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Le prosperità di Afrodite Pandemia

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Academic year: 2021

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Le prosperità di Afrodite Pandemia

Fabio Vasarri

Un po’ sadiano e un po’ neoclassico, il titolo di questo contributo vuole alludere ad alcuni aspetti connessi alla tematica erotica, aspetti che coesistono e si intrecciano nel nostro testo: l’eredità libertina settecentesca e il platonismo romantico, ma anche l’analisi socioeconomica della Francia postrivoluzionaria. Essi compongono un insieme complesso e sfaccettato, l’eros multiforme della Fille aux yeux d’or.

La stesura del breve romanzo è parallela a quella di Séraphîta, studio filosofico che costituisce l’illustrazione più eloquente dell’androgino romantico sublimato. Una creatura di genere indefinito suscita amore in un uomo e in una donna. Avendo decretato la loro reciproca unione terrena, la misteriosa creatura si trasforma in angelo e sale al cielo. Séraphîtüs-Séraphîta è dunque l’androgino originario che ritrova e conserva la propria unità ideale, mentre, sulla terra, Minna e Wilfrid godranno di una forma inferiore ma auspicabile di unità, nella coppia coniugale.

Coevo di Séraphîta, La fille aux yeux d’or ne è il rovescio carnale, realistico e perverso. L’androgino come simbolo della fusione della coppia e ideale amoroso è qui impraticabile. Paquita è la vittima inerme dei disegni omicidi di entrambi i suoi amanti, e l’agnizione speculare di questi ultimi, fratello e sorella, non dà luogo a nessuna forma duratura di congiunzione, bensì a una separazione definitiva. L’androgino è diviso e l’unità è e resta perduta, secondo la formulazione tuttora valida di Geneviève Delattre1.

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Come Séraphîta e anche Sarrasine, La fille aux yeux d’or è in parte una rielaborazione dello spunto offerto a Balzac dall’amico Henri de Latouche con il suo romanzo Fragoletta (1829)2. Considerati insieme, questi testi declinano variamente il

mito romantico dell’androgino, concretizzandolo in un ermafrodito (Fragoletta), in un castrato (Sarrasine) oppure trasfigurandolo in un angelo (Séraphîta). Rispetto a tali esempi, La fille aux yeux d’or e, in maniera più articolata, Mademoiselle de Maupin di Gautier propongono invece la variante della bisessualità, ereditata dal libertinismo e ricca di sviluppi futuri, dal decadentismo a Orlando di Virginia Woolf (1928) e oltre. Da eccezione fisica e da comportamento perlopiù sessuale, l’androginia diventa a poco a poco un dato principalmente psichico3.

Se resta qui una traccia di androginia ideale e di sublimazione del sentimento amoroso, essa andrà localizzata nella breve e sensazionale apparizione conclusiva della marchesa di San-Réal, breve a motivo degli obblighi dell’intreccio a enigma e anche a motivo del tabù che colpisce il lesbismo. L’androginia sublimata e fusionale assume, nelle parole finali della marchesa, la forma indefinibile dell’infinito: «rien ne console d’avoir perdu ce qui nous a paru être l’infini», dice a proposito di Paquita4. Questa frase illumina il senso di

una relazione certo possessiva e unilaterale, ma autentica e partecipe, grazie anche alla lucidità di fronte al suo limite soggettivo (come dimostra l’uso del verbo «paraître»: «ce qui nous a paru»). E non è da escludere che Paquita, prima o anche dopo l’incontro con Henri, ricambi questo amore5. Ora, il mito

di Aristofane nel Simposio platonico include l’orientamento omosessuale nelle sue versioni maschile e femminile, come si tende a dimenticare trattenendo delle creature sferiche originarie solo quella polarizzata, cioè, appunto, l’androgino, uomo/donna. La ricerca dell’assoluto nell’amore è quindi la dimensione trascendente della marchesa assassina, la quale, ritirandosi nel convento dei Dolori («de los Dolores»), che ospita anche la duchessa di Langeais, compie una scelta tutto

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sommato coerente, tentando di sublimare nell’amore sacro la propria ricerca dell’infinito. Ma questa scelta è formulata in termini sacrileghi («je suis réduite à ne plus aimer que Dieu!», p. 1108), che affermano audacemente la superiorità dell’amore profano.

Paquita fa balenare l’«infini» anche agli occhi di Henri. Il sostantivo appare due volte in riferimento all’intenso desiderio del ragazzo per la ragazza ma, nella prima occorrenza, è «palpable» (p. 1082), cioè fisico, e il coinvolgimento non risulta altrettanto credibile e sincero. Nella seconda occorrenza (p. 1101), Balzac presenta la ricerca dell’infinito come una prerogativa maschile. Ma si ha l’impressione che nel romanzo sia una donna, la marchesa, a cercarlo veramente. Henri non esce mai del tutto dal cerchio del proprio io, condizione necessaria per la fusione amorosa. Dopo il primo appuntamento con Paquita, Henri sembra muoversi in quella direzione («Il ne fut plus lui-même»), ma Balzac si affretta ad aggiungere: «il était assez grand cependant pour pouvoir résister aux enivrements du plaisir» (p. 1084). Lo stesso conflitto si ripresenta durante l’ultimo amplesso con Paquita, durante il quale Henri rinuncia temporaneamente all’autocontrollo razionale e si abbandona all’«infini», ma il suo orgoglio maschile ha il sopravvento: «il trouva […] des forces pour dompter cette fille» (p. 1101)6.

Dunque, la coincidentia oppositorum è assente dal testo, che non realizza nessuna forma di conciliazione e di comunione. Gli estremi si toccano, sentenzia il romanziere in posizione strategica, nell’explicit della seconda parte dell’edizione originale (p. 1094). Ma si toccano senza fondersi, generando esseri ibridi, autosufficienti, larvali e improduttivi. O ancora, gli estremi si equivalgono annullandosi a vicenda, come è detto degli ardori identici di Henri e di Paquita («deux forces identiques s’annulent en se rencontrant» (p. 1080).

La totalità androginica si frantuma in fisionomie parziali, incomplete e perlopiù insostenibili. L’abbé de Maronis, precettore di Henri, è un androgino molto approssimativo e

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imperfetto: tenta di fare da padre e da madre al ragazzo, e insieme lo inizia al cinismo e lo corrompe. Questo «philosophe» libertino, benintenzionato ma mediocre, appare inadatto a conciliare in sé i ruoli parentali (p. 1056). Gli uomini d’affari di Parigi, descritti nel prologo, sono chiusi in un celibato sterile e debosciato (pp. 1047-1048). Quanto agli aristocratici, sono rosi dall’«ennui» ovvero dal «mal du siècle» e ridotti ad una sorta di impotenza, perduti in desideri senza oggetto e incapaci di trovare una soluzione intermedia tra il «trop-plein» e il «vide absolu» (p. 1051). La rara castità di poeti e scienziati rischia di rivelarsi una fissazione su un’idea e una chiusura solipsistica (p. 1053). Infine, passando alla dimensione comica del postino, si può addirittura riconoscere nell’immagine di Paquita e della «duègne» Concha Marialva cucite insieme come creature siamesi per ordine della marchesa (p. 1068) un esito disarmonico e grottesco della specie primitiva del Simposio.

Accanto alla commistione dei ceti, delle culture e delle lingue7, la confusione dei sessi è ben presente, in questo testo

che anticipa per più versi l’eros decadente. La stessa Parigi del prologo è ambiguamente androgina, regina e grande uomo (p. 1051), senza che si possa stabilire una priorità anche solo linguistica tra il genere maschile del toponimo «Paris» e le connotazioni femminili del sostantivo «ville»8. Si tratta anzi, a

ben guardare, dell’esemplare più compiuto nel testo di

un’indifferenziazione autosufficiente, energica e

profondamente ambivalente.

Quanto ai personaggi principali, ognuno di essi partecipa in qualche misura di entrambi i generi. La marchesa, come dicevo, è latitante pur essendo un attante decisivo. La sua decrizione, affidata a Paul de Manerville, insiste sull’immagine della bruna mediterranea, florida e prorompente. Ma la singolare metafora navale della corvetta impetuosa e aggressiva (p. 1064) la apparenta di nuovo a Parigi, rappresentata nel suo stemma da una nave, come ricorda il prologo (p. 1052). E l’appartenenza alla tipologia lesbica, modellata principalmente all’epoca sul

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caso Sand, non può che accentuare una compresenza del maschile e del femminile.

La ragazza eponima dà il titolo al testo ma stenta ad affermarsi come eroina, per una drastica insufficienza individuale. Eppure, nella nostra prospettiva, si tratta dell’unico personaggio principale che sperimenti la bisessualità. Per Henri, il contatto con la ragazza corrisponde a un’esperienza eccezionale perché fondata sulla portentosa combinazione di qualità antitetiche: realtà e mistero, inferno e paradiso ecc. (p. 1091). Inoltre, Paquita è «la femme caressant sa chimère» (p. 1065), il soggetto desiderante di una creatura ideale ma ibrida, nella fattispecie la coppia adelfica e gemellare Henri-Margarita. Ma solo quest’ultima, come si diceva, tende all’amore assoluto e potrebbe dunque rivelarsi la vera amante di chimere9.

Ad ogni modo, quella che sul piano affettivo e sessuale può apparire come una completezza di Paquita, si ribalta sul piano psicologico nel suo contrario, in un vuoto. Questo aspetto risalta se prestiamo fede alle sue confidenze nel terzo incontro con Henri (p. 1099). Paquita è un «rien», un neutro. È cresciuta nell’ignoranza, analfabeta e subumana. Non parla francese, ma «solo» inglese e spagnolo, lingue «inferiori» nell’ottica dell’autore e dell’epoca. Nel primo amplesso con Henri, «elle ne vo[it] rien au-delà» (p. 1091): è chiusa nell’inferno materiale. Inoltre, non sembra avere un’esistenza e una volontà proprie. Un folto personale domestico, tra cui Christemio e la «duègne», la protegge e la esclude dal mondo esterno. È un oggetto di lucro per la madre, un oggetto d’amore per la marchesa e una «machine à plaisir»10 per Henri, al quale propone una generosa

offerta masochistica: «Je ne suis quelque chose hors de toi qu’afin d’être un plaisir pour toi» (p. 1102). Per una coppia più armoniosa, questa potrebbe essere grosso modo una formula di fusione androginica. Qui, essa significa che al di fuori della dimensione erotica Paquita non esiste agli occhi di Henri; ma si stenta a credere che esista anche solo per sé stessa. Paquita illustra bene che l’utrumque dell’Ermafrodito di Ovidio è in

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realtà un neutrum. Sul piano socioculturale, è un’immagine impressionante del femminile proletario ottocentesco11.

Rispetto a questa specie di irresistibile paria e all’irrappresentabile marchesa, Henri de Marsay è indubbiamente l’eroe del romanzo, descritto e presentato in una notevole varietà di situazioni e di stati d’animo, date le dimensioni ridotte del testo.

Ora, Balzac gioca più volte con le polarità del maschile e del femminile riguardo a Henri. Molto ci viene detto delle sue attrattive, rare nel suo sesso anagrafico. Si indugia anche sulla sua cura del proprio aspetto e sulla durata eccessiva della sua toilette. Ma ognuna di queste notazioni è bilanciata e in definitiva neutralizzata da commenti di segno opposto, che sottolineano le qualità maschili del personaggio, in particolare l’ardimento e il dongiovannismo. La mascolinità di Henri sembra entrare in crisi nel contatto con Paquita, la quale, secondo la propria esperienza con la marchesa, tende a femminilizzarlo per potersi congiungere con lui. Così, nel loro primo incontro intimo, gli fa indossare un abito da donna12.

Questo travestimento è preceduto e seguito dall’applicazione di una benda sugli occhi del ragazzo, per mantenere il segreto sul luogo del convegno amoroso. Il velo può a sua volta rimandare a un ruolo passivo, femminile, e a un’iniziazione amorosa. Ma il travestimento dell’eroe per propiziare un incontro erotico è un topos collaudato della letteratura libertina (Louvet, Sade o Beaumarchais). E quello che potrebbe apparire come un lapsus rivelatore da parte di Henri, cioè la richiesta, durante l’incontro seguente, di indossare di nuovo il vestito («Donne-moi ma robe», p. 1099) è in realtà un insidioso espediente per blandire Paquita ed estorcerle l’identità dell’essere misterioso che la tiranneggia. Del resto, la ragazza rifiuta e dichiara di amare ormai Henri in quanto uomo. E dopo questa transizione verso l’eterosessualità, Henri lascerà il boudoir senza benda.

Non prima, però, del principale indizio che getta un sospetto di omosessualità su Henri, ossia l’esclamazione «Mariquita!» (pp. 1102-1103) che Paquita si lascia sfuggire durante il

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trasporto amoroso. Alcuni critici hanno notato la polisemia di questo nome13. In spagnolo Marica, da cui Mariquita, è

diminutivo di María e non di Margarita, nome della marchesa. Ad ogni modo, Paquita si riferirebbe a costei, in un attimo di abbandono. Quanto a Henri, il genere femminile del nome è sufficiente per rivelargli quello che voleva sapere, e per misurare l’affronto infamante di avere per rivale una donna. Ma «mariquita» significava anche in spagnolo, fin dal Seicento, un uomo effeminato e codardo. Si apre così una pista interpretativa tipicamente novecentesca, freudiana e poi barthesiana: Paquita si riferirebbe non all’amante assente ma a quello che sta abbracciando, designandolo al femminile; tanto più che, nel momento stesso in cui esclama il nome, Paquita, con un vigore insospettato, solleva Henri per aria e lo contempla; e subito dopo, non capisce la reazione di quest’ultimo, come se di fatto l’appellativo si riferisse soltanto a lui. Se Henri reagisce con violenza, sarebbe perché è doppiamente minacciato nella sua virilità, non solo perché ha una rivale donna, ma perché si ritrova egli stesso femminilizzato. E il suo grido indignato («Je sais maintenant tout ce dont je voulais encore douter!») acquisterebbe il senso profondo di una presa di coscienza soggettiva.

Pare improbabile che Balzac ignorasse l’accezione del vocabolo spagnolo, peraltro già apparso, come designatore femminile, nella pièce Une femme est un diable di Mérimée (1825). Ma non se ne può dedurre una prova decisiva dell’omosessualità di Henri14. Il nome Mariquita è una sorta di

«jolly» che rimanda sia a Henri che alla marchesa, dunque alla chimera vagheggiata da Paquita, esprimendo con un’opportuna polisemia il desiderio polimorfo di colei che lo pronuncia. La violenta protesta di Henri nasce davvero dal timore di essere femminilizzato agli occhi altrui, non dalla scoperta inconfutabile di un lato sommerso di sé. Diciamo piuttosto che, come lo scultore Sarrasine nell’omonima novella, Henri teme il contagio della femminilità ibrida, sia essa incarnata in un castrato o in una prostituta bisessuale; in ultima analisi, il

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contagio dell’omosessualità. Le reazioni di Sarrasine e di Henri, quest’ultima amplificata in una variante del manoscritto, sono sostanzialmente identiche:

Tu as osé te jouer d’une passion d’homme, toi? […]. Tu n’es rien. Homme ou femme, je te tuerais! mais… […]. Tu m’as ravalé jusqu’à toi15.

[J]e sais pourquoi tu m’enveloppes d’un châle, pourquoi tu faisais tout pour compléter ton illusion. Tu t’es jouée de moi, tu m’as prostitué. Tu ne sais donc pas ce que c’est qu’un homme; eh bien! Tu vas en connaître la majesté (p. 1103, var. a).

L’exclamation de Paquita fut d’autant plus horrible pour lui qu’il avait été détrôné du plus doux triomphe qui eût jamais agrandi sa vanité d’homme (p. 1104).

Credo pertanto che l’allusione veicolata dal nome spagnolo sia intenzionale ma motivata soprattutto da ragioni di strategia narrativa: mantenere una certa ambiguità romanzesca, e soprattutto dare voce al desiderio bisessuale di Paquita.

Certo, «Mariquita» aggiunge un testimone significativo al vistoso paradigma onomastico e paronimico fondato sulla ripresa della sillaba «mar», perdipiù in posizione iniziale: Marsay, Margarita, marquis(e), fino a Marialva, cognome della «duègne», e all’abbé de Maronis. Lo stesso nome dell’amico Paul de Manerville gravita su questo paradigma sbilanciato sul femminile, che potrebbe rimandare, attraverso l’archetipo di «Maria», alla madre principale del testo, quella di Paquita. La figura materna, assente o terribile, non è da meno della vistosa carenza di quella paterna, carenza connessa all’assetto postrivoluzionario segnato dal regicidio. Ma la stessa sillaba può evocare la «mare» e il «marais», dunque acque corrotte e fangose16. Come Balzac non manca di ricordare nel prologo (p.

1050), l’antico nome di Parigi, Lutèce, significa in celtico «luogo delle paludi». E le bettole dei quartieri popolari, luoghi viziosi e maleodoranti, formano l’«enceinte de boue» della capitale (pp. 1040 e 1045). In sintesi, nel testo questa paronomasia accomuna

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i nomi degli sfruttatori, dei complici e dei fruitori della prostituzione, escludendone colei che ne è oggetto, Paquita Valdès.

Nell’insieme, questi indizi problematici attestano comunque un’indubbia insistenza di Balzac sulla connotazione femminile di Henri e sulla sua omosessualità latente. Quest’ultima avrebbe tra l’altro, come appare più chiaramente nel caso dell’altra figlia di lord Dudley, una spiegazione ereditaria. E soprattutto, su un altro piano, una spiegazione storico-culturale: il brano su Henri sazio di piaceri e di facili conquiste e annoiato dalle donne lo inscrive nella tipologia del dandy inglese, eccentrico e trasgressivo (Byron, Brummell o anche il conte d’Orsay). E il prolisso teorema di Henri, secondo il quale il segreto del successo amoroso starebbe in una fascinazione per così dire omeopatica («La femme aime le fat», pp. 1071-1072) va nella stessa direzione. Donna vanitosa e dandy: ad attrarsi sono i simili, non gli opposti.

Una certa indifferenziazione sessuale permea quindi l’universo della Fille aux yeux d’or, ma l’aspetto che orienta con più forza l’eros del romanzo verso l’omosessualità è la divisione dei generi maschile e femminile, che possono congiungersi in appassionati amplessi ma restano drasticamente separati e opachi l’uno all’altro. Il solo slancio autentico verso l’alterità, quello di Paquita verso Henri, ha un esito disastroso perché compromesso in partenza dalla doppiezza congenita di Henri-Menecmo, fratello della marchesa, e dalla persistenza dell’immagine di costei. Perfino l’ingenua devozione a Henri dell’umbratile Paul de Manerville assume i tratti ambigui di un desiderio mimetico alla René Girard (pp. 1062 e 1071)17.

Nella cultura dell’epoca, l’amicizia maschile occupa il vertice della scala di valori affettiva, confermando sostanzialmente quanto osservato sopra. Nella concezione di Kant (Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, 1764), l’amore eterosessuale rientra nella sfera del bello, ma l’amicizia rappresenta il sublime morale; e, almeno nel nostro testo, la forma superiore di amicizia resta quella maschile e aristocratica tra gentiluomini.

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Il contesto dell’Histoire des Treize fa risaltare questo aspetto. La prefazione al ciclo illustra il cameratismo maschile e l’amicizia ideale dei Tredici ricorrendo tra l’altro a un riferimento letterario frequente in età romantica (Venice preserv’d di Thomas Otway, 1682), in particolare al sodalizio di Pierre e Jaffier in questa tragedia inglese. Ora, su questa celebre coppia di amici grava un sospetto di rapporto affettivo sublimato in amicizia18. Il rimando intertestuale porta dunque acqua al

mulino della lettura in questa chiave del nostro testo. Ad ogni modo, la priorità del patto con i Tredici è chiaramente affermata, ed è essa che impedisce, almeno in linea teorica, a Henri di fuggire con Paquita. Se costei è letteralmente impedita nei suoi movimenti da un rigoroso sistema carcerario, nemmeno Henri è libero («Je ne m’appartiens pas, je suis lié par un serment au sort de plusieurs personnes qui sont à moi comme je suis à elles», p. 1099). Ciò non può non tracciare un’analogia tra le imperiose esigenze della relazione lesbica e il patto di amicizia cavalleresco.

Naturalmente, le vittime di tali costrizioni distinte non sono equiparabili: al confronto con il «rien» di Paquita, Henri appare come un soggetto autosufficiente, protetto da un solido narcisismo; questo può sorprenderci se consideriamo il suo disastroso retroterra infantile e familiare, che ne fa un emblema dell’aristocrazia imbastardita della Restaurazione e poi della monarchia di Luglio. È noto tra l’altro che il personaggio ha un divenire nella Comédie humaine, segnato da ulteriori conquiste femminili, un matrimonio di interesse e una carriera pubblica prestigiosa, per quanto breve. Nella Fille aux yeux d’or, questa corazza narcisistica si profila chiaramente nella reazione alla melanconia post coitum: già sazio di Paquita, Henri fuma spavaldamente un sigaro in una scena interpretabile in senso autoerotico (pp. 1093-1096)19.

In definitiva, ben più dell’omosessualità in sé, sembra essere questa la caratteristica dominante di Henri: una chiusura narcisistica e dandistica che può corrispondere a una forma degradata e parziale di androginia. La perfezione sferica delle

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creature del mito si conferma anche in questo caso irraggiungibile, in un testo che insiste semmai sulla figura del cerchio dimezzato e incompleto, l’emisfero: questo è oggetto di un «calembour» leggero del postino (p. 1068), ma è anche la forma del famoso boudoir esotico (pp. 1087-1088)20. Nella bella

descrizione del boudoir, il narratore insiste sulla perfetta armonia cromatica degli arredi, la quale attua una completezza che però non tarda a rivelarsi illusoria. Infatti, nella dinamica amorosa del testo, il bianco della sublimazione spirituale è travolto e ricoperto dal rosso della libido e dal giallo delle «passions», ambizione e avidità di denaro, insomma dal «plaisir» e dall’«or». Nella società borghese, l’amore non può che essere «voleur» (p. 1072), rapace e possessivo21.

Se l’amicizia è moralmente superiore all’amore, la gerarchia si ripete all’interno di quest’ultimo ambito. In una sezione del Simposio distinta da quella di Aristofane, Pausania distingue le due dee dell’amore, Afrodite Urania e Afrodite Pandemia. La prima rappresenta l’amore più elevato nella società greca, quello tra un uomo adulto e un ragazzo. La seconda rappresenta l’amore carnale, e include la donna e la prostituzione. Nel mondo profondamente storicizzato e realistico della Fille aux yeux d’or, l’eros del primo tipo stenta ad affermarsi, se non nella versione vaga, sublimata e collettiva della società segreta dei Treize. Il secondo, al contrario, dilaga.

Del resto, nel prologo, l’«enceinte de boue» nelle cui bettole gli operai sperperano la paga settimanale è paragonata alla «ceinture de la plus impudique des Vénus» (pp. 1041 e 1045). Balzac, che evoca più volte il Simposio per il mito dell’androgino, ad esempio nel Lys dans la vallée o nell’Enfant maudit22, pensa qui con tutta probabilità alla figura degradata

dell’eros pandemio. Le allusioni all’amore fisico non mancano, in un testo sbilanciato sul versante sensuale e realistico. Una variante del manoscritto definisce Parigi come un immenso postribolo (p. 1063, var. a). La terrazza delle Tuileries dove avviene l’incontro fatale è all’epoca un luogo relativamente equivoco, un terreno di sguardi di desiderio e di contatti furtivi,

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tra voyeurismo ed esibizionismo23. Qui, la misteriosa Paquita

abbassa ambiguamente lo sguardo su Henri non per modestia di fanciulla, ma per soffermarsi sui piedi e sulla «taille» del ragazzo, probabilmente per confrontarlo con la marchesa; ad ogni modo lo sguardo scende dalla parte alta, nobile del corpo, dal volto e dagli occhi verso le parti meno nobili, con una sorta di ammirazione mista a sottomissione (p. 1074). Più avanti, le notevoli doti amatorie della ragazza saranno evocate ed esaltate. E secondo Pierre Laforgue, nel rapido finale, la versione ufficiale della morte per tisi preannuncia quella della Dame aux camélias e contiene un ulteriore accenno alla prostituzione24.

Balzac menziona il romanzo di Laclos e allude a Sade. Tra le fantasie amatorie di Henri figura anche un progetto di corruzione degno di Lovelace o di Valmont («faire arriver telle femme à tel degré de corruption», p. 1070). Ancora più calzante potrebbe rivelarsi il raffronto con Gamiani (1833), romanzo erotico attribuito a Musset e basato a sua volta su una coppia femminile che si sviluppa in un triangolo25. Erede della

tradizione libertina, il Balzac della Fille aux yeux d’or adatta alla sensibilità romantica una vicenda di per sé scandalosa e si inscrive nettamente, sia pure in negativo, come si è visto, nella riflessione coeva sull’eros. Restano tuttavia accenni rapidi o allusivi a pratiche non ortodosse, estranee alla procreazione e alla sublimazione. L’adulterio è dato per scontato: se il piccolo commerciante non è geloso, «heureuse est sa femme» (p. 1043); le numerose ammiratrici di Henri guardano intensamente il loro idolo, per poterlo poi ricordare in solitudine e «à propos»26.

Quanto a lord Dudley, sbarcato in Francia per sfuggire alla giustizia inglese e accusato probabilmente di atti osceni27, si

rammarica esplicitamente nel riconoscere nella figura avvenente del medesimo Henri un proprio figlio illegittimo (p. 1058).

L’omosessualità del progenitore si ripercuote in misura variabile, come si diceva, sui figli. Questo aspetto appare strettamente legato alla tentazione incestuosa, sia per il breve

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accenno appena visto sia per lo slancio di Henri verso la marchesa, nella scena finale28. Il legame di sangue è fortemente

tematizzato nel testo: nel titolo della terza parte dell’edizione originale, La force du sang; nel commento di Henri sulla fedeltà di Paquita alla progenie di lord Dudley; infine, di nuovo, nel sistema onomastico, decisamente motivato ed eloquente: lo pseudonimo adottato da Henri, Adolphe de Gouges, equivale a «fratello» («adelphe») «di donna», senza contare le interferenze con l’altro attributo di Henri, «Adonis», e con la femminilità spregiudicata di Olympe de Gouges29. Il nome del marchese di

San-Réal può essere interpretato come «sans réel» o «sans réalité», data la nullità del personaggio30; del resto, nel prologo,

le classi alte sono definite avulse dalla realtà («là rien de réel», p. 1050). Ma San-Réal, cognome acquisito della marchesa, può essere inteso anche come «sang réel» se non come «sang royal», aristocratico, in riferimento dunque al legame occulto tra gli amanti di Paquita che rappresenta la peripezia della fabula. Sono questi ultimi a far scorrere per due volte il sangue di Paquita, Henri durante la deflorazione, la marchesa a colpi di pugnale. E ancora al figlio e alla figlia di lord Dudley può alludere obliquamente l’altro nome del marchese, don Hijos.

Nella scena finale, la marchesa lascia chiaramente intendere che il tradimento di Paquita è attenuato dal suo aspetto «endogamico», cioè dal fatto che abbia amato due consanguinei. Inoltre, come ha osservato Pierre Laforgue, lord Dudley favorisce indirettamente l’incesto non rivelando ai numerosi figli illegittimi la loro origine31. Secondo la lezione di

Chateaubriand, l’endogamia aristocratica è il sintomo del ripiegamento narcisistico e sterile di un ceto reso orfano dal regicidio e illegittimo dalla Rivoluzione. Ma nella Fille aux yeux d’or gli aristocratici non soccombono alla tentazione incestuosa: lord Dudley si ferma davanti al tabù raddoppiato dell’incesto omoerotico e la marchesa, per fedeltà al suo amore, ignora gli intempestivi approcci di Henri, ai quali questi non dà seguito. E almeno uno di loro, Henri, dimostrerà di saper farsi strada nella nuova società borghese.

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Rispetto al fratello, la marchesa illustra l’incapacità delle classi alte di gestire il proprio patrimonio nel nuovo contesto sociale: essa paga due volte per Paquita, comprandone dapprima il corpo per poi comprare il silenzio sull’eliminazione dello stesso. Il suo comportamento si inscrive completamente in un dispendio affettivo e finanziario incontrollato. Il confronto con il fratello illustra la distinzione proposta da Balzac a proposito dei giovanotti parigini: Henri appartiene alla tipologia «qui pense», mentre Margarita «dépense» (p. 1059). A ben guardare, anche Paquita «dépense»: secondo gli stereotipi di genere, sono soprattutto le donne a sperperare tesori affettivi in sentimenti illusori e mal ricambiati. La stessa Paquita traccia un’equazione tra ciò che prova per Henri e ciò che la marchesa prova per lei. Ma la conversione di Paquita all’eterosessualità, «amour naturel», oltre a ribadire un radicato pregiudizio sul lesbismo, «amour artificiel» (p. 1102 e var. a), illustra la necessità di un adattamento socioculturale, dell’evoluzione da una relazione sterile e scandalosa a una relazione consacrata e produttiva. La tentata ascensione fallisce per la persistenza in Paquita della chimera androginica. Quanto al «pouvoir féminin» di Margarita, è minato dalla fissazione su una libido trasgressiva e improduttiva, non abbastanza controbilanciata dal prestigio socioeconomico. Sposando il vecchio marchese, essa compie infatti una scelta «ancien régime» che comporta una momentanea prosperità ma non promette sviluppi futuri nella società mercantile in rapida trasformazione.

Al regime economico deficitario della marchesa si contrappone il doppio guadagno della madre della ragazza. Il suo lenocinio illustra puntualmente quanto è detto nel prologo a proposito delle classi popolari che trasformano le inclinazioni dei nobili in vizi, per sfruttarli a proprio vantaggio (p. 1050). L’impassibile madre investe i suoi proventi di prosseneta nel rischioso espediente del gioco d’azzardo, che lo stesso Henri non disdegna, e che anzi gli permette di controbilanciare spese eccessive da gran signore32. Non a caso sono i soli vincenti in

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questa vicenda di sprechi e di sacrifici, gli unici a presentare un bilancio almeno provvisoriamente attivo.

Henri, gentiluomo precario ma accorto, dimostra di avere ben presente in mente il fattore economico che contrasta con gli impulsi della passione, e riporta Paquita al principio di realtà quando la ragazza gli propone, con un misto di candore infantile e di istinto truffaldino, di sfruttare senza scrupoli il tesoro della marchesa per fuggire insieme (p. 1102).

In sintesi, nell’inferno parigino i poveri si arrangiano, gli arrivisti si adattano e i sopravvissuti dell’antico regime si ripiegano su sé stessi e compiono scelte autodistruttive. Il caso di Paquita o Pepita, come recita un eloquente lapsus del manoscritto (p. 1074, var a), illustra i vantaggi materiali del commercio pandemico del corpo. A questo proposito, il soprannome che dà il titolo al romanzo attiva tutte le accezioni del sostantivo «fille»: ragazza facile agli occhi dei giovanotti delle Tuileries, ma anche figlia redditizia, miniera d’oro per la madre.

Certo, i guadagni derivanti dallo sfruttamento dell’inerme ragazza appaiono meno consistenti e duraturi se paragonati allo sfarzo della famiglia Lanty in Sarrasine, il cui patrimonio è fondato sulle prestazioni non solo artistiche di Zambinella33.

Non a caso, nella Fille aux yeux d’or la sublimazione estetica, che si poteva ancora rintracciare nella novella del 1830 e che Gautier avrebbe ripreso con forza in Mademoiselle de Maupin, non riesce a imporsi, pur essendo accennata soprattutto sul piano visivo e pittorico.

Nella prospettiva socioculturale del romanzo, che appare dominante, c’è quindi un legame forte e chiaro tra la dimensione economica e quella erotica, legame assicurato tra l’altro da alcuni epiteti. Balzac parla di «goûts ruineux des colonies» (p. 1058) per la marchesa, cioè perché mantiene Paquita: felice polisemia dell’oro e del piacere. Anche Henri (p. 1070), annoiato da troppo facili conquiste, sviluppa «goûts ruineux» e «caprices extravagants», espressione che può avere la stessa polisemia («extravagant» in inglese indica lo spreco di

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denaro). Gli artisti del prologo hanno «coûteuses fantaisies» (p. 1049), cioè fantasie costose sul piano delle energie creative, che tuttavia è agevole estendere a quello economico. Infine, ricorre spesso, nel prologo e altrove (pp. 1049 e 1078), l’aggettivo «exorbitant», per indicare eccessi finanziari, alimentari o sessuali, e in generale il dispendio energetico dei parigini. Nell’edizione originale il romanzo aveva come epigrafe un’autocitazione dall’assioma XII della Théorie de la démarche: «tout mouvement exorbitant est une sublime prodigalité d’existence» (p. 1039, var. b).

Il lesbismo e le fantasie amorose sono «ruineux», cioè nocivi e distruttivi sul piano morale e allo stesso tempo dispendiosi su quello finanziario. Così Balzac combina i diversi piani del suo racconto, una magistrale e visionaria analisi socioeconomica e un melodramma moderno a forti tinte e, perseguendo coerentemente il proposito di mostrare il rovescio corporeo e oscuro dell’amore romantico, assicura al suo testo rapsodico una problematica e dinamica unità.

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1Note

G. Delattre, De Séraphîta à La Fille aux yeux d’or, in “L’Année Balzacienne”, 1970, pp. 186 e 225. Non altrettanto convincente appare, nel saggio in questione, l’analisi comparata dei due romanzi, che propone parallelismi a volte forzati.

2 La filiazione è esplicitamente dichiarata nel solo caso di Séraphîta (si vedano i documenti citati dal curatore Henri Gauthier, in Balzac, La Comédie humaine, edizione diretta da P.-G. Castex, “Bibliothèque de la Pléiade”, Gallimard, Paris, 1980, XI, pp. 1602-1603), ma è possibile e anzi opportuno estenderla agli altri testi.

3 Sul mito letterario dell’androgino nell’Ottocento francese si vedano per l’essenziale i due volumi di F. Monneyron, L'androgyne romantique, ELLUG, Grenoble, 1994 e L'androgyne décadent, ELLUG, Grenoble, 1996. Sull’eros romantico nel suo complesso, P. Laforgue, L’éros romantique (1998), Eurédit, Paris, 2014.

4 Balzac, La Fille aux yeux d’or, a cura di R. Fortassier, in La Comédie humaine, cit., 1977, V, p. 1109. Nelle successive citazioni della Fille aux yeux d’or, la paginazione tra parentesi rinvia a questa edizione.

5 «[J]e suis mariée à jamais, sans espoir d’une séparation que tu n’a pas le pouvoir de me faire désirer», diceva Paquita a Henri nel manoscritto (p. 1090, var. c).

6 Sulla concezione dell’infinito nel testo, si vedano C. Perry, La Fille aux yeux d’or et la quête paradoxale de l’infini, in “L’Année Balzacienne”, 1993, pp. 261-284 e, in questo volume, il contributo di Alessandra Ginzburg.

7 Cfr. D.Y. Kadish, Hybrids in Balzac’s La Fille aux yeux d’or, in “Nineteenth Century French Studies”, XVI, 3-4, Spring/Summer 1988, pp. 270-278.

8 Tra le numerose analisi del prologo del romanzo, si vedano su questo punto P. Charreton, À propos du Paris de Balzac: le principe de l’identité des contraires comme structure de l’imaginaire dans La Fille aux yeux d’or, in “Travaux de l’Université de Saint-Étienne”, 1974, pp. 1-67 e A. Vanoncini, Les trompettes de 1789 et l’abattement de 1814: moments du tableau parisien dans La Fille aux yeux d’or, in “L’Année Balzacienne”, 1990, pp. 221-232.

9 Sulla chimera si veda Ch. Massol-Bedoin, La charade et la chimère. Du récit énigmatique dans La Fille aux yeux d’or, in “Poétique”, 89, fév. 1992, pp. 31-45. È noto che il sintagma in corsivo si riferisce a un affresco pompeiano già menzionato in Fragoletta (cap. IV).

10 Così la marchesa di Merteuil definisce sprezzantemente Cécile de Volanges nelle Liaisons dangereuses (lettera 106). Nella Fille aux yeux d’or (p. 1082), il sostantivo è usato senza la specificazione e nell’accezione di ‘organismo’.

11 Su questo aspetto si veda soprattutto N. Mozet, Les prolétaires dans La Fille aux yeux d’or (1974), poi in Id., Balzac au pluriel, PUF, Paris, 1990, pp. 124-142.

12 Nel manoscritto, Paquita proponeva da subito a Henri di travestirsi da dama inglese per recarsi al loro appuntamento (p. 1077, var. a). Ricordo che Henri è camuffato da monaca nell’episodio finale della Duchesse de Langeais.

13 Si vedano soprattutto S. Gaubert, La Fille aux yeux d’or: un texte-charade, in AA.VV., La femme au XIXe

siècle: littérature et idéologie, Presses Universitaires de Lyon, Lyon, 1978, p. 172 e S. Felman, Textuality and the riddle of bisexuality: Balzac, The Girl with the golden eyes (1981), in Id., The Claims of Literature, Fordham University Press, New York, 2007, pp. 165-166.

14 Per alcuni commentatori, come N. Mozet, Les prolétaires…, cit. e, più di recente, O. Heathcote, Balzac entre fantaisie et fantasme. L’exemple de La Fille aux yeux d’or, in “L’Année Balzacienne”, 2012, p. 189, il nome sembra in effetti riferirsi solo alla marchesa.

15 Balzac, Sarrasine, in La Comédie humaine, cit., 1977, VI, pp. 1073-1074; cfr. P. Citron, Dans Balzac, Seuil, Paris, 1986, pp. 192-201. Identico è anche il proposito omicida dei due eroi, in entrambi i casi non attuato.

16 «Impurity», in riferimento all’ibridazione dei personaggi, è l’associazione proposta da D.Y. Kadish, Mixing genders in Marat assassiné and La Fille aux yeux d’or, in Id., Politicizing gender: narrative strategies in the aftermath of the French Revolution, Rutgers University Press, New Brunswick-London, 1991, pp. 38-39.

17 Mi riferisco naturalmente alla nozione di «désir triangulaire» sviluppata in R. Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque (1961), Hachette, Paris, 1997.

18 Cfr. M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930), Sansoni, Firenze, 1988, p. 43.

19 Cfr. É. Bordas, Ne touchez pas le H de Natalie. Écritures du détournement suggestif chez Balzac, in L. Frappier-Mazur, J.-M. Roulin (dir.), L’érotique balzacienne, SEDES, Paris, 2001, pp. 29-30.

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27 Cfr. S. Felman, Textuality and the riddle of bisexuality, cit., pp. 170-171 e P. Laforgue, De Marsay: genèse et génétique d’un personnage, in Id., Balzac dans le texte, Christian Pirot, Saint-Cyr-sur-Loire, 2006, pp. 69-84.

28 Nel manoscritto, dopo aver baciato la sorella, Henri aggiungeva: «je ne voudrais pas que ce fût le dernier [baiser]» (p. 1108, var. d).

29 Cfr. S. Gaubert, La Fille aux yeux d’or: un texte-charade, cit., p. 168, nota 4 e P. Laforgue, De Marsay: genèse et génétique d’un personnage, cit.

30 F. Franchi, Le metamorfosi di Zambinella. L'immaginario androgino tra Ottocento e Novecento, Lubrina, Lubrina, Bergamo, 1991, p. 112.

31 P. Laforgue, L’éros romantique, cit., p. 198.

32 Cfr. G. Delattre, De Séraphîta à La Fille aux yeux d’or, cit., p. 219.

33 M. Serres, L’Hermaphrodite (1987), in Balzac, Sarrasine, Flammarion, Paris, 1989, pp. 155-156. Sulla dimensione socioeconomica dell’eros si veda, tra gli altri, lo studio di R. Amossy, L’exploitation des contraintes génériques dans La comédie humaine: l’exemple du récit licencieux, in C. Duchet, J. Neefs (dir.), Balzac: l’invention du roman, Belfond, Paris, 1982, pp. 99-119, che analizza in particolare Sarrasine e Les secrets de la princesse de Cadignan.

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