi di superare, almeno in parte, il concetto del Protocollo di Seattle. Tale protocollo prevede infatti l’esecuzione di biopsie random per ogni quadrante esofageo ogni 1-2 cm, nel tentativo di aumentare la nostra capacità di individuare la metaplasia e la displasia all’esame istologico.

Fino a qualche anno fa, il gold standard per il trattamento dell’adenocarcinoma esofageo e dell’esofago di Barrett con displasia di alto grado era la resezione esofagea chirurgica; ad oggi, grazie al miglioramento delle tecniche di trattamento endoscopico, riusciamo ad individuare lesioni esofagee a stadi precoci della progressione neoplastica e si riescono quindi a trattare endoscopicamente piuttosto che chirurgicamente, con un vantaggio importante in termini di morbilità e di mortalità peri- e post-operatoria.

I trattamenti endoscopici vengono eseguiti mediante metodiche resettive o ablative. Tra le varie tecniche ablative che sono state sviluppate, quella che sembra avere un migliore profilo di efficacia e sicurezza è l’ablazione con radiofrequenza o RFA (RadioFrequency Ablation). Questa tecnica è stata adottata ed inserita nel contesto dei trattamenti eseguiti presso la U.O. di Chirurgia dell’Esofago, in collaborazione con la U.O. di Gastroenterologia Universitaria, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.

Nel presente studio retrospettivo sono stati inclusi 66 pazienti che sono stati trattati con RFA nel periodo tra novembre 2011 e giugno 2018, per un totale di 91 ablazioni. Prima del trattamento, 18 di questi pazienti avevano una diagnosi di esofago di Barrett non displastico, 35 di displasia di basso grado e 13 di displasia di alto grado.

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6 Su 48 ablazioni effettuate in prima istanza nei pazienti con displasia, in 45 pazienti è stata raggiunta la completa eradicazione della displasia; dei tre pazienti in cui non è stata raggiunta dopo il primo trattamento, due hanno eseguito una seconda ablazione che ha eradicato completamente la displasia, mentre uno di essi ha sviluppato un adenocarcinoma esofageo ed ha subìto una esofagectomia subtotale. L’eradicazione della displasia è quindi stata raggiunta in 47 pazienti su 48 (97,9%).

Su 66 pazienti con esofago di Barrett, con o senza displasia, la completa eradicazione della metaplasia è stata raggiunta in 42 pazienti (63,7%); in 28 pazienti (42,4%) era stata raggiunta già dopo il primo trattamento con RFA.

Durante il trattamento e il periodo di follow-up (con una media di 24 ± 23 mesi), sono stati riscontrati eventi avversi in due casi (2,2%), di cui un caso di stenosi e un caso di sanguinamento.

I dati di questo studio confermano quindi i dati presenti nella letteratura.

Nell’esperienza della U.O. di Chirurgia dell’Esofago di Pisa, quindi, il trattamento con RFA è risultato essere efficace e sicuro.

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2. Esofago di Barrett

2.1 Definizione

L’esofago di Barrett (BE, Barrett’s Esophagus) è una condizione caratterizzata da una sostituzione metaplastica dell’epitelio squamoso esofageo con un epitelio colonnare simil-intestinale.

Il BE prende il nome da Norman Rupert Barrett, chirurgo toracico che, nel 1950, descrisse per primo questa anomalia metaplastica acquisita 1. Diverse definizioni di BE si sono poi susseguite nel tempo, fino a giungere alla più attuale, formulata dall’American College of Gastroenterology (ACG) nel 2016, che descrive questa condizione come: “la presenza di almeno 1 cm di epitelio metaplastico intestinale (IM, Intestinal Metaplasia) che sostituisce l'epitelio squamoso stratificato che riveste normalmente l'esofago distale” 2.

Tuttavia, la definizione di BE non è univoca in tutto il mondo accademico in quanto varia in base al requisito della presenza di IM, definita tale sulla base della presenza o meno di cellule mucipare caliciformi. La presenza di IM è tradizionalmente un requisito per la diagnosi di BE negli Stati Uniti. D'altra parte, le linee guida del Regno Unito (BSG, British Society of Gastroenterology) considerano il BE presente se vi è evidenza di un epitelio di rivestimento di tipo colonnare (CLE, Columnar Lined Epithelium), indipendentemente dalla presenza di IM 3. Il dibattito relativo alla presenza di IM è derivato dal rischio apparentemente differente di sviluppare un adenocarcinoma esofageo (EAC, Esophageal Adeno-Carcinoma) in un CLE contenente IM rispetto ad un CLE senza IM. Studi di coorte effettuati sulla popolazione hanno dimostrato un rischio di EAC significativamente più basso nei soggetti con metaplasia colonnare senza IM rispetto a quelli con IM 4. Ciononostante, non tutti gli studi hanno corroborato questo risultato 5. Sebbene le anormalità del contenuto di DNA sembrano essere comparabili nei due epiteli, alcuni studi suggeriscono che il cancro si verifica più comunemente nella metaplasia colonnare con cellule caliciformi rispetto alla metaplasia colonnare senza cellule caliciformi 4,6. Bisogna considerare però l’errore di campionamento, per cui la capacità di rilevare un’IM è direttamente correlata al numero di biopsie, nella percentuale del 35% se sono state ottenute 4 biopsie e fino al 68% dopo che sono state eseguite 8 biopsie 7.

Non è stato perciò trovato un accordo universale sulla definizione di BE. È però importante considerare che una diagnosi di BE può avere ripercussioni negative sulla qualità di vita, in quanto può causare ansia e preoccupazione nel paziente, avendo anche un impatto negativo sui costi sanitari per numero di visite ambulatoriali ed esami endoscopici e bioptici 8.

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8

2.2 Epidemiologia

L’incidenza del BE ha subito un costante aumento negli ultimi decenni. In Europa l’incidenza annuale è passata da 23,9 casi per 100.000 abitanti dal 1993 al 1997 a 62 casi per 100.000 abitanti dal 2002 al 2005, con un accrescimento del tasso di incidenza del 159% annuo. Questo può, solo in parte, essere spiegato con l’incremento del numero di endoscopie e biopsie che sono state condotte nel tempo 9. L’aumento di incidenza del BE è in linea con l’incremento della prevalenza della malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE) nella popolazione 10. Il BE infatti, è stato classicamente messo in relazione con la presenza della MRGE cronica 11, della quale oggi viene considerato una vera e propria complicanza. I pazienti che presentano un reflusso gastrico associato con il reflusso pancreatico-biliare sviluppano più facilmente il BE rispetto ai pazienti che presentano il solo reflusso di succhi gastrici 12. Nonostante questa forte associazione con la MRGE, si stima che solo circa l’11% degli individui affetti da MRGE sintomatica presenti il BE 13. Uno studio condotto in USA su 1058 pazienti con MRGE sintomatica ha evidenziato una prevalenza del BE del 14,1%, più precisamente con una prevalenza dello 0,8% dello “ultra-short BE” (< 1cm), del 9,3% dello “short BE” (> 1cm, < 3cm) e del 4% del “long BE” (> 3cm) 14. La prevalenza del BE nella popolazione generale è di circa l’1,6%, come attesta anche un importante studio svedese portato avanti su un campione di 1000 soggetti rappresentativi della popolazione generale 15.

2.3 Fattori di rischio

I principali fattori di rischio per lo sviluppo e la progressione del BE possono essere distinti in modificabili e non modificabili. I fattori di rischio non modificabili sono:

• Età: tipicamente il BE viene diagnosticato in pazienti con una età superiore a 50 anni, anche se alcuni studi considerano i pazienti sintomatici di età superiore a 40 anni a rischio di BE 16. Comunque, studi epidemiologici suggeriscono che con l’aumentare dell'età, incrementa in maniera proporzionale anche il rischio di sviluppare BE 17. Inoltre, una giovane età alla comparsa dei sintomi della MRGE (< 30 aa) conferisce un maggiore rischio di sviluppare BE. Al contrario di quello che si prospettava precedentemente, studi più recenti sembrano affermare che l’esposizione cumulativa alla MRGE sia un fattore indipendente rispetto allo sviluppo di BE 18. • Razza: il solo fatto di appartenere alla razza caucasica sembra essere correlato allo sviluppo di BE.

In un ampio studio di database su oltre 280.000 pazienti del 2009, il sospetto di BE era più frequente tra i caucasici (5,0%) seguiti dagli ispanici (2,9%), isolani asiatici/del Pacifico (1,8%) e neri (1,5%) 19.

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9 • Sesso: in tutto il mondo, il BE sembra essere prevalente negli uomini rispetto alle donne, con vari

studi che indicano un rapporto tra maschi e femmine che oscilla intorno a 2-3:1 20.

• Storia familiare: una storia familiare positiva è stata osservata in percentuali variabili nella popolazione, inoltre, i pazienti con BE familiare tendono ad essere più giovani all'inizio dei sintomi della MRGE rispetto ai pazienti BE non familiari 17.

I fattori di rischio modificabili invece, sono:

• MRGE: ha un ruolo importante nell’insorgenza del BE tanto da renderne il rischio di sviluppo maggiore di 6-10 volte, con un rischio aumentato di 7-43 volte di progressione verso l’EAC rispetto alla popolazione che non la presenta 21,22.

• Obesità: numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’obesità è un forte fattore di rischio per l’insorgenza di BE, soprattutto l’obesità di tipo centrale 23,24. Numerosi meccanismi sono stati proposti per spiegarne la correlazione. In primo luogo, l’obesità addominale comporta un aumento della pressione intra-addominale, favorendo la MRGE e l’ernia iatale. Inoltre, gli obesi presentano un ritardato svuotamento gastrico. Un altro importante meccanismo sembra essere rappresentato dalla produzione di numerosi fattori da parte del tessuto adiposo, come alcune citochine (tra cui TNF-alfa e IL-6) che possono influenzare la motilità gastrica o come la leptina e l’insulina/IGF, che sembrano favorire la proliferazione cellulare e lo sviluppo di tessuto metaplastico nell’esofago 25,26.

• Fumo: nonostante esistano pareri discordanti sull’argomento, la maggior parte degli studi ha trovato un'associazione tra il fumo di sigaretta e un aumento del rischio di sviluppare BE 20. • Alcol: il consumo di alcol può portare ad un aumento di MRGE, con conseguente predisposizione

all'infiammazione e alla carcinogenesi. Tuttavia gli studi finora eseguiti non hanno mostrato un'associazione diretta tra consumo di alcol e BE 17. Paradossalmente un moderato consumo di alcol sembra dimostrare un effetto protettivo contro l’insorgenza di BE in un altro studio 27. • Altri: negli ultimi anni, attraverso nuovi studi sono stati scoperti altri fattori di rischio che però

necessitano di ulteriori valutazioni. Questi sono: le apnee ostruttive del sonno (OSAS, Obstructive Sleep Apnea Syndrome), il DM1 (Diabete Mellito-1), la sindrome metabolica, i bisfosfonati orali, il basso peso alla nascita.

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2.4 Fattori protettivi

Alcuni fattori risultano essere correlati ad una diminuzione del rischio di BE. Questi sono:

• Helicobacter Pylori (HP): associazioni temporali sono state fatte tra la diminuzione della prevalenza di questa infezione nei paesi sviluppati e la crescente prevalenza di EAC. Vaezi et al. e Corley et al. hanno sviluppato degli studi dimostrando che l'infezione da HP, soprattutto se da parte di ceppi Cag-A positivi 28, era inversamente associata al BE 29. Sebbene i meccanismi alla base di questa associazione inversa non siano stati pienamente compresi, potrebbero riguardare una diminuzione della produzione di acido nel contesto dell'infezione da HP.

• FANS: l’uso dell’aspirina e di altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) è correlato con un ridotto rischio di sviluppo del BE 30,31, oltre che con un ridotto rischio di progressione all’EAC 32,33. Tuttavia, non tutti i risultati sono stati concordanti 34.

• Statine: l’utilizzo di statine è stato associato ad un ridotto rischio di EAC 35. Inoltre questa classe di farmaci sembra ridurre anche il rischio di insorgenza di BE, soprattutto se in pazienti obesi 36. • PPI: gli inibitori di pompa protonica (PPI, Proton Pump Inhibitor), soprattutto se utilizzati in

maniera prolungata e con una buona aderenza alla terapia 37, sono associati ad una significativa riduzione del rischio di sviluppare displasia in pazienti con BE 35.

• Alimentazione: una dieta ricca di elementi antiossidanti 38, frutta e verdura è inversamente associata al rischio di BE e di EAC, mentre non è stata osservata alcuna associazione per l'assunzione di integratori 39. Uno studio del 2017 pubblicato sull’European Journal of Epidemiology ha inoltre associato l'assunzione di alimenti e bevande ad alto contenuto di zuccheri aggiunti, in particolare zuccheri raffinati, con il rischio di sviluppare BE 40.

• Chirurgia anti-reflusso: la chirurgia antireflusso è associata ad una regressione del BE e della displasia 41,42, o comunque ad una diminuzione del tasso di progressione da NDBE (Non Dysplastic Barrett Esophagus) ad HGD (High Grade Dysplasia) o EAC 43,44. Inoltre, questa tecnica chirurgica porta ad una riduzione importante e duratura dei sintomi nella maggior parte dei pazienti 45. Fondamentale è la verifica della continenza della fundoplicatio, in quanto uno slippage può compromettere l’effetto benefico di questa metodica chirurgica.

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2.5 Istologia

Come già detto in precedenza, l’BE è caratterizzato da una metaplasia che porta alla sostituzione del normale epitelio squamoso esofageo con un epitelio colonnare.

Nel 1976, Paull et al. 46 hanno descritto per primi tre diversi tipi di epitelio metaplastico: i. colonnare di tipo fundico (con cellule muco-secernenti, principali e parietali)

ii. colonnare di tipo cardiale o giunzionale (contenente quasi esclusivamente cellule muco-secernenti, senza cellule parietali)

iii. colonnare specializzato, successivamente chiamato anche metaplasia intestinale specializzata (SIM, Specialized Intestinal Metaplasia)

Istologicamente, il SIM è caratterizzato da due tipi di cellule: cellule caliciformi e cellule colonnari. Le cellule caliciformi, citologicamente, hanno un citoplasma dilatato e pieno di mucina, con una configurazione a forma di barilotto o, appunto, di calice. Le cellule caliciformi, istochimicamente, contengono mucine acide che si colorano positivamente con l’Alcian blu a pH 2,5. Le cellule colonnari tra le cellule caliciformi possono invece assomigliare a cellule gastriche-foveolari o cellule assorbenti intestinali. Per questo motivo tali cellule non vengono utilizzate come prova definitiva di BE, perché per una diagnosi inequivocabile, almeno secondo le linee guida americane 2, sono richieste le cellule caliciformi 47.

I tipi cardiali e fundico assomigliano alle loro controparti normali nello stomaco, fatta eccezione per la presenza di un certo grado di distorsione della mucosa, atrofia ghiandolare e lieve infiammazione. Questo comporta però problemi diagnostici nell’esecuzione dell’esame anatomopatologico sui tessuti bioptici ottenuti endoscopicamente. Caratteristica particolare è la presenza di una sorta di “gradiente” di rilievo istologico, in quanto, nelle biopsie eseguite più prossimalmente si ritrova tipicamente una SIM, una mucosa di tipo fundico invece è trovata generalmente nelle biopsie più distali, mentre una mucosa di tipo cardiale si colloca in mezzo. Tuttavia può essere identificato anche un motivo a mosaico 47.

Il SIM sembra essere il ritrovamento più importante in termini di evoluzione verso l’EAC; infatti, come precedentemente riportato 4, il rischio di EAC è significativamente più basso nei soggetti con metaplasia colonnare senza IM rispetto a quelli con SIM, anche se è comunque presente 48.

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2.6 Patogenesi

2.6.1 Alterazioni alla base dello sviluppo dell’esofago di Barrett

Ad oggi è dato ormai come acquisito il fatto che il reflusso acido e biliare dallo stomaco porta allo sviluppo del BE. Tuttavia i meccanismi tramite i quali questo avviene, non sono completamente chiari. I modelli più studiati sono due: a) il modello di trans-differenziazione, b) il modello dell’insulto cronico.

a) Il primo propone che le cellule staminali squamose, esposte cronicamente agli effetti della MRGE, cambino lentamente la loro linea di differenziazione, tramite la down-regolazione dell’espressione squamosa nativa e la up-regolazione dell’espressione di cellule colonnari, portando ad una riprogrammazione dell’epitelio mediante fattori come SOX9 49,50. La presenza di un gran numero di cellule infiammatorie fa pensare che queste potrebbero contribuire alla patogenesi.

b) Nel modello dell’insulto cronico, il microtrauma continuo dovuto alla MRGE, erode piccole chiazze di epitelio squamoso, che vengono riparate dal processo di guarigione. Questa risposta attiva la proliferazione dei progenitori epiteliali vicini per coprire il difetto epiteliale. Il danno a livello della giunzione gastroesofagea (GEJ, Gastro-Esophageal Junction) induce la proliferazione dei progenitori squamosi e colonnari da entrambi i lati del difetto epiteliale. Però, la concomitante esposizione al reflusso promuove la selezione dei fenotipi che meglio si adattano a quell'ambiente, come i progenitori colonnari produttori di mucina. Con la ricorrenza degli episodi di reflusso-danno-riparazione, l'epitelio colonnare si espande, andando a sostituire progressivamente l'epitelio squamoso esofageo distale 51.

Studi recenti hanno riportato che l’acido e la bile inducono, nelle cellule squamose esofagee, l'espressione di geni Homeobox come CDX1 e CDX2 52-55. Questi geni codificano per fattori di trascrizione che regolano la differenziazione cellulare durante l'embriogenesi. Nelle cellule adulte, alterazioni dei geni Homeobox possono alterare le caratteristiche fenotipiche cellulari 56. L'espressione di questi geni nelle cellule adulte può essere regolata epigeneticamente o tramite vie di segnalazione regolate da fattori come BMP o FGF 55,57. Rispetto al normale epitelio squamoso esofageo, l'espressione di BMP4 è infatti aumentata nel BE 58; colture di cellule squamose esofagee trattate con BMP4 esprimono citocheratine caratteristiche delle cellule colonnari 59. È stato quindi proposto che la MRGE induca l'espressione di geni CDX attraverso BMP4 e che l'espressione di CDX possa mediare lo sviluppo del BE 60.

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13 Uno studio di Bedreddine et al. 61 ha

proposto una vera e propria successione di eventi per cui l’espressione di BMP4 attiva le cellule staminali nello strato basale dell'epitelio esofageo portando allo sviluppo di un epitelio colonnare (Fig. a lato 61). Se CDX2 è attivato, l'epitelio colonnare sarà di tipo colonnare specializzato, mentre la

mancata attivazione di CDX2 porterà ad un epitelio di tipo colonnare non specializzato. Questa ipotesi è stata poi rafforzata da uno studio di Mari et al. 62.

2.6.2 Dall’esofago di Barrett all’adenocarcinoma esofageo

A differenza di quanto avviene in alcune forme del cancro del colon, la sequenza esatta delle alterazioni genetiche che portano all’EAC non sono state ben caratterizzate. Il BE sembra provenire da un clone con un genoma stabile e, successivamente, vengono selezionate le cellule con alterazioni strutturali importanti del genoma 51. Esiste una eterogeneità genetica considerevole tra gli EAC sviluppati dai pazienti con BE, che spesso implicano alterazioni nei geni che codificano per oncosoppressori 63; i più coinvolti sono il p16 (CDKN2A) e il p53. Queste mutazioni sono frequentemente riscontrate nelle biopsie provenienti anche da NDBE; infatti, ad esempio, la perdita dell'espressione di un allele di CDKN2A, di solito attraverso la metilazione del suo promotore, è stata ritrovata in percentuali che arrivano anche all’85% 64-66. Tuttavia, proprio per la sua frequenza così elevata, non è molto utile come biomarker in grado di identificare la progressione neoplastica 60. Invece una instabilità genomica, spesso mediata da mutazioni di p53, è stata ritrovata in pazienti con BE in progressione verso l’EAC 51. La LOH (Loss Of Heterozigosity) del cromosoma 17p (p53) è infatti un predittore di progressione nel BE, in quanto espone i pazienti che la presentano ad un rischio 16 volte maggiore di sviluppare l’EAC 67.

Molte altre anomalie molecolari sono state identificate nel BE, in quanto è notevolmente aumentata, con i progressi nelle tecniche di screening per le alterazioni genetiche ed epigenetiche, la nostra capacità di identificarle. Sfortunatamente la nostra comprensione delle implicazioni funzionali di queste anomalie e del modo in cui potrebbero essere utilizzate per migliorare la cura del paziente non sta procedendo di pari passo.

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2.7 Classificazione di Vienna

La displasia è stata definita da Riddell et al. 68 come un “epitelio inequivocabilmente neoplastico rigorosamente confinato alla membrana basale”. Il termine “displasia” è strettamente sinonimo di neoplasia intraepiteliale, termine che è stato raccomandato nel BE dall'Organizzazione Mondiale della Sanità 69.

Prima della Classificazione di Vienna, il mondo accademico non era concorde sull’identificazione dei vari gradi di neoplasia intraepiteliale del tratto gastrointestinale. Questa classificazione infatti, è stata creata allo scopo di superare le divergenze presenti tra i patologi dei paesi occidentali e i patologi giapponesi 70 ed è stata ampiamente validata, risultando utile e riproducibile nello studio dell’EB 71.

È suddivisa in 5 categorie 70:

• Categoria 1 Negativo per neoplasia/displasia (ND, Negative for Dysplasia)

• Categoria 2 Indeterminato per neoplasia/displasia (IND, INdefinite for Dysplasia) • Categoria 3 Neoplasia/displasia intramucosa di basso grado (LGD, Low Grade Dysplasia) • Categoria 4 Neoplasia/displasia intramucosa di alto grado (HGD, High Grade Dysplasia)

▪ 4.1 Displasia di alto grado

▪ 4.2 Carcinoma non invasivo/Carcinoma in situ ▪ 4.3 Sospetto di carcinoma invasivo

• Categoria 5 Neoplasia invasiva

▪ 5.1 Carcinoma intramucoso (IMC, IntraMucosal Carcinoma) ▪ 5.2 Carcinoma sottomucoso o oltre (IC, Invasive Carcinoma)

Categoria 1

:

Negativo per neoplasia/displasia (ND)

La mucosa è colonnare metaplastica e può presentare modificazioni reattive e rigenerative, poiché spesso il tessuto è infiammato e traumatizzato dalla MRGE. Nell'epitelio reattivo, l'atipia citologica è tipicamente uniforme in tutto il campione bioptico senza evidenza di una brusca transizione. Le cripte possono mostrare un grado di affollamento e spesso mostrano ipercromasia nucleare, ingrossamento e pleomorfismo, in particolare nella SIM, in quanto i nuclei delle cellule epiteliali intestinali sono normalmente più grandi e ipercromatici rispetto a quelli delle cellule epiteliali di tipo gastrico. La maturazione superficiale è mantenuta ed è una caratterizzata da un normale rapporto nucleo/citoplasma (N/C) e un numero di mitosi variabile ma normale. Le cellule epiteliali superficiali sono monostratificate e hanno nuclei localizzati basalmente, confermando il mantenimento della giusta polarità cellulare 72.

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15

Categoria 2

:

Indeterminato per neoplasia/displasia (IND)

Questa definizione deriva da una impossibilità di classificare chiaramente un’atipia come negativa o displastica. Solitamente il dubbio si pone appunto tra la ND e la LGD 72. La causa più comune alla quale si deve l’utilizzo di questa categoria è la presenza di alterazioni citologiche che suggeriscono la displasia, associate ad un’infiammazione attiva severa, e non è chiaro se l'infiammazione possa spiegare interamente i cambiamenti citologici 73. Altre cause potrebbero essere un campionamento tissutale insufficiente, un artefatto da frantumazione o uno scarso orientamento della biopsia. In ogni caso, la diagnosi di IND deve essere considerata come un consiglio a ripetere la biopsia 71.

Bisogna comunque annoverare una considerevole variabilità inter-osservatore nell'interpretazione di ND, IND o LGD, non solo tra patologi esperti e non esperti, ma anche tra gli stessi patologi esperti. Ciò suggerisce una necessità di marcatori meno soggettivi per determinare il rischio di sviluppare EAC nel BE 74.

Categoria 3

:

Neoplasia/displasia intramucosa di basso grado (LGD)

Esistono due tipi di LGD, definiti come adenomatosa e non adenomatosa, in base alla somiglianza delle caratteristiche citologiche delle cellule displastiche agli adenomi sporadici del colon. La LGD adenomatosa è la più comune, nella quale si evidenziano cripte con architettura relativamente conservata o con una minima distorsione e nuclei atipici a forma di matita, stratificati e limitati, per la maggior parte, alla porzione basale della cellula. I nuclei sono tipicamente allungati, ammassati e ipercromatici; mostrano un contorno irregolare e un pattern di cromatina denso, con o senza nucleoli piccoli e poco appariscenti. Le cellule displastiche sono povere di mucina e mostrano una diminuzione del numero di cellule caliciformi rispetto al circostante BE 75. Altre caratteristiche includono aumentate mitosi, sia tipiche che atipiche, conservazione (o solo lieve perdita) della polarità cellulare, aumento del rapporto N/C, in particolare alla base delle cripte, e mancanza di maturazione superficiale,

caratteristica della displasia in generale ed elemento di fondamentale importanza per la diagnosi di displasia, in particolare per la LGD 73,76,77. Una caratteristica molto utile per differenziare la LGD da un epitelio reattivo è la dimostrazione di una netta demarcazione (Fig. a lato 73) tra epitelio displastico e non displastico, soprattutto in termini di alterazioni nucleari 73,77.

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Categoria 4

:

Neoplasia/displasia intramucosa di alto grado (HGD)

La HGD presenta un grado di complessità citologica e architetturale più avanzato rispetto alla LGD. La diagnosi di HGD può essere effettuata se una di queste due caratteristiche è sufficientemente predominante 78. Le tipiche anomalie architetturali includono: proliferazione e ramificazioni aumentate delle cripte, un marcato affollamento reso evidente da una notevole diminuzione dello spessore della lamina propria tra le cripte displastiche o una configurazione irregolare dell’epitelio superficiale, con presenza di papille o ponti intraluminali. Le cellule presentano un marcato pleomorfismo nucleare e irregolarità del suo contorno, aumento del rapporto N/C, perdita della polarità cellulare ed un numero più elevato di mitosi atipiche. I nuclei si presentano ammassati per tutto lo spessore epiteliale, sia nelle cripte che nell'epitelio superficiale, caratteristica peculiare dell'HGD. I nucleoli, quando presenti, possono essere di grandi dimensioni e dal contorno irregolare. La deplezione della mucina è importante e le cellule caliciformi sono marcatamente diminuite o completamente assenti 77.

Categoria 5.1

:

Carcinoma intramucoso (IMC)

La separazione dell'IMC dall'HGD è importante, ma in alcuni casi è estremamente difficile. Per definizione, nell’IMC, le cellule neoplastiche sono penetrate attraverso la membrana basale e si infiltrano nella lamina propria, tipicamente come singole cellule o in piccoli gruppi. Aspetti istologici considerati sospetti per IMC comprendono ghiandole displastiche dilatate con detriti necrotici, crescita solida o cribriforme, ulcerazione in una displasia di alto grado, neutrofili all'interno della displasia di alto grado e ghiandole displastiche invadenti la mucosa squamosa sovrastante 72. Il rischio di adenocarcinoma è aumentato significativamente se sono state osservate due o più di queste caratteristiche 79. Data la presenza di canali linfatici all'interno della mucosa esofagea, c'è un piccolo ma presente rischio di metastasi linfonodali regionali in questi pazienti, che si attesta intorno al 3-8% 80-82.

Categoria 5.2

:

Carcinoma sottomucoso (IC)

L’IC è un tumore che invade la sottomucosa. In casi dubbi, l'immunoistochimica per la desmina, che evidenzia gli strati muscolari, può essere utile per identificare i limiti profondi della muscularis mucosae 72. È una diagnosi importante in quanto permette di predire la probabilità di metastasi linfonodale (21-25%) 73,82,83.

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17

2.8 Storia naturale

Il BE si presenta come un disordine asintomatico e benigno, che assume la sua importanza clinica perché è stato di fatto dimostrato il suo ruolo in qualità di lesione neoplastica verso lo sviluppo in EAC, la cui frequenza sta subendo un drammatico aumento, che negli ultimi 40 anni si attesta intorno al 600% rispetto agli anni '70 ed è destinato ad aumentare ancora 84. I dati, aggiornati al 2014, indicano che si è passati da un’incidenza di 0,4 casi per 100.000 persone nel 1975 ad un’incidenza di 2,7 casi per 100.000 persone nel 2014 85. Inoltre, l'EAC è tra le condizioni più letali di tutto il tratto gastrointestinale: solo il 16% dei pazienti sopravvive a 5 anni e il tempo di sopravvivenza medio è inferiore a 1 anno 86.

L’incidenza di EAC nella popolazione con NDBE si attesta intorno allo 0,33%/anno 87, mentre quella nella popolazione con LGD sale attorno allo 0,5-0,7%/anno 88,89. Tuttavia la propensione della LGD a progredire all’EAC risulta molto variabile, in relazione alla bassa concordanza della diagnosi istologica di LGD dovuta ad un elevato grado di soggettività nell’interpretazione della displasia da parte dei singoli patologi. Per ovviare a questo problema Curvers et al. 90 hanno condotto uno studio acquisendo i rapporti istopatologici di tutti i pazienti con diagnosi di LGD tra il 2000 e il 2006 in sei ospedali olandesi, che è stato poi completato con i dati fino al 2011 da Duits et al. 91 in cui questi rapporti sono stati rivalutati da un secondo patologo e la diagnosi originale di LGD è stata confermata in poco più di un quarto dei casi (27%) mentre il resto (73%) è stato declassato a NDBE o ad IND. I pazienti con LGD confermata avevano un tasso di progressione verso HGD o EAC del 9,1%/anno, molto diverso dallo 0,6-0,9%/anno dei pazienti con diagnosi di LGD declassata. Questo studio ribadisce la difficoltà di formulare una diagnosi patologica della LGD, ma mostra anche che quando questa diagnosi è confermata da un patologo esperto appartenente ad un altro centro, il rischio di progressione verso l'HGD o l’EAC è sostanzialmente aumentato. In linea con queste osservazioni, una recente meta-analisi su 24 studi ha rilevato che gli studi con bassi rapporti LGD/NDBE (<0,15), sono indicativi di criteri diagnostici più stringenti per la displasia e hanno riportato un'incidenza annuale dell’EAC significativamente più alta (0,76%) rispetto a studi con un rapporto > 0,15 (0,32%) 88. Nei pazienti con HGD sono stati rilevati i più alti tassi di progressione ad EAC, dove si attestano intorno al 6,6%/anno 92.

Questi dati costituiscono la base per le raccomandazioni delle linee guida atte a standardizzare la gestione dell’EAC e dei vari gradi di displasia del BE.

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2.9 Diagnosi

Nel 2016 l’American College of Gastroenterology ha pubblicato le linee guida per la diagnosi e la gestione del BE. La diagnosi di BE deve essere presa in considerazione quando, all’esecuzione di un esame endoscopico, si apprezza una mucosa color rosa-salmone che si estende per almeno 1 cm prossimalmente alla GEJ e deve essere confermata con l’esecuzione di multiple biopsie. Inoltre, per massimizzare la capacità di riconoscere la IM, devono essere eseguite almeno 8 biopsie, che possono essere ridotte a 4 per cm nel segmento circonferenziale e 1 per cm nelle lingue di BE in pazienti con un segmento di ESEM corto, in cui 8 biopsie non sarebbero ottenibili 2. La presenza di una metaplasia intestinale specializzata (con cellule caliciformi) è infatti tradizionalmente riconosciuta come un requisito fondamentale per la diagnosi di BE negli Stati Uniti d’America 93.

Nel 2014, invece, la British Society of Gastroenterology poneva come criterio per la diagnosi di BE il ritrovamento, in qualsiasi porzione dell’epitelio distale esofageo, di un epitelio metaplastico colonnare chiaramente visibile endoscopicamente (almeno 1 cm) e confermato istopatologicamente dalle biopsie 3. La ragione per cui i segmenti < 1 cm vengono classificati come SIM-EGJ (Specialized Intestinal Metaplasia of the Esophageal Gastric Junction), invece che BE, dipende dall’errore dovuto alla elevata variabilità inter-osservatore e dal ridotto rischio di EAC. I pazienti con SIM-EGJ non hanno infatti dimostrato un aumento nello sviluppo di displasia o EAC rispetto alla popolazione generale, al contrario dei pazienti che presentano una IM > 1 cm 94.

2.9.1 Classificazioni endoscopiche

Dal momento che la presenza di metaplasia e il rischio di progressione sono direttamente correlati all’estensione del BE 95,96, nel recente passato la comunità scientifica ha cercato di classificarlo in tal senso, suddividendolo in 3 categorie:

- BE a segmento lungo (IM con una estensione > 3 cm prossimalmente alla GEJ)

- BE a segmento corto (IM con una estensione > 1 cm ma < 3 cm rispetto alla GEJ)

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19 Successivamente è stato proposto un nuovo sistema classificativo, ampiamente validato 99, che ha preso il nome di classificazione di Praga C&M 100, che si propone come un sistema facilmente riproducibile e di univoca interpretazione. Per applicare questo sistema l’endoscopista deve innanzitutto mappare il punto di repere anatomico che è la GEJ, definita come il punto in cui originano le pliche gastriche. Successivamente si potranno definire le misure (in cm) di C e M, che sono: l’estensione longitudinale massima dell’area circonferenziale sospetta per metaplasia (C) e la sua massima estensione (M) a partire dalla GEJ. Il valore di M sarà quindi il risultato della somma tra la dimensione di C e la lunghezza delle eventuali digitazioni non circonferenziali di maggiore dimensione. I criteri C&M di Praga sono attualmente i più utilizzati per la classificazione dell’estensione del BE.

Fig. Rappresentazione schematica di un esofago di Barrett classificato come C2M5 100

Fig. Acquisizione video di un esofago di Barrett classificato come C2M5 100

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2.10 Screening

Nei pazienti con MRGE, l’esecuzione di screening endoscopici per l’individuazione del BE non viene raccomandato per tutti i pazienti (non vi sono evidenze sufficienti a dimostrarne un effettivo beneficio), ma è consigliato in quella popolazione che presenta fattori di rischio come: 101-107

• MRGE, in particolare se:

o precoce età di insorgenza dei sintomi o presente da > 5 anni

o in presenza di sintomi frequenti e importanti o in assenza di frequente uso di PPI

o in presenza di storia familiare per MRGE • obesità, in particolare l’obesità addominale • fumo

• sesso maschile

• età maggiore di 50 anni • razza bianca

• presenza di ernia iatale

3. Tecniche endoscopiche

3.1 Tecniche classiche

3.1.1 White light endoscopy

Come abbiamo detto la diagnosi del BE si basa sul ritrovamento, a livello dell’esofago distale, di aree di mucosa anormale color rosa-salmone nel contesto della normale mucosa esofagea (di colore più chiaro, biancastro, pallido), con la necessità di una conferma bioptica.

Tuttavia, la sola endoscopia a luce bianca (WLE, White Light Endoscopy) non ci permette di individuare zone di maggior interesse clinico, come quelle displastiche e neoplastiche, che possono essere presenti nel contesto del BE 108.

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3.1.2 Protocollo di Seattle

Per cercare di massimizzare la nostra capacità di riconoscere le zone displastiche all’interno del BE, è stato classicamente creato un protocollo bioptico chiamato Protocollo di Seattle 109.

Questo prevede l’esecuzione di biopsie:

- ai quattro quadranti esofagei ogni 1-2 cm di sospetta metaplasia circonferenziale

- ogni 1-2 cm di sospetta metaplasia a fiamma

- in ogni isola di sospetta metaplasia

Questo protocollo però prevede un numero enorme di biopsie che comporta un carico di lavoro importante sia per gli anatomopatologi che per gli endoscopisti 73. Con il cambiamento delle tecniche e l'introduzione di una più sofisticata tecnologia endoscopica, aree indicative per displasia o adenocarcinoma possono essere identificate endoscopicamente con una differenza minima rispetto al protocollo di Seattle 110, facilitando in questo modo le biopsie mirate e portando ad un sensibile risparmio di tempo, carico di lavoro e anche in termini economici rispetto alle biopsie “protocol-guided” 111. Tali risultati non devono però portare ad un completo abbandono della tecnica bioptica per quadranti, che può essere giustificato se l’esame è eseguito da un endoscopista esperto112 all’interno di centri specializzati ad alto volume con controllo permanente della qualità, mentre rimane importante al di fuori di questo contesto 113.

3.2 Tecniche recenti

Le tecniche di imaging che negli ultimi anni sono state sviluppate e che hanno cambiato l’ approccio nei confronti dell’ESEM (Endoscopically Suspected Esophageal Metaplasia) sono molte, tra cui si annoverano l'endoscopia ad alta risoluzione (HRE, High Resolution Endoscopy), la cromoendoscopia, la magnificazione

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22 endoscopica, l'imaging a banda stretta (NBI, Narrow Band Imaging) e altre forme di analisi ottica. Queste tecniche hanno lo scopo di permettere l’individuazione di eventuali neoplasie in una fase precoce, oltre ad un possibile miglioramento della pratica di sorveglianza del BE.

3.2.1 High resolution endoscopy

La WLE è attualmente la modalità standard di endoscopia perché fornisce una rappresentazione realistica della mucosa gastrointestinale. La qualità della visualizzazione è incrementata negli ultimi anni grazie agli endoscopi ad alta risoluzione (HRE), che producono immagini contenenti da 850.000 pixel a più di 1 milione di pixel, in contrasto con le immagini prodotte da endoscopi a definizione standard che contengono circa 400.000 pixel 114. Inoltre, questi endoscopi ci permettono di eseguire la magnificazione endoscopica grazie ad una lente mobile, con cui la distanza focale può essere sensibilmente ridotta, ottenendo una visualizzazione più vicina della superficie mucosa (<3mm) e permettendo quindi di individuare anormalità microscopiche delle strutture ghiandolari e vascolari della mucosa.

L’HRE con magnificazione endoscopica, tuttavia, permette di vedere nel dettaglio una superficie selezionata, mentre diventa un sistema laborioso e poco pratico su superfici estese. Per questo motivo questa tecnica è stata combinata con la cromoendoscopia.

3.2.2 Cromoendoscopia e magnificazione endoscopica

La cromoendoscopia è una tecnica che prevede l’applicazione endoscopica, tramite l’utilizzo di cateteri spray, di coloranti specifici per la mucosa esofagea, per migliorare la visualizzazione e la caratterizzazione dei tessuti 115.

Fig. Colorazione con acido acetico mediante catetere spray

I coloranti più comunemente utilizzati a livello esofageo si possono suddividere in 2 gruppi: 1. coloranti vitali, che vengono assorbiti da specifiche cellule epiteliali:

a. soluzione di Lugol b. blu di Metilene c. blu di toluidina

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23 2. coloranti di contrasto, che non vengono assorbiti, ma si raggruppano nelle fessure della mucosa,

andando ad accentuare la topografia e le irregolarità strutturali della mucosa: a. acido acetico

b. indaco carminio

Presso la U.O. di Chirurgia dell’Esofago di Pisa i coloranti usati correntemente sono la soluzione di Lugol, il blu di Metilene e l’acido acetico.

La soluzione di Lugol è un colorante a base iodica, utilizzato in concentrazioni di 1-3%, che presenta una affinità per il glicogeno presente nell’epitelio squamoso esofageo, che assume un colorito marrone uniforme (della durata di 5-8 minuti), mentre le aree di BE, infiammazione, displasia o neoplasia risaltano per la mancata assunzione del colorante.

Fig. Colorante di Lugol Il blu di Metilene è un colorante vitale, utilizzato in soluzione dallo 0,5%

all’1%, che viene assorbito dalle cellule epiteliali intestinali assorbenti, mentre non viene assorbito dalle cellule non assorbenti come quelle dell’epitelio squamoso esofageo. Si colorano quindi di blu le aree dove è presente il BE, mentre rimangono non colorate le aree di normale epitelio

esofageo. Fig. Blu di Metilene

L’acido acetico è un colorante di contrasto che, utilizzato in soluzione all’1.5%, aumenta il contrasto della giunzione squamo-colonnare e migliora notevolmente la visualizzazione dei

dettagli della superficie mucosa soprattutto se utilizzato in combinazione con la magnificazione endoscopica, nel qual caso prende il nome di EME (Enhanced Magnification Endoscopy) 116. Questa unione di tecniche avanzate permette di eseguire biopsie mirate, con una capacità più di individuare LGD, HGD e Tis molto più elevata rispetto alle biopsie random eseguite secondo il

protocollo di Seattle 117,118. Fig. Acido acetico 118

La HRE e la magnificazione endoscopica (tramite i quali si arriva ad un ingrandimento fino a 150x) associati alla colorazione con acido acetico, ci hanno permesso di individuare le più fini modificazioni della mucosa e quindi la valutazione dei pattern vascolari e morfologici, tramite lo studio dei quali è stato reso possibile lo sviluppo di classificazioni della superficie mucosa. La prima classificazione è stata creata da Guelrud et al. 116, nella quale i pattern di visualizzazione della mucosa sono stati divisi in 4 categorie (1: rotondo, 2:

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24 reticolare, 3: villoso, 4: increspato). Successivamente è stata sviluppata la più dettagliata classificazione di Endo 119.

In questa classificazione i pattern strutturali della mucosa (“pit pattern”) vengono divisi in 5 tipi:

Classe 1, pattern circolare Classe 2, pattern lineare Classe 3, pattern ovalare allungato

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25 Classe 4, pattern

tubulare

Classe 5, pattern villoso

Fig. Rappresentazioni endoscopiche delle 5 classi, sulla sinistra sono state eseguite mediante l’utilizzo del blu di Metilene, sulla destra senza l’utilizzo del colorante 119.

Questa classificazione è molto importante in quanto è stata dimostrata una forte correlazione tra i pattern superficiali della mucosa e la presenza di BE. Nelle biopsie eseguite su mucosa di classe 1 e 2, è stata rilevata di rado la presenza di BE, mentre nelle classi 3, 4 e 5 è stata rispettivamente di 40%, 100% e 100%. Successivi studi hanno dimostrato come la magnificazione endoscopica e i pit patterns fossero importanti non solo per il riconoscimento del BE ma anche per la displasia, soprattutto se HGD, in quanto la LGD si presenta con un pattern molto simile al BE 120-122.

3.2.3 Narrow band imaging

L’imaging a banda stretta o NBI, è una tecnica che utilizza filtri ottici per migliorare la visualizzazione sia della mucosa che della vascolarizzazione. L'NBI si basa sul fatto che la profondità della penetrazione della luce nei tessuti dipende dalla lunghezza d'onda della luce. La luce a lunghezza d'onda lunga (rossa) penetra più profondamente, di conseguenza fornisce maggiori informazioni sugli strati più profondi, mentre la

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26 luce a lunghezza d'onda corta (blu) ha una penetrazione più superficiale, fornendo maggiori informazioni sulla morfologia della superficie della mucosa. Inoltre, la luce blu rivela la vascolarizzazione superficiale perché è assorbita dall'emoglobina. Con l'NBI, l'intensità relativa della luce blu viene aumentata, mentre altre lunghezze d'onda vengono ridotte o eliminate utilizzando un filtro ottico.

L’NBI usato in combinazione con la HRE ha portato alla definizione e classificazione da parte di vari gruppi di studio con lo scopo di differenziare tra neoplasia intraepiteliale e tessuto non neoplastico 123-126. Tuttavia, nessuno di queste classificazioni proposte sono state largamente accettate a livello mondiale. A questo scopo il BING (Barrett’s International NBI Group) è stato convocato, per giungere ad un sistema di classificazione prospettico, guidato dal consenso, che possa essere utilizzato per prevedere la presenza o l'assenza di displasia nel BE. I pattern mucosali e vascolari sono stati classificati come "regolari" o "irregolari" in base a queste caratteristiche 127:

• Pattern mucosali:

o Regolari (circolari, increspati, villosi e tubulari) o Irregolari (assenti o irregolari)

• Pattern vascolari:

o Regolari (vasi posti regolarmente lungo o tra le creste della mucosa e/o quelli che mostrano schemi normali, lunghi o ramificati)

o Irregolari (vasi distribuiti focalmente o diffusamente, che non seguono la normale architettura della mucosa)

Gli esperti hanno concordato sul fatto che i pattern con mucosa e vascolarizzazione regolari indicano un NDBE, mentre i pattern irregolari erano predittivi di BE con HGD. A questo nuovo sistema di classificazione è stato dato il nome di “BING Criteria”. Complessivamente i risultati dello studio hanno dimostrato sensibilità, specificità, valore predittivo negativo e valore predittivo positivo rispettivamente di 80%, 88%, 88%, 81% nella identificazione della displasia.

Simili risultati sono stati riportati anche da un attuale studio pubblicato da Nogales et al. 128, dove si va a confermare che l’NBI potrebbe essere un utile strumento aggiuntivo per l'ispezione di BE e l’esecuzione di biopsie mirate, ma non può evitare la necessità di biopsie secondo il protocollo di Seattle.

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27 Fig. (a), (b) pattern vascolari e

mucosali regolari di un BE visualizzato con NBI, predittivi di un NDBE 128

Fig. (c), (d) pattern vascolari e mucosali irregolari, visualizzati con NBI di un BE con istologia di HGD 128

3.3 Sorveglianza endoscopica

Sebbene manchino dati provenienti da studi randomizzati e controllati, date le evidenze derivanti da pubblicazioni secondo cui la sorveglianza del BE è correlata con una diagnosi di EAC in stadio iniziale e con un miglioramento della sopravvivenza 129-131, la sorveglianza è generalmente raccomandata 3,132.

Allo stato attuale, la HRE è considerata universalmente come la tecnica gold-standard per la sorveglianza dei pazienti con BE. La valutazione sulla indicazione o meno alla sorveglianza di un dato paziente, dovrebbe essere determinata sulla base di una stima della probabilità di progressione all’EAC, in base all’aspettativa di vita e all’idoneità del paziente a subire endoscopie ripetute, così come va tenuta di conto la preferenza del paziente, che deve essere informato sui pro e i contro di un regime di sorveglianza. Un uso routinario di tecniche di imaging avanzate durante la sorveglianza endoscopica non è raccomandato. La sorveglianza endoscopica dovrebbe impiegare biopsie ai quattro quadranti ad intervalli di 2 cm in pazienti senza displasia e ad intervalli di 1 cm in pazienti con displasia, partendo dall'estremità superiore delle pieghe gastriche. Le biopsie ottenute ad ogni diverso livello devono essere raccolte e presentate al

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28 patologo in contenitori separati. Inoltre, campionamenti separati devono essere prelevati da tutte le lesioni visibili (ad es. nodularità) della mucosa, preferibilmente eseguendo una EMR (Endoscopic Mucosal Resection) 2,3,132. Le biopsie non dovrebbero essere ottenute in aree di mucosa con evidenza di esofagite erosiva fino a che non sia stata indotta la guarigione della mucosa a seguito di un’intensificazione della terapia antireflusso 2.

4. Selezione del paziente

Riguardo ai pazienti con NDBE è presente una certa discordanza in letteratura sulla necessità di trattare tali pazienti con una terapia ablativa come l’ablazione a radiofrequenza (che si tende a raccomandare specialmente se essi sono pazienti maschi, caucasici, obesi, oppure presentano un long Barrett, in quanto questi rappresentano i maggiori fattori di rischio di progressione verso l’EAC) oppure seguirli mediante programmi di sorveglianza endoscopica 133. Gli intervalli di sorveglianza dovrebbero essere stratificati soprattutto in base alla lunghezza del segmento metaplastico in quanto la lunghezza del BE è stato dimostrato essere un forte fattore di rischio verso la progressione ad EAC 96,134. Se il segmento di NDBE è:

• <1 cm: nessuna necessità di sorveglianza endoscopica • ≥1 cm e <3 cm: endoscopia a 5 anni

• ≥3 cm e <10 cm: sorveglianza a 3 anni

• ≥ 10 cm: questi pazienti devono essere indirizzati verso centri esperti in BE per le endoscopie di sorveglianza.

La necessità di inviare i pazienti con NDBE ≥ 10 cm verso un centro di alto livello, dipende dalla constatazione che il rischio di progressione in questi pazienti potrebbe raggiungere un livello paragonabile a quello dei pazienti con una diagnosi confermata di LGD e dal fatto che gli intervalli di sorveglianza sono attualmente governati dall'opinione degli esperti.

La diagnosi di qualsiasi grado di displasia (incluso IND) richiede una revisione da parte di un secondo patologo esperto nell’apparato gastrointestinale per confermarne la presenza. I pazienti con una diagnosi di IND devono essere gestiti con l'ottimizzazione della terapia farmacologica anti-reflusso e la ripetizione dell'endoscopia in 6 mesi/1 anno. Se non si riscontra una displasia definita nelle successive biopsie, la strategia di sorveglianza dovrebbe seguire la raccomandazione per l'NDBE 2,3,132.

Fino a poco tempo fa 3 il paziente con LGD veniva indirizzato verso uno screening endoscopico ogni 6 mesi. Tuttavia, negli ultimi anni sono emerse nuove evidenze 135,136 a sostegno della necessità di eseguire un

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29 trattamento nei pazienti con LGD. Alla luce di questi nuovi dati pubblicati, le linee guida consigliano una terapia di eradicazione endoscopica, preferibilmente mediante ablazione a radiofrequenza, come trattamento appropriato da offrire ai pazienti con LGD confermata 2,132,137.

I pazienti che presentano un BE con diagnosi confermata di HGD, non devono essere sottoposti a sorveglianza, ma trattati con la terapia endoscopica, a meno che non abbiano una comorbidità che riduce sensibilmente la loro aspettativa di vita.

Fig. sopra: Flow-chart riassuntiva del management del BE non-nodulare 2

5. Stadiazione

Per poter effettuare una corretta resezione endoscopica è necessario accertare le caratteristiche istologiche e macroscopiche delle lesioni oltre che escludere un coinvolgimento linfonodale. La conoscenza del rischio di metastasi linfonodali è infatti fondamentale per pianificare la terapia per l'adenocarcinoma esofageo T1 in quanto, pazienti con EEC (Early Esophageal Cancer) vengono trattati endoscopicamente o con tecniche di resezione chirurgica limitata che non prevedono l’escissione di linfonodi. All’interno del gruppo di neoplasie considerate come “superficiali”, vengono incluse tutte quelle lesioni neoplastiche che non presentano una invasione della lamina propria o quei carcinomi che invadono

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30 la lamina propria con una profondità limitata alla mucosa. La valutazione per le metastasi a distanza può includere tecniche come la tomografia computerizzata (CT, Computed Tomography) con mezzo di contrasto, la tomografia ad emissione di positroni con fluorodesossiglucosio (PET-FDG, Positron Emission Tomography-FluoroDeoxyGlucose) o l'ecografia endoscopica (EUS, Endoscopic UltraSound). PET e CT, tuttavia, non possono delineare in modo affidabile i singoli strati della parete esofagea e quindi non possono valutare la profondità di invasione. A questo scopo infatti l’EUS è il metodo non istologico più accurato.

Insieme a queste tecniche strumentali, per aiutare a prevedere l'estensione dell'invasione e quindi poter stadiare e trattare correttamente l’EEC, sono state create e riconosciute in tutto il mondo accademico due classificazioni:

a. Classificazione di Parigi

b. Classificazione di Vienna

a. Classificazione di Parigi

La classificazione di Parigi 138 è il risultato di un gruppo di lavoro internazionale composto da endoscopisti, chirurghi e patologi, che si è riunito per esplorare l'utilità e la rilevanza clinica della classificazione endoscopica giapponese delle lesioni neoplastiche superficiali del tratto gastrointestinale. Questa classificazione, raccomandata anche dalle principali linee guida sul BE 3,132, si basa sulla morfologia macroscopica delle lesioni visualizzate endoscopicamente. È necessario valutare anche la dimensione della lesione e il suo diametro nel modo più preciso possibile. Quindi la morfologia è classificata in uno dei 5 tipi (tipo 1: carcinomi polipoidi, di solito attaccati su una base larga; tipo 2: carcinomi ulcerati con margini nettamente delimitati e rialzati; tipo 3: carcinomi infiltranti ulcerati senza limiti definiti; tipo 4: carcinomi non ulcerati, diffusamente infiltranti; tipo 5: carcinomi non classificabili) della classificazione giapponese per il cancro avanzato o nel tipo 0 se la lesione è compatibile con una lesione superficiale (mucosa o sottomucosa).

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31 Per quanto riguarda le lesioni piatte (tipo 0), queste sono divise in 3 gruppi e altri sottogruppi:

• tipo 0-I, polipoide

o peduncolata (0-Ip) o sessile (0-Is)

• tipo 0-II, non polipoide e non escavata o leggermente elevata (0-IIa) o completamente piatta (0-IIb)

o leggermente depressa senza ulcera (0-IIc) • tipo 0-III, non polipoide con ulcera

Fig. sopra: Classificazione di Parigi 138

La presenza di due distinti tipi di morfologia può essere definita associando i due tipi insieme. Ad esempio, una lesione elevata con una depressione centrale nella parte superiore è classificata come tipo 0-IIa+IIc. La morfologia di una lesione neoplastica di tipo 0 ha un valore predittivo per la profondità di invasione nella parete del tubo digerente, fornendo una "stadiazione endoscopica" che può aiutare nelle decisioni di trattamento che implicano la resezione o la chirurgia endoscopica. Il ruolo principale della stadiazione endoscopica è di predire il rischio di invasione sottomucosa e il rischio associato di metastasi linfonodali. Per una lesione di tipo 0-I, il diametro è un criterio predittivo affidabile. Il rischio di invasione sottomucosa aumenta con il diametro. D'altra parte, con lesioni di tipo 0-II, i sottotipi morfologici hanno maggiore importanza. L'invasione della sottomucosa è più frequente nelle lesioni depresse (IIc).

Nella mucosa esofagea sono descritti 3 strati che corrispondono rispettivamente all'epitelio (m1), alla lamina propria (m2) e alla muscularis mucosae (m3). Nel campione esofageo asportato chirurgicamente è presente la muscolare propria, quindi è disponibile lo spessore completo della sottomucosa che

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32 permette una valutazione affidabile della profondità di invasione tumorale all’interno della stessa, divisa in 3 settori di spessore equivalente: sm1, sm2 e sm3. Nei campioni ottenuti con una EMR però, la sottomucosa completa non è disponibile e la valutazione semiquantitativa della profondità di invasione non è completamente affidabile. L'unico metodo preciso prevede una misurazione quantitativa in micron (μ) della profondità di invasione, misurata a partire dallo strato inferiore della muscularis mucosae. Si presume che il rischio di metastasi linfonodali sia basso quando la profondità di invasione della sottomucosa è inferiore a 500 μ (sm1) 138. Vari studi hanno confermato la predittività per l’invasione linfonodale di questa classificazione; ai seguenti spessori di invasione è associata la percentuale di metastasi linfonodali trovate all’esame patologico in questi studi 139-141:

▪ m1 e m2: 0% ▪ m3: 0-1,3% ▪ sm1: 10-21% ▪ sm2: 11-21% ▪ sm3: 26-49%

b. Classificazione di Vienna

La Classificazione di Vienna 70 è stata creata per stadiare le neoplasie intraepiteliali del tratto gastrointestinale e dare una indicazione di trattamento alle diverse lesioni neoplastiche e displastiche della mucosa esofagea in base a caratteristiche esclusivamente istologiche e citologiche. In questa classificazione le neoplasie sono state suddivise in invasive (categoria 5) e non invasive (categorie 1, 2, 3, 4) in base alla presenza di un coinvolgimento della membrana basale. All’interno delle neoplasie invasive si distinguono i carcinomi intramucosi (IMC) e quelli infiltranti la sottomucosa (IC). Questa classificazione si articola così:

• Categoria 1 Negativo per neoplasia/displasia (ND, Negative for Dysplasia)

• Categoria 2 Indeterminato per neoplasia/displasia (IND, INDefinite for dysplasia) • Categoria 3 Neoplasia/displasia intramucosa di basso grado (LGD, Low Grade Dysplasia) • Categoria 4 Neoplasia/displasia intramucosa di alto grado (HGD, High Grade Dysplasia)

▪ 4.1 Displasia di alto grado

▪ 4.2 Carcinoma non invasivo/Carcinoma in situ ▪ 4.3 Sospetto di carcinoma invasivo

(33)

33 • Categoria 5 Neoplasia invasiva

▪ 5.1 Carcinoma intramucoso (IMC, IntraMucosal Carcinoma) ▪ 5.2 Carcinoma sottomucoso o oltre (IC, Invasive Carcinoma)

Tuttavia, quando la classificazione di Vienna viene applicata al trattamento, le categorie non corrispondono esattamente alle attuali raccomandazioni terapeutiche. In questa classificazione infatti, le diagnosi di HGD e di carcinoma non invasivo sono collocate in una categoria diversa da quella dell’IMC, sebbene le implicazioni terapeutiche siano le stesse, vale a dire il trattamento locale endoscopico per piccoli carcinomi mucosi o HGD e intervento chirurgico per quelli più grandi, indipendentemente dal fatto che vi sia o meno un'invasione intramucosa evidente. Inoltre, la distinzione tra neoplasia intramucosa di alto grado e carcinoma intramucoso è piuttosto soggettiva. Per superare i limiti di utilità clinica ed evitare i problemi di definizione della invasione intramucosa di tale classificazione, ne è stata proposta una versione rivisitata 142, la cui utilità è stata poi confermata 143 soprattutto per determinare, tramite lo studio dei campioni di tessuto ottenuto con resezione endoscopica, se è necessario un ulteriore intervento chirurgico con dissezione linfonodale. Tale classificazione di Vienna revisionata si divide in 5 categorie in questo modo:

(34)

34

6. Terapia

6.1 Terapia medica

Il concetto della terapia medica nel BE va inteso come una “chemioprevenzione”, intesa come l’insieme degli interventi volti a prevenire l’insorgenza e la progressione della displasia. Tra i fattori principalmente studiati a questo scopo abbiamo:

• MRGE: come spiegato in precedenza la MRGE è di grande importanza nella patogenesi del BE. Ciò è confermato anche da studi pH-metrici che hanno dimostrato come pazienti con BE presentassero una significativa maggior esposizione acida della mucosa esofagea distale rispetto ai pazienti senza BE 144. È stato dimostrato che l’utilizzo dei PPI porta a normalizzazione del pH esofageo, riduzione della proliferazione e promozione della differenziazione cellulare 145. Per questo motivo l’utilizzo dei PPI è generalmente consigliato nei pazienti con BE per il suo duplice effetto, come terapia sintomatica (per ridurre la spiacevole sensazione di rigurgito, bruciore retrosternale e nausea) e perché sembra essere associato ad una riduzione del 71% del rischio di sviluppare una HGD o un EAC 146. Tuttavia, fino a un terzo di questi pazienti in cura con PPI continua ad avere reflusso biliare. Alcuni studi volti ad ovviare a questo problema hanno introdotto una terapia con acido ursodesossicolico associato ai PPI. Questa associazione però non è risultata efficace 147.

• FANS: durante la MRGE, la mucosa esofagea produce una maggiore quantità di prostaglandina (PGE2) che, oltre ad una certa soglia, inizia ad esercitare effetti inibitori sullo sfintere esofageo inferiore (LES, Lower Esophageal Sphincter). Un'eccessiva produzione di PGE2 può quindi determinare un circolo vizioso di infiammazione, disfunzione del LES con conseguente ulteriore reflusso gastro-esofageo e ulteriore infiammazione 148. La cicloossigenasi (COX) 2 è l’enzima principale della via di sintesi delle prostaglandine ed è espressa normalmente nell'esofago. Nel BE la sua espressione è risultata significativamente aumentata e ancor più nell’HGD e nell’EAC 149. Il trattamento con inibitori della COX-2 riduce la proliferazione delle cellule di BE in vitro 150. Negli studi in vivo i risultati sono però stati contrastanti, motivo per cui né l’ACG 2, né la BSG 3, né la American Gastroenterological Association (AGA) 105, raccomandano l'uso di aspirina o altri FANS unicamente per prevenire l'EAC nei pazienti con BE, sulla base delle prove attuali e dei rischi potenziali (sanguinamento gastrointestinale grave, ulcere gastriche e duodenali, ictus emorragico) in una popolazione generalmente sana 151. Tuttavia, nei pazienti con BE che sono

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35 anche candidati all'uso di acido acetilsalicilico per fattori di rischio cardiovascolari, è possibile trarre un ulteriore beneficio da qualsiasi effetto chemioprotettivo dell'ASA sul loro BE.

• Statine: anche se ci sono risultati contrastanti, stanno aumentando gli studi che dimostrano un’associazione inversa tra l'uso di statine e la progressione del BE verso l’EAC, come anche la riduzione del rischio di sviluppare il BE in primo luogo. Questi risultati sono particolarmente importanti tra coloro che, insieme alle statine, utilizzano anche i FANS 152.

6.2 Terapia endoscopica

Il trattamento e la prognosi dell’EAC dipendono in gran parte dallo stadio al momento della diagnosi. Mentre gli EEC, definiti come malattie limitate alla mucosa (m) e in alcuni casi estesi alla sottomucosa superficiale (sm1), rappresentano il 20% per tutti i casi di EAC, la maggior parte dei pazienti sintomatici si presenta in uno stadio avanzato. L'esofagectomia era ed è attualmente il trattamento di scelta nei pazienti con carcinoma avanzato, che non rientra all’interno dei parametri dell’EEC, o con tumori con evidenza di invasione linfo-vascolare che non sono quindi candidabili alla gestione endoscopica 153. Storicamente, l'esofagectomia radicale è stata la colonna portante anche del trattamento per gli EEC. Anche se i vantaggi dell'esofagectomia sono molti, tra cui il trattamento definitivo senza necessità di sorveglianza endoscopica, una stadiazione patologica precisa dovuta alla completa resezione del tumore e dei linfonodi colpiti e alti tassi di sopravvivenza libera da tumore, questa procedura però è anche associata ad una significativa morbilità correlata al trattamento e mortalità intraoperatoria complessiva del 2%, anche nei centri ad alto volume 154,155. Con il sempre maggiore rilevamento di EAC in stadi iniziali e i progressi nelle tecniche endoscopiche, il paradigma di trattamento dell’EEC si è spostato verso le terapie endoscopiche. Queste tecniche infatti, garantiscono risultati simili a quelli ottenibili con l’esofagectomia in termini di sopravvivenza 156,157, con un ridotto rischio di mortalità procedurale, stimata allo 0,2%, attribuita in gran parte a morbilità preesistenti piuttosto che a complicazioni correlate al trattamento e associata a un tasso di complicanze dell’1-8% (perforazione, sanguinamento, stenosi ed odinofagia) 153. Questi rischi sono gravi e più frequenti a seguito di esofagectomia, tuttavia, il tasso di recidiva è più alto nei pazienti trattati con resezione endoscopica (ER, Endoscopic Resection), pertanto sono necessarie procedure di follow-up obbligatorie 158. Per l'EEC la terapia endoscopica è preferita rispetto all'esofagectomia o alla sorveglianza endoscopica secondo le attuali linee guida 2,3,132.

Le terapie endoscopiche disponibili si possono dividere in due categorie: le tecniche propriamente resettive (1.), che permettono di ottenere simultaneamente una resezione terapeutica e una stadiazione accurata grazie al campione di tessuto ottenuto e le tecniche ablative (2.), che invece non forniscono

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