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Ricostruzione intestinale vs stomia terminale dopo resezione colica per diverticolite acuta di grado III-IV Hinchey: uno studio analitico comparativo

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove

Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

Ricostruzione intestinale vs stomia terminale dopo

resezione colica per diverticolite acuta di grado III-IV

Hinchey: uno studio analitico comparativo

Relatore:

Chiar.mo Prof. Massimo Chiarugi

Correlatore:

Dott. Dario Tartaglia

Candidato:

Antonio Camillò

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Indice

PREMESSA

1.

INTRODUZIONE

1.1

Definizioni

1.2

Epidemiologia

1.3

Anatomia e anatomia patologica

1.4

Eziopatogenesi

1.5

Clinica

1.6

Diagnosi

1.7

Trattamento delle diverticoliti acute non complicate

1.8

Trattamento delle diverticoliti acute complicate

1.8.1 Diverticoliti acute complicate Hinchey Modificato I a, I b – II

1.8.2 Diverticoliti acute complicate Hinchey Modificato III – IV

2.

SCOPO DELLO STUDIO

3.

MATERIALI E METODI

3.1

Descrizione delle tecniche chirurgiche

3.1.1 Sigmoidectomia laparoscopica (SL) 3.1.2 Sigmoidectomia con tecnica open 3.1.3 Resezione del sigma secondo Hartmann

(4)

4

3.1.4 Lavaggio Peritoneale Laparoscopico (LPL) 3.1.5 Damage Control Surgery (DCS)

3.2

Parametri considerati ed analisi statistica

4.

RISULTATI

5.

DISCUSSIONE

6.

CONCLUSIONE

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5

PREMESSA

La diverticolosi colica rappresenta una patologia di notevole importanza, risultando la quinta malattia gastrointestinale in termini di costi di assistenza sanitaria diretta e indiretta nei Paesi occidentali1-3.

Negli ultimi anni la sua frequenza ha subito un progressivo aumento, complici anche le modifiche dello stile di vita e, in particolare, delle abitudini alimentari. La sua prevalenza aumenta con l'età: si stima che questa condizione patologica colpisca circa il 70% delle persone over 80 anni4.

La malattia diverticolare può andare incontro a diversi tipi di complicanze: diverticolite acuta, ascesso addominale, perforazione di viscere cavo, fistole e sanguinamenti. Queste sono situazioni che si possono associare ad una grave morbilità e mortalità5.

Nel caso della diverticolite acuta stiamo assistendo, a causa dell'invecchiamento progressivo della popolazione italiana, ad un incremento delle ospedalizzazioni legate a questa patologia, con un conseguente aumento dei costi da parte del Sistema Sanitario Nazionale.

La conoscenza sempre più precisa del processo fisiopatologico della patologia, l'affinamento delle tecniche della diagnostica per immagini e il miglioramento del trattamento conservativo della diverticolite acuta, hanno permesso, negli ultimi anni, un importante cambiamento nelle linee guida sul trattamento che, oggigiorno, risulta sempre più conservativo6. Infatti, nell’ultimo decennio, i trattamenti medici e chirurgici per le diverticoliti acute sono divenuti sempre meno invasivi.

Nel caso di pazienti affetti da diverticolite acuta non complicata, è stata proposta una gestione ambulatoriale, con l’utilizzo di una sempre più mirata terapia antibiotica7. Nel caso, invece, di pazienti con diverticolite acuta complicata, a seconda del grado di infiammazione, viene sempre più privilegiata una iniziale condotta non-operatoria, come il posizionamento ECO o TC guidato di drenaggi per via percutanea. Nelle forme complicate con peritonite localizzata o diffusa, data l'elevata morbilità e mortalità associata, la condotta può essere, inizialmente, mini-invasiva, ricorrendo a tecniche quali il lavaggio peritoneale laparoscopico (LPL) o la sigmoidectomia laparoscopica (SL); nelle forme ancora più avanzate, invece, si rende necessario il ricorso a tecniche più invasive, tra cui la resezione del sigma open, la procedura secondo Hartmann (HP) e il damage control surgery (DCS).

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6 Esistono, in letteratura, diverse linee guida sul trattamento delle diverticoliti acute complicate di grado II, III e IV secondo la classificazione di Hinchey modificata, ma la scelta della tecnica chirurgica viene spesso decisa caso per caso. Abbiamo, pertanto, valutato in maniera retro-prospettica i pazienti ricoverati per diverticolite acuta complicata presso il reparto di Chirurgia d'Urgenza Universitaria nel periodo 2010-2017, per identificare eventuali fattori predittivi di gravità della diverticolite acuta e stabilire quale tecnica chirurgica tra la resezione/anastomosi e la resezione colica sec. Hartmann sia più efficace e sicura nelle peritoniti purulente e stercoracee.

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1. INTRODUZIONE

1.1 DEFINIZIONI

Un diverticolo, per definizione, è un’estroflessione sacciforme costituita da tutti i quattro strati della parete di un viscere (mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa), generalmente di dimensioni di 5-10 mm. Gli pseudodiverticoli, invece, sono estroflessioni di mucosa e sottomucosa attraverso lo strato muscolare; nella maggior parte dei casi è questa la morfologia che caratterizza il diverticolo nella patologia colica.

La malattia diverticolare consiste nella presenza di plurimi diverticoli del colon. Questa entità nosologica può andare incontro a tre tipi di complicanze: l’infiammazione acuta (cioè la diverticolite acuta), il sanguinamento digestivo inferiore e l’occlusione da stenosi infiammatoria cronica. Sulla base del quadro clinico, la diverticolite acuta, si distingue, generalmente, in non complicata e complicata. La diverticolite acuta non complicata rappresenta la maggioranza dei casi (75%) e si presenta senza alcun tipo di complicanza8. La diverticolite acuta diventa complicata (25%) quando si associa ad ascessi addominali, fistole, perforazione con peritonite e sepsi.

1.2 EPIDEMIOLOGIA

La malattia diverticolare del colon è una condizione molto diffusa nelle Nazioni industrializzate. In questi Paesi la sede maggiormente interessata è il colon sinistro. Le diverticolosi del colon destro, invece, sono molto più comuni nei Paesi in via di sviluppo, particolarmente in Asia, sebbene il tasso di prevalenza in questa popolazione resti comunque relativamente basso9. L’industrializzazione e l’alto indice di sviluppo economico sono correlati ad un aumento dell’incidenza della diverticolosi colica, soprattutto nella popolazione dei Paesi in via di sviluppo, come per esempio, l’Africa10 e Singapore11. Anche l’incidenza della diverticolite acuta sta aumentando, infatti è stato documentato che, in alcune nazioni, come la Finlandia, l’incidenza delle diverticoliti acute sia incrementata del 50% nelle ultime due decadi, principalmente a causa del cambiamento delle abitutidi alimentari e del progressivo invecchiamento della popolazione12.

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Alcuni studi hanno dimostrato come l’incidenza della diverticolosi colica aumenta sostanzialmente con l’età13. Infatti, il tasso di diverticolosi nella popolazione con

età inferiore ai 30 anni di vita è dell’1-2%. Nei pazienti con più di 80 anni, invece, la prevalenza aumenta al 50-66%. Infine, circa il 10-25% dei pazienti con diverticolosi colica presenterà almeno un episodio di diverticolite acuta nel corso nella sua vita14.

La prevalenza della malattia è approssimativamente uguale nei due sessi, ma il sanguinamento intestinale inferiore è più frequente nei maschi, mentre le ostruzioni da stenosi diverticolare nelle femmine15.

Sebbene fosse un’opinione diffusa che il grado di severità della diverticolite acuta fosse legata all’età avanzata e ad un elevato valore di Body Mass Index (BMI)16,

recenti studi non hanno evidenziato una correlazione statisticamente significativa tra questi parametri12.

Durante gli ultimi due decenni, abbiamo assistito ad un incremento del 26% delle ospedalizzazioni per diverticolite acuta13, ma ad una riduzione della mortalità legata a questa patologia: negli USA, ad esempio, dal 1998 al 2005, la mortalità generale è diminuita dall’ 1,6% all’ 1% e la mortalità post-operatoria dal 5,7% al 4,3%. Questo può essere legato ad un miglioramento delle tecniche impiegate nell’iter diagnostico-terapeutico a cui viene sottoposto il paziente con diverticolite acuta15. Nonostante ciò, il tasso di mortalità nelle diverticoliti acute complicate con peritonite resta ancora piuttosto elevato anche nei centri ad alto volume (> 6%)17. Solo alcuni pazienti, fortunatamente, sono sintomatici e in gran parte possono essere trattati in maniera conservativa18. Ciononostante, il 10 - 20% di questi necessitano di un trattamento chirurgico in urgenza per una delle complicanze della malattia diverticolare come la perforazione, l’occlusione o il sanguinamento19. Il

tasso di mortalità che si associa a tali complicanze è influenzata dal grado di contaminazione peritoneale e soprattutto dalla presenza di fattori di rischio correlati a questi pazienti che, generalmente, sono anziani20.

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1.3 ANATOMIA e ANATOMIA PATOLOGICA

Figura 1. Anatomia patologica di un diverticolo colico

Il colon, diversamente dal piccolo intestino, è costituito da uno strato muscolare interno completo, mentre lo strato longitudinale esterno è concentrato solo a livello delle tre tenie; entrambi questi strati costituiscono la tonaca muscolare propria. Una delle tre tenie si trova sul versante mesenterico (taenia mesentericus), mentre le altre due sono localizzate sui versanti mediale e laterale della parete colica (taenia

omentalis e taenia libra)13. I vasa recta forniscono la vascolarizzazione alla mucosa e alla sottomucosa21. La parete colica è più debole nei punti i cui i vasi retti penetrano la componente muscolare, tra le tenie mesenterica e antimesenteriche. I diverticoli colici protrudono, più spesso, attraverso queste aree di debolezza, mentre è molto più raro che si formino attraverso le tenie. I diverticoli sono, quindi, delle estroflessioni sacciformi, a fiasco, che si distribuiscono lungo la parete del colon (Figura 1). Si trovano comunemente nel sigma ma , nei casi gravi, possono colpire aree più estese. Queste formazioni diverticolari hanno una parete sottile composta da una mucosa appiattita o atrofica, una sottomucosa schiacciata e una tonaca muscolare propria assottigliata o, spesso, del tutto mancante. Il numero di

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diverticoli presenti in un colon può variare da pochi a centinaia e la loro dimensione, generalmente, ha un diametro inferiore al centimetro; eccezionalmente sono stati osservati diverticoli giganti con diametro fino a 30 cm.

1.4 EZIOPATOGENESI

La patogenesi dei diverticoli è legata, verosimilmente, a tre fattori: anomalie strutturali della parete colica, disordini della motilità intestinale e dieta povera di fibre13.

È stato identificato, nei pazienti con diverticolosi colica, la presenza di un marcato ispessimento dello strato muscolare circolare, di tenie particolarmente assottigliate ed di un restringimento del lume dell’organo22. L’ispessimento dello strato circolare

non è dovuto nè all’ipertrofia nè all’iperplasia, ma ad un’anomala deposizione di elastina: infatti alcune connettivopatie, come la sindrome di Marfan o la sindrome di Ehlers-Danlos, sono fortemente associate a diverticolosi colica. Inoltre, Whiteway and Morson, hanno dimostrato come il contenuto di elastina nelle tenie aumenti del 200% nei pazienti con malattia diverticolare rispetto al controllo23. L’alterata motilità intestinale rappresenta un altro importante fattore coinvolto nella patogenesi della patologia diverticolare. È noto, infatti, che un alterato movimento di “segmentazione” colica determina un incremento dei valori pressori intraluminali che, nei pazienti con diverticolite acuta, possono anche essere superiori a 90 mmHg (mentre in condizioni normali la pressione intracolica si attesta intorno ai 5-10 mmHg)24. Sebbene questa associazione sia ormai chiara, risulta ancora difficile spiegare come mai alcuni pazienti presentino un’alterata motilità intestinale. Tomita et al hanno evidenziato che un colon con diverticoli possiede un’innervazione colinergica maggiore, un’azione meno potente del sistema inibitorio anticolinergico e che l’ossido nitrico, importante mediatore della reazione di rilassamento sui nervi noradrenergici e non-colinergici inibitori, abbia una concentrazione minore24. Milner et al, inoltre, hanno documentato un incremento

dei livelli di Peptide Intestinale Vasoattivo (VIP) nell’ambito dell’intero spessore della parete colica dei pazienti affetti da patologia diverticolare25.

È noto il ruolo della dieta nella patogenesi della patologia e in particolare delle fibre, in quanto, rendendo le feci più voluminose e pesanti, ne riducono il tempo di transito intestinale. Numerosi studi hanno dimostrato questa stretta correlazione tra

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dieta povera di scorie e malattia diverticolare12,13,22: infatti, i governi di molte nazioni industrializzate, stanno avviando campagne di sensibilizzazione nella popolazione a sfavore del consumo di alimenti ricchi di zuccheri raffinati e farine bianche. Molteplici fattori possono essere coinvolti nel processo infiammatorio diverticolare ed eventuali complicanze sebbene, nonostante la presenza di diversi studi in letteratura, non vi sia ancora un unanime consenso. Tra questi vi sono : il fumo26, l’obesità27, la caffeina, l’ingestione di alcolici28, l’utilizzo di FANS e un’alterazione della microflora intestinale29.

1.5 CLINICA

DIVERTICOLOSI

asintomaticità

70%

MALATTIA

DIVERTICOLARE

emorragia

5-15 %

diverticolite

15-25 %

non complicata 75 % Complicata 25% ascessi ostruzione perforazione fistole

Figura 2. Storia naturale della diverticolosi colica

La presenza di diverticoli colici (diverticolosi, circa il 70%) rimane spesso asintomatica o pauci-sintomatica, pertanto, la diagnosi è in una buona percentuali di casi occasionale, esito di esami eseguiti per altri fini, come la ricerca di sangue occulto nelle feci (RSO) oppure durante l’esecuzione di una colonscopia. Con l’aumento dei soggetti che si sottopongono a queste tecniche diagnostiche nel

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programma di screening per il carcinoma colon-rettale, sta aumentando anche il riscontro accidentale di questa condizione anche in quei casi in cui sarebbe rimasta asintomatica. In questi pazienti non è stata determinata una chiara indicazione terapeutica nè un follow-up specifico, anche se è stato ipotizzato un ruolo benefico nell’introduzione di fibre nella dieta30. Sempre nell’ambito della diverticolosi non

complicata, esiste una forma denominata SUDD (symptomatic uncomplicated diverticular disease) in cui i pazienti riferiscono dolore a livello del quadrante inferiore sinistro, esacerbato dai pasti e smorzato dalla defecazione e dal passaggio di aria e sintomi di disfunzione colica tra cui gonfiore, costipazione, diarrea o mucorrea. In questa condizione non si associano altre alterazioni macroscopiche a livello colico oltre alla presenza dei diverticoli31. La presentazione dei sintomi della

SUDD si sovrappone considerevolmente a quella della sindrome del colon irritabile (IBS), tanto che alcuni autori hanno supposto che i diverticoli siano una conseguenza tardiva dell’IBS.

La malattia diverticolare (il 25%) si manifesta con un’emorragia nel 5 – 15% dei casi e sottoforma di diverticolite acuta nel restante 15 – 25%; questa, a sua volta, può essere non complicata (75%) o complicata (25%). (Figura 2)

La diverticolite complicata è l’infiammazione o l’infezione, o entrambe, associate alla presenza di diverticoli e coinvolge dal 10 al 25% dei pazienti con diverticolosi. I pazienti con diverticolite acuta riferiscono tipicamente dolore al quadrante inferiore sinistro, aspetto che riflette la tendenza di questa malattia a verificarsi a livello nel sigma, soprattutto nei paesi occidentali. In caso di dolico-sigma, tuttavia, il dolore può presentare sedi atipiche, arrivando anche a destra o in regione sovra-pubica. Nei paesi asiatici, invece, i pazienti riferiscono più frequentemente il dolore a destra, compatibilmente con la sede più frequente di presentazione dei diverticoli in queste aree geografiche32. La sintomatologia è caratterizzata da dolore addominale intermittente o costante, alterazioni dell’alvo, sia in senso diarroico che stitico, nausea, vomito, anoressia, sanguinamento rettale, ascessi e peritonite; possono associarsi anche sintomi urinari come disuria e alterazioni della frequenza minzionale, dovuti all’irritazione vescicale per contiguità con il sigma. La diverticolite acuta può complicarsi con la formazione di ascessi, la fistolizzazione, la perforazione che può portare alla peritonite generalizzata e alla sepsi.

Nel caso in cui sia presente un ascesso, il paziente, si presenta, oltre che con dolore, con febbre, leucocitosi e tachicardia, di entità variabile in base al grado di

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infiammazione. L’evoluzione clinica dell’ascesso dipende dalla capacità del grasso peri-colico di controllare l’espansione del processo flogistico: inizialmente localizzato a livello peri-colico, può diffondere a distanza, dapprima a livello della pelvi, poi in tutto il peritoneo, potendo sfociare in una condizione di peritonite purulenta diffusa. L’ascesso pelvico può rendersi evidente all’esplorazione rettale o vaginale come una massa prominente o dolente.

La fistola è un tramite che si genera tra due visceri cavi o tra un viscere cavo e la superficie cutanea o un tramite a partenza da un viscere cavo e a fondo cieco. La sua formazione è dovuta ai processi infiammatori che determinano una erosione progressiva della parete del viscere e adesione con gli organi adiacenti. La fistolizzazione è una complicanza frequente in presenza di ascessi. Le fistole che si possono formare in presenza di malattia diverticolare possono interessare numerosi organi e sedi diverse: colo-vescicale, colo-cutanea, colo-enterica, colo-uterina, colo-perineale. Le fistole colo-vescicali sono più frequenti negli uomini33,34, perchè,

nelle donne l’utero svolge un’azione protettiva; questo ruolo può essere rimarcato dal fatto che l’83% di pazienti donne che sviluppano una fistola colo-vescicale ha avuto una precedente isterectomia33. I pazienti con fistola colo-vescicale si presentano spesso con sintomi di una infezione delle vie urinarie (75%) e pneumaturia (60%); raramente si può associare la perdita di urine dal retto35. Il 95% delle fistole colo-cutanee associate a diverticolite è di natura iatrogena, solo il 5% si sviluppa spontaneamente36.

La peritonite purulenta può originare dalla rottura improvvisa di un ascesso pelvico o peri-colico precedentemente capsulato o da una persistente perforazione diverticolare che drena continuamente materiale in cavità peritoneale. I pazienti riferiscono un forte dolore addominale ad insorgenza acuta e presentano riflesso di difesa su tutto l’addome e leucocitosi; frequente è la presenza di aria libera in peritoneo alla radiografia addominale, anche se la sua assenza non ne può escludere la diagnosi. La manifestazione più avanzata è rappresentata dalla peritonite stercoracea, in cui materiale fecale si riversa nella cavità peritoneale. Tra i pazienti con peritonite diffusa, è stata registrata una mortalità del 6%, rispetto al 35% di quelli con peritonite stercoracea37,38.

La più comune classificazione del grado di severità delle diverticoliti acute complicate è la classificazione di Hinchey39 che, nel corso del tempo, ha subito

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diverse modifiche, l’ultima delle quali è quella proposta da Wasvary et al. nel 199940 (Tabella 1).

Tabella 1. Evoluzione della classificazione di Hinchey delle diverticoliti acute

Classificazione di Hinchey39 Modifica proposta da Sher41, Kohler42 Modifica proposta da Wasvary40

Stadio I Ascesso pericolico confinato nel mesentere del colon

Ascesso pericolico I A  Infiammazione-flemmone pericolico confinato I B  Ascesso pericolico confinato

Stadio II Ascesso pelvico

legato ad una perforazione circoscritta del viscere II A  Ascesso trattabile con drenaggio percutaneo II B  Ascesso complicato associato o meno ad una fistola Ascesso pelvico, intraddominale o retroperitoneale

Stadio III Peritonite

generalizzata causata da una rottura di ascesso pelvico/pericolino nella cavità peritoneale Peritonite purulenta generalizzata Peritonite purulenta generalizzata

Stadio IV Peritonite stercoracea da ampia lacerazione di un diverticolo Peritonite stercoracea Peritonite stercoracea

L’associazione americana per la chirurgia del trauma (AAST) ha di recente sviluppato una scala di classificazione per misurare la gravità anatomica delle patologie chirurgiche generali di emergenza43. I gradi, che vanno dal Grado I (lieve) al Grado V (severo), sono stati sviluppati da un consenso di esperti (Tabella 2).

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Tabella 2. Diverticolite acuta del colon (AAST)

AAST Grade Description Clinical Criteria Imaging Criteria (CT finding) Operative Criteria Pathologic Criteria I Colonic inflammation Pain; leukocytosis; minimal or no tenderness Mesenteric stranding; colon thickening N/A N/A II Colon micro-perforation or pericolic phlegmon without abscess Local tenderness (single or multiple areas) without peritonitis Pericolic phlegmon; foci or air (single or multiple); no abscesses Pericolic phlegmon with no abscesses Inflamed colon with microscopic perforation III Localized pericolic abscesses Localized peritonitis Pericolic abscesses Pericolic abscesses Inflamed colon with perforation IV Distant and/or multiple abscesses Localized peritonitis at multiple locations Abscesses or phlegmon away from the colon Abscesses or phlegmon away from the colon Inflamed colon with perforation V Free colonic perforation with generalized peritonitis Generalized peritonitis Free air and free fluid Perforation with generalized fecal and purulent contamination Inflamed colon with perforation

1.6 DIAGNOSI

La diagnosi della diverticolosi e della malattia diverticolare è sostanzialmente clinica e strumentale.

Gli esami di laboratorio hanno un valore di supporto nella valutazione del grado di infiammazione (leucocitosi, neutrofilia, piastrinosi, iperfibrinogemia, aumento di valori di Proteina C Reattiva, Procalcitonina e Velocità di Eritrosedimentazione). Permettono, inoltre, di identificare una eventuale anemizzazione legata ad un sanguinamento diverticolare e altre alterazioni ematochimiche legate ad una

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risposta infiammatoria sistemica (elettroliti, indici di funzionalità epatica e renale, PT, aPTT, INR).

I valori di Proteina C Reattiva espressi nella diverticolite possono essere utili per distinguere tra una diverticolite acuta non complicata (AUD) e una forma acuta complicata (ACD). Infatti valori medi di PCR sono rispettivamente di 2,50 mg/dl e 20,50 mg/dl44. La PCR è anche il marker più forte di perforazione colica nella diverticolite acuta. Quindi, la PCR sembra essere l’indicatore più sensibile dell’attività della malattia e della risposta alla terapia; purtroppo, così come altri marker infiammatori, per definizione non aumenta nella SUDD.

L’aumento dei valori dei Globuli Bianchi (GB) è considerato uno dei fattori clinici chiave nella diagnosi di diverticolite acuta (in associazione con il dolore al quadrante inferiore sinistro)45. Tuttavia, non è un indicatore utile dell’attività della

malattia, perchè influenzato da altri fattori (l’assunzione di glucocorticoidi sistemici, immunosoppressori, ascessi). Il valore di GB è correlato all’attività della diverticolite, mostrando valori più elevati nella diverticolite complicata44,46. Tuttavia, il numero di GB mostra una bassa sensibilità e specificità rispetto alla PCR sia nella diagnosi46,47 che nel monitoraggio della diverticolite acuta dopo il trattamento45,48,49.

Ovviamente non esiste un esame del sangue specifico ed indicativo di diverticolosi, pertanto di fondamentale importanza è l’ausilio degli esami radiologici, soprattutto per approfondirne le caratteristiche in vista di un eventuale intervento.

La radiografia diretta dell’addome, nel paziente con diverticolite, è, nella maggior parte dei casi, normale.

Il clisma opaco con mezzo di contrasto idrosolubile può essere utile nella malattia diverticolare substenosante, nel sospetto di fistole colo-vescicali o colo-vaginali e nel caso di intolleranza del paziente o di difficoltà di esecuzione della colonscopia; esso viene eseguito, soprattutto, per confermare il sospetto diagnostico o per escludere altre diagnosi, in particolare di tipo oncologico. Questa tecnica permette di esaminare la malattia in termini di estensione e di gravità. Reperti radiologici comuni sono lo spasmo colico, la sacculazione e l’intrappolamento di mezzo di contrasto all’interno del diverticolo. Ma la tecnica diagnostica non è certo priva di svantaggi: alcune casistiche riportano valori di accuratezza del clisma opaco

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inferiori al 50%50,51; in alcuni casi i diverticoli possono mimare dei polipi per la loro inversione o come risultato di un accumulo di feci aderenti, falsandone la diagnosi52,53; infine, l’iniezione sotto pressione del mezzo di contrasto comporta il rischio di diffondere l’infezione attraverso un diverticolo perforato. Per tali motivi, soprattutto nella valutazione di una sospetta diverticolite acuta, è venuto in disuso ed è stato rimpiazzato quasi totalmente dalla TC.

Figura 3. Caratteristiche ecografiche della diverticolosi: tasca iperecogena esterna della parete con ombre (coproliti)

L’ultrasonografia (US) è un esame che potrebbe essere considerato l’estensione naturale dell’esame fisico del paziente, con una ripercussione positiva sulla loro salute e sui costi sociali. Ha diversi vantaggi: non è invasivo, di uso pronto e rapido, ripetibile ed accurato; è uno strumento utile per investigare la diverticolite acuta e le sue complicanze settiche. L’US, infatti, può identificare il grado di ispessimento parietale, l’eventuale coinvolgimento delle strutture adiacenti, la presenza o meno di versamento peritoneale ed eventuali raccolte ascessuali. Questa tecnica, però, non può essere considerata di prima scelta nella diagnosi della diverticolosi colica e delle sue complicanze, poichè ha un valore di sensibilità e specificità

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relativamente basso (61% e 75%, rispettivamente) ed è fortemente limitata dal grado di esperienza dell’operatore54. In un paziente con diverticolosi colica, il

diverticolo può apparire come una tasca iperecogena esterna della parete con ombre (dovute a coproliti interni); la parete colica mantiene la sua normale stratificazione anche se frequentemente si può associare un ispessimento della muscolaris propria (di solito > 2mm) (Figura 3). L’utilizzo di US nella malattia diverticolare non complicata, invece, è discussa e probabilmente potrebbe essere utile come indagine preliminare. Nella diverticolite acuta complicata, invece, abbiamo un’area ipoecogena peri-intestinale, associata ad un accentuato addensamento dell’intestino, irregolarità del margine esterno a livello del diverticolo e ipertrofia del grasso mesenterico (Figura 4).

Figura 4. Caratteristiche ecografiche diverticolite:area ipoecogena peri-intestinale, accentuato addensamento dell’intestino, irregolarità del margine esterno a livello del diverticolo e ipertrofia del grasso mesenterico.

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La Tomografia Computerizzata (TC) con e senza mezzo di contrasto è considerata senza dubbio la tecnica diagnostica principale per la diagnosi e la valutazione della severità delle diverticoliti acute.

La TC presenta un’elevata sensibilità e specificità (85% e 95%, rispettivamente) sia nelle forme non complicate che in quelle complicate. Inoltre, la TC può rappresentare un valido strumento per il drenaggio guidato di raccolte addominali profonde17.

La diagnosi può essere effettuata direttamente sulla base di un ispessimento localizzato della parete intestinale che è centrato su un diverticolo infiammato, con infiammazione peridiverticolitica circostante del grasso pericolico. Le perforazioni coperte o libere possono essere diagnosticate in modo rapido ed affidabile grazie alla rilevazione diretta delle inclusioni di aria al di fuori del lume intestinale, associate a ispessimenti mesenterici e liquidi liberi. Nei casi di diverticolite acuta non complicata, i risultati della TC sono generalmente limitati alla reazione flemmonosa del tessuto grasso pericolico; le forme complicate, invece, includono l’ascesso peridiverticolare, il pneumoperitoneo significativo e la peritonite diffusa. Ambrosetti e collaboratori, in uno studio retrospettivo, hanno sviluppato un grado di gravità basato sulle immagini TC illustrandone il valore come indicatore prognostico per guidarne la gestione55. Un “grado severo” alla TC, che include la presenza di un ascesso, aria o contrasto extraluminare, è statisticamente predittivo del fallimento del trattamento medico in fase acuta e di un aumento del rischio di recidive o complicanze dopo una gestione conservativa55. Oltre ad essere altamente specifica per la diagnosi di diverticolite, la TC risulta essere anche la prova più accurata per le condizioni alternative56,57, permettendone una diagnosi differenziale definitiva.

Il ruolo diagnostico della Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) nella diagnosi della malattia diverticolare non è sostenuto da sufficienti dati in letteratura17. Inoltre, la difficoltà di accesso alla sua strumentazione in condizioni di urgenza e in molte strutture ospedaliere, rappresenta un forte fattore di limitazione al suo utilizzo routinario. Può svolgere un ruolo importante in casi selezionati, come nelle donne in gravidanza.

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L’angiografia può essere utile in tutti quei pazienti nei quali vi è evidenza di un sanguinamento grave e che possono richiedere un intervento chirurgico. Affinchè questa procedura sia diagnostica, l’entità del sanguinamento deve essere almeno di 0,5 ml/min.

Figura 5. Diverticoli colici alla colonscopia

La colonscopia (Figura 5) deve essere considerata la procedura principale nella diagnosi di esclusione delle diverticolosi coliche. Non è raccomandato il suo utilizzo nella fase acuta della malattia, per l’elevato rischio di perforazione viscerale. Essa permette di identificare adeguatamente l’estensione della malattia diverticolare, il grado di rigidità della parete intestinale e la presenza di anomalie della mucosa colica. La colonscopia permette di trattare eventuali sanguinamenti diverticolari mediante apposizione di clip metalliche o colle: l’angiografia interventistica o l’esplorazione chirurgica diventano necessarie in caso di sanguinamenti diverticolari massivi, non trattabili per via endoscopica17. La colonscopia non è indicata per confermare la diverticolite acuta diagnosticata con TC addominale (gold standard). È, invece, discussa nelle seguenti condizioni: per confermare il sospetto della malattia diverticolare con l’esame clinico o altri test di imaging; dopo la risoluzione di diverticolite acuta, in pazienti senza colonscopia negli ultimi 3 anni. La colonscopia è d’obbligo in caso di persistenza di sintomi dopo 10 giorni di trattamento durante la diverticolite, al fine di escludere altre patologie. Per quanto riguarda la tempistica della procedura endoscopica, viene consigliata la colonscopia dopo almeno 6 settimane di risoluzione dell’episodio acuto; tuttavia, l’esecuzione dopo 7-10 giorni non ha mostrato l’aumento della percentuale di eventi avversi correlati all’esame.

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1.7 TRATTAMENTO DELLE DIVERTICOLITI ACUTE NON

COMPLICATE

I pazienti con diverticolite acuta non complicata hanno, generalmente, un corso indolente con una bassa incidenza di complicanze successive. Di solito, questi pazienti vengono tenuti in osservazione per qualche ora e poi dimessi con un programma di gestione ambulatoriale o da parte del proprio medico curante. Il trattamento consiste in una restrizione dietetica transitoria con eventuale reintegro idro-elettrolitico ed una terapia antibiotica mediante farmaci ad ampio spettro. Il ricorso ad un trattamento ospedaliero con l’utilizzo di antibiotici e.v. e il riposo intestinale è raccomandato per coloro che hanno un persistente dolore addominale che non migliora con l’antibiotico-terapia ambulatoriale. La gestione ambulatoriale ha dimostrato un’importante riduzione dei costi rispetto all’ospedalizzazione, riuscendo a garantire la stessa qualità di vita. Il fallimento del trattamento medico conservativo è stato definito come la persistenza, l’aumento o la ricorrenza di dolore addominale e/o febbre, occlusione intestinale infiammatoria, necessità di drenaggio radiologico dell’ascesso o chirurgia immediata per diverticolite complicata7.

In realtà, un recente studio multicentrico randomizzato ha notato come non ci fossero significative differenze nelle recidive ad un anno dall’episodio acuto o nello sviluppo delle complicanze tra i pazienti trattati con antibiotici rispetto a quelli che non ne hanno ricevuto58. Quindi, allo stato attuale, non esiste nessuna evidenza clinica riguardo all’utilizzo routinario degli antibiotici nella diverticolite acuta non complicata, sebbene diverse linee guida ne raccomandino il loro utilizzo59. La frequenza di recidiva di un episodio di diverticolite acuta è minore rispetto a quanto si pensasse in passato. Uno studio prospettico ha infatti dimostrato che il tasso di recidiva di un episodio isolato di diverticolite acuta non complicata si attesta intorno all’1,7% durante un follow-up di cinque anni; questa percentuale rappresenta un’esigua porzione rispetto al numero generale di casi che vengono valutati annualmente60. Inoltre, studi multipli hanno dimostrato come una recidiva

complicata dopo un episodio non complicato sia molto rara45. Le recenti linee guida

italiane per il trattamento delle diverticoliti acute evidenziano che gli antibiotici migliorano il decorso dei pazienti con diverticolite acuta non complicata e quindi il loro utilizzo deve essere valutato caso per caso17. Per quanto riguarda l’indicazione chirurgica elettiva, invece, recentemente abbiamo assistito ad un cambiamento nel

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ricorso alle resezioni coliche in elezione nei casi di diverticolite acuta non complicata. In passato la decisione di intraprendere un intervento chirurgico era legata sostanzialmente al numero di episodi e all’età dei pazienti6, oggi, invece,

diversi studi hanno dimostrato che il numero di episodi di diverticolite non complicata non è correlato ad un aumentato rischio di sviluppare recidive e complicanze e quindi di ricorrere ad interventi chirurgici d’urgenza61,62. Diversi

studi hanno confutato la convinzione che pazienti giovani (con età < 50 anni) potessero avere un decorso più aggressivo63. È invece raccomandata una certa cautela nelle resezioni coliche in elezione per diverticolite acuta non complicata nei pazienti immunocompromessi, sebbene alcuni studi abbiano documentato un elevato tasso di fallimento della terapia medica conservativa ed un aumentato tasso di recidiva di diverticoliti acute in questa categoria di pazienti estremamente delicata64.

1.8 TRATTAMENTO DELLE DIVERTICOLITI ACUTE

COMPLICATE

La diverticolite complicata comprende un ampio spettro di presentazione, che va dai piccoli ascessi pericolici alla perforazione con peritonite generalizzata e sepsi, fino a complicanze tardive quali la formazione di fistole e l’ostruzione. Il trattamento della diverticolite complicata dipende dalla condizione clinica del paziente e dal grado di contaminazione e infezione della cavità peritonale65. Secondo le attuali linee guida la scelta terapeutica nei pazienti con diverticolite acuta dipende da vari parametri, tra cui i fattori di rischio, la gravità della malattia anche sulla base dell’esordio, la persistenza dei sintomi66,67; inoltre, per quanto

riguarda gli aspetti tecnici delle procedure chirurgiche, spesso la scelta è lasciata alla discrezione del chirurgo. Un importante criterio per la valutazione del grado di severità delle diverticoliti complicate acute è rappresentato dalla classificazione di Hinchey modificata40. Numerosi studi hanno documentato che oltre il 50% dei pazienti ammessi in ospedale per diverticolite complicata viene sottoposto ad un intervento chirurgico in urgenza68; nonostante questo dato, sta diventando sempre più frequente la tendenza ad assumere un atteggiamento non aggressivo, almeno

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nella fase iniziale del ricovero, data l’elevata morbilità e la non trascurabile mortalità correlata ad una resezione colica in urgenza.

Diverticoliti acute complicate grado Hinchey modificato Ia, Ib – II

Si stima che circa il 15% dei pazienti con diverticolite acuta complicata si presenti con un ascesso66. I pazienti che presentano un’infiammazione confinata alla parete colica o un ascesso di diametro inferiore ai 4 cm (quindi un grado Ia, Ib secondo la classificazione di Hinchey modificata) è indicato un trattamento medico con antibiotici, restrizione dietetica e reintegro idro-elettrolitico. Se l’ascesso è maggiore di 4 cm, invece, è opportuno il posizionamento di un drenaggio eco o TC guidato55. Nonostante questo, il miglior trattamento per gli ascessi più grandi rimane incerto; la chirurgia in urgenza dovrebbe essere riservata ai malati critici che non possono beneficiare del trattamento conservativo o in cui questo è fallito69.

Un recente studio retrospettivo eseguito su 218 pazienti trattati con drenaggio percutaneo ha evidenziato che in 32 casi (15%) il posizionamento del drenaggio è stato risolutivo: in questi pazienti le dimensioni medie dell’ascesso sono risultate di 4,2 cm e il tasso di ricorrenza a sette anni è stato inferiore al 5%70. Il lavaggio peritoneale laparoscopico (LPL) è stato proposto nei pazienti con segni di peritonismo da diverticolite acuta complicata. Il suo ruolo è quello di creare un “ponte” verso la chirurgia resettiva di elezione, ripulendo la contaminazione peritoneale, nonostante possa risultare risolutivo in una buona percentuale di casi, anche maggiore del 60%. Il ricorso al LPL nelle diverticoliti acute di grado Hinchey modificato II non è ancora chiaro e non esiste in letteratura consenso riguardo il suo utilizzo nelle forme non trattabili conservativamente perchè non controllabili con la sola terapia medica (antibiotici, restrizione dietetica e reintegro idro-elettrolitico), né drenabili per via percutanea6. Uno studio retrospettivo di Horesh su 10 pazienti trattati con LPL ha evidenziato una remissione della sintomatologia acuta nel 100% dei casi, mentre solo il 30% ha subito una resezione chirurgica per la ricomparsa della sintomatologia nel corso di un follow-up a lungo termine71. Alcuni studi osservazionali hanno documentato che il lavaggio laparoscopico presenta un vantaggio significativo rispetto alla resezione colica laparoscopica principalmente in termini di morbilità; in questi studi, però, i pazienti sottoposti a LPL presentavano un quadro clinico generale migliore e un grado più basso di classificazione Hinchey.

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Inoltre, per l’esiguità del campione di pazienti preso in considerazione, i bias nella selezione dei pazienti e l’assenza di una randomizzazione, i risultati di questi studi sono stati messi in discussione72,73. Pertanto, sono stati proposti diversi studi prospettici, randomizzati, multicentrici al fine di chiarire il ruolo del LPL74,75. Tra questi, il più importante è rappresentato dal Ladies trial che ha documentato che il lavaggio peritoneale non comporta una riduzione della morbidità e della mortalità rispetto alla sigmoidectomia, e che inoltre è associato ad un elevato tasso di re-intervento chirurgico e ad un inefficace controllo della sepsi in oltre il 20% dei casi76. In questo studio, l’elevato tasso di morbidità evidenziato nei pazienti sottoposti a LPL (39%) non è stato correlato ad un incremento del tasso di mortalità (4%), suggerendo che un re-intervento eseguito nei giusti tempi, può evitare un ulteriore peggioramento del quadro clinico.

La storia naturale del trattamento conservativo degli ascessi diverticolari (Hinchey I e II) è poco descritta e rimane aperto il dibattito se sia indicata o meno la successiva resezione del sigma dopo il trattamento consevativo.

Diverticoliti acute complicate grado Hinchey modificato III – IV

I pazienti che rientrano nelle classi III e IV della classificazione di Hinchey modificata presentano, rispettivamente, una peritonite diffusa purulenta e stercoracea. L’incidenza di queste manifestazioni si attesta intorno all’1,5% ed è rimasta stabile negli ultimi anni68. Questa categoria di pazienti, che si presenta con peritonite diffusa e/o sepsi, richiede un trattamento chirurgico in regime di urgenza66. Nonostante questo, due recenti studi hanno suggerito una gestione non operativa in pazienti selezionati per assenza di sepsi severa77,78. Nel corso degli anni le procedure chirurgiche a disposizione sono aumentate andando incontro a progressivi miglioramenti. Infatti, fino alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, la strategia chirurgia standard era rappresentata dal cosiddetto “approccio in due stadi”, consistente nella resezione del sigma con confezionamento di una colostomia terminale secondo Hartmann seguita, eventualmente, dalla chiusura della stomia con la ricanalizzazione colica in un secondo tempo. Questa procedura, però, è associata non solo ad un’elevata morbilità e mortalità, ma anche ad un elevato tasso di non-conversione della stomia (anche superiore al 55% dei casi)79,80;

pertanto, la resezione secondo Hartmann è utilizzata sempre meno frequentemente, venendo preferita in pazienti critici o con instabilità emodinamica81. La gestione

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chirurgica, quindi, si è evoluta avendo come scopo quello di ristabilire la continuità intestinale tramite la sigmoidectomia e anastomosi primaria contestuale (PA), con o senza ileostomia di protezione. Durante la colectomia, il margine di resezione prossimale dovrebbe prolungarsi verso una porzione di intestino compliante (non necessariamente privo di diverticoli), mentre, distalmente, al retto superiore (dove confluiscono le tre tenie)65. In generale, la decisione tra eseguire la resezione sec. Hartmann e la resezione-anastomosi in un unico tempo, viene presa sulla base delle condizioni cliniche del paziente, delle sue comorbidità, dell’aspetto macroscopico del colon rimanente e dell’estensione della contaminazione peritoneale65.

Attualmente, si pensa che la resezione-anastomosi primaria può e deve essere eseguita nei pazienti con diverticolite acuta complicata, in cui le condizioni lo permettono. Altra questione importante, ampiamente dibattuta, riguarda il tipo di tecnica da utilizzare per eseguire la resezione-anastomosi colica: intervento open versus laparoscopia. È ormai noto da tempo che l’approccio laparoscopico presenta diversi vantaggi rispetto a quello open in termini di morbilità, mortalità, durata media di degenza, ripresa della canalizzazione e della mobilizzazione e costi di ospedalizzazione82. Nel trattamento in elezione delle diverticoliti acute, è fortemente raccomandato eseguire l’intervento di resezione colica in laparoscopia65. Uno studio randomizzato su 100 pazienti ha confrontato la colectomia laparoscopica con la tecnica open in elezione: il gruppo che ha subito una resezione laparoscopica ha presentato meno complicanze maggiori, sebbene nel follow-up a lungo termine non siano state dimostrate differenze tra i due gruppi83,84. Per quanto riguarda la sigmoidectomia in urgenza il discorso è ancora più delicato, perchè il ruolo della laparoscopia è poco supportato da dati di letteratura forti. In un recente studio retrospettivo di Letarte condotto su 52 pazienti con diverticolite acuta complicata, è stato evidenziato che i pazienti trattati laparoscopicamente hanno presentato una significativa riduzione della morbidità e della degenza media ospedaliera, rispetto a quelli trattati con tecnica open84. È stato anche proposto un approccio laparoscopico della tecnica sec. Hartmann per ridurre il tasso di complicanze post-operatorie e accelerare il tempo di recupero, in termini di degenza media: un recente studio di Turley et al. dimostra però che l’intervento di Hartmann laparoscopico non è associato ad una riduzione del tasso di morbilità e di mortalità, pertanto la sua esecuzione routinaria non è raccomandata85.

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2. SCOPO DELLO STUDIO

▪ Descrivere le caratteristiche cliniche generali di tutti i pazienti reclutati nello studio al momento del ricovero, il tipo di trattamento e gli interventi chirurgici adottati; ▪ Confrontare i pazienti di grado III e IV secondo la classificazione di Hinchey

modificata trattati con due diverse tecniche chirurgiche: la resezione secondo Hartmann vs. Resezione-anastomosi primaria (open e laparoscopica) sulla base dei dati peri-operatori, dell’outcome post-operatorio e del follow-up medio in termini di mortalità legata alla patologia e di recidiva diverticolare.

▪ Identificare fattori predittivi di gravità della diverticolite acuta secondo la classificazione di Hinchey modificata.

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3. MATERIALI E METODI

In questo studio, abbiamo considerato 259 pazienti ricoverati presso l’U.O. Chirurgia D’Urgenza dal 1 Gennaio 2010 al 1 Giugno 2017 per diverticolite acuta complicata. Ogni paziente è stato sottoposto ad accertamenti clinico – strumentali rigorosi, tra cui la TC addome con mezzo di contrasto. Tra questi, 139 (53,7%) sono stati sottoposti ad intervento chirurgico in urgenza: di questi, 56 pazienti (40,3%) sono stati trattati mediante resezione del sigma laparoscopica, 38 pazienti (27,3%) mediante resezione del sigma open, per 21 pazienti (15,1%) si è reso necessario il ricorso alla resezione del colon sec. Hartmann, 16 pazienti (11,6%) sono stati trattati mediante lavaggio peritoneale laparoscopico (LPL), 8 pazienti (5,8%) hanno necessitato di Damage Control Surgery (Figura 6).

259 pazienti con diagnosi di diverticolite acuta complicata

139 pazienti (53.7%) Intervento chirurgico in urgenza

120 pazienti (46.3%) Trattamento medico 72 pazienti (51.8%) LAPAROSCOPIA 67 pazienti (48.2%) OPEN 16 pazienti (11.6%) LPL 56 pazienti (40.3%) SIGMOIDECTOMIA LAPAROSCOPICA 38 pazienti (27.3%) SIGMOIDECTOMIA OPEN 21 pazienti (15.1%) RESEZIONE di HARTMANN 8 pazienti (5.8%) DCS

Figura 6. Flow chart dei pazienti nello studio

I parametri clinici, laboratoristici, radiologici e chirurgici sono stati inseriti in maniera prospettica all’interno di un Database (Microsoft Access, Microsoft Corporation, Redmond, Washigton, US).

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3.1 DESCRIZIONE DELLE TECNICHE CHIRURGICHE

1. Sigmoidectomia Laparoscopica (SL)

▪ La procedura inizia, con paziente supino, con l’induzione dello pneumoperitoneo mediante ago di Verres in sede sovraombelicale, o eventualmente con tecnica di accesso open secondo Hasson, con l’insufflazione di CO2 fino al raggiugimento di

una pressione intraperitoneale di 14 mmHg.

▪ Si posiziona il primo trocar da 12 mm in sede ombelicale, attraverso il quale si fa passare il laparoscopio (10 mm e ottica di 30°). Successivamente si posizionano altri tre trocar sotto visione: due da 5 mm rispettivamente in fianco sinistro ed in fianco destro ed uno da 12 mm in fossa iliaca destra (Figura 7).

Figura 7. Posizionamento dei trocar nella SL

▪ Prima di procedere con l’isolamento e la resezione del tratto di colon interessato, viene eseguita una attenta esplorazione della cavità addominale, durante la quale è possibile lisare eventuali aderenze flogistiche viscero-viscerali e/o viscero-parietali.

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▪ Identificazione del ligamento del Treitz e della prima ansa digiunale; si procede quindi con l’isolamento e sezione tra clip tipo Hemo – o’ – lok ® della vena e dell’arteria mesenterica inferiore, previo riconoscimento dell’uretere e dei vasi gonadici di sinistra.

▪ Identificazione del piano avascolare di Toldt ed esposizione della fascia di Gerota posteriormente e del mesocolon-mesosigma anteriormente.

▪ A questo punto, viene condotta, mediante l’ausilio di dispositivi di dissezione a radiofrequenza (es. Ligasure, Medtronic, Minneapolis, MN, USA) o ad ultrasuoni (es. Ultracision, Ethicon Endosurgery, Cincinnati, OH, USA), una cauta mobilizzazione del colon:

o mobilizzazione del colon discendente fino al tratto di sigma interessato, lungo la doccia parieto-colica di sinistra;

o scollamento colo-epiploico e apertura della retrocavità degli epiploon e successiva mobilizzazione della flessura colica di sinistra;

▪ Viene condotta la sezione del sigma mediante una suturatrice lineare articolata meccanica tipo Endo-GIA™ tipo tri-stapler (Ethicon Endosurgery, Cincinnati, OH, USA) o una suturatrice articolata laparoscopica robotizzata tipo I-Drive™ (Medtronic, Minneapolis, MN, USA)

▪ A questo punto, si esegue una minilaparotomia di servizio tipo Pfennestiel mediante protezione della parete addominale con Bag plastico (es. dispositivi Alexis®, Applied Medical, Rancho Santa Margarita, CA, USA), attraverso cui viene estrinsecato il tratto di colon discendente-sigma precedentemente mobilizzato e sezionato. Quindi si procede con una sezione a livello del colon discendente mediante pinza a rastrello e al successivo posizionamento della testina della suturatrice circolare meccanica sul moncone colico prossimale. Successivamente si procede con la chiusura dello strato muscolo-fasciale e cutaneo in corrispondenza della minilaparotomia.

▪ Previo corretto orientamento del colon discendente, si procede ad anastomosi colo-rettale termino-terminale o latero-terminale meccanica sec- Knight-Griffen mediante utilizzo di una suturatrice meccanica circolare di calibro variabile a seconda del diametro del moncone colico (Figura 8). Per escludere una soluzione di continuo sull’anastomosi colica appena confezionata, si esegue una prova idropneumatica di controllo.

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▪ L’intervento si conclude con la verifica e il perfezionamenteo dell’emostasi, abbondanti lavaggi della cavità addominale con soluzione fisiologica riscaldata, il posizionamento di uno o più drenaggi in silastic (21 Ch), la desufflazione e quindi la chiusura delle brecce dei trocar secondo i piani anatomici.

▪ Il confezionamento di una eventuale ileostomia di protezione viene deciso a discrezione del chirurgo operatore.

Figura 8. Anastomosi termino-terminale meccanica

2. Sigmoidectomia con tecnica open

▪ L’intervento inizia, con paziente supino, con una laparotomia mediana, solitamente xifo-pubica. L’incisione cutanea viene praticata con un bisturi (solitamente lama numero 21), mentre la porzione sottocutanea e quella muscolare vengono approcciate con elettrobisturi.

▪ Dopo l’accesso alla cavità peritoneale è opportuno l’utilizzo di retrattori che facilitano l’ispezione e la manipolazione degli organi addominali.

▪ Prima di procedere con l’isolamento e la resezione del tratto di colon interessato, viene eseguita una attenta esplorazione della cavità addominale, durante la quale è

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possibile campionare ed evacuare l’eventuale versamento (corpuscolato, puruloide, fecaloide) e lisare le eventuali aderenze flogistiche viscerali e/o viscero-parietali.

▪ Esplorazione sequenziale della matassa intestinale e soprattutto della regione colica di sinistra alla ricerca di estroflessioni diverticolari, impegno flogistico, ascessi, fistole, aree di stenosi infiammatoria, perforazioni.

▪ Cauta mobilizzazione del colon mediante l’ausilio di dispositivi di dissezione a radiofrequenza (es. Ligasure, Medtronic, Minneapolis, MN, USA) o ad ultrasuoni (es. Ultracision, Ethicon Endosurgery, Cincinnati, OH, USA) lungo il piano avascolare di Toldt-Gerota:

o scollamento colo-epiploico ed accesso alla retrocavità degli epiploon; o mobilizzazione del colon discendente compresa la flessura colica sinistra ed

eventualmente la porzione distale del colon trasverso; o mobilizzazione iniziale del sigma e del retto intraperitoneale.

▪ Identificazione, isolamento e sezione dei vasi mesenterici inferiori tra legature, previa visualizzazione dell’uretere e dei vasi gonadici di sinistra.

▪ Apertura del meso a livello del promontorio sacrale e mobilizzazione del sigma e sezione distale a livello del retto intraperitoneale con suturatrice meccanica lineare articolata di tipo GIA™ (Medtronic, Minneapolis, MN, USA).

▪ Completa mobilizzazione del colon sinistro e resezione del colon-sigma su pinza a rastrello.

▪ Introduzione nel moncone colico prossimale della testina della suturatrice circolare, controllo della vascolarizzazione, della tensione e dell’orientamento dei due monconi e confezionemento di anastomosi sec. Knight-Griffen. Eventuale esecuzione di sopraggitto.

▪ Abbondanti lavaggi della cavità addominale con soluzione fisiologica riscaldata e posizionamento di due drenaggi in Silastic (21 Ch).

▪ Chiusura della parete per strati anatomici: parete muscolare con punti staccati in D-Tach; sottocute; cute in Nylon e agraphes.

▪ Eventuale confezionamento di ileostomia a protezione dell’anastomosi (a discrezione del chirurgo operatore):

o incisione sul fianco destro;

o repertazione su loop di ansa di tenue terminale ed esteriorizzazione della stessa attraverso l'incisione suddetta;

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o esecuzione di ileostomia escludente su bacchetta, apertura dello stoma e sua medicazione.

3. Resezione del sigma secondo Hartmann

▪ Il paziente viene posto in posizione supina e viene praticata un’incisione mediana, frequentemente sottoxifo-pubica, con lama numero 21. Per l’incisione della fascia, invece, è solitamente utilizzato l’elettrobisturi. Nei pazienti obesi con una grande quantità di tessuto adiposo, la linea mediana è difficile da trovare; per facilitare ciò, il chirurgo e l’assistente posizionano delle pezze laparotomiche su entrambi i lati ed esercitano una forte trazione laterale che permetterà di individuare un piano relativamente avascolare per aprire la linea mediana86.

▪ Dopo l’accesso alla cavità peritoneale, l’addome viene esaminato per confermare la diagnosi. Vengono posizionati dei retrattori, spesso di tipo self-retaining (per esempio tipo Bookwalter), per facilitare l’esplorazione della cavità e la manipolazione degli organi addominali.

▪ Successivamente il paziente viene posto in un lieve Trendelemburg per facilitare l’esposizione del colon-sigma e della pelvi. L’intestino tenue, invece, viene portato verso l’alto e posizionato nel quadrante superiore destro, avvolto in una pezza umida e calda e retratto in una delle lame del divaricatore Bookwalter.

▪ Si passa quindi alla mobilizzazione del colon-sigma:

o il chirurgo tiene il colon nella mano sinistra e incide la riflessione peritoneale laterale lungo il piano avascolare di Toldt sia in senso prossimale che distale all’area interessata;

o per produrre una colostomia libera da tensioni è necessario mobilizzare una buona parte di colon discendente e di sigma, sebbene, di norma, la flessura splenica non venga mobilizzata;

o nelle situazioni che comportano infiammazioni gravi (come nei casi di diverticolite perforata) è più facile iniziare questa manovra in un’area non infiammata e poi spostarsi gradualmente nella zona interessata.

▪ Bisogna identificare l’uretere: di solito attraversa la biforcazione aortica. I vasi gonadici sono spesso un utile punto di riferimento: l’uretere è solitamente più mediale e profondo ad essi. Per confermare che la struttura sia l’uretere si può esercitare una lieve pressione con le pinze per stimolarne la peristalsi. In alcuni

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pazienti l’individuazione dell’uretere risulta molto difficile a tal punto da richiedere il posizionamento di uno stent ureterale, nonostante esistano numerose controversie a riguardo. Le indicazioni al posizionamento di uno stent ureterale sono: pregressi interventi di chirurgia pelvica, cancro che invade il retroperitoneo, grave diverticolite.

▪ Una volta che il colon discendente e il sigma sono stati opportunamente mobilizzati, vengono scelti i punti prossimale e distale su cui praticare la resezione. Solitamente il punto prossimale corrisponde al passaggio dal colon discendente al sigma, che viene identificato visualizzando il ramo ascendente dell’arteria colica di sinistra; questo risulta difficilmente visibile in quei pazienti che presentano un ispessimento del mesentere. Il punto distale, invece, coincide nella maggior parte dei casi con l’inizio del retto, differenziabile dal colon-sigma per la perdita delle caratteristiche teniae coli.

▪ A questo punto viene praticata la resezione colica nei due punti precedentemente identificati mediante una suturatrice meccanica lineare di tipo GIA™ . Bisogna scegliere accuratamente i punti di resezione, in quanto la causa più comune di diverticolite ricorrente, dopo una sigmoidectomia, è la resezione incompleta del colon sigmoide ai suoi margini prossimale e/o distale87-89.

▪ Il passo successivo è quello di creare la colostomia. Occorre prestare molta attenzione alla sua creazione in quanto deve funzionare in modo ottimale e deve rimanere in posizione per un lungo periodo senza dare origine a complicazioni di varia natura. Infatti, è stato riportato che solo il 50-60% delle colostomie viene chiusa90.

▪ La mobilizzazione colica deve essere sufficiente a portare un segmento di colon discendente di circa 2-3 cm sopra la pelle, privo di tensione. Una mobilizzazione più ampia non è richiesta, anzi, potrebbe causare uno stoma ridondante con aumento del rischio di prolasso o di ernia parastomale91.

▪ La tecnica più utilizzata per la creazione della stomia prevede l’utilizzo di un morsetto tipo Kocher nella fascia e un altro nella cute a livello del sito colostomico, preferibilmente segnato in una fase pre-operatoria.

▪ Incisione della cute in corrispondenza del punto di marcatura e rimozione di un disco circolare di cute di circa 3 cm a livello del sito della colostomia.

▪ Successivamente viene eseguita un’incisione longitudinale attraverso il grasso sottocutaneo per esporre la guaina dei muscoli retti; la guaina viene anch’essa incisa

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longitudinalmente e il muscolo viene aperto per esporre la guaina posteriore e il peritoneo. Il peritoneo viene aperto mediante l’utilizzo di elettrobisturi; l’incisione dovrebbe essere abbastanza grande da ospitare due dita.

▪ Una pinza ad anello atramautica viene fatta avanzare attraverso l’incisione nella cavità addominale per afferrare il moncone prossimale staplerato, che viene portato al di fuori della parete addominale assicurandosi che non sia sotto torsione nè sotto tensione.

▪ Chiusura della ferita chirurgica mediana secondo piani anatomici (punti staccati di D-Tach o due semicontinue di Maxon-Loop 0 per il piano fasciale, punti staccati di Nylon 3/0 per la cute).

▪ Previa asportazione del punto di chiusura del moncone colico si procede ad apertura dello stoma, che viene fissato alla cute mediante punti staccati (Monosyn 3/0 solitamente) ad andamento coronale. I punti sono costituiti dall’intestino preso a tutto spessore, da una parte, e dalla cute anch’essa presa a tutto spessore, dall’altra. ▪ Medicazione e posizionamento di sacca da colostomia.

4.

Lavaggio Peritoneale Laparoscopico (LPL)

▪ La tecnica inizia, con paziente supino, con l’induzione dello pneumoperitoneo per mezzo dell’ago di Verres in sede ombelicale o mediante tecnica open secondo Hasson (questa viene preferita soprattutto nei pazienti con precedenti interventi chirurgici) fino al raggiungimento di una pressione intraperitoneale di 14 mmHg. ▪ A questo punto vengono introdotti tre trocar: uno da 5 o 12 mm in sede

sovraombelicale (previa incisione centimetrica sovra-ombelicale), attraverso cui viene fatto avanzare il laparoscopio (di solito da 10 mm e con ottica di 30°); uno di 5 mm nel fianco destro; infine, un altro da 5 o 12 mm in fossa iliaca destra. Questi ultimi due trocar vengono introdotti sotto guida visiva (Figura 9).

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Figura 9. Posizionamento dei trocar nell’ LPL

▪ Successivamente, viene condotta un’accurata esplorazione della cavità peritoneale, durante la quale si osserva l’eventuale presenza di segni di contaminazione fecale o di perforazioni macroscopiche a carico della parete colica (che deporrebbero per una conversione laparotomica dell’intervento); a questo punto si procede con la lisi delle aderenze flogistiche viscero-parietali e/o viscero-viscerali, qualora fossero presenti, mediante dissezione smussa con pinza tipo “Johanne” o con la canna dell’aspiratore.

▪ Una volta identificata la presenza della raccolta purulenta in cavità peritoneale, si procede dapprima ad un suo campionamento per l’esame colturale e, successivamente, alla sua completa evacuazione (Figura 10).

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Figura 10. Evacuazione della raccolta purulenta

▪ Al termine di questa fase, vengono compiuti abbondanti lavaggi con soluzione fisiologica riscaldata (almeno 3L) e viene eseguita una accurata revisione dell’emostasi, anche a livello delle porte dei trocar.

▪ L’intervento si conclude con il posizionamento di due grossi drenaggi in silastic di grosso calibro (solitamente di 21 Ch) in regione pelvica, rispettivamente sul versante mediale e laterale del sigma; desufflazione della cavità peritoneale dallo pneumoperitoneo; sintesi delle brecce laparoscopiche per piani anatomici.

5. Damage Control Surgery (DCS)

Sebbene il politrauma rappresenti la prima condizione ad essere stata introdotta nel Damage Control Surgery ed oggi la più frequente, il DCS trova impiego anche in un consistente numero di casi di sepsi severa intraddominale e come terapia della sindrome compartimentale addominale (ACS). Per “open abdomen” o

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ottenuta intenzionalmente evitando la sututra dell’incisione laparotomica al completamento della procedura chirurgica intraddominale, oppure, realizzando una laparotomia decompressiva in caso di una sindrome compartimentale addominale. Questa strategia chirurgica sta trovando sempre maggiore impiego nelle forme di diverticolite acuta complicata di grado avanzato (nelle classi III ma soprattutto IV secondo la classificazione modificata di Hinchey). Il ricorso all’intervento di Damage Control si rende necessario in tutti quei casi in cui nè il ripristino immediato della continuità intestinale con un’anastomosi, nè tanto meno il confezionamento di una stomia garantiscano una sicura risoluzione del quadro, visto l’elevato grado di contaminazione della cavità addominale (elevatissimo nei casi di peritonite stercoracea).

Il Damage Control è una strategia chirurgica che si sviluppa in più fasi (Figura 11): I. La prima fase consiste in una laparotomia esplorativa immediata per il controllo

della contaminazione (nei casi di politrauma anche delle emorragie e nel posizionamento di un packing addominale), resezione viscerale ed affondamento dei monconi e in una rapida chiusura della parete addominale.

II. La seconda fase prevede la rianimazione in unità di terapia intensiva per stabilizzare fisiologicamente e biochimicamente il paziente (nel politrauma particolare attenzione viene volta alla correzione dei quadri di ipotermia, coagulopatia e acidosi, che costituiscono la cosiddetta “triade letale”).

III. La terza fase consiste nella riesplorazione della cavità addominale, nella riparazione di tutte le lesioni, nell’eventuale anastomosi previa valutazione della vascolarizzazione viscerale ed eventuale chiusura definitiva dell’addome.

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38 Damage Control Surgery (DCS) Fase III Fase II Fase I Laparotomia esplorativa, resezione viscerale e Temporary Abdomen Closure

(TAC)

Rianimazione in Unità di Terapia Intensiva (ICU)

Riesplorazione +/-Chiusura definitiva Skin closure Bogotà Bag Wittmann Patch Vacuum Pack Vac Therapy

Figura 11. Fasi del Damage Control Surgery

Nella fase I del Damage Control il paziente viene sottoposto alla cosiddetta laparotomia abbreviata. L’individuo viene posto in posizione supina sul tavolo operatorio. Viene praticata un’incisione mediana solitamente xifo-pubica. Viene esposta la cavità addominale e si procede ad un’attenta esplorazione. Nel caso di peritonite da diverticolite acuta complicata, l’intento è quello di controllare la contaminazione della cavità addominale e in questi casi anastomosi o stomie vengono differite al successivo intervento. A questo punto la strategia prevede una chiusura temporanea dell’addome (TAC Temporary Abdomen Closure), a cui fa seguito uno stretto monitoraggio in un unità di terapia intensiva per ritornare poi dopo circa 24-48 h in sala operatoria per una revisione chirurgica che potrà terminare con una risoluzione definitiva del quadro, oppure con una nuova soluzione temporanea seguita da una successiva revisione. La maggior parte dei pazienti torna in sala operatoria entro 24-48 h dalla fase I, ma questo tempo varia in base alle condizioni del paziente: bisogna necessariamente correggere tutti i deficit, fisiologici e biochimici, in modo da permettergli di sostenere un nuovo intervento chirurgico.

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La chiusura temporanea dell’addome può essere eseguita mediante il ricorso ad una delle seguenti tecniche chirurgiche:

- Skin closure (mediante towel clips o sutura continua); - Bogotà Bag;

- Chiusura con Mesh; - Wittmann Patch;

- Vacuum Pack sec. Barker;

- Vacuum Assisted Closure Therapy (V.A.C. Therapy)

Data l’estrema invasività della strategia di Damage Control Surgery associata alla già avanzata condizione clinica del paziente, potrebbero manifestarsi delle complicanze, tra cui:

- sindrome compartimentale addominale (ACS); - deiscenza della ferita chirurgica;

- ascessi, infezioni e sepsi;

- fistole entero-cutanee (tipica dei pazienti con “open abdomen” è la fistola entero-atmosferica);

- tromboembolie; - laparocele.

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3.2 PARAMETRI CONSIDERATI ED ANALISI STATISTICA

Le variabili che sono state prese in considerazione nello studio riguardano caratteristiche del paziente: sesso, età, Body Mass Index (BMI), valori di Proteina C-Reattiva (PCR) e Procalcitonina (PCT), American Society of Anesthesiologists (ASA) score, comorbidità (cardiopatia, vasculopatia, ipertensione arteriosa, connettivopatia, pneumopatia, diabete mellito, fumatore), pregressi interventi chirurgici addominali e pregressi episodi di diverticolite acuta; della patologia: grado secondo la classificazione di Hinchey modificata e il valore medio di Mannheim Peritonitis Index (MPI); del tipo di intervento chirurgico: laparoscopico o con tecnica open; della degenza ospedaliera: durata media della degenza ospedaliera totale e della degenza post-operatoria, frequenza della chiusura di stomia e tasso di complicanza nell’intervento, tasso di re-interventi nel post-operatorio, morbilità e mortalità. Gli outcome a lungo termine sono stati valutati con follow-up eseguito mediante interviste telefoniche e visite ambulatoriali. Il grado della severità della morbilità è stato valutato secondo la classificazione di Clavien-Dindo92.

❖ MPI (Mannheim Peritonitis Index)

Il Mannheim Peritonitis Index fu sviluppato da Wacha e Linden nel 1983 con uno studio retrospettivo su un campione di 1253 pazienti con peritonite secondaria, considerando 20 possibili fattori di rischio di cui solo 8 hanno mostrato rilevanza prognostica e sono stati inseriti nel calcolo dell’indice MPI93 (Tabella 3). I pazienti

con punteggio superiore a 26 sono stati definiti ad alto rischio di mortalità94. La disponibilità di uno scoring di gravità è utile perchè rappresenta sia un parametro di valutazione dell’outcome specifico per la peritonite secondaria, patologia dalla mortalità estremamente elevata, sia un criterio di selezione dei pazienti per cui potrebbe essere necessario un intervento chirurgico più aggressivo. Il Mannheim Peritonitis Index è un sistema predittivo della mortalità nei pazienti con peritonite in cui punteggi maggiori sono associati ad una prognosi peggiore e necessitano di una gestione intensiva95.

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