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4.2. UNA LINGUA PER DIRE L’INDICIBILE

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4.2. UNA LINGUA PER DIRE L’INDICIBILE

In chiusura del lavoro, c’è un ultimo aspetto su cui è d’obbligo muovere alcune considerazioni: la lingua di Grande sertão. Questa lingua che ‘non esiste’, ibrida, stravolta e manipolata in tutti i modi possibili, in una ricerca continua di espressività, ha attratto da sempre l’interesse dei critici. Questi hanno tentato in tutti i modi di decifrarne l’arcano, di individuarne la formula, di carprirne il senso soggiacente. Premettiamo che non è nostra intenzione (anche perché non ne avremmo le competenze) compiere un’analisi linguistica dettagliata del romanzo. In questo capitolo ci limiteremo a fornire una panoramica generale del funzionamento della lingua rosiana, evidenziandone le caratteristiche più peculiari ed evidenti, al fine di dimostrare come essa costituisca il mezzo più adatto a rappresentare la semiperiferia.

All’uscita del romanzo, la lingua di Grande sertão non mancò di scatenare perplessità e critiche feroci, venendo considerata eccessivamente “artificiale” e “intellettualistica”, in contrasto con le posizioni che – dal primo Modernismo in poi – rivendicavano la necessità di costruire una lingua letteraria brasiliana che valesse a colmare il divario enorme esistente tra lingua scritta e lingua parlata1. Ma dietro l’apparente autoreferenzilità della lingua rosiana, si nasconde, a nostro parere, un tentativo di oltrepassare una concezione mimetica di rappresentatività, costruendo un linguaggio che, sebbene non ‘rifletta’ la lingua parlata in nessuna

1 Celebre è l’opinione del poeta concretista Ferreira Gullar, che, dalle colonne del supplemento

domenicale del «Jornal do Brasil», definiva Grande sertão: «uma história de cangaço contada para os lingüistas», in BARBOSA LIMA SOBRINHO ET ALII, Escritores que não conseguem ler Grande

sertão: veredas, in «Revista Leitura», Rio de Janeiro, 3 (1958), pp. 50-58, p. 50. Per quanto

riguarda la questione del divario tra lingua scritta e lingua parlata, si pensi alla lettera di Macunaíma alle Icamiabas (‘Amazzoni’), uno dei testi più emblematici della necessità proclamata dai Modernisti di costruire uno standard brasiliano diverso da quello del portoghese europeo. La lettera, scritta in portoghese europeo arcaizzante, è succeduta dal commento: «Mas cair-nos-iam as faces, si ocultássemos no silêncio, uma curiosidade original deste povo. Ora sabereis que a sua riqueza de expressão intelectual é tão prodigiosa, que falam numa língua e escrevem noutra», MÁRIO DE ANDRADE, Macunaíma, texto revisto por TELÊ PORTO ANCONA LOPEZ., Belo Horizonte, Villa Rica, 1991, p. 63.

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delle regioni brasiliane, costituisce una rappresentazione ‘metaforica’ perfetta dello spazio sertanejo, per come lo siamo fin qui venuti delineando. Vediamo in sintesi le caratteristiche della lingua di Grande sertão.

Per prima cosa bisogna dire che la sua base è una lingua già di per sé problematica: quel portoghese del Brasile ancora oggi non del tutto standardizzato e di cui si dibatte se debba essere considerato una variazione del portoghese europeo o una lingua a sé stante2. Esso nasce infatti nasce dall’innestamento su una base portoghese di termini e usi sintattici di origine tanto india, quanto, soprattutto, africana (principalmente delle linge Bantu), che ne hanno modificato profondamente la struttura d’origine3

. Ma vediamo, a questo proposito, le parole

2

A testimonianza di ciò, sta il fatto che sono ancora poche le grammatiche del portoghese brasiliano, cui viene più spesso dedicato un piccolo spazio all’interno di grammatiche dedicate quasi esclusivamente alla varietà europea. Tra le grammatiche che trattano la norma brasiliana come norma a se stante, si segnalano MARIA HELENA NEVES DE MOURA, Gramática de usos do

português, São Paulo Unesp, 2001; JOSÉ CARLOS DE AZEREDO, Gramática Houaiss da língua portuguesa. Conforme a nova ortografia, São Paulo, Saraiva, 2008; MÁRIO PERINI, Gramática do

português brasileiro, São Paulo, Saraiva, 2010; ATALIBE DE CASTILHO, Nova gramática do

português brasileiro, São Paulo, Contexto, 2010.

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Marcos Banho, a sostegno della sua ipotesi scissionista, individua alcuni fenomeni grammaticali che, assenti nel portoghese europeo, fanno ormai parte a pieno titolo del registro medio della lingua brasiliana:

- l’’ergatività: fenomeno per cui il costituente sintattico caratterizzato dal tratto semantico [- paziente] occupa la posizione sintattica di soggetto, tipicamente [+ agente], in enuciati formulati alla voce attiva (es.: «o espelho quebrou» in luogo di «o espelho se quebrou»); - l’utilizzo del pronome soggetto in luogo del pronome complemento oggetto nei verbi

causativi e sensitivi («A Marta mandou eu sair» in luogo di «A Marta mandou-me sair»); - la pressoché totale assenza dalla lingua parlata dei pronomi complemento oggetto di terza

persona singolare e plurale (o, a. os, as), di solito sostituiti dal pronome indiretto lhe; - l’utilizzo quasi esclusivo di para come preposizione di oggetto indiretto («Dei o livro

para a Marta» in luogo di «Dei o livro à Marta»);

- l’utilizzo regionalmente differenziato della forma corrispondente alla seconda persona singolare (nel Sud) e di quella corrispondente alla terza persona singolare (nel Nord) per l’imperativo di seconda persona singolare. Curiosamente, laddove la forma preferita è la seconda, il soggetto che vi si accorda è principalmente você (es.: «você fala»), dove

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dello stesso Guimarães Rosa, in un’intervista rilasciata al critico tedesco Günter Lorenz, nel 1971:

GUIMARÃES ROSA: Bem, sim, você tem razão. Temos de partir do fato de que nosso português-brasileiro é uma língua mais rica, inclusive metafisicamente, que o português falado na Europa. E além de tudo, tem a vantagem de que seu desenvolvimento ainda não se deteve; ainda não está saturado. Ainda é uma língua jenseits Von Gut und Bösel4, e apesar disso, já é incalculável o enriquecimento do português no Brasil, por razões etnológicas e antropológicas.

LORENZ: Pelo processo de mistura com elementos indígenas e negróides com os quais se fundiu no Brasil...

GUIMARÃES ROSA: Exato, este foi um enriquecimento imenso e já pode ser notado no exterior pela quantidade de diferentes dicionários europeus e americanos do mesmo idioma. Naturalmente, tudo isto está a nossa disposição mas não a disposição dos portugueses. Eu, como brasileiro, tenho uma escala de expressões mais vasta que os portugueses a pensar utilizando uma língua já saturada5.

Particolarmente interessante è l’argomentazione secondo la quale, a vantaggio della maggiore espressività del portoghese del Brasile, sta il fatto che «O seu desenvolvimento ainda não se deteve», il che ne fa un a lingua ancora ‘Al di là del Bene e del Male’. Vediamo dunque ripetersi uno schema che sta diventando ormai un vero e proprio ritornello di questo lavoro: ci troviamo ancora una volta di fronte a qualcosa che, poiché non ha un identità chiara (cristallizata), ha ancora aperte tutte le sue potenzialità. Il portoghese brasiliano si configura in pratica come una lingua che, proprio in virtù della sua minore standardizzazione, si presta

invece la forma preferita è la terza, il soggetto che vi si accorda è principalmente tu (es.: «tu fale»);

- l’utilizzo della terza persona dell’indicativo in luogo della seconda per formare l’imperativo negativo (es.: «não faz», «não vai», in luogo di «não faças», «não vás»). Queste informazioni si ricavano dall’intervento tenuto da Marcos Banho il 31 ottobre 2014 durante il secondo Convegno Aispeb (Jogos de espelhos. Modelos, tradições, contaminações e

dinâmicas interculturais nos/entre os Países de Língua Portuguesa, Pisa, 29, 30, 31 ottobre 2014)

e intitolato Por que uma gramática brasileira?

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‘Al di là del Bene e del Male’.

5 G

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molto di più di quella portoghese ad accogliere elementi nuovi (lessicali, grammaticali, sintattici); insomma, è una lingua che, proprio a partire dal fatto di non essere niente, può essere tutto.

Guimarães Rosa non ha di certo rinunciato a sfruttare il più possibile questa maggiore apertura e accoglienza del portoghese del Brasile, giocando su di esso nei modi più profondi e spregiudicati. Su una base mineira egli aggiunge infatti termini tipici di altre varietà regionali, parole tratte da un portoghese arcaico («esse magnifico idioma já quase esquecido: o antigo português dos sábios e poetas daquela época dos escolásticos da idade Media, tal como se falava, por exemplo, em Coimbra»)6, prestiti adattati7 e numerosi altri neologismi. Di seguito forniamo un breve elenco delle principali tipologie di neologismo adottate, con l’indicazione di alcuni esempi:

- parole portmanteau: vocaboli formati per ‘agglutinazione’, ovvero giustapposzione di due o più signifacanti e che presentano tutti i significati dei loro costituenti d’origine.

Esempi: turbulindo < turba + turbilhão + bulindo; nenhão < nenhum +

não; sonoite < só + sono + noite; prostituiz < prostituta + meretriz; fechabrir < fechar + abrir; visli < vislumbrei + li; garcejo < garça sulla

struttura di gracejo;

- neologismi formati per aggiunta di affissi (principlamente suffissi). Esempi: sozinhosinho; magoal, afetual;

- formazioni paradigmatiche: neologismi derivati da vocaboli di classe grammaticale differente.

6

Ibidem. Va detto comunque che molti termini che in portoghese europeo sono propriamente degli arcaismi, sono sopravvisuti come forme non marcate nell’uso di molte zone del Nord-Est. È il caso, ad esempio, di amojar (per ordenhar) e mui (per muito).

7 Guimarães Rosa parlava portoghese, tedesco, francese, inglese, spagnolo, italiano e esperanto;

comprendeva alcuni dialetti tedeschi; aveva studiato la grammatica di ungherese, arabo, sanscrito, lituano, polacco, tupi, ebraico, giapponese, cieco, finlandese e danese.

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Esempi: aguardo (sostantivo) < aguardar (verbo ‘aspettare’);

- formazioni per analogia.

Esempi: retrovão < trovão per analogia su repique; apreceia (invece di

aprecia) per analogia coi verbi in ear.

Vi sono poi neologismi più complessi, dotati di un valore simbolico che ha a che fare con significati connessi alla struttura complessiva del romanzo. È il caso del celebre nonada (segmentabile come no nada = ‘nel nulla’), con ben 6 occorrenze, di cui una come prima parola del romanzo e una solo 15 parole prima dell’ultima; ma anche di redemunho, variazione su redemoinho, presente in 9 occorrenze (contro le sole 3 del corretto redemoinho), per aumentare la vicinanza a demónio, cui corrisponde – su di un piano concettuale – la parentela tra il diavolo e il vortice (il caos, la mescolanza, la circolarità, la multidirezionalità etc.).

Da segnalare è inoltre l’utilizzazione del suffisso diminuitivo -im con valore tanto maschile quanto femminile (in luogo di -inho/-inha)8. Non a caso -im è anche la terminazione del nome Diadorim.

Ma l’inventività linguistica di Guimarães Rosa non si limita assolutamente ai neologismi. Anzi, essa trova la sua massima espressione nella sintassi: una sintassi telegrafica, paratattica, ellittica e senza rispetto per l’ordine normale dei costituenti, di cui sono particolarmente emblematiche le cosiddette ‘orazioni condensate’, ovvero orazioni agglomerate all’interno di una preposizione, mediante procedimenti di giustapposizione (talvolta con l’ausilio di elementi coordinanti).

Esempio: «A ver, Diadorim, a gente ia indo, nós dois, a cavalo, o campo cheirava, dez metros de chão de flor»9.

8 Questo suffisso diminutivo è abbastanza comune nel portoghese del Brasile ed è modellato su

mirim, che significa ‘piccolo’ in lingua Tupi.

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Oltre ai procedimenti appena descritti, si deve segnalare la presenza massiccia di altri procedimenti più propriamente retorico-stilistici e che sono più caratteristici della poesia che della prosa; in particolare onomatopee («pispissiu de alguma outra bala»10, «xaxaxo de alpercatas»11) e allitterazioni. Su queste ultime va detto che le più usate rimandono a reti di significati che informano la struttura dell’intera opera. È il caso delle già riscontrate allitterazioni Diabo/Diadorim (ma anche Deus) in «Deus nunca desmente. O diabo é sem parar. Saí, vim, destes meus Gerais; voltei com Diadorim. Não voltei? Travessias... Diadorim, os rios verdes»12 e Satanão sertão (cui si aggiungono sujo e somentes, nella forma arcaizzante con s finale, assente nel termine corrente, a rafforzare ulteriormente l’allitterazione) in «e, então, eu ia denunciar nome, dar a cita: ... Satanão! Sujo!... e dele disse somentes – S... – Sertão... Sertão...»13. Ma si veda anche, nel brano seguente, l’insistenza sul suono n che fa riferimento al campo semantico della negazione (del não, del nada, del nonada), che tanta importanza riveste nell’economia del romanzo:

Num nu, nisto, nesse repente, desinterno de mim um nego forte se altou. Não. Diadorim, não. Nunca que eu podia consentir. Nanje pelo tanto que eu dele era louco amigo...por mesmo isso, nimpes nada, era que eu não podia aceitar aquela transformação: negócio de para sempre receber mando dele...nhem, hem? Nulo que eu ia estuchar. Não, hem, clamei...14

Più poetici che prosastici sono anche i numerosi refrain contenuti del testo, che richiamano parimenti la ripetitività e musicalità dei proverbi e di altre forme di espressione orale (come le quadras e gli stessi poemi eroici): O diabo na rua no

meio do redemunho (o redemoinho); Viver é muito perigoso e gli stessi termini sertão e travessia, talvolta isolati tramite la punteggiatura e trasformati in

orazioni: 10 Ivi, p. 469. 11 Ivi, p. 115. 12 Ivi, p. 436. 13 Ivi, p. 850. 14 Ivi, p. 108.

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Ah, só Ela [a Nossa Senora da Abadia] me vale; mas vale por um mar sem fim... Sertão15.

Aqui não se tem convívio que instruir. Sertão16. Travessia – do sertão – a toda travessia17.

O diabo não há! É o que eu digo, se for... Existe é homem humano. Travessia18. Per concludere questa panoramica generale, facciamo un ultimo appunto sulla portata semantica dei nomi propri (enti grammaticali generalmente privi di un significato concettuale). Ci limiteremo, in questa sede, ai nomi dei protagonsiti del romanzo: Riobaldo e Diadorim.

Se osserviamo il materiale linguistico che compone il nome Riobaldo possiamo isolare chiaramente la parola rio, che, come abbiamo visto, identifica un campo semantico di fondamentale importanza all’interno del testo. Meno immediata è l’identificazione di baldo ma probabilmente non esente da possibilità di significazione. Riportiamo, a titolo d’esempio, l’ipotesi di Willi Bolle:

A partir do verbo alemão baldowern (explorar) podemos remontar ao subustantivo hebraico ba’al-davar, que designa “o dono das palavras e das coisas”. Na Idade Média, “um eufemismo para o Diabo”, a palavra migoru através do iídiche baldower (o referido, “o O”) para o alemão, mais especificamente, para a liguagem dos marginais, sendo o Baldowern “aquele que sonda o lugar e as oportunidades para um crime”. No século XIX, o verbo baldowern passou para a linguagem coloquial no sentido de “explorar, auscultar, investigar” – o que corrisponde ao ofício do historiador (do grego historêin = investigar). Postado à margem do Rio São Francisco, que é o “grande rio da civilização brasileira”, o narrador Riobaldo exerce o papel de um investigador dos discursos que falam da

15 Ivi, p. 425.

16 Ivi, p. 28. 17 Ivi, p. 719. 18 Ivi, p. 875.

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história do país, sobretudo daquilo que ela tem de oculto, demoníaco, dissimulado19.

Si tratta solo di un’ipotesi, ma che dà l’idea del processo innescato dai nomi propri “parlanti” di Grande sertão, un processo che chiama direttamente in causa il lettore, spingendolo a fermare la propria attenzione su un significante (in questo caso vuoto di significato) e a svilupparne egli stesso la rete di significati possibili. Più evidente è la portata semantica del nome di Diadorim, che tanto de Campos quanto Afrânio Coutinho riportano alle due possibili e opposte segmentazioni (a indicare ancora una volta la valenza ambigua della figura di Diadorim):

- Dia + adora (con riferimento ai poli positivi del ‘giorno’ e dell’’adorare’); - Diá + dor (con riferimento ai poli negativi del ‘diavolo’ e del ‘dolore20).

Si è già fatto riferimento all’indistinzione di genere comunicata dal suffisso diminutivo/affettivo -im. Sulla connessione diavolo/Diadorim, si dica inoltre che l’apocope diá è utilizzata nel romanzo sia per diabo che per Diadorim:

quem sabe, a gente criatura ainda é tão ruim, tão, que Deus só pode às vezes manobrar com os homens é mandando por intermédio do diá?21

Mas, porém, quando isto tudo findar, Diá, Di, então, quando eu casar, tu deve de vir viver em companhia com a gente, numa fazenda, em boa beira do Urucuia...22 Quanto detto sui nomi propri ci aiuta a addentrarci nella questione del significato profondo dello sperimentalismo linguistico rosiano. La semantizzazione di vocaboli semanticamente vuoti è infatti un procedimento che va oltre questo caso emblematico per riprodursi anche in termini dotati di un proprio significato concettuale, ma che hanno perso di pregnaza nell’uso comune. Questo

19

WILLI BOLLE, grandesertão.br, cit, p. 8.

20 H

AROLDO DE CAMPOS, Um lance de dés no Grande sertão, inEDUARDO FARIA COUTINHO (org.),

Guimarães Rosa, cit., pp. 321-349, p. 342; AFRÂNIO FARIA COUTINHO, Guimarães Rosa e o

processo de revitalização da linguagem, cit., p. 342.

21 Grande sertão, cit., p. 47. 22 Ivi, p. 845.

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procedimento di risematizzazione di termini semanticamenti nulli o deboli (perché stereotipati) è considerato dal nostro autore il punto di partenza privilegiato di tutto il suo lavoro sulla lingua. Ma leggiamo ancora una volta dall’intervista a Lorenz:

O que chamamos hoje linguagem corrente é um monstro morto. A língua serve para expressar idéias, mas a linguagem corrente expressa apenas clichês e não idéias; por isso está morta, e o que está morto não pode engendrar idéias. Não se pode fazer desta linguagem corrente uma língua literária, come pretendem os jovens do mundo inteiro sem pensar muito23.

La lingua corrente è morta, perché cristallizzata («expressa apenas clichês, não idéias»), e per uscire da questo circolo vizioso occorre riportare l’attenzione sul significante, rianalizzandolo in modo da farne emergere i molteplici significati stratificati e che l’abitudine dell’uso nasconde alla coscienza del lettore. Si prenda ad esempio il già citato sozinhozinho: il termine sozinho nasce dall’aggiunta del suffisso diminuitivo, con valenza affettiva, -zinho (variante di -inho) alla forma non marcata só, ma si è cristallizzato nel portoghese standard, venendo a desemantizzare il suffisso. Per riportare il termine a tutta la sua originaria pregnanza, non resta dunque che aggiungere nuovamente -zinho, ottenendo appunto sozinhozinho.

Nell’intervista a Lorenz, Guimarães Rosa fa riferimento a questo procedimento come a un ritorno all’origine:

Primeiro, há o meu metodo que implica na utilização de cada palavra como se ela tivesse acabado de nascer, para limpá-la das impurezas da linguagem cotidiana e reduzi-lá a seu sentido original24.

Noi crediamo tuttavia che questa interpretazione sia riduttiva, in quanto più che un ritorno all’origine, nella lingua rosiana ci pare di scorgere un tentativo di ‘archeologia’ (nel senso foucaultiano del termine). Quello che interessa all’autore, infatti, non è tanto ritrovare il senso orignario delle parole usate, quanto piuttosto

23 G

ÜNTER LORENZ, Diálogo com Guimarães Rosa, cit., p. 88.

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di portarne alla luce tutte le successive stratificazioni (originarie e non), renderle tutte nuovamente accessibili alla coscienza vigile del lettore e quindi nuovamente produttive, nel senso di aperte a nuove possibilità di significazione. Abituando il lettore alla flessibilità linguistica e interpretativa, attraverso l’alterazione continua dei significanti conosciuti, il nostro riesce infatti a innescare l’abitudine a prestare attenzione ai significanti stessi, per scomporli e ricomporli in modalità sempre nuove. Si pensi al già citato desnortear, passato nell’uso banalmente come ‘disorientare’, che letteralmente singnifica ‘perdere il nord’ (della bussola), ma in cui il riferimento al ‘nord’ non è più immediatamente presente alla coscienza del parlante, che usa il termine meccanicamente. Ma il lettore di Grande sertão, che è stato sottoposto a un esercizio continuo di focalizzazione sui significanti delle parole, è forse in grado più di altri di riconoscere la radice norte del verbo (formato dal prefisso negativizzante des + norte + la desinenza verbale ar). Per cui quando egli si trova a leggere la frase «O senhor veio querendo desnortear, desencaminhar os sertanejos de seu costume velho de lei...»25, detta da Joca Ramiro a Zé Bebelo, considerando quello che sa dei due personaggi, non fa fatica a cogliere la radice del termine. Nel contesto di enuciazione, però, questa non fa pensare tanto al nord della bussola quanto a quel Norte che è il campo di battaglia su cui si scontrano le istanze rappresentate dai due persoanggi: il sertão appunto (più volte indicato nel libro come Norte). Il termine da cui eravamo partiti dunque, non solo recupera il suo senso “orignario” ma ne assume uno totalmente nuovo: quello di ‘snaturare il nord’, nel senso di modificarne l’assetto particolare sotto la spinta dell’universalismo colonialista, che è di fatto quello che tenta di fare Zé Bebelo e a cui Joca Ramiro si oppone.

La lingua di Grande sertão (e, in generale, quella di Guimarães Rosa) non è una lingua ancorata nel passato, ma al contrario una lingua tesa verso il futuro, in quanto lingua che è attualizzazione continua di potenzialità ancora non espresse dalla lingua corrente. A questo proposito, è molto interessante la riflessione di Coutinho a proposito del rapporto di Guimarães Rosa con la cosiddetta ‘norma’ linguistica. Prendendo le mosse dalla diversa selezione che le varietà regionali

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operano sulla gamma di suffissi disponibili nel portoghese, per formare termini equivalenti (il termine colloquiale ‘quattrini’ è tradotto nel Rio Grande do Sul con

dinheral, in Pernambuco con dinheirão e in altre regioni con dinheirama), il

critico afferma:

A escolha de uma destas formas em detrimento da outra é um problema da “norma” linguística – do uso corrente – que estabelece o que é correto e o que é incorreto na língua. Quando a “norma” escolhe uma forma e a adota, esta forma passa a ser considerada padrão e todas as demais possibilidades são descartadas como inacetáveis. A “norma” pode variar de uma região para outra, bem como, dentro de uma mesma comunidade, de uma classe ou grupo social para outro. Se assim é, como é possível determinar que forma é a correta quando diferentes regiões do páis ou países em que se fala uma certa língua escolheram e adotaram formas diferentes? Guimarães Rosa responde a esta questão lançando a mão ao mesmo tempo de todas estas formas e até mesmo recorrendo a outras que, embora não se encontrem na “norma” de nenhuma região ou grupo social específico, são perfeitamente possíveis de acordo com a estrutura da língua portuguesa26.

Guimarães Rosa parte dal dato di fatto – ancora una volta – di un pluralismo normativo (parallelo al pluralismo giuridico di cui si è parlato), lo riconosce e lo eccede, nel senso che non si limita a sfruttare la molteplicità di norme già esistenti ma ne produce di nuove. Nel fare ciò utilizza la lingua come un sistema aperto, riportandola alla condizione di un flusso in perpetuo movimento, privo di qualsiasi forma di cristallizzazione: «como a vida é uma corrente contínua, a linguagem tembém deve evoluir constantemente»27.

Una lingua siffatta si inserisce nel dibattito avviato dal primo Modernismo in merito alla costruzione di una lingua (e di una letteratura) propriamente brasiliana, ma lo fa in una modalità assolutamente nuova. Liberata dall’indianismo degli anni ’20, la lingua ‘brasiliana’ di Rosa è tanto india quanto è portoghese e africana, ma è anche debitrice di tutte le innumerevoli altre lingue conosciute dal suo autore. È

26 A

FRÂNIO FARIA COUTINHO, Guimarães Rosa e o processo de revitalização da linguagem, cit. pp. 209-210.

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insomma una lingua costitutivamente ibrida, che siccome non ha un ‘identità’ (una cristallizzazione) le può avere tutte: una lingua che può essere tutto a partire dal fatto di non essere niente. Ma soprattutto è una lingua che – come il sertão, come Diadorim – è in grado di assumere su di sé l’ambiguità irriducibile del vivere, vale a dire ciò che nell’esistenza c’è di costitutivamente eccedente rispetto a ogni forma di normazione. Ma leggiamo ancora dall’intervista a Lorenz:

Existem elementos da língua que não são captados pela razão; para eles são necessárias outras antenas. Mas apesar de tudo, digamos também a “brasilidade” é a língua de algo indizível28.

E ancora:

Para compreender a brasilidade é importantes antes de tudo aprender a reconhecer que a sabedoria é algo distinto da lógica29.

Se la brasilidade è la lingua di qualcosa di indicibile (un paradosos logico), allora la lingua di Guimarães Rosa è il suo emblema perfetto. Essa è apertura continua, pura potenza perché non ancora istituzionalizzata, contraddizione perenne che sta a ricordarci la transitorietà (e la territorialità)30 di ogni norma e di ogni logica; è ‘la terza sponda del fiume’, lo spazio vuoto in cui vige la sospensione della Legge (di tutto ciò che è dato, stabilito) e dunque la possibilità di immaginare il totalmente altro. È, insomma, il territorio privilegiato dell’emergere di un’epistemologia post-coloniale

28 Ivi, p. 91.

29 Ivi, p. 92.

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