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I Parchi Nazionali Italiani: territorio, governance e performatività

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI

FEDERICO II

Dipartimento di Scienze Sociali

DOTTORATO DI RICERCA IN

SCIENZE SOCIALI E STATISTICHE

XXXI CICLO

I Parchi Nazionali Italiani:

territorio, governance e performatività

Tutor: Prof. Fabio Corbisiero Candidata: Ilaria Marotta Co-Tutor: Prof. Giuseppe Giordano DR992289

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To my trip in London, to those feelings of freedom and madness that I savored every single day ...

... it was nice to discover the joy of things that are born by chance, that don’t need to last forever to be unforgettable.

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO UNO: I parchi nazionali ... 11

1.1 La storia ... 11

1.2 Il dibattito scientifico e il contributo della sociologia ... 28

1.3 Partecipazione e sistemi di governance... 35

CAPITOLO DUE: La ricerca ... 42

2.1 Ipotesi iniziali ... 42

2.2 Obiettivi e domande di ricerca ... 45

2.3 Le fasi della ricerca e il metodo ... 46

2.4 La prospettiva teorico-metodologica della Social Network Analysis ... 52

CAPITOLO TRE: Sociologia dei parchi italiani ... 56

3.1 Le dimensioni sociali del parco ... 56

3.2 I parchi nazionali oggi ... 65

3.3 Tra grigio e verde: l’oggetto parco nella coscienza collettiva... 74

3.4 Partecipazione e governance formale dei parchi italiani ... 80

3.5 La voce degli enti gestori ... 85

CAPITOLO QUATTRO: I profili dei parchi nazionali italiani ... 104

4.1 Il profilo dimensionale ... 104

4.2 Che tipo di governance per i parchi italiani? ... 110

4.3 Profili di performatività ... 133

4.4 Un’ analisi trasversale: dimensione, governance e performatività ... 153

CONCLUSIONI ... 155

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INTRODUZIONE

L’oggetto di studio di questo lavoro sono i parchi nazionali italiani. L’idea alla base è quella di confutare l’immagine del parco come semplice simbolo di aspetti naturali e paesaggistici da tutelare per dare la dovuta attenzione anche a tutti gli elementi antropici ed artificiali che caratterizzano questi territori. Un parco «non è solo un aggregato territoriale, è anche storia, tradizione e vita, infatti i parchi sono anche culturali, artistici e letterari» (Giutarelli, 2001, pag. 18). Partendo dalla domanda di ricerca “in che termini e in che forma si può definire il parco in quanto oggetto sociale?”, l’obiettivo è farne emergere la caratteristica di bene relazionale.

Raymond Williamns (1958) sostiene che quello di natura è uno dei termini più complessi e difficili perché il suo significato cambia di pari passo con lo sviluppo della società.In Europa, il cambiamento di prospettiva in senso moderno è avvenuto grazie a due eventi che hanno travolto la storia dell’uomo: l’industrializzazione e l’urbanizzazione. Catton e Dunlap (1978) - universalmente riconosciuti come i padri fondatori della sociologia dell’ambiente - ritengono, infatti, che grazie allo sviluppo tecnologico, tipico della società industriale, si sia affermato quell’ ideale di onnipotenza dell’uomo che ha legittimato la sua non obbedienza alle leggi naturali.

La pressione derivante dall’eccessivo sfruttamento delle risorse - flora, fauna, territorio e paesaggio - ha portato, però, con il passare degli anni alla consapevolezza che si potessero generare dei seri e irreversibili rischi per il bene natura, spingendo ad adottare nuove forme di organizzazione e di consumo dello spazio e dell’ambiente (Paddeu, 2003). Questo è il sintomo del cambiamento culturale registrato nel XIX secolo: l’antropocentrismo, che aveva dominato la visione del mondo dal 1600, inizia ad entrare in crisi. L’uomo, che ha regnato incontrastato sulla natura, inizia a non essere misura di tutte le cose ma custode delle ricchezze che gli sono state donate, dunque accanto alla sua esistenza si pone quella della natura e per sopravvivere, uomo e natura, devono sostenersi vicendevolmente. Per cui se in passato il loro legame si basava principalmente «su

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problemi di insalubrità e di inquinamento, ma senza assumere carattere emergenziale» (Mazzette, 1994, p. 41), attualmente la dimensione allarmistica è dovuta proprio alla consapevolezza dell’irreversibilità delle conseguenze delle azioni dell’uomo.

In base a ciò iniziano a diffondersi nell’epoca contemporanea quegli ideali di protezione e conservazione i quali sanciscono l’istituzione delle aree protette in senso moderno. Parliamo di ampie zone che vengono tutelate in base a specifiche caratteristiche e nelle quali viene bandita qualsiasi azione antropica. In questo modo i concetti di natura e di società vengono pensati ed utilizzati come indipendenti e paralleli. Sostanzialmente la natura è ciò che non è la società, ed è evitata la contaminazione al fine di mantenere inalterato lo status quo.

Dal punto di vista storico, se è pur vero che le aree protette in senso lato sono sempre esistite, è tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nostro secolo che se ne è determina progressivamente la loro ascesa. Ed è proprio nei Paesi in cui si sono verificati i più alti livelli di industrializzazione che si diffonde il maggior numero di aree da tutelare.

Dall’Amarica all’Africa, passando per l’Europa, le aree naturali protette hanno quindi iniziato da tempo a farsi strada fino ad arrivare ad essere, attualmente, una realtà concreta con cui governi e cittadini di tutto il mondo si confrontano. Nel XX secolo si è affermata, infatti, una «crescente sensibilità dell’opinione pubblica per la natura» (Leone, 1999, p. 284), la quale corrisponde ad un sempre maggiore bisogno di ambiente. Parliamo di 217.155 aree designate in 244 Paesi, di cui 202.467 terrestri e 14.688 marine (IUCN, 2016). La protezione della natura è oggi un tema di crescente importanza a livello internazionale, sia per l’urgenza di soddisfare gli obiettivi di conservazione della biodiversità (MEA, 2005), sia per la loro capacità di adattamento e mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici (Dudley, Stolton, 2012; IUCN, 2012; Soares-Filho et al., 2010), sia perché forniscono alla società servizi ecosistemici (Dudley, 2008). I cambiamenti climatici, ad esempio, pregiudicano la biodiversità, per cui gli ecosistemi sia marini che terresti riescono ad assorbire circa la metà delle emissioni di carbonio imputabili all’uomo. Preservando la natura si ripristinano gli ecosistemi, si riduce la vulnerabilità e si aumenta la resilienza (Commissione Europea, 2009). Le aree naturali protette, inoltre, offrono servizi appartenenti più nello specifico all’ecosistema culturale, di cui l’esempio principale è il turismo (Church et al., 2004) e le attività di loisir ad esso collegate.

Ogni Paese, però, si caratterizza per specifiche tradizioni culturali, politiche, gestionali e per le molteplici realtà territoriali, che talvolta rendono difficile la

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comunicazione tra soggetti impegnati nella gestione delle aree protette (Peano, Gambino, Negrini, 1993; Gambino, 1994; Peano, Negrini, 1988; AA. VV. Ced-Pnp, 1988). Ciò ha sollecitato, nel corso degli ultimi trent’anni, organismi internazionali ed europei ad elaborare delle proposte per raggiungere una classificazione condivisa delle aree protette. L’esigenza dell’utilizzo di un linguaggio comune si è avvertita anche a causa della globalizzazione delle questioni ambientali e alla crescente esigenza di accordi internazionali per fronteggiarla. Qui si collocano le proposte dell’IUCN (International Union

for Conservation of Nature) sia per la definizione della categoria più importante, quella dei

parchi nazionali (relativa al 1969) sia per la classificazione completa delle aree protette. La prima proposta (che prevedeva dieci categorie di aree protette) è stata approvata nel 1978 dalla CNPPA (Commission on National Parks and Protected Areas) dell’IUCN; questa è stata poi revisionata nel 1990 con una riduzione delle categorie da dieci ad otto. Il risultato è stato presentato all’Assemblea Generale di Perth (in Austria) e poi al Congresso di Caracas nel 1992. Successivamente questa proposta è stata sistematizzata nella “Guidelines for

Protected Area Management Categories” nel 1994. La differenziazione delle diverse categorie

di aree protette si basa sugli obiettivi di gestione assunti dalle diverse aree (questi, a loro volta, sono stati raggruppati in nove categorie) e attualmente le sei tipologie di aree protette sono: categoria IA relativa alle “riserva naturali integrate”; la IB è quella dell’“area selvaggia”; la II è riferita al “parco nazionale”; il “monumento naturale” appartiene alla Categoria III; nella categoria VI rientrano le “area di gestione di habitat/specie”; nella V i “paesaggi terrestri e marini protetti” e, infine, nella categoria VI le “area per la gestione sostenibile delle risorse”. Tra queste, è la V (quella del paesaggio protetto) l’unica a prevedere le interferenze tra uomo e natura, condizione prevalente in Europa.

In questo scenario, proprio i parchi nazionali sono l’emblema più significativo del concetto di protezione della natura in senso moderno. A livello europeo, nel 1987 la Federazione Europea dei Parchi Naturali e Nazionali (FNNPE, ora Europarc) ha definito le categorie di parco nazionale e parco naturale. Essi «rappresentano la più moderna e pratica realizzazione ispirata dall’amore alla natura. Quest’amore è antico quanto l’umanità, ma scade progressivamente tra i popoli dominanti e deformati dalla civiltà ipertecnica ed ipermeccanica. (…) Quest’amore per la natura, lo troviamo alla base della mitologia, del totenismo, delle religioni primitive e via via, ha ispirato poeti e scienziati, nonché le correnti filosofiche dei più grandi pensatori, da Platone ad Aristotele, a Kant, a

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Hegel, a Chateaubriand fino a concentrarsi nel moderno movimento naturista, il quale si idealizza, in Italia negli scritti di Antonino Anile» (Videssot, 2005, p. 16).

La più recente definizione di parco nazionale dell’IUCN, invece, riconosce un’ ampia gamma di contesti: «are large natural or near natural areas set aside to protect large-scale ecological

processes, along with the complement of species and ecosystems characteristic of the area, which also provide a foundation for environmentally and culturally compatible spiritual, scientific, educational, recreational and visitor opportunities» (Dudley, 2008, op. cit. p. 16). Gli obiettivi per la loro gestione, infatti,

cercano di perpetuare le risorse naturali «in as natural a state as possible» (Dudley, 2008, op.

cit., p. 16) e riconoscere le modalità gestionali, educative, culturali e ricreative, prendendo

in considerazione i bisogni della popolazione e delle comunità locali e contribuendo a creare delle economie locali.

È possibile individuare due diverse concezioni nell’evoluzione del sistema dei parchi nazionali a livello internazionale. La prima, squisitamente americana del Government Land

Principle (alla quale aderiscono anche Paesi quali Inghilterra, Canada, Filippine, Malay,

Burma, Messico, Indocina e Thailandia) vede il parco come una zona di recinto: un luogo di proprietà dello Stato dove non ci sono persone, preservato come elemento simbolico. In questo caso la volontà è dare ai cittadini un elemento di riconoscimento e di identità culturale. Lo stesso presidente Roosevelt proclamò «There’s nothing so America as our National

Parks». Dall’altro lato, quella tipicamente europea - sulla quale si fonda questo lavoro -

per cui le motivazioni della loro istituzione sono riconducibili alle forti pressioni provocate dal fenomeno dell’antropizzazione e alle conseguenze dello sviluppo della civiltà industriale. Troviamo in Europa parchi caratterizzati dalla presenza di centri abitati, zone industriali e agricole.

Per quel che riguarda, invece, la situazione nel nostro Paese, i parchi nazionali vengono istituti con la legge quadro sulle aree protette (394/1991), definendoli come: «aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l’intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future» (Art. 2). Al 2018 se ne contano 25, i quali estendendosi per circa 15.000 km² ricoprono il 6% della superfice nazionale. Nonostante la grande portata, a livello politico e sociale viene tramandata un’immagine abbastanza statica e immobile nel tempo. Come se fossero delle isole completamente

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scollegate dai territori in cui si trovano, una realtà a sé stante rispetto a tutto ciò che li circonda. L’idea di parco suggerisce un’immagine di luogo diverso dall’ordinario, eccezionale e dove le attività possibili sono da un lato legate all’integrità della natura e dall’altra alla possibilità di vivere esperienze eccezionali.

In realtà, però, un parco nazionale è radicato in un territorio, ha un’identità e una cultura propria. Per cui oltre ad occuparsi di tutela della biodiversità «(…) devono essere collocati nel vivo delle relazioni territoriali della regione naturale cui appartiene, proponendosi come zona ad uso multiplo, inserita nei processi di pianificazione e definita come elemento qualificativo dell’antropizzazione. Esso è sì suggerito dalle caratteristiche della regione naturale, ma è poi reso operante dalle condizioni di tangenza ed intersezione della regione stessa con le realtà umane coinvolte nel suo campo di influenza» (Giacomini, Romani, 1992, p. 68). Dunque, i parchi hanno una specifica qualità quella di essere caratterizzati sia da un sistema naturale ma anche da uno spazio geografico che è al tempo stesso generato e ri-generato dai processi economici e sociali (Giuntarelli, 2001, op. cit.). In questa ottica, nessuna distinzione dovrebbe essere fatta tra il fisico e il sociale, tra la natura e la cultura, è opportuno studiare la conservazione della natura non come vincolo ma come momento dinamico ed evolutivo, non più solo dal punto di vista ambientale e naturalistico, ma anche culturale, economico sullo sfondo di uno sviluppo che possa essere definito tale in quanto sostenibile.

Il punto di partenza di questo lavoro è la consapevolezza della mancanza nella coscienza collettiva italiana di un’idea strutturata dell’oggetto sociale parco e la scarsa attenzione dedicata loro da parte degli scienziati sociali. Ciò è vero anche in virtù del fatto che, nella definizione dei loro confini, nello studio delle risorse e nella predisposizione di una gestione compatibile, i parchi nazionali hanno fatto storicamente affidamento sulla conoscenza e il parere di esperti, tra cui biologi, ecologi e paesaggisti. Fin dall’inizio sembra essere rimasta fuori la parte sociale: questa è rappresentata sia dai cittadini (Dowie 2009) sia degli scienziati sociali.

Dando la giusta attenzione al parco in quanto ambiente e in quanto territorio, però, non si possono non considerare i sistemi di relazioni che vanno ad istaurarsi sia tra uomo e natura che tra diversi attori. In base a ciò l’immagine del parco che sta alla base di questo lavoro è quella di bene relazionale. Infatti, è compito della sociologia considerare simultaneamente l’attore sociale, il sistema sociale e l’ambiente dato che essa si basa sull’integrazione attore-sistema. Questi sono i tre assi di riferimento di un triangolo

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equilatero che uno scienziato sociale deve considerare contemporaneamente in ogni sua elaborazione (Beato, 1999).

«Il compito più arduo appare ovviamente quello dell’accoglimento analitico del “terzo incomodo”, vale a dire l’ambiente naturale vero e proprio e non una metafora di esso. Ciò vuol dire che dovrebbe essere garantita la presenza - tanto nei quadri teorici quanto nella ricerca empirica - dei fenomeni naturali con i quali l’uomo postmoderno si confronta in modo nuovo e ciò non solo perché si prospetta una nuova costruzione della società ma anche perché in maniera mai prima esperita si pone lo stesso ambiente. Esso appare sottoposta a mutamenti radicali e onnipervasivi che ormai, tanto nella scienza quanto nelle politiche pubbliche, vengono categorizzati come global environmental change» (Beato, 1999,

op. cit. p.2).

La ricerca, dunque, si basa su due ipotesi: la prima è che i confini del parco valichino quelli normativi, nonostante la delimitazione del territorio rappresenti il mezzo attraverso il quale i parchi vengono istituiti. La seconda ipotesi, a sua volta, si basa sull’idea che la gestione formale di un parco possa essere tradotta in pratica attraverso una connessione performativa tra gli attori e le caratteristiche del territorio. Si chiama in causa la performatività, in quanto l’obiettivo è individuare quel processo attraverso il quale si manifesta simultaneamente sia l’espressione che la configurazione del territorio stesso. È evidente che queste due ipotesi richiamano l’idea di governance in quanto interazione tra diversi stakeholders. I sistemi di relazioni tra gli attori dovrebbero quindi determinare caratteristiche configurazioni di governance e peculiari profili di performatività.

Il contributo di questo lavoro è prima di tutto quello di studiare i parchi nazionali italiani in quanto soggetto ed oggetto sociale, proponendone una definizione che rimanda ad un ambiente relazionale; il secondo aspetto, invece, è relativo alla ricostruzione e descrizione della governance dei singoli parchi nazionali attraverso le tecniche della Social Network Analysis; infine, quello di utilizzare tecniche di analisi multidimensionale per descriverne e misurarne la performatività.

Il testo è stato così organizzato: nel primo capitolo, dopo una prima ricostruzione della storia delle aree naturali protette, viene presentata la storia dei parchi nazionali italiani e l’attuale configurazione sul suolo nazionale. Il secondo paragrafo è dedicato in parte alla ricostruzione del dibattito scientifico su questo specifico oggetto e una parte al contributo offerto dalla sociologia, a partire dalla fondazione della Scuola di Chicago per terminare con una rassegna dei sociologi italiani che si sono occupati del tema. Nell’ultima parte,

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infine, viene fatto un approfondimento sulla questione della partecipazione e della governance nella gestione dei parchi nazionali, con un affondo sul concetto di

co-management tipico della gestione attuale dei parchi nazionali americani.

Il secondo capitolo ha un taglio metodologico: viene presentato il disegno della ricerca. Si parte dalla presentazione delle ipotesi che hanno mosso questo lavoro, per poi passare agli obiettivi e alle domande di ricerca. Il terzo paragrafo è dedicato alla ricostruzione delle fasi della ricerca e del metodo. Per ogni dimensione d’analisi vengono esplicitati gli obiettivi conoscitivi, i tipi di analisi effettuate e le tecniche utilizzate. L’ultimo paragrafo è dedicato all’approfondimento della prospettiva della SNA in quanto approccio teorico-metodologico sul quale si basa il lavoro.

Gli ultimi due capitoli sono, infine, incentrati sulla presentazione dei risultati della ricerca condotta sui parchi nazionali italiani.

Il primo paragrafo del terzo capitolo è dedicato alle dimensioni sociali dei parchi. Si passa poi all’approfondimento della situazione dei parchi nazionali oggi a partire dalla voce degli esperti e alla ricostruzione della partecipazione e del sistema di governance formale. Si discute dei motivi che hanno portato alla mancanza di un’idea strutturata di parco nella coscienza collettiva italiana e, infine, vengono presentati i risultati dell’indagine online condotta tra gli enti gestori dei parchi nazionali italiani.

Il quarto capitolo è, invece, dedicato ai profili dei parchi italiani. Il primo è quello dimensionale. Nel secondo paragrafo viene ricostruita la governance a partire dalla rappresentazione e dall’analisi delle reti di collaborazione e partecipazione nella gestione dei singoli parchi italiani. Si passa posi all’approfondimento della performatività, declinata come socioculturale, ambientale ed economico-turistica. Per ciascuna dimensione vengono presentate le variabili scelte, i tipi di analisi effettuate e i relativi profili. Nell’ultima parte, infine, viene proposta un’analisi trasversale per avere un quadro sintetico dei parchi nazionali italiani rispetto alla dimensione, alla governance e alla performatività.

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CAPITOLO UNO

I parchi nazionali

1.1 La storia

Le Aree Naturali Protette (d’ora in poi ANP) sono porzioni di territorio molto estese che vengono preservate in virtù dell’elevato valore ambientale e naturale che le contraddistingue e vengono tutelate dall’azione antropica al fine di conservarne lo status quo. Tutte le nazioni vantano un sistema di aree protette, tanto che l’UNEP-WCMC (World Conservation Monitoring Centre) nel suo “Word Database on Protected Areas” (2016) annovera 217,1551 aree diffuse in 244 Paesi. Si parla di circa 18.764.958 km2, che in termini

percentuali rappresentano il 3,4% della superfice mondiale.

La conservazione e la tutela della natura, unite alla gestione responsabile dell’ambiente, hanno assunto un’importanza sempre più centrale per l’organizzazione del benessere delle nazioni negli ultimi decenni e l’area protetta, in tutte le sue forme, rappresenta il mezzo attraverso il quale si cerca di perseguire questo obiettivo. Esse infatti «costituiscono un caposaldo delle politiche internazionali di tutela e sviluppo sostenibile, in particolare per la conservazione della biodiversità, cardine della tutela della ricchezza della vita sulla terra» (Ronchi, 19982).

Le ANP sono nate sostanzialmente insieme alla società umana: in qualsiasi periodo storico e in qualsiasi contesto si siano formati aggregati umani sono state individuate e preservate porzioni di territori in base a caratteristiche ritenute importanti. Nel corso del tempo queste peculiarità sono state prima di tipo ambientale, poi spirituale, storiche, culturali e, infine, anche economiche. Ma in qualsiasi periodo la loro delimitazione e la loro

1 Di cui 202,467 terrestri e 14,688 marine.

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protezione si è basata sull’impossibilità di modificarne lo status quo: qualsiasi azione dell’uomo veniva e viene assolutamente condannata.

A partire dal 1872 - anno di istituzione del primo parco nazionale, quello di Yellowstone (Tallone, 2007) - si inizia, invece, a parlare nel continente americano di protezione della natura in senso moderno. Tra le diverse declinazioni di ANP, infatti, i parchi nazionali - oggetto specifico di questo lavoro – si configurano come l’emblema della protezione della natura: «rappresentano la medesima risposta ad un bisogno sociale che muta nei secoli e ad essi pertanto vanno attribuiti diversi significati in relazione alle fasi che attraversa l’umanità» (Giuntarelli, 2001, op. cit. p. 12).

La tutela della natura in senso sistematica viene avviata, in realtà, negli Stati Uniti il 30 giugno 1864 quando il Presidente Abraham Lincoln, grazie al suo personale interessamento, firmò una legge che prevedeva l’utilizzo con finalità pubbliche della Yosemite Valley e della Mariposa Grove of Gaint Sequoias in California, luoghi di ricreazione e «inalienabili per sempre». In questa occasione viene posto sotto tutela l’altopiano di Yosemite - che si trova tra le contee di Mariposa e Tuolumne nello Stato della California, sulla catena montuosa della Sierra Nevada – il quale diventerà un parco soltanto nel 1890. Numerose sono state le spedizioni e a partire dal 1860 per visitare sistematicamente quell’area.

Nel 1871, invece, Ferdinand V. Hayden ha guidato la prima missione ufficiale governativa a Yellowstone, alla quale hanno partecipato tre fotografi e un pittore per documentare gli scenari. A partire da questo evento si è iniziato a parlare di preservazione di queste aree per il godimento delle generazioni future e per prevenirne la colonizzazione. La proposta di Hayden al Congresso ha portato, il 1° marzo 1872, all’istituzione del primo parco nazionale a livello mondiale, quello di Yellowstone. L’allora presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, fece costruire quello che poi prese il nome di Arco di Roosevelt: un arco posto all’ingresso del parco riportante l’epigrafe «For the benefit and enjoyment of the people». Per la prima volta «uno stato moderno sottopone a tutela un’ampia area di particolare valore naturalistico e paesaggistico per finalizzarla al godimento dell’intera comunità nazionale e delle future generazioni e si assume pienamente l’onere, finanziario e organizzativo, di tutela» (Piva, 2005, op. cit. p.77).

Le motivazioni che portano all’idea moderna di tutela della natura sono riconducibili prima di tutto ad una riflessione di tipo topografica: per la sua conformazione fisica e geografica, soprattutto per la parte settentrionale, gli Stati Uniti d’America presentavano vaste distese territoriali non antropizzate (circostanza che è molto più difficile riscontare

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in Europa3). Inoltre, in seguito alla colonizzazione degli europei vi è anche una spinta di

tipo culturale: si sente l’esigenza di creare un patrimonio monumentale – sulla scia di quello europeo – in cui tutta la cittadinanza possa riconoscersi. I due cardini di questa rivoluzione culturale - che segue l’uscita dalla lunga guerra civile (1865) e gli ingenti sforzi per l’industrializzazione verificatisi nel periodo post-guerra di secessione - sono il mito della frontiera e quello della valorizzazione del patrimonio naturale del sub-continente americano. Alla base della tutela della natura di stampo americano c’è inoltre il concetto di wilderness (Tallone, 2007, op. cit.), termine di natura anglosassone che sta a indicare gli animali selvatici che si trovano al di fuori dei confini delle zone coltivate. La wilderness sarebbe quindi ciò che si oppone alla natura, ciò che ne sta al di fuori, cioè una controtendenza rispetto all’avanzata del progresso tecnologico e dell’urbanizzazione. Le finalità della tutela della natura in questo preciso momento storico sono quindi essenzialmente contemplative: «si tratta di un primo sintomo di intolleranza costruttiva nei confronti delle trasformazioni antropogene più massicce, anche se queste iniziative di protezione manifestano solo esigenze estetiche e disattendono ancora più profonde motivazioni scientifiche» (Giacomini, Romani, 1992, op. cit. p.15).

Grazie all’industrializzazione si diffondono, infatti, sempre più velocemente i benefici e le conseguenze negative del progresso tecnologico (raggiungendo sia le città che le aree lontane da esse che sono meno antropizzate) ciò fa sì che venga avvertita l’esigenza di sottrarre distese naturali ancora incontaminate alle possibili conseguenze, irreversibili, dell’azione umana. Per tale motivo, i naturalisti iniziano a veicolare a loro volta la preoccupazione per l’estinzione di diverse specie animali a causa della manomissione degli habitat naturali.

La storia dei parchi nazionali italiani è, invece, molto lunga, caratterizzata da periodi di stasi, slanci verso la questione natura, brusche accelerate e ancora rallentamenti. Questo percorso, legato indubbiamente alle vicende storico, culturali, politiche e amministrative del nostro Paese, ha determinato una sostanziale frammentazione nell’istituzione e nella gestione dei moderni parchi nazionali rispetto agli altri Paesi. Infatti, quando sul finire dell’Ottocento in America venivano istituiti i primi parchi nazionali, in Italia iniziava a svilupparsi un primo movimento ti tipo protezionistico nei riguardi della natura. «In una parola, possiamo dire che nei primi anni del Novecento l’idea di parco nazionale varca

3 Fa eccezione la Russia, il cui territorio è generalmente costituito per la quasi totalità da vastissime pianure

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l’Atlantico e diviene oggetto di appassionate discussioni e di progetti in tutti i Paesi del Vecchio Mondo» (Piva, 2005, p. 78). A livello europeo, infatti, furono prima di tutto la Svezia, la Svizzera e la Spagna i Paesi apripista in materia di protezione e conservazione della natura.

La Svezia è il Paese europeo che riesce a creare per primo una rete di parchi nazionali; questo è sicuramente riconducibile alla vasta disponibilità di ampie zone verdi con una scarsa antropizzazione. Infatti, se nel 1909 è stata approvata una legge sulla protezione della natura e sono stati istituiti 9 parchi nazionali (che si estendevano per una superfice pari a 360.000 ettari), già qualche anno prima si era diffuso un importane dibattito sulla possibilità di proteggere delle aree in prossimità del Circolo Polare.

In Svizzera nel 1905 nacque, invece, il movimento per la conservazione, il quale, insieme alla Lega per la conservazione della Svizzera pittoresca e alla Società svizzera dei forestali, donò 2000 lire per la Creazione di Riserve Forestali. Siamo nel 1914, quando la Svizzera istituisce il parco dell’Endagina, esempio di contrapposizione alla crescente industrializzazione, di cui proprio l’Alta Engadina aveva rappresentato il teatro d i un disastro forestale: infatti la presenza di minerali ferrosi aveva determinato il completo disboscamento per alimentare le fornaci. Dunque, grazie alla Société des

Sciences Naturelles si cercò di far risorgere la vegetazione in modo naturale, senza alcun

intervento umano.

Per quel che riguarda la Germania, nei primi anni del Novecento, l’approccio alla selvicoltura era basato su programmi tecnocratici finalizzati ad obiettivi economici. Questo vuol dire che gli estesi boschi venivano sostituiti con monoculture, molto più sfruttabili economicamente, ma senza nessun principio ecologico alla base. Un decreto governativo stabilì, nel 1907, la costituzione di comitati provinciali per la tutela delle aree naturali; questi dovevano essere formati da un botanico, uno zoologo, un geologo, un geografo ed un rappresentante del governo. In questo modo, già nel 1908, i Landtags versarono in totale 11500 marchi per le spese derivanti dall’istituzione di riserve e parchi. Nel 1921, poi, la Germania istituì il Parco del Lunemburgo: fu un evento importante dato che in Germania il processo di urbanizzazione e industrializzazione sono stati particolarmente violenti.

In Spagna, il 7 dicembre del 1916, venne approvato grazie all’iniziativa del Marchese di Villaviciosa dell’Asturia, la legge sui parchi nazionali che restò in vigore fino al 1975. Siamo in Polonia, nel 1919, dopo la conquista dell’indipendenza, quando venne dato avvio alla Commissione di Stato per la Protezione della natura che portò all’istituzione del Parco di Bielowieza. In questo modo venne salvato da sicura estinzione il bisonte europeo.

«In Italia fra l’ultimo decennio dell’Ottocento e la Grande Guerra si manifestò una spaccata sensibilità protezionista. Si trattò di un periodo unico nella storia d’Italia, almeno fino alla nascita

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dell’ambientalismo politico negli ultimi decenni del Novecento. Un periodo caratterizzato dal moltiplicarsi di convegni, conferenze, mostre, sodalizi, iniziative pubbliche in difesa di monumenti artistici o di luoghi di particolare valore paesaggistico e naturale, pubblicazioni di vario genere, riviste, attività divulgative e didattiche e così via. Allo stesso tempo di tessè una fitta rete di contatti e scambi con i movimenti di protezione della natura di altri paesi» (Corona, 2015, p. 57).

Una delle prime esperienza sul tema della conservazione della natura è quella dell’Associazione Promontibus del 1899, ma la sensibilità protezionista ha trovato un forte consenso e una maggiore diffusione solo qualche anno più tardi, tant’è che nel 1907, in seguito ad un viaggio a Yellowstone, Giambattista Miliani – ministro dell’agricoltura del Regno d’Italia4– scrisse sull’importantissima rivista dell’epoca “Nuova antologia” un

resoconto del suo viaggio, che a distanza di anni (a partire dal 1910-12) iniziò a diffondersi e grazie ad esso iniziarono a circolare informazioni rispetto al sistema di protezione della natura adottato in America e al sistema dei parchi nazionali. In seguito a ciò cominciarono a prendere piede le prime proposte, precedenti alla Grande Guerra attraverso collaborazioni e convegni su scala sovranazionale.

Altre tappe fondamentali sono state la fondazione della Società Botanica italiana (1888) e della Società Zoologica Italiana (1900). Durante le loro riunioni, tra il 1910 e il 1911, i naturalisti italiani dissero sì all’istituzione di parchi nazionali come strumenti imprescindibili per la tutela della natura e del territorio. Non solo, tali riunioni furono anche il primo momento in cui vennero individuati chiari indirizzi di policy per i poteri pubblici, indicando quelle zone che da subito, per il loro pregio naturalistico - e in alcuni casi per le minacce di alterazione dello status quo che incorrevano su di esse - fossero privilegiate per essere tutelate. Le aree riconosciute furono: Livigno, Alpi Venete, Sicilia, Gennargentu, Alpi Graie e Alta Val di Sangro (Piva, 2005).

Nel 1910 la Società botanica italiana insieme alla Società zoologica italiana, infatti, proposero l’istituzione di un parco nella valle di Livigno (dello Spöl) confinante con le valli svizzere poste sotto protezione. L’individuazione di questa area fu motivata principalmente da questioni politiche: era stata la Svizzera a creare delle aree protette a ridosso dei confini italiani, preoccupati per le incursioni dei bracconieri italiani. Vennero quindi inviati presso il Ministero degli Interni due professori dell’Università di Losanna al fine di chiarire la questione sui parchi e sul bracconaggio. La missione fu portata a buon

4 Nel governo Orlando dal 30 ottobre 1917 al 17 gennaio 1919 e membro della Camera dei Deputati per

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fine, tanto che Giolitti, l’allora Ministro degli Interni, scrisse ad uno dei professori: «Approvo pienamente l’iniziativa dei naturalisti svizzeri per la creazione di un Parco Nazionale […]. Se lei mi indicherà in che modo si possa favorire e diffondere l’idea fra gli scienziati italiani, […], non mancherò di interessarmene» (Liberti, 20065). L’istituzione del

parco a Livigno prevedeva un affitto dei terreni da parte del Ministero dell’Agricoltura, ma le trattative non si chiusero positivamente ed il parco alla fine non venne realizzato. Le risposte concrete e non alle sollecitazioni in tema di salvaguardia e tutela della natura risultano, però, del tutto inconsistenti: il tema della protezione della natura in Italia mostra serie difficoltà ad entrare nell’agenda delle forze politiche.

«A fronte di questa incuria si viene però rafforzando in questi anni un reticolo di associazioni, di riviste, di uomini di cultura e di scienza, di singoli parlamentari e di altri funzionari che condivide l’idea di fondo della necessità di tutelare al contempo i monumenti, le opere d’arte, il paesaggio e le bellezze naturali in senso lato. Si tratta di un reticolo non molto influente, ma articolato e dinamico, ed è principalmente su di esso che si appoggia l’iniziativa per la formazione dei parchi naturali» (Piva, 2005, op. cit. p. 80).

Nel 1913 fu fondata, invece, la “Lega per la protezione dei monumenti naturali” e il “Comitato nazionale per la difesa del paesaggio e dei monumenti”, chiari esempi del proto-ambientalismo italiano, i quali convergevano verso un unico obiettivo: la difesa dei “monumenti naturali” o come verranno chiamate successivamente “delle bellezze naturali”. Diverse accezioni di protezione della natura confluiscono in questo primo esempio di ambientalismo italiano (Piccioni, 2016): la prima guardava agli impatti negativi della modernizzazione (tipica delle scienze naturali), la seconda era basata sul tentativo di conciliare le bellezze naturali e culturali con le pratiche sportive e le esigenze di vita all’aria aperta, mentre la terza faceva riferimento ad un gruppo di politici e funzionari pubblici i quali innescarono delle battaglie istituzionali, sostenendo una concezione della natura basata su canoni estetici e patriottici.

Nel primo caso furono la Società Botanica italiana e la Società Zoologica Italiana a implementare delle azioni per la tutela della flora e della fauna. Inoltre, questa corrente si avvalse del contributo assolutamente rilevante della componente scientifica la quale favorì, nel corso degli anni, in maniera significativa l’istituzione dei parchi.

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La seconda componente (quella che tentava di conciliare le bellezze naturali e culturali con le pratiche sportive e le esigenze di vita all’aria aperta) si avvalse ad esempio dell’istituzione nel 1984 del Touring Club ciclistico – trasformatosi in Touring Club Italiano6 – da parte di Vittorio Bertarelli. In questo momento ebbero uno slancio

fortissimo le dimensioni turistiche e sportive nel movimento protezionistico. Inoltre, è grazie a queste due associazioni che si organizzò una campagna comunicativa7 – basata

sulla diffusione di cartografie, periodici, relazioni tecniche e guide - la quale raggiunse soprattutto i ceti medi e la classe dirigente italiana, facendo leva sul un senso di appartenenza al nostro Paese.

Per quanto riguarda l’ultima dimensione (concezione della natura basata su canoni estetici e patriottici) ha avuto la sua massima espressione nella “Direzione per le antichità e belle arti” del Ministero della Pubblica Istruzione. «La creazione di un ministero ad hoc segna un salto di qualità in relazione non tanto all’aggregazione attorno ad un unico apparato di competenze formali precedentemente disperse, ma soprattutto all’emergere di un soggetto portatore di interessi propri in questo campo e al riconoscimento di uno status della politica ambientale analogo a quello delle altre politiche settoriali» (Lewanski, 1997, p. 47).

Si arrivò, dunque, alla legge 778 del 1922 “Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”, il cui testo finale verrà emendato dal riferimento all’esproprio per pubblica utilità. Per la prima volta vennero messi sotto tutela una serie di beni «con l’obbligo non solo di sottoporre ad autorizzazione ministeriale ogni modifica per le bellezze naturali di proprietà privata, ma anche di non danneggiare il paesaggio e il godimento delle bellezze naturali intese nel loro insieme, cioè come panorami, principi che saranno riconfermati nella legge 1497 del 1939 intitolata “Protezione delle bellezze naturali”» (Corona, 2015, op. cit. p.59). Tra il 1921 e il 1922, inoltre, vene avviata una catalogazione delle bellezze naturali, la cui tipologia rappresentava proprio la sintesi delle tre anime del protezionismo (nonostante la prevalenza del della categoria monumento

6 Fondata nel 1894 a Milano, è un’associazione senza scopo di lucro. Rappresenta una delle istituzioni

turistiche italiane con il più alto numero di iscritti.

7 Nel 1914 vennero, infatti, pubblicati i primi volumi della «Guida d’Italia», conosciuta come Guida Rossa

per il colore della copertina; venne aperto l’Ufficio cartografico e venne pubblicata la Carta Turistica d’Italia in scala 1: 250.000. Nel novembre del 1917 uscì il primo numero della rivista «Le Vie d’Italia», come supplemento della Rivista Mensile inviata ai Soci. La sua pubblicazione proseguirà fino al 1968, quando si fonderà con Le Vie del Mondo, nata nel 1924 (https://www.touringclub.it/chisiamo/la-nostra-storia).

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naturale e bellezze naturali rispetto a quelle di contenuto scientifico o storico-letterario) accennate precedentemente.

Tra il 1910 e il 1925 le proposte di istituzione di parchi ammontano a cinque. Grazie al sostegno di Touring Club Italiano e alla dismissione di grandi riserve di caccia, per tre di queste proposte si arriva a fasi di progettazione avanzate e di discussione istituzionale, mentre per altre due si arriva ad un esito positivo: l’istituzione del Parco Nazionale (d’ora in poi PN) del Gran Paradiso e l’istituzione del PN di Abruzzo. In questi anni, infatti, l’istituzione dei primi parchi nazionali italiani si deve al riconoscimento dell’importanza della presenza animale in specifiche aree8.

Il PN del Gran Paradiso9 – istituito il 3 dicembre 1922 - era legato alla famiglia dei Savoia,

ma tale territorio era posto sotto protezione fin dal 1821, non era però protetto dalla caccia dei reali la quale determinava la perdita di molte specie. La storia del PN del Gran Paradiso è, infatti, strettamente legata alla salvaguardia dello stambecco10 in quanto specie

a rischio,

Allo stesso modo grazie alla tutela dell’orso bruno marsicano11, nel gennaio 1923 – con

regio decreto dell’11.1.1923 – venne istituito il PN d’Abruzzo12. Anche in questo caso

l’idea del parco nasce all’incirca 10 anni prima, quando Viccari e Pirotta elaborarono una prima proposta nell’ambito delle iniziative della Lega nazionale della protezione dei monumenti naturali, dell’Associazione Pro Natura e della Società Botanica Italiana. Nel 1933 poi si registra una brusca interruzione nella sua storia. È il direttore del parco a scrivere: «(…) il fascismo, contrariato da alcune decisioni di salvaguardia ambientale che ostacolavano i suoi progetti di intervento sul territorio, soppresse l’autorità dell’Ente autonomo e, pur di abolire contestualmente anche il parco, ne decretò di fatto la sostanziale condanna» (Tassi, 1982, p. 111).

8 Questa sensibilità, in forma embrionale, si era manifestata già tra il Settecento e l’Ottocento, a causa della

pericolosità delle innovazioni tecnologiche applicate alle armi da fuoco. Per tale motivo il regno Sabaudo decretò il divieto di caccia all’interno del territorio dei massicci alpini. Per quell’epoca venne applicato il più alto e importante sistema di protezione e tutela che si potesse immaginare.

9 L’idea in realtà risale a circa 101 anni prima, all’opera dell’ispettore forestale Giuseppe Delapierre il quale

scoprì che nei valloni che discendono dal massiccio del Gran Paradiso sopravvivevano circa cento esemplari di stambecco, animale che era ritenuto estinto dall’inizio del XIX secolo i tutta Europa.

10 Lo stambecco è stato oggetto di caccia indiscriminata per secoli, sia per la bontà delle sue carni, sia perché

alcune parti del corpo erano considerate medicinali, le corna venivano utilizzate come trofeo e il suo ossicino (la croce del cuore) si credeva avesse un potere afrodisiaco, tanto che spesso veniva utilizzato come talismano.

11 Nel territorio del parco vengono tutelati oltre all’orso bruno anche il camoscio d’Abruzzo, il lupo, il cervo,

il capriolo, lo scoiattolo, il ghiro, l’aquila reale, il falco pellegrino, etc.

12 Era uno dei parchi più conosciuti tanto è vero che nel 1972 il Consiglio d’Europa volle distinguere questo

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In realtà, all’inizio degli anni Venti, l’Italia è il quarto Paese europeo - dopo Svezia, Svizzera e Spagna - a dotarsi di parchi nazionali i quali ricoprono una porzione di territorio importante se si va a considerare la forte antropizzazione del suolo nazionale.

«Con l’istituzione dei suoi due primi parchi nazionali, anche se avvenuta al di fuori di una progettualità politica generale, l’Italia si pone decisamente all’avanguardia in Europa. Si tratta infatti del quarto paese europeo dopo la Svezia, la Svizzera e la Spagna ad adottare l’istituzione “inventata” dai legislatori statunitensi ed è assai significativo che lo faccia prima (o anche molto prima) di paesi più ricchi, moderni e maggiormente dotati di un’opinione pubblica sensibile come la Francia, la Germania, il Belgio e la Gran Bretagna. Pur in assenza di standard comunemente accettati, di una conoscenza adeguata delle esperienze americane e di finanziamenti sufficienti, le amministrazioni dei due parchi riescono inoltre ad attingere negli anni ’20 a un livello gestionale decisamente buono, come mostrano bene oggi le documentazioni d’archivio ma come gli stessi visitatori statunitensi dell’epoca ammettono senza problemi» (Piva, 2005, op. cit. p.81).

Possiamo, quindi, parlare di una prima fase molto propositiva per quanto riguarda la tutela della natura italiana; questa però si interrompe molto presto, nel 1933, quando il modello dell’autonomia amministrativa dei PN del Gran Paradiso e dell’Abruzzo – un modello gestionale democratico e di notevole efficienza - viene eliminato e sostituito da un controllo ministeriale, burocratico e inefficiente, esercitato dalla Milizia nazionale forestale13. Vennero comunque in questi anni istituiti altri due parchi: nel 1934 il PN del

Circeo, la cui storia è legata alla questione della bonifica del territorio delle paludi pontine (destinate a scomparire e di cui 7445 ettari furono salvati e vennero destinati all’istituzione del parco); mentre il 1935 è l’anno del PN dello Stelvio, istituito per finalità squisitamente politiche (italianizzazione dell’area) e imprenditoriali (sviluppo del turismo), ma che allo stesso tempo rese evidente il problema del rapporto con le popolazioni locali.

Una delle caratteristiche di questi parchi è sicuramente quella di essere collocati, sostanzialmente, nella parte settentrionale della penisola. Lo stesso PN della Calabria fino ad anni relativamente recenti aveva attuato un sistema di protezione non completamente in linea con gli standard europei e dei livelli indicati dagli organismi di tutela interazionali.

13 La Milizia forestale (già Corpo reale delle foreste e successivamente Guardia nazionale repubblicana della

montagna e delle foreste nella Repubblica Sociale Italiana) era una specializzazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, istituita nel 1926 durante il ventennio fascista in Italia.

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Il PN d’Abruzzo è, invece, collocato in una regione del centro-Italia sia dal punto di vista geografico che economico.

A livello internazionale il 1933 è l’anno della Conferenza di Londra mentre il 1940 l’anno della Conferenza di Washington le quali avevano come obiettivo quello di dare una definizione universalmente accettabile di parco nazionale per renderne possibile anche una contabilità a livello internazionale. Venne, dunque, approvata la convenzione relativa alla protezione della flora e della fauna nel loro stato naturale, la quale portò alla definizione e all’individuazione delle categorie di area protetta. Questa convenzione fu firmata da Belgio, Francia, Italia, Portogallo, Sud Africa, Spagna, Sudan e Regno Unito, ma iniziò ad entrare in vigore, soltanto in alcuni Paesi tre anni dopo.

Riproponendo i lavori della conferenza di Londra l’espressione Parco nazionale designerà un’area: posta sotto il pubblico controllo, i cui limiti non saranno mutati e di cui nessuna parte potrà essere traferita, salvo che per intervento dell’autorità legislativa competente; riservata per la propagazione, la protezione e la conservazione della vita animale selvatica e della vegetazione selvatica e per la conservazione di oggetti di interesse estetico, geologico, preistorico, storico, archeologico ed altri interessi scientifici, a profitto, a vantaggio e a ricreazione del pubblico e in cui la caccia, l’abbattimento o la cattura della fauna e la distruzione o la raccolta della flora sono vietate, salvo che per iniziativa o sotto la direzione e il controllo delle autorità del parco. Facilitazioni saranno concesse, nella misura del possibile, al pubblico in generale, per osservare la fauna e la flora nei parchi nazionali.

Il primo riferimento legislativo unitario è la legge 29 giugno 1939, n. 1497, la quale conteneva delle norme sulla tutela del territorio (anche se la bellezza naturale, che rappresenta l’elemento da tutelare, è considerato solo in termini puramente estetici). La questione ambientale come fattore sistemico ancora non è rintracciabile in questa fase. Inoltre, i limiti di tale legge erano quelli di non concedere agli enti gestore nessun potere di pianificazione del territorio, di non prevedere nessun collegamento tra l’attività amministrativa e l’autorità del parco e nessuna connessione sia con la comunità locale che con gli enti locali. Erano dunque soggetti completamente estranei al contesto, di un luogo diverso, di un ambito separato. Ciò è comunque imputabile al contesto istituzionale che caratterizzava quel periodo storico, e riassumibile in un centralismo amministrativo, con poco spazio offerto alle autonomie locali. I parchi dunque venivano considerati in base ai singoli elementi che essi andavano a tutelare, in un’ottica del tutto settorialistica per cui diventarono strumenti per applicare vincoli, divieti, controlli sul territorio e relative sanzioni.

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«Mentre i naturalisti peroravano una perimentazione di area vasta e senza soluzioni di discontinuità spaziale, il decisore pubblico – sotto le forti pressioni degli interessi locali – optò per una soluzione spazialmente separata. Le zone che furono sottoposte a regime di tutela sono infatti in un rapporto di discontinuità e si estendono in ciascuna delle tre province calabresi. (…) Il PN della Calabria trova dislocazione in tre distinte aree geografiche e socioculturali: la Sila Grande, in provincia di Cosenza, la Sila Piccola, in Provincia di Catanzaro, Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria. Quest’ultima porzione di territorio verrà poi ricompresa nel PN dell’Aspromonte, instituito più recentemente» (Beato, 2002, p. 45).

Tra il 1923 e il 1968 dunque in Italia vengono istituiti i cinque parchi conosciuti come i parchi storici, sono: PN Del Gran Paradiso, PN d’Abruzzo, PN Del Circeo, PN Dello Stelvio e PN Della Calabria. In Tab. 1 sono riportati i decreti istitutivi e la relativa data.

Tab. 1- Parchi storici

Parco Data e decreto istitutivo

PN Del Gran Paradiso Regio Decreto n. 257 dell’11 gennaio 1923 PN d’Abruzzo Regio Decreto n.527 del 25 gennaio 1923

PN Del Circeo Decreto del 25 gennaio 1934

PN Dello Stelvio Legge del 24 aprile 1935 PN Della Calabria Legge del 2 aprile 1968 Fonte: Giuntarelli, 2001.

La denominazione “parchi storici” rimanda, come si è visto nelle pagine precedenti, anche ad una specifica stagione culturale e politica vissuta dall’Italia e visibile sia nella direzione presa dalle politiche pubbliche ambientali sia nell’avvio di un nuovo movimento protezionista della natura (quello che abbiamo chiamato proto ambientalismo).

«Ai cinque Parchi Storici, in cui era assente ogni strumento di pianificazione e la guardia al vincolo ovvero alle norme regolamentari poste a livello centrale era l’unica attività possibile (la tutela dell’area era affidata ad un rigido sistema vincolistico che non consentiva un intervento differenziato sul territorio, zonizzazione), istituiti per proteggere la natura (valore estetico), per porre un freno alla caccia (tutela dall’estinzione dello stambecco e del camoscio appenninico), limitare la scomparsa di specie vegetali rare, gestire il turismo ed il godimento dell’ambiente selvatico, fece seguito un’ulteriore produzione di Parchi Nazionali che vide la luce con diversi provvedimenti, tutti configurabili, tuttavia, all’interno della previsione di due strumenti normativi, la legge dell’11 marzo 1988 n. 67 (finanziaria) e la legge 29 agosto 1989 n. 305 (programmazione triennale per la tutela dell’ambiente) in cui oltre all’applicazione delle norme si comincia a delineare

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una pianificazione del territorio, e cominciò ad affacciarsi la creazione dei parchi regionali dotati di autonomi statuti regolamentari e definitori» (Giuntarelli, 2008, op. cit. pp. 33-34).

I parchi storici nascono attraverso delle leggi istitutive ad hoc, sono tutte emanate senza rispondere ad un disegno di legge unitario, anzi sono tutte occasionali. Nonostante ciò una linea comune può essere tratteggiata: quella relativa alla conservazione e al miglioramento della flora e della fauna; la preservazione delle speciali formazioni geologiche; la tutela del paesaggio e lo sviluppo del turismo (eccezion fatta per il PN del Gran Paradiso).

Un forte freno in seno al protezionismo italiano è stato, però, segnato dall’ascesa del fascismo, tanto che la crisi generata i questo periodo si è manifestata fino al secondo dopoguerra, quando l’ambiente italiano si trovava a fare i conti con un altro pericoloso fenomeno, quello della pressione turistica-edilizia, in seno al processo di modernizzazione della società italiana (parliamo del diffondersi dell’urbanesimo, del turismo di massa, dell’industrializzazione dell’edilizia e delle attività di loisir) (Beato, 1999, op. cit.).

In questi anni si possono, però, comunque registrare degli avvenimenti positivi. Ad esempio, la rinascita a partire dal 1944 del Parco nazionale Gran Paradiso sotto la guida di Renzo Videsott; il ritorno all’amministrazione autonoma dei parchi del Gran Paradiso e d’Abruzzo tra il 1947 e il 1951; una spinta nel mondo dell’associazionismo (con Federazione Nazionale Pro Natura14 e Italia Nostra15); la diffusione della stampa; il

funzionamento ministeriale e gli esponenti del mondo accademico e di quello parlamentare che iniziavano ad interessarsi sempre di più della questione ambientale.; la creazione delle prime riserve statali, a opera del Corpo forestale dello Stato dal 1959; la proposta16 del 1962 per una legge quadro sulle aree protette e l’apertura di una sezione del

Wwf17 anche in Italia. Si dovrà aspettare al 1968 per l’emanazione di una legge statale

(frutto di una mediazione politica) che determinasse la tutela dei popolamenti arborei della Sila. In seguito a questa legge venne istituito il PN della Calabria, il primo dopo la guerra e il primo del Mezzogiorno, a sud dell’Abruzzo.

14 Nel giugno 1948 venne fondata in Valle d’Aosta il Movimento Italiano Protezione della Natura (oggi

Federazione Pro Natura). Per maggiori informazioni consultare il sito: http://www.pro-natura.it/la-storia.html.

15 l 29 ottobre 1955 Umberto Zanotti Bianco, Pietro Paolo Trompeo, Giorgio Bassani, Desideria Pasolini

dall’Onda, Elena Croce, Luigi Magnani e Hubert Howard siglarono l’atto costitutivo di Italia Nostra (https://www.italianostra.org/chi-siamo/una-storia-lunga-oltre-50-anni/).

16 La proposta di legge viene presentata dal al senatore democristiano Vincenzo Rivera sulla base di un testo

discusso all’interno della Commissione per la protezione della natura del CNR.

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Dopo la Seconda guerra mondiale, la tutela del paesaggio viene sancita dall’articolo 9 della Costituzione18. Si legge in questi anni l’influenza dell’ambientalismo anglosassone,

cercando di cogliere con fiducia i segnali provenienti da una società in rapido mutamento e li trasforma in slanci propositivi. Nascono sempre in questi anni la Lega nazionale contro la distruzione degli uccelli (LENACDU), Lega italiana protezione uccelli (LIPU), mentre la battaglia per la salvezza del PN d’Abruzzo (che aveva subito pesantemente gli effetti della politica fascista) costituisce un momento insostituibile di crescita.

Arriviamo agli anni Ottanta del Novecento, durante i quali si diffonde sempre di più una maggiore consapevolezza rispetto ai problemi ambientali. Nell’ottobre del 1980 si tenne a Camerino (Marche) un convegno indetto dal Comitato per i parchi nazionali e le riserve analoghe. Questo convegno ha visto (e fu una delle prime volte in Italia) la partecipazione sinergica della comunità scientifica e gli esponenti dell’ambientalismo italiano. In questa occasione è stata elaborata e diffusa la “Strategia italiana per la conservazione” la quale aveva come obiettivo quello di arrivare a tutelare il 10% del territorio italiano, chiamando in gioco lo Stato, gli Enti Locali e le Regioni. Tale obiettivo è stato raggiunto all’incirca venti anni dopo e «si può oggi affermare che con ogni probabilità la politica pubblica delle aree protette – pur tra asperrimi contrasti politico-sociali e culturali, difficoltà realizzative ed inadempienze burocratiche – costituisce oggi la più avanzata (anche se non ala più implementata) tra le politiche ambientali italiane» (Beato, 1999, op. cit. p.45).

Con la Legge n. 305 del 29 agosto 1989 – “Programmazione triennale per la tutela dell’ambiente” - vengono istituiti altri 6 parchi nazionali, diventando 19 le aree protette sul suolo nazionale (di cui undici parchi nazionali) e coinvolgendo la maggior parte delle regioni del nostro Paese. In Tab. 2 sono riportati i parchi istituiti tra il 1988 e il 1990, sono: PN dell’Aspromonte, PN dell’Arcipelago Toscano, PN delle Dolomiti Bellunesi, PN delle Foreste Casentinesi e PN dei Monti Sibillini.

18 Anche se il tema viene affrontato in una sola riga, nella quale si afferma che la Repubblica «tutela il

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Tab. 2 -Parchi CIPE

Parchi CIPE Data e decreto istitutivo

PN dell’Aspromonte Delibera CIPE del 5 agosto 1988 PN dell’Arcipelago Toscano DPR del 22 luglio 1989

PN delle Dolomiti Bellunesi D.M. del 20 aprile 1990 PN delle Foreste Casentinesi DPR del 14 dicembre 1990

PN dei Monti Sibillini Il primo decreto istitutivo è del 3 febbraio 1990, modificato dal DPR del 6 agosto 1993

PN del Pollino Decreto del Ministero dell’Ambiente del 31 dicembre 1990 Fonte: Giuntarelli, 2001.

Trascorrono in questo modo molti anni in cui si avverte l’inadeguatezza della normativa italiana e l’esigenza di una legge che prenda in considerazione da un lato la tutela della natura in maniera globale, e dall’altro più nello specifico la gestione dei parchi. Si parla in questo caso «di un tutela differenziata attraverso un sistema di zonizzazione fondato sull’eterogena destinazione naturale delle diverse aree all’interno del parco, in relazione al loro diseguale valore paesaggistico, ambientale, scientifico, storico, ecc., e la cui disciplina di massima viene fissata direttamente dalla legge in modo da ridurre al minimo il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, ossia dell’Ente Parco, cui compete la redazione del piano di organizzazione generale del territorio e l’emanazione del correlato regolamento» (Giuntarelli, 2001, op. cit. p. 40).

Il periodo che va dal 1987 al 2000, in cui si inserisce la presidenza del Ministero dell’Ambiente da parte di Edo Ronchi (1996-2000) rappresentano, invece, il momento di svolta nella storia dei parchi italiani. Sono stati da un lato tradotti in provvedimenti legislativi una parte dei programmi ideati durante il periodo movimentista, e dall’altra è in questi anni che viene emanata la prima legge sulle aree protette, la legge quadro 328/1991. Essa viene istituita al fine di garantire e promuovere – in forma coordinata – la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese. Con questa legge aumenta in maniera considerevole la superficie dei parchi nazionali sul territorio italiano, passando da circa 400.000 ettari dei parchi nazionali storici ad oltre 1.500.000 ettari per 15.000 km².

I parchi istituiti in seguito all’emanazione della 394/1991 sono elencati in Tab. 3. e sono: PN Del Cilento E Vallo Di Diano, PN Del Gargano, PN Del Gran Sasso E Monti Della Laga, PN Della Majella, PN del Val Grande e PN del Vesuvio.

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Tab. 3 - Parchi istituiti con la L. 394/1991

Parchi istituiti con la 394 del 6/12/91 Data e decreto istitutivo

PN Del Cilento E Vallo Di Diano DPR del 5 agosto 1993

PN Del Gargano Art. 34 della legge n. 394 del 6 dicembre 1991 PN Del Gran Sasso E Monti Della Laga DPR del 5 giugno 1995

PN Della Majella DPR del 5 giugno 1995

PN del Val Grande Decreto Ministeriale del 2 marzo 1992

PN del Vesuvio DPR del 5 giugno 1995

Fonte: Giuntarelli, 2001.

Il nobile obiettivo che si pone la legge è quello di creare un sistema nazionale di aree protette, oltre, naturalmente, alla conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese - in ottemperanza con i due principi costituzionali rintracciabili nell’articolo 9 e 32. In poche parole, la legge quadro è il primo strumento che lo Stato italiano adotta per il governo dell’ambiente.

Negli anni successivi all’emanazione della legge quadro vengono istituiti altri 7 parchi nazionali, riportati in Tab. 4, parliamo dei PN: Dell’arcipelago Della Maddalena, D’Asinara, del Gennargentu e del Golfo di Orosei, dell’appennino Tosco-Emiliano, delle Cinque Terre, della Sila, dell’Alta Muraglia e dell’Isola di Pantelleria. All’appello manca ancora il PN del Val d’Agri e Lagonegrese, la quale istituzione, in realtà, era prevista dalla legge n. 426 del 9 dicembre 1998, ma la cui attuazione ancora non è stata raggiunta a causa di una falla di provvedimenti attuativi. Mentre il PN del Golfo di Orsei e Gennargentu è stato istituito nel 1998, ma alla data attuale ancora non presenta un ente gestore. Nel luglio 2016 è stato, infine, istituito il PN dell’Isola di Pantelleria.

Tab. 4 – Parchi di nuova istituzione (1994-2016)

Parchi istituti con leggi successive alla

394/91 Data e decreto istitutivo

PN Dell’arcipelago Della Maddalena Legge n. 10 del 4 gennaio 1994

PN d’Asinara Legge n. 344 dell’8 ottobre 1997

PN del Gennargentu e del Golfo di Orosei D.P.R. del 30 marzo 1998 PN dell’appennino Tosco-Emiliano D.P.R del 21 maggio 2001

PN delle Cinque Terre Legge n. 344 dell’8 ottobre 1997 e D.P.R. del 6 ottobre 1999

PN della Sila Legge n. 344 dell’8 ottobre 1997 e D.P.R. del 14 novembre 2002

PN dell’Alta Muraglia Legge n. 426 del 9 dicembre 1998 e D.P.R. del 5 marzo 2004

PN Isola di Pantelleria D.P.R. del 28 luglio 2016 fonte: elaborazione nostra (Giuntarelli, 2001; Ministero dell’Ambiente, 2018).

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Dunque, ad oggi, i 25 parchi nazionali italiani sono una realtà estremamente importante che coinvolge diciannove delle venti Regioni italiane, fatta eccezione per il Friuli-Venezia Giulia19.

Dal punto di vista amministrativo, oltre i parchi nazionali sono riconosciute come are protette: a) Parchi Naturali Regionali o Interregionali20; b) Riserve naturali21; c) Aree

Marine Protette22; d) Altre Aree Naturali Protette23; e) Zone Umide Di Interesse

Internazionale24; f) Zone Di Protezione Speciale (Zps)25; g) Zone Speciali Di

Conservazione (Zsc)26 (Federparchi, 2009).

Ciò che stupisce, in effetti, è la grande varietà di tipologie, tanto che l’ultimo “Elenco Ufficiale delle aree protette” (Ministero dell’Ambiente, 2010) riporta circa sessanta diverse denominazioni giuridiche nella colonna “Organismo di gestione”, a indicare una moltitudine di tipi di organizzazioni impegnate per la gestione (Niccolini, 2012). Riprendendo la classificazione proposta dall’IUCN e riconosciuta a livello internazionale, circa il 50% della superficie delle aree protette italiane rientra nella categoria V: “Paesaggi terrestri e marini protetti”. A livello numerico è la categoria IV “Aree per la gestione di habitat/specie” a prevalere: l’estensione media di quest’ultima è di 29568 ettari (mentre per la prima l’estensione media è di 2275 ettari) (IUCN, 2007, p.86). Sempre sul territorio italiano troviamo più di 100 aree ricadenti nella categoria

19 In Friuli-Venezia Giulia sono stati istituiti, con la legge regionale 42/1996, due parchi: il Parco naturale

delle Dolomiti Friulane e il Parco naturale delle Prealpi Giulie; inoltre, sul territorio regionale ricadono tre riserve naturali statali. In base alle peculiarità naturali del territorio, con le leggi regionali 42/1996 e 13/1998 sono state istituite 11 riserve naturali.

20 Aree terrestri, lacuali ed eventualmente da tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico e

ambientale che, nell’ambito di una o più regioni limitrofe, danno vita ad un sistema omogeneo individuato dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori paesaggistici e artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali. Sono istituite dalle Regioni.

21 Aree terrestri, fluviali, lacuali o marine, che contengono una o più specie rilevanti della flora o della fauna,

o che presentano uno o più ecosistemi importanti per il mantenimento della diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche. Proprio in base alla rilevanza degli elementi naturalistici contenuti, le riserve naturali possono essere distinte in statali o regionali, mentre rispetto ai vincoli a cui sono sottoposte e alle attività che vi si conducono possono essere ulteriormente classificate in speciali, orientate e integrali.

22 La loro istituzione, ad opera del Ministero dell’Ambiente, tiene conto del rilevante interesse che assumono

determinati ambienti marini, costituiti dalle acque e dai fondali costieri, per le loro caratteristiche naturali e geomorfologiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che esse rivestono.

23 Comprendono tutte quelle aree (oasi naturalistiche, parchi suburbani, monumenti naturali ecc.) che non

rientrano nelle classi precedenti. Possono essere istituite con leggi regionali o provvedimenti equivalenti (aree a gestione pubblica), oppure con provvedimenti formali pubblici o con atti contrattuali quali concessioni o forme equivalenti (aree a gestione privata).

24 Aree acquitrinose, lagune, saline, torbiere, tratti fluviali, lacustri e costieri, che risultano compresi tra i siti

classificati di importanza internazionale come habitat degli uccelli acquatici ai sensi della Convenzione di Ramsar. Tutte queste aree sono entrate oggi a far parte della Rete Natura 2000.

25 Sono costituite da territori idonei per estensione o per localizzazione geografica alla conservazione delle

specie di uccelli indicati nella direttiva 79/409/CEE.

26 Sono costituite da quelle aree naturali, terrestri o acquatiche, che contribuiscono in modo significativo a

conservare o a ripristinare in uno stato soddisfacente a tutelare la diversità biologica, gli habitat naturali e le specie di fauna e flora selvatiche indicate dalla direttiva 92/43/CEE. Tali aree vengono anche indicate come Siti di Importanza Comunitaria (SIC).

(27)

27

(Ia) “Strict Nature Reserve”. Le categorie II e III sono invece poco presenti e le Categorie Ib e VI assenti. Inoltre, «gli ecosistemi gestiti nelle aree protette italiane non sono quelli delle “grandi aree che mantengono i loro caratteri naturali immodificati, senza insediamenti antropici permanenti o significativi” (Cat.Ib IUCN). Le “caratteristiche distintive e i valori ecologici, biologici, culturali e scenici” della maggior parte del territorio protetto italiano sono per lo più il frutto di “una prolungata interazione tra uomo e natura” (Cat. V) IUCN» (Niccolini, 2012, p. 278).

Fin da subito si evince un forte limite, in tema di conservazione della natura a livello nazionale, quello di vivere una sostanziale frammentazione non solo tra le diverse tipologie di aree protette, ma anche all’interno della stessa categoria.

I parchi nazionali sono così distribuiti sul suolo nazionale (Fig. 1):

Fig. 1 -I Parchi Nazionali Italiani27

Fonte: http://www.ultimora.news/legge-sui-parchi-nazionali-perche-gli.

(28)

28

1.2 Il dibattito scientifico e il contributo della sociologia

Per lungo tempo lo studio dei parchi nazionali è stato molto settoriale, soprattutto ad appannaggio di poche discipline come l’urbanistica, l’economia e la biologia, tanto da assumere significati diversi a seconda del settore che li ha visti come oggetto specifico di analisi.

Nel contesto internazionale, gli studi sui parchi - che principalmente riguardano i grandi parchi americani e quelli del Terzo Mondo - possono essere divisi in sei macro-categorie: la prima si riferisce alle ricerche condotte sulla fruizione di tali aree e i cui risultati mostrano differenze sensibili imputabili a variabili sociodemografiche (come la classe sociale, l’età, il genere o l’etnia28). Il secondo gruppo concerne, invece, la

ricostruzione della storia dell’ideologia dei parchi29; il terzo si riferisce a quegli studiosi che

si sono focalizzati sul loro accesso e, di conseguenza, sul loro utilizzo30; c’è chi poi ne ha

indagato il potenziale in termini di sostenibilità urbana31; chi ne ha messo a fuoco i

benefici32 e chi, infine, si è soffermato sul modo in cui favoriscono la salute e il benessere

dei cittadini33.

La maggior parte degli studi empirici ha utilizzato, per spiegare il funzionamento, un approccio funzionalista di stampo organicistico: il parco è un organismo vitale in cui tutti gli elementi sono fondamentali ed equilibrati. Questa interpretazione ha funzionato bene nello spiegare il parco come istituzione, ente che nasce per dare realtà oggettiva a norme sociali e giuridiche che si sono consolidate a livello culturale e legislativo, con l’obiettivo di rispondere a bisogni e ad esigenze di diversa natura.

Un parco nazionale è infatti un buon esempio di ciò che Law e Mol (2008) hanno chiamato slippery objects: è talvolta impossibile distinguere alcuni aspetti dagli altri e quindi

28 Per maggiori approfondimenti si considerino i lavori di:Floyd e Shinew, 1999; Gobster, 2001; Hutchison,

1987; Lee, 1972; Payne et al., 2002; Shinew et al., 2004a; Tinsley et al., 2002; West, 1989; Carr e Williams, 1993; Ewert et al., 1993; Gobster, 2002; Johnson et al., 1998; Tierney et al., 2001; Washburn, 1978.

29 Per maggiori approfondimenti si considerino i lavori di: Cavett et al., 1982; Cranz, 1982; Cranz and

Boland, 2003; 2004; Gordon, 2002; Lehr, 2001; Maver, 1998; McInroy, 2000; McIntire, 1981; Menéndez, 1998; Rosenzweig,Blackmar, 1992.

30Per maggiori approfondimenti si considerino i lavori di: Aminzadeh e Afshar, 2004; May e Rogerson,

1995; McCleave et al., 2006; Oguz, 2000; Oltremari, Jackson, 2006; Pavlikakis, Tsihrintzis, 2006; Perez-Verdin et al., 2004; Schwartz, 2006; Smardon, Faust, 2006.

31Per maggiori approfondimenti si considerino i lavori di: Chiesura, 2004; Domene et al., 2005; Huang et

al., 2002; Pezzoli, 2000; Pincetl, Gearin, 2005.

32 Per maggiori approfondimenti si considerino i lavori di: Hough, 1994; Daily, 1997; Bolund, Hunhammar,

1999; Savard et al., 2000; Farber et al., 2002; Hougner et al., 2005.

Figura

Tab. 1- Parchi storici
Tab. 2 -Parchi CIPE
Tab. 4 – Parchi di nuova istituzione (1994-2016)
Fig. 3 - Organi dell’ente gestore parco
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