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Attrattivita dei feromoni sessuali di Bactrocera oleae (Rossi) nei confronti del suo parassitoide Psyttalia concolor (Szepl.)

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE AGRARIE, ALIMENTARI E

AGRO-AMBIENTALI

C

ORSO DI

L

AUREA IN

P

RODUZIONI

A

GROALIMENTARI E

G

ESTIONE DEGLI

A

GROECOSISTEMI

Curriculum Produzioni Agroalimentari

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

A

TTRATTIVITÀ DEI FEROMONI SESSUALI DI

B

ACTROCERA OLEAE

(R

OSSI

)

NEI CONFRONTI DEL SUO PARASSITOIDE

P

SYTTALIA CONCOLOR

(S

ZÉPLIGETI

)

Relatore:

Candidato:

Dr. Angelo Canale

Sandro Simoncini

Correlatore:

Dr. Giovanni Benelli

(2)

1

1. PREMESSA pag.3

2. OBIETTIVO DELLA TESI pag.4

3. LA MOSCA DELLE OLIVE: Bactrocera oleae pag.5

3.1. Morfologia pag.10

3.2. Ciclo di sviluppo pag.12

3.3. Esigenze ambientali pag.14

3.4. Dinamica di popolazione pag.16

3.5. Fattori condizionanti lo sviluppo pag.17

3.6. Areale di distribuzione pag.18

3.7. Danni pag.18

4. METODI DI CONTROLLO pag.20

4.1. Cenni storici pag.20

4.2. Lotta chimica pag.21

4.2.1. Lotta chimica larvicida pag.21

4.2.2. Lotta chimica adulticida pag.27

4.3. Lotta biotecnica pag.30

(3)

2

5. I PARASSITOIDI DI B. oleae pag.37

6. IPOTESI SPERIMENTALE: I FEROMONI SESSUALI DI B. oleae COME

CAIROMONI PER P. concolor pag.51

6.1. Allevamento massale di P. concolor pag.55

6.2. Allevamento delle larve di C. capitata pag.55

6.3. Allevamento degli adulti di C. capitata pag.56

6.4. Allevamento di P. concolor pag.57

6.5. Biosaggi comportamentali pag.58

6.6. Analisi statistica dei dati pag.60

7. RISULTATI E DISCUSSIONE pag.62

(4)

3

1. PREMESSA

Le attività produttive dell’uomo, siano esse agricole, industriali o zootecniche si devono

sempre confrontare con diverse avversità, biotiche e abiotiche, che tendono a limitare

gli standard quali-quantitativi del prodotto. Per far fronte alle crescenti richieste del

mercato globale è necessario, quindi, ricercare metodi di controllo delle avversità

sempre più efficienti e mirati ponendo, allo stesso tempo, attenzione a ridurre l’impatto

ambientale che tali interventi hanno. L’esigenza di proteggere i propri prodotti si fa

ancora più stringente in tutte quelle aree dove sia privilegiato l’aspetto qualitativo su

quello quantitativo, in un contesto del genere, infatti, un piccolo difetto del prodotto

può significare un grosso danno per il produttore. È questo il caso di molte produzioni

tipiche di alcune zone come, ad esempio, l’olivicoltura nel bacino del Mediterraneo. Un

oliveto può ospitare circa 140 specie di artropodi e un centinaio tra funghi e batteri

tuttavia la difesa dalle avversità si limita al controllo di poche specie di insetti e qualche

malattia crittogamica. Tra tutti gli organismi infeudati alla coltura quello che è causa

dei maggiori danni, in gran parte dei territori olivicoli, è senza dubbio la mosca delle

olive, Bactrocera oleae (Rossi). Per controllare questo dannoso fitofago è necessario,

dunque, adottare idonei metodi di controllo chimici, biotecnici o biologici, sfruttando

anche quelli che sono i nemici naturali di B. oleae, al fine di mantenere elevati standard

qualitativi. Tra questi ultimi, Psyttalia concolor (Hymenoptera: Braconidae) è la specie

che, in tempi passati, è stata più ampiamente utilizzata in ambito mediterraneo, con

risultati poco incoraggianti. Gran parte degli insuccessi registrati dipendono, tuttavia,

da scarse conoscenze sulla ecologia comportamentale di questo parassitoide in

(5)

4

2. OBIETTIVO DELLA TESI

La lotta biologica contro B. oleae è possibile con il ricorso ai suoi antagonisti naturali,

per lo più parassitoidi. Tra questi il più conosciuto è Psyttalia (= Opius) concolor

(Szépligeti), un piccolo imenottero braconide che depone le proprie uova all’interno

delle larve dei suoi ospiti che localizza seguendo prevalentemente stimoli olfattivi.

L’obiettivo della tesi è stato quello di studiare se P. concolor utilizzi anche i feromoni

sessuali di B. oleae per ricercare i siti di accoppiamento e di deposizione di

quest’ultima. In altre parole, si è voluto verificare se i feromoni sessuali dell’ospite

possono essere utilizzati come cairomoni di ricerca da parte delle femmine del

parassitoide e se i maschi utilizzino tali feromoni come cairomoni sessuali per

aumentare la probabilità di incontrare femmine recettive con le quali accoppiarsi. La

ricerca si inserisce nel panorama internazionale degli studi sulle relazioni trofiche

(6)

5

3. LA MOSCA DELLE OLIVE: Bactrocera oleae

B. oleae, comunemente conosciuta come mosca dell'olivo, mosca delle olive o anche

mosca olearia, è un pericoloso fitofago presente in tutti gli oliveti italiani e è causa di

ingenti perdite di produzione sia a livello quantitativo che qualitativo. Per questo

motivo è molto importante pianificare e studiare idonei sistemi di lotta a questo insetto

dannoso per la filiera olivicola (cfr. Tremblay 1994b e bibliografia inclusa). La specie

appartiene all’ordine dei ditteri (Diptera, LINNAEUS, 1758), insetti che negli stadi

preimmaginali vivono spesso in ambienti umidi. La parola dittero fa riferimento al

numero di ali funzionali di cui sono forniti questi insetti, ne hanno solo un paio, quelle

anteriori, mentre il secondo è trasformato in strutture, dette bilancieri, utili durante il

volo. L'ordine comprende circa 120.000 specie conosciute ed è facile, dunque, intuire

l’importanza di questo raggruppamento. Basti pensare che nell'ordine sono comprese

specie che risultano dannose per l’agricoltura mondiale, specie responsabili della

trasmissione di gravi malattie, come ad esempio la malaria veicolata dalle zanzare, e

specie ubiquitarie, molto comuni come la mosca domestica (cfr. Servadei et al. 1972).

L'ordine dei ditteri è caratterizzato da una sostanziale uniformità morfologica che rende

spesso difficile il riconoscimento soprattutto a livello di specie o genere. Negli adulti di

solito il capo è ben distinto dal torace, con un marcato restringimento in corrispondenza

del collo. Gli occhi sono ben evidenti, e raggiungono un notevole sviluppo nella

generalità dei brachiceri, in questo sottordine infatti gli occhi composti formati da

diversi ommatidi si presentano marcatamente sviluppati fino a occupare gran parte della

zona laterale del capo. I ditteri comprendono due sottordini che si differenziano

principalmente sulla base della morfologia antennale: i nematoceri con antenne

(7)

6

massimo sei articoli. L'apparato boccale si presenta, a seconda dei gruppi sistematici,

pungente-succhiante (es. Culicidae), lambente-succhiante (Muscoidea) o succhiante (es.

Syrphidae). L'unico paio di ali è, di solito, interamente membranoso, completamente

trasparente e incolore, in alcuni casi mostrano pigmentazioni zonali utili ai fini del

riconoscimento così come lo sono le nervature alari. Le zampe sono di tipo

ambulatorio, relativamente sottili rispetto al corpo. La morfologia dell'addome è

sostanzialmente determinata dall'adattamento morfoanatomico, in entrambi i sessi, in

funzione della riproduzione, ad esempio nelle femmine, gli ultimi uriti si assottigliano e

si allungano formando un apparato telescopico estroflettibile, detto ovopositore di

sostituzione (cfr. Tremblay 1994b e bibliografia inclusa). La larva dei ditteri è di solito

apoda, ovvero senza zampe, anche se talvolta, specie nelle larve acquatiche, sono

presenti appendici assimilabili a pseudopodi. Le pupe dei ditteri possono essere obtecte

o exarate. Le prime hanno gli abbozzi delle ali e delle zampe visibili ma appressati al

resto del corpo; le seconde hanno le appendici avvolte da una cuticola propria e sono

perciò staccabili dal resto (Pollini 2002). Lo sviluppo postembrionale è di tipo

olometabolico o, in alcuni casi, ipermetabolico. Caratteristica ricorrente fra i ditteri è la

notevole brevità del ciclo di sviluppo, aspetto di particolare problematicità nel caso di

ditteri dannosi o nocivi, in quanto ne rende difficile il controllo in caso di

avvicendamento di numerose generazioni. Le larve vivono negli ambienti più disparati:

nel terreno, nell'acqua, nei materiali in decomposizione, nei nidi di insetti sociali e,

infine, all'interno di altri organismi. Quelle fitofaghe vivono ugualmente all'interno di

mine, scavate per lo più all'interno di foglie, frutti, steli e radici carnose, oppure

all'interno di galle. Spesso gli adulti di questi insetti sono ottimi volatori: grazie alla

complessa struttura anatomica e morfologica dell'apparato di volo possiedono una

(8)

7

dieta liquida, spesso glicifaga o anche ematofaga, infatti a prescindere dall'eterogeneità

morfologica, gli apparati boccali sono adattati ad assumere esclusivamente liquidi (cfr.

Tremblay 1990). L'ordine ha un'importanza notevole in molteplici contesti, dall'ambito

scientifico a quello medico, dall'alimentare all'agricolo, dall'ecologico al

biotecnologico. L'interesse medico coinvolge direttamente i ditteri ematofagi e, più in

generale, gli zooparassiti che possono trasmettere agenti patogeni o allergeni oppure

inoculare larve sottopelle. L'interesse igienico-sanitario riguarda per lo più diversi

muscoidi commensali dell'uomo, questi alternano la frequentazione di ambienti e

substrati malsani (ad esempio rifiuti, escrementi) alla presenza negli ambienti domestici

dove possono diffondere microrganismi patogeni agenti di febbri o affezioni

gastrointestinali. Non meno importante è l'interesse agrario di quest’ordine, dovuto alla

presenza di diversi ditteri fitofagi, dannosi allo stadio di larva, facenti parte di varie

famiglie quali Tephritidae, Agromyzidae e Cecidomyiidae. A seconda della sua

biologia la larva può provocare la formazione di galle, causare delle mine all’interno

dei frutti o delle foglie. Le specie di maggiore rilevanza economica rientrano nella

famiglia dei tefritidi e causano danni di grande entità sulle produzioni frutticole,

arrivando anche alla perdita dell'intero raccolto e rappresentano autentici flagelli per la

loro aggressività sulle colture (cfr. Servadei et al. 1972). Ne sono un esempio Ceratitis

capitata Wiedemann (mosca mediterranea della frutta) o, appunto, B. oleae (mosca

delle olive) considerate tra i fitofagi più dannosi nella regione mediterranea. La

maggioranza delle larve di dittero svolgono un ruolo utile in natura essendo

fitosaprofaghe o zoosaprofaghe e, dunque, le si ritrovano comunemente in tutti i

substrati organici in via di decomposizione, quali rifiuti, carogne, ecc. La stessa mosca

domestica, allo stadio larvale, è un organismo saprofago. Esistono tuttavia alcuni

(9)

8

questo ambito si citano, fra gli altri, la mosca del formaggio (anche se sfruttata per

produzioni casearie di nicchia come il “casu marzu” sardo), le Drosophila dannose alla

frutta, o alcuni Sarcophagidae e Calliphoridae dannosi alle carni (Pollini 2002). Alcune

famiglie di ditteri sono oggetto di applicazione come organismi ausiliari sia in lotta

biologica sia in lotta integrata. L'attività antagonista dei ditteri entomofagi si svolge in

due diversi modi, come predatori (ad esempio i Syrphidae, predatori di afidi) e come

parassitoidi endofagi (come i Techinidae, antagonisti dei lepidotteri), in entrambi i casi

a livello di larva. Nell'ambito delle biotecnologie va infine citata la Drosophila

melanogaster, organismo modello nel campo della ricerca genetica e biologica e

oggetto di studio da circa un secolo (cfr. Tremblay 1990). B. oleae è un dittero

brachicero appartenente alla famiglia dei tefritidi. I tefritidi sono principalmente diffusi

nelle regioni temperate calde e nelle regioni tropicali. La maggioranza delle specie ha

una diffusione circoscritta e riveste un ruolo significativo solo a livello locale, tuttavia

alcune specie hanno una grande importanza economica per la diffusione su più

continenti e per l'entità dei danni arrecati. Fra le specie di maggiore importanza

economica corre l’obbligo di citare il principale fitofago dell'olivo nel bacino del

Mediterraneo, la mosca delle olive (B. oleae), e la mosca mediterranea della frutta (C.

capitata), che per la sua notevole polifagia è uno dei più temibili fitofagi per la

frutticoltura nelle regioni temperate calde e tropicali di tutti i continenti, o ancora la

mosca orientale della frutta (Bactrocera dorsalis), molto dannosa nell'estremo oriente.

La famiglia dei tefritidi è suddivisa in sei sottofamiglie (Blepharoneurinae, Dacinae,

Phytalmiinae, Tachiniscinae, Tephritinae e Trypetinae) e comprende circa 500 generi

con circa 5000 specie (White e Elson-Harris 1992). Molti tefritidi hanno un grande

interesse in campo agrario perché rientrano fra i principali fitofagi di diverse piante

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9

“mosche della frutta”. Morfologicamente parlando i tefritidi hanno un capo ipognato

che porta due occhi laterali bene evidenti anche frontalmente e spesso con riflessi a

colori vivaci (verde, rosso, blu). Le antenne sono aristate. L'apparato boccale è

lambente-succhiante. Nel torace sono particolarmente sviluppati i tergiti del mesotorace

mentre pronoto e metatorace sono poco sviluppati. Le ali mostrano caratteri di notevole

importanza ai fini tassonomici, sia per la distinzione dei tefritidi dagli altri ditteri, sia

per il riconoscimento delle singole specie. La caratteristica comune a tutti i tefritidi è il

decorso della nervatura subcostale dell'ala che si piega a 90°; mentre per il

riconoscimento della specie è molto utile osservare il numero e la posizione delle

caratteristiche macchie sulle ali (cfr Tremblay 1994b e bibliografia inclusa). Nella

femmina il settimo urite è molto sviluppato e contribuisce alla formazione di un

oviscapo rigido e conico che ha funzione protettiva nei confronti del vero ovopositore,

composto dagli uriti VIII e IX, a forma di trivella ottimizzata per la perforazione dei

tessuti vegetali. Una volta praticato un foro nel substrato idoneo mediante

l’ovopositore, comunemente un tessuto vegetale, la femmina inizia a ovideporre.

L'uovo generalmente si presenta stretto e affusolato, con superficie liscia. Nelle specie

carpofaghe il numero di uova deposte dalla femmina varia in funzione della dimensione

del frutto: un solo uovo nei piccoli frutti, più di uno nei grandi frutti. Le larve,come

accade spesso tra i ditteri, sono apode, inizialmente hanno una colorazione bianca che

diventa man mano color crema nelle fasi mature. In diverse specie la larva ha la

capacità di spiccare salti con lo stesso meccanismo dei piofilidi: il corpo si piega in

modo da afferrare con gli uncini boccali l'estremità dell'addome, rilasciando la presa

bruscamente l'intero corpo funziona come una piccola molla (Servadei et al. 1972). Le

pupe sono protette all'interno del pupario, un involucro ellissoidale formato dall'esuvia

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all'esterno dell'organo attaccato, oppure all'interno. Nel primo caso la larva esce

dall’organo attaccato prima di impuparsi, nel secondo caso la larva prepara nel

substrato attaccato un foro di sfarfallamento per la fuoriuscita dell'adulto. In realtà

nonostante il nome comune, solo un terzo delle specie di tefritidi ha larve carpofaghe e,

pertanto, sono effettivamente mosche della frutta. Esistono, dunque, generi con larva

propriamente carpofaga (es. Ceratitis, Bactrocera o Dacus, Rhagoletis) altri che allo

stadio larvale vivono, spesso come galligeni, nei capolini delle composite e delle labiate

(es. Urophora, Tephritis, Myopites, Aciura) o da fillominatrici (es. Euleia, Trypeta),

altri ancora con larve rizofaghe (es. Oxyna, Spathulina). Inoltre esistono anche casi di

specie carpofaghe con tendenze antofaghe (es. Bactrocera cucurbitae) (cfr. Tremblay

1994b e bibliografia inclusa). B. oleae è una specie polivoltina e oligofaga, la cui larva

è una minatrice della drupa dell'olivo, colpisce in modo massiccio ed è infatti

considerata l'avversità più grave a carico dell'olivo arrivando a condizionare

sensibilmente l'entità e la qualità della produzione nella maggior parte dell'areale di

coltivazione (Canale e Raspi 2009).

3.1. Morfologia

L'uovo è di forma oblunga, il lato lungo ha dimensioni di 0,7-1,2 mm circa,

leggermente appiattito al ventre, con un piccolo tubercolo micropilare biancastro,

importante per la respirazione dell'embrione. Essendo un tefritide la larva è apoda, di

forma allungata, più ristretta nella parte anteriore. La larva sviluppa attraverso tre stadi

(larva di 1ª, 2ª e 3ª età). La diversa conformazione degli stigmi anteriori consente di

discriminare le larve della 2ª e 3ª età, mentre la larva di prima età è metapneustica, cioè

provvista di un solo paio di stigmi posteriori. Una volta giunta a età matura la larva è

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raggiunto una forma subconica. Le mandibole sono uncinate e presentano lobi orali

percorsi da 10-12 solchi preceduti da ciascun lato da un sensillo placoideo simile a

quello della larva di C. capitata. Gli stigmi anteriori hanno 9-10 lobi. Una volta giunta

a maturità la larva si impupa, questo stadio della vita dell’insetto si svolge all'interno

del pupario, ovvero una capsula ellittica formata dalla trasformazione dell'esuvia

dell'ultima età larvale. Il pupario è lungo 3,5-4,5 mm, inizialmente di colore

bianco-crema vira verso il giallo-rossastro, quand'è asciutto. Il cambiamento di colore del

pupario ci permette di poter stabilire l'età delle pupe. Completato lo stadio di pupa dal

pupario sfarfallano gli adulti che sono lunghi 4-5 mm (cfr. Tremblay 1994b).

Distinguere B. oleae dagli altri tefritidi presenti sul territorio italiano è operazione

relativamente semplice data la caratteristica piccola macchia scura all'apice dell'ala e

l'estensione della cellula anale o cellula cup (sempre sull’ala), stretta e allungata. Ad

una prima occhiata, in questa specie, non si nota dimorfismo sessuale; ad

un’osservazione più dettagliata emergono, tuttavia, differenze fra esemplari maschi e

femmine. L'adulto (Foto 1) maschio presenta nell'ala un indurimento all'apice della

cellula anale, il cui tratto ristretto è più lungo che nella femmina (Delrio 1992). L'adulto

femmina ha il capo giallastro con due nette macchie circolari sotto le antenne vicino

all'occhio verde-bluastro; il torace può presentare macchiette variabili al posto del

consueto disegno a fasce e linee, il mesonoto è grigio-bluastro mentre le aree

mesopleurali e metapleurali e il mesoscutello sono di colore avorio; l'addome è castano

chiaro con macchiettatura variabile e non sempre ben visibile; l'ovopositore, lungo 4-5

mm è ben visibile, invaginato in parte sotto la protezione offerta dal VII urite nerastro

che ha anche funzione di oviscapo. In B. oleae var. asiatica Silvestri tutto il corpo è

giallastro e su di esso spiccano intensamente le fasce e le linee scure del mesonoto (cfr.

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12

3.2. Ciclo di sviluppo

B. oleae sverna come pupa ibernante. A inizio primavera, quando le temperature non

scendono sotto i 9°C, sfarfalla la nuova generazione che inizierà ad ovideporre solo in

estate inoltrata, quando l'oliva ha almeno un diametro di 7-8 mm. Il periodo che

intercorre tra la comparsa dei primi esemplari a primavera e l’inizio delle oviposizioni è

chiamato “periodo bianco”. In questo tempo, ma non solo, avvengono gli

accoppiamenti. L'ovideposizione avviene praticando una puntura con l'ovopositore

sull'oliva e deponendo un solo uovo per ogni cavità procurata. Un effetto ottico da alla

puntura di B. oleae una caratteristica sagoma triangolare. Per cercare di conoscere da

quanto tempo sia in atto l’infestazione della coltura è utile ricordare che una puntura

fresca ha un colore verde scuro, mentre le punture vecchie hanno un colore

bruno-giallastro a seguito della cicatrizzazione della ferita (Delrio 1992). La schiusura

dell'uovo, secondo il periodo dell’anno, avviene dopo 2-3 giorni dalla deposizione nel

periodo estivo fino ad arrivare nel periodo autunnale a una decina di giorni. La larva

neonata scava inizialmente una galleria superficiale, ma in seguito si sposta in

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13

profondità nella polpa fino ad arrivare al nocciolo, che in ogni modo non viene

intaccato. La larva all’interno del frutto compie ben due mute con conseguente

incremento delle proprie dimensioni. La larva di III età che si prepara alla terza muta si

sposta verso la superficie e prepara il foro d’uscita, dal quale sfarfallerà l'adulto,

rodendo la polpa fino a lasciare un sottilissimo strato superficiale (Canale e Raspi

2009). È in questa fase che l'oliva mostra i sintomi più evidenti dell'attacco perché si

presenta più scura in corrispondenza della mina. Inoltre il sottile strato residuo del

frutto in corrispondenza del foro di uscita assume un aspetto traslucido. La pupa resta

quindi quiescente nella cavità praticata, protetta all'interno del suo pupario, che altro

non è che l'esuvia dell’ultima età larvale. Raggiunta la maturità l'adulto rompe l'esuvia

e fuoriesce dal pupario. Con una pressione rompe la pellicola superficiale lasciata dalla

larva e sfarfalla lasciando il foro di uscita. È interessante notare come nel tardo autunno

e in inverno il comportamento della specie cambia: una larva che giunge a maturazione

in questo periodo fuoriesce dall'oliva e si lascia cadere nel terreno dove avviene

l'impupamento e dove trascorrerà il periodo freddo (pupe svernanti) (Delrio 1992;

Tremblay 1994b e bibliografia inclusa). Gli adulti hanno un regime alimentare glicifago

e si nutrono principalmente di melata. Questo tipo di dieta li espone a carenze di

proteine e per questo motivo devono reperire sostanze azotate, quali gli escrementi

degli uccelli, allo scopo di bilanciare il fabbisogno proteico. È stato dimostrato che

molte specie orientali di Bactrocera siano legate alla presenza di batteri epifiti come

alimento proteico, si pensa che anche B. oleae integri la propria dieta con dei batteri.

Questa loro necessità può essere sfruttata a nostro vantaggio nei programmi di lotta e di

monitoraggio che utilizzano come attrattivi le proteine idrolizzate e i sali d'ammonio

(15)

14

3.3. Esigenze ambientali

Il ciclo biologico della specie è strettamente legato alle condizioni ambientali che si

verificano, in particolare l'andamento climatico e le caratteristiche delle olive. Una

buona azione di monitoraggio della popolazione e la conoscenza di questi parametri

sono requisiti necessari per attuare efficaci programmi di lotta integrata. Il fattore

climatico che più influisce sul normale svolgimento del ciclo di B. oleae è sicuramente

la temperatura; una certa influenza è da attribuire anche all’umidità (Servadei et al.

1972). La durata delle singole fasi biologiche in funzione della stagione, e quindi della

temperatura, è riassunta nella seguente tabella:

Stadio Estate Autunno-Inverno

Uovo 2-3 giorni 10 giorni (autunno) Larva 10-13 giorni 20 giorni o più Pupa 10 giorni Fino a 4 mesi (pupe

svernanti) Adulto Anche diversi mesi

In base alle condizioni climatiche la durata della fase giovanile varia perciò da un

minimo di circa 3 settimane ad un massimo di 5 mesi nella generazione svernante.

La temperatura gioca un ruolo chiave anche per ciò che riguarda la vitalità e i ritmi di

riproduzione (Canale e Raspi 2009). È stato dimostrato che con temperature superiori ai

30 °C si verifica il riassorbimento dei follicoli ovarici e si riduce così la fecondità delle

femmine per cui una femmina arriva a deporre mediamente 2-4 uova al giorno in piena

estate e 10-20 uova in autunno. Se addirittura le temperature si mantengono sopra i 32

°C per diverse ore al giorno si assiste a mortalità superiori anche all'80% delle uova e

delle larve di I età. Le basse temperature hanno invece un'importanza decisamente

limitata non tanto perché la mosca delle olive riesca a tollerare il freddo ma piuttosto

(16)

15

nord, tipicamente non si registrano inverni rigidi. In ogni caso la vitalità della specie

inizia ad essere compromessa quando le temperature scendono al di sotto di 0 °C. In

generale si può dire che sono ottimali le temperature comprese fra i 20 °C e i 30 °C sia

per le oviposizioni sia per lo sviluppo larvale, insieme con un decorso climatico umido

(cfr. Tremblay 1994b e bibliografia inclusa). Un altro fattore ambientale di controllo è

rappresentato dalla qualità del substrato di deposizione e quindi dalle caratteristiche

intrinseche delle olive e dalla fase fenologica della pianta. Le femmine sono capaci di

percepire il grado di recettività dell'oliva, questa capacità permette loro di scegliere le

olive più adatte, infatti scelgono il frutto sulla base di stimoli visivi (dimensione e

colore), stimoli olfattivi e, sembra, la presenza di determinate specie batteriche

(Capuzzo et al. 2005). A causa di questo tipo di comportamento sono frequenti,

soprattutto in piena estate, le punture sterili, provocate dalle femmine per saggiare la

recettività dell'oliva. L'etologia della mosca è un aspetto al quale si sta rivolgendo una

particolare attenzione negli ultimi anni per studiare metodi di lotta preventiva basati

sull'impiego di prodotti repellenti (es. rame, caolino) (Perri et al. 2005). I fattori che

hanno la maggiore influenza sullo sviluppo larvale sono invece la consistenza della

polpa e soprattutto dalle dimensioni della drupa. Le olive da mensa sono più grandi di

quelle da olio e questo permette di contenere la mortalità estiva poichè la larva ha la

possibilità di sfuggire agli effetti letali delle alte temperature migrando in profondità.

La consistenza della polpa è invece un carattere intrinseco di ogni varietà, ne consegue

che la scelta di una cultivar piuttosto che un’altra può risultare una scelta decisiva per la

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3.4. Dinamica di popolazione

A differenza di altre specie, la successione delle generazioni di B. oleae non è

rigidamente scandita, infatti nell'arco di un anno si possono avere in genere da 3 a 5

generazioni, ma in molte annate si può assistere alla nascita anche di una sesta

generazione, che si sviluppa in primavera sulle olive non raccolte rimaste sull'albero.

In questa specie, cosa non comune nei tefritidi, la femmina emette un feromone per

attirare il maschio (1,7-dioxaspiro-5,5-undecano), detto anche olean. Anche i maschi

emettono una sostanza [(Z)-9-tricosene], nota come muscalure; i maschi, inoltre, si

riuniscono in lek e corteggiano le femmine con courtship songs (Benelli et al. 2012).

L'entità della popolazione varia nel corso dell'anno (Fig. 1), ma si riscontrano sempre

due picchi: il primo in piena primavera, in corrispondenza degli sfarfallamenti degli

adulti della generazione svernante; il secondo, più intenso, all'inizio dell'autunno

quando le olive presentano il massimo grado di recettività, le temperature si abbassano

leggermente e il clima diventa più piovoso (Rice et al. 2003).

Fig. 1 La dinamica di una popolazione di Bactrocera oleae nel corso

(18)

17

3.5. Fattori condizionanti lo sviluppo

La predisposizione agli attacchi della mosca è legata a diversi fattori, sia intrinseci sia

estrinseci. I principali fattori di predisposizione sono di natura climatica (temperatura e

piovosità), questi non sono gestibili e perciò possono verificarsi differenze anche

marcate di anno in anno nonostante una gestione dell’oliveto sempre identica. Tuttavia

non vanno trascurati altri fattori di natura genetica o agronomica (Delrio e Lentini

2003). In generale le condizioni ambientali migliori per la prosperità della mosca sono

le seguenti:

• Regime termico moderato con temperature non superiori ai 32-34 °C;

• Clima umido;

• Cultivar precoci;

• Cultivar da mensa o a duplice attitudine;

• Coltivazione in regime irriguo.

In virtù di quanto detto, le regioni meridionali saranno meno soggette ad attacchi

rispetto a quelle settentrionali e, le regioni costiere verranno meno colpite di quelle più

interne. In linea di massima in estate si verificano le infestazioni generalmente

contenute ad eccezione degli ambienti più freschi e delle cultivar più sensibili; i picchi

dell'infestazione si manifestano a partire dal mese di settembre fino all'arrivo dei primi

freddi, soprattutto con stagioni piuttosto piovose. L’olivo è una pianta particolarmente

predisposta all’alternanza di produzione, questo fenomeno è in rapporto proporzionale

inverso con l’intensità degli attacchi. In genere gli attacchi sono più intensi nelle annate

di scarica (bassa produzione) e più contenuti in quelle di carica (alta produzione). Le

(19)

18

parte agronomiche. Nelle annate di carica la raccolta lascia in dote un cospicuo numero

di drupe sull’albero non raccolte, che fungono da serbatoio per lo svernamento delle

forme giovanili, questo genera un massiccio picco di popolazione in corrispondenza

degli sfarfallamenti primaverili che significa un alto potenziale riproduttivo e dunque

attacchi più intensi nell’annata che sarà di scarica. Alla fine della stagione di scarica i

siti idonei allo svernamento saranno limitati poiché poche olive rimangono sull’albero e

di conseguenza il numero di adulti in primavera risulta contenuto e gli attacchi più

tardivi (cfr. Delrio 1992).

3.6. Areale di distribuzione

Questa specie è infeudata alle piante del genere Olea e, in particolare, a Olea europea

L. ma non disdegna comunque O. europea L. var. silvestris (oleastro). È presente in

tutto il bacino del Mediterraneo, nel Sudafrica e dalla fine degli anni novanta è

segnalata anche in California così, probabilmente, si è diffusa ovunque vi sia la

presenza di olivicoltura (Pollini 2002). L'incidenza dei suoi attacchi, seppur sempre

piuttosto elevata, è variabile in funzione dell’ambiente, risultando più accentuata nelle

regioni più umide e più fresche, e in funzione della varietà coltivata, in generale

sembrano essere meno colpite le cultivar da olio (Delrio e Lentini 2003).

3.7. Danni

I danni causati dalla mosca dell'olivo sono congiuntamente di due tipi: quantitativo e

qualitativo. Sotto l'aspetto quantitativo il danno è causato principalmente dalle larve di

II e, soprattutto, di III età che sottraggono una parte considerevole della polpa con

conseguente riduzione della resa in olio. Inoltre una parte della produzione si perde

(20)

19

e le mine scavate dalle larve di I età non hanno riflessi significativi sulla resa. Le olive

da mensa, invece, sono più suscettibili dal momento che il danno anche se soltanto

estetico (punture sterili) si traduce in un immediato deprezzamento della materia prima

fino a causarne lo scarto dalla linea di produzione. Sotto l'aspetto qualitativo l’azione

minatrice delle larve, soprattutto di III età, causa un considerevole scadimento della

qualità dell'olio estratto dalle olive. L'olio ottenuto da olive bacate ha una spiccata

acidità (espressa in acido oleico, dal 2% al 10% secondo la percentuale d'infestazione) e

una minore conservabilità in quanto presenta un numero di perossidi più elevato.

Tuttavia è stato recentemente mostrato che, in condizioni di raccolta e lavorazione

ottimali, è possibile tollerare una certa quota di infestazione dannosa alla raccolta (fino

al 10-20%) senza significative conseguenze sul prodotto finale (Gucci et al. 2012). Gli

attacchi di B. oleae possono generare deprezzamenti qualitativi più o meno gravi dovuti

all'insediamento di muffe attraverso i fori di sfarfallamento. Questo peggioramento

qualitativo si evidenzia in modo notevole negli olii ottenuti da olive infestate raccolte

(21)

20

4. METODI DI CONTROLLO

4.1. Cenni storici

La necessità di azzerare, o comunque controllare, l’incidenza degli attacchi di B. oleae

si è resa evidente già ai primi olivicoltori. La dannosità di questo insetto per la coltura

dell’oliva è stata da subito fin troppo evidente e, dunque, si può anche dire che i primi

rudimentali tentativi di lotta alla mosca siano comparsi praticamente insieme alla

mosca. Tuttavia per avere i primi riscontri bibliografici si è dovuto attendere la fine del

1800. Girolamo Caruso, che fu preside di facoltà a Pisa dal 1872 al 1917, nella sua

“Monografia dell’olivo” (1883) è stato uno dei primi autori a soffermarsi a descrivere i

danni della "mosca olearia". Oltre a ciò Caruso descrive anche attentamente tutti gli

stadi del ciclo biologico dell’insetto, ponendo particolare attenzione alle larve e ai danni

che provocano. I rimedi suggeriti dall’autore sono, alla luce dei successivi sviluppi,

molto empirici; precorrendo sorprendentemente i tempi Caruso ha avuto l’indubbio

merito di suggerire agli agricoltori del tempo anche quella che definisce una lotta

congiunta e coordinata. Secondo la nomenclatura in uso all’epoca Caruso chiama

l'insetto con il nome di Dacus olae (Fabr.), inoltre fornisce anche altre denominazioni

scientifiche proposte da altri autori dell’epoca e i nomi in vernacolo, queste sono:

Musca oleae (Rossi, Lin., Gmelin, Fabr., Petagna, Olivier)

Tephritis olea (Latr., Risso)

• Chiron, keirun, mouche de l'olive, ver de l'olive, nella Francia Meridionale

• Mosca dell'oliva, mosca olearia, verme dell'oliva, baco dell'oliva, pidocchina nelle varie regioni italiane.

(22)

21

Da allora fino ad oggi nel campo della lotta agli insetti dannosi in agricoltura sono stati

compiuti molti studi e fatte molte scoperte che hanno consentito enormi passi avanti.

Oggi non solo abbiamo a disposizione diversi strumenti e prodotti ma abbiamo anche la

possibilità di scegliere in base al tipo di approccio che vogliamo seguire. Esistono

strategie di lotta chimica, biologica e integrata (cfr. Saltini 1989).

4.2. Lotta chimica

La lotta chimica agli insetti prevede l’attuazione del controllo dell’infestazione

mediante l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi. Gli interventi di lotta chimica alla

mosca dell'olivo, come per gli altri insetti, possono essere indirizzati a colpire la

popolazione allo stadio larvale oppure possono essere trattamenti preventivi contro gli

adulti. Di norma, quando sia possibile, un trattamento larvicida è da preferirsi ad uno

adulticida per la sua maggiore efficacia e per il fatto che, colpendo le larve, si contiene

anche la successiva generazione di adulti (cfr. Tremblay 1994b e bibliografia inclusa).

4.2.1. Lotta chimica larvicida

Il trattamento larvicida si effettua secondo i criteri della lotta integrata.

Lotta integrata: in questo caso s'interviene non sulla base di andamenti storici

medi ma solo al superamento di una soglia di intervento, dunque un criterio

molto più oggettivo. Il concetto di “soglia di intervento” significa che fino a che

la popolazione larvale non supera un certo numero di individui la presenza

dell’insetto è tollerata, in quanto non significativa da un punto di vista

economico. I punti cardine della questione diventano il monitoraggio della

(23)

22

(Viggiani 1977). Questa soglia può essere stimata rilevando periodicamente (ad

esempio ogni settimana) il numero di infestazioni attive (punture fertili e larve

di I e II età). In questo caso la soglia d'intervento consigliata è il 10-15% di

infestazione attiva per le cultivar da olio e il 5% per le cultivar da mensa (Gucci

et al. 2012). Il campionamento si effettua settimanalmente prelevando

casualmente 100-200 olive su un'ampia superficie, una sola oliva per pianta ad

altezza d'uomo, sulle quali va rilevata la presenza di uova e di larve di I e II età

vive. L'eventuale presenza di fori di sfarfallamento, di larve di III età e di pupe

non va computata ai fini del calcolo della soglia di intervento in quanto il danno

è ormai verificato e il trattamento sarebbe inutile (infestazione dannosa).

Una volta raggiunta e superata la soglia di intervento si effettuano i trattamenti

curativi irrorando le chiome con insetticidi citotropici o sistemici a base di diversi

principi attivi:

Imidacloprid (C9H10ClN5O2): è un principio attivo con proprietà sistemiche,

in particolare è dotato di una doppia sistemia, sia acropeta che basipeta. Fa

capo alla classe dei neonicotinoidi ed ha, dunque, una struttura simile a

quella della nicotina. Ha un’azione neurotossica indiretta andando a legarsi

irreversibilmente ai recettori post-sinapsici dell’acetilcolina. Può assumere

diverse forme cristalline variando anche le sue proprietà cromatiche. Dato il

suo ampio spettro d’azione è considerato uno dei più diffusi insetticidi di

nuova generazione. Tra i prodotti commerciali a base di Imidacloprid si

ricordano Confidor e Pre-Empt. Risulta poco tossico nei confronti

(24)

23

sulla fauna acquatica e su diverse specie di volatili già a concentrazioni

molto basse (Mullins 1993).

Dimetoato (C5H12NO3PS2): è il principio attivo più usato per la sua efficacia

e per il costo relativamente contenuto come insetticida di contatto contro

diversi raggruppamenti di insetti fitofagi, ma in particolare ha trovato

tradizionalmente impiego nella protezione dell'olivo e dei fruttiferi contro le

larve carpofaghe, in particolare quelle dei ditteri tefritidi come B. oleae. Il

Dimetoato è un insetticida della classe dei fosforganici, il formulato

commerciale più diffuso a base di Dimetoato è il ROGOR. Si ritiene che

questo principio attivo sia preferibile ad altri perché, essendo abbastanza

idrosolubile, lascerebbe pochi residui nell'olio di oliva in quanto passerebbe

direttamente nelle acque di vegetazione. Il diffuso impiego di questo

prodotto, talora eccessivo, ha portato in passato ad una revisione restrittiva

degli ambiti d'impiego (ad esempio, la revoca delle autorizzazioni per

l'impiego in frutticoltura, con alcune eccezioni) e nel prossimo periodo sono

previsti, per l'Italia, ulteriori provvedimenti restrittivi che coinvolgeranno la

stessa olivicoltura (Muccinelli 1997). Il Dimetoato è un insetticida ad azione

citotropica, leggermente translaminare, che penetra con facilità e rapidità nei

tessuti vegetali. Per queste ragioni è un prodotto adatto per il controllo degli

insetti fitofagi minatori che attaccano i frutti e le foglie, inoltre in virtù della

sua citotropicità ha anche un impatto moderato su una parte

dell'entomofauna utile. Si fa apprezzare anche perché ha la capacità di

sfuggire al dilavamento da parte della pioggia fatta eccezione per le prime

ore dopo il trattamento. Sembra che esista una certa fitotossicità, non a

(25)

24

come Frantoio. Sugli insetti agisce per contatto e per ingestione svolgendo

un'attività neurotossica, è infatti un inibitore della acetilcolinesterasi,

pertanto interferisce con la trasmissione degli impulsi nervosi andando a

bloccare la trasmissione dell’impulso a livello delle sinapsi. Attualmente la

legislazione ne permette l’utilizzo su olivo contro la mosca; sugli agrumi,

solo su piante non in produzione, contro afidi, cocciniglie e acari; su

asparago contro afidi e mosca dell'asparago e in generale su diverse

coltivazioni erbacee (fra cui frumento, barbabietola, pomodoro, tabacco)

(Ruiz Torres e Montiel Bueno 2002).

Phosmet (C11H12NO4PS2): è un composto eterociclico della categoria dei

fosforganici impiegato come insetticida in agricoltura. Questo principio

attivo è indicato per combattere insetti ad apparato boccale

pungente-succhiante (rincoti), minatori delle foglie, dei frutti e dei rametti (ditteri,

lepidotteri) e defogliatori in generale (lepidotteri e coleotteri), inoltre svolge

un'azione secondaria e collaterale sugli acari. Il Phosmet ha azione

neurotossica indiretta considerata la sua attività esercitata come inibitore

dell'acetilcolinesterasi a livello di sinapsi (The Merck Index 2006). È un

composto citotropico ed agisce sia per contatto sia per ingestione; è poco

selettivo e possiede una discreta persistenza. In Italia è autorizzato sulle

drupacee, sulle pomacee, sugli agrumi, sull'olivo e sulla patata. Il Fosmet è

ritenuto di tossicità moderata, tuttavia per la sua azione anticolinesterasica è

un prodotto che mantiene una discreta pericolosità anche per l’uomo in

quanto può essere assunto per inalazione, per assorbimento attraverso la

pelle e per ingestione. Se assunto può causare vertigini, nausea, difficoltà

(26)

25

esplica un'azione dannosa sull'entomofauna utile, in particolare nei confronti

delle api, è nocivo anche nei confronti degli organismi acquatici (Muccinelli

1997).

Deltametrina (C22H19Br2NO3): è un principio attivo acaricida della categoria

dei piretroidi. La Deltametrina ha una bassa selettività e colpisce

indiscriminatamente sia gli insetti che le forme mobili degli acari, agendo

per lo più per contatto. Caratteristica di questo principio attivo è la buona

persistenza sulla pianta, data dalla sua fotostabilità, e l’alto potere

abbattente. Essendo un piretroide ha azione neurotossica diretta che si

manifesta con una paralisi pressoché immediata dell’insetto. Nella lotta alle

larve di B. oleae non è efficacissimo in quanto non penetra nei tessuti ma è

piuttosto diffuso in frutticoltura e vivaismo come prodotto di copertura,

molto usato anche per la disinfestazione delle granaglie immagazzinate

(Muccinelli 1997). Dato l’alto potere abbattente si presta anche all’utilizzo

come biocida per esche avvelenate e trappole. Il suo impiego deve essere

oculato, data l’alta persistenza nell’ambiente e la bassa selettività. È nocivo

per gli organismi acquatici (Hamard et al. 2001).

Esistono inoltre dei principi attivi estratti chimicamente da matrici naturali, fra essi:

Piretrine: sono un gruppo di composti estratti dal capolino di una specie di

crisantemo (Chrysanthemum cinerariaefolium). Da un punto di vista

chimico sono esteri degli acidi piretrico e crisantemico che, legandosi con

piretrolone, jasmolone e cinerolone, formano Piretrina I e II, Cinerina I e II

e Jasmolina I e II. L’effetto insetticida si verifica con un’azione neurotossica

(27)

26

nervosi continui. Se usate nelle giuste dosi le Piretrine hanno anche un

effetto knockdown ovvero l’insetto, una volta entrato in contatto con il

principio attivo, cade immediatamente a terra stordito. Queste sostanze sono

piuttosto termolabili e fotolabili, dunque si degradano velocemente. Data

l’alta degradabilità le Piretrine si utilizzano associate a dei composti

sinergizzanti che di per se non hanno azione insetticida, il più usato è il

piperonil- butossido (cfr. Muccinelli 1997).

Azadiractina: è un limonoide estratto dai semi dell'albero di Neem

(Azadirachta indica) impiegato in agricoltura come insetticida, acaricida e

nematocida. La sua efficacia nei confronti della mosca dell'olivo non è stata

ancora sufficientemente accertata. L'Azadiractina agisce sia per ingestione

che per contatto. L'Azadiractina si comporta sia come sostanza juvenoide,

inibendo quindi la metamorfosi poiché mima la presenza dell'ormone

giovanile, la neotenina; tuttavia, può agire come inibitore della muta,

bloccando la sintesi dell'ecdisone. Inoltre questo principio attivo esercita

anche attività fagorepellente, riducendo lo stimolo alla nutrizione e questo,

indirettamente, ha riflessi negativi sulla fecondità degli adulti e sulla fertilità

delle uova (Muccinelli 1997). Sulle piante ha un'azione translaminare,

perciò penetra all'interno dei tessuti vegetali, e, se assorbito per via radicale,

ha proprietà moderatamente sistemiche. Per le sue proprietà e per il basso

impatto, sia sulla salute che sull'ambiente, si è rivelato uno dei più

interessanti principi attivi da impiegare nell'agricoltura biologica. La

tossicità è molto bassa al punto da ritenere questo composto innocuo per

l'uomo e per i vertebrati, compresi i pesci. L'impatto ambientale di questa

(28)

27

confronti dell'entomofauna utile, comprese le api. Nel terreno viene

degradato in pochi giorni (Iannotta et al. 2006).

4.2.2. Lotta chimica adulticida

Come per la lotta larvicida il momento idoneo al trattamento può essere stabilito

preventivamente, a calendario, oppure al superamento di una soglia di intervento, di

solito piuttosto bassa (2-3 adulti per trappola a settimana). I trattamenti preventivi si

effettuano, generalmente, irrorando parte dell'oliveto con esche proteiche avvelenate

(cfr. Tremblay 1994b). Comunemente vengono trattate circa il 50% delle piante e solo

su una porzione della chioma, meglio se nella parte più alta e esposta a sud (Canale e

Raspi 2009). Questo tipo di interventi sfruttano il fatto che gli adulti, essendo glicifagi,

hanno la necessità di integrare nella loro dieta sostanze azotate per soddisfare il loro

fabbisogno proteico. Le sostanze utilizzate come esche per le mosche sono proteine

idrolizzate e avvelenate con un principio attivo insetticida. I prodotti più diffusi per

questo tipo di intervento basano la loro efficacia sull’azione di:

Dimetoato: principio attivo della classe dei fosforganici, utilizzato anche per

la lotta larvicida.

Spinosad: è un principio attivo di origine naturale ad ampio spettro d'azione,

estratto dai prodotti dal metabolismo di colture artificiali dell'attinomicete,

normalmente presente nel terreno, Saccharopolyspora spinosa. La

produzione industriale delle spinosine si svolge su biomasse microbiche

artificiali coltivate su appositi substrati. Chimicamente parlando non si tratta

di un solo principio attivo, bensì della miscela di due tossine prodotte dal

(29)

28

spinosina B. Queste tossine appartengono ad una categoria di sostanze ad

attività biocida ancora poco note, denominate genericamente spinosine

(Pollini 2002). Attive per contatto e ingestione, le spinosine interferiscono

con le trasmissioni sinaptiche, provocando un'ipereccitazione nervosa, che si

manifesta con convulsioni muscolari, seguita da paralisi. L'effetto

paralizzante si manifesta pochi minuti dopo l'assunzione e la morte nell'arco

di 1-3 giorni. Lo Spinosad può trovare impiego nel controllo dei tripidi, di

un'ampia gamma di lepidotteri carpofagi, fillominatori, e xilofagi, di alcuni

ditteri (agromizidi, cecidomidi, tefritidi), della metcalfa e delle cimici e nella

lotta adulticida contro alcuni coleotteri (es. dorifora della patata, oziorrinco).

Trova impiego nella lotta adulticida, mediante esche proteiche avvelenate,

nei confronti della mosca delle olive e della mosca mediterranea della frutta

(C. capitata). Inoltre avendo una moderata azione citotropica lo Spinosad si

presta anche per il controllo di fitofagi endofiti che non abbiano una

localizzazione troppo profonda. Dato l'impatto ambientale relativamente

basso, lo Spinosad è compatibile con la lotta integrata ed è inoltre

autorizzato in olivicoltura biologica (Regolamento CE n. 404 del 6 maggio

2008). Lo Spinosad ha una tossicità bassissima nei confronti dei mammiferi,

inferiore anche a quelli della maggior parte dei piretroidi, insetticidi

tipicamente destinati ad usi civili. Nei riguardi dell’artropodofauna utile le

spinosine sono, di norma, poco tossiche. Tuttavia per quanto concerne gli

apoidei, il prodotto mostra un'elevata tossicità finché le superfici trattate

sono umide (cfr. Muccinelli 1997). Il principio attivo è poco solubile in

acqua e poco volatile, perciò non presenta rischi di inquinamento

(30)

29

All'interno dei vegetali viene altresì rapidamente metabolizzato, riducendo

al minimo il rischio di accumulo di residui. Come tutti i principi attivi di

nuova generazione, lo Spinosad è un prodotto fitosanitario piuttosto costoso,

perciò il suo impiego è sostenibile solo per la difesa di colture in grado di

offrire una buona remunerazione e nei confronti di fitofagi di non facile

controllo con mezzi alternativi.

La lotta adulticida alla mosca delle olive con le esche proteiche avvelenate ha il

vantaggio di avere un basso impatto ambientale e un minor rischio di residui di principi

attivi nell’olio; inoltre, intervenendo sugli adulti, si possono prevenire le ovideposizioni

e bloccare le infestazioni sul nascere sempre a patto di agire nei modi e nei tempi ideali.

Il problema principale sta nel fatto che non sempre si rivelano efficaci come la teoria

vorrebbe, a causa dell’interferenza di molti altri fattori. In linea di massima, i

trattamenti con le esche proteiche sono efficaci sulle generazioni estive in zone a bassa

incidenza, mentre in settembre-ottobre è in genere necessario ricorrere ai trattamenti

larvicidi (Delrio e Lentini 2003). Negli ultimi anni la ricerca di metodologie di

interventi preventivi alternativi ha prodotto diversi risultati. Tra i prodotti testati hanno

fornito riscontri incoraggianti, tra gli altri, i fungicidi rameici e il caolino. Entrambi non

sono da considerare metodi risolutivi del problema ma sono interessanti in quanto

compatibili anche con la lotta biologica e la lotta integrata, perciò possono svolgere un

ruolo coadiuvante in una strategia di difesa integrata (Perri et al. 2005). È stato

riscontrato che il rame, pur essendo un anticrittogamico, esercita un'azione repellente

nei confronti della mosca, le cui femmine rivolgono preferibilmente la loro attenzione,

per le ovideposizioni, verso le olive non trattate. Alla base di questa azione preventiva

(31)

30

interferendo con la fisiologia dell'apparato digerente della larva stessa. Questi batteri,

che allo stato libero si trovano sulla superficie dei vegetali e su altri materiali, sono

assunti dalle femmine e trasmessi alla discendenza attraverso l'uovo. Questa

popolazione batterica avrebbe un effetto d'attrazione preferenziale nei confronti delle

mosche, da cui si spiegherebbe l'azione repellente (Capuzzo et al. 2005). Anche il

caolino ha un'azione repellente che sembra sia legata al fatto che questa sostanza, una

volta distribuita sulla chioma, alteri la percezione del colore delle drupe da parte delle

femmine (Perri et al. 2005).

4.3. Lotta biotecnica

La lotta di tipo biotecnico è quella effettuata mediante l’utilizzo di trappole, ovvero un

dispositivo in grado di attirare e catturare gli adulti. Una trappola per svolgere

efficacemente la propria funzione deve poter attirare esemplari di una determinata

specie e trattenerli o ucciderli. Esistono diversi tipi di trappole che si differenziano per

il tipo di attrattivo, per lo scopo prefisso e per il meccanismo d’azione (Pollini 2002).

Attualmente la lotta biotecnica è praticata per lo più a livello sperimentale o in aziende

pilota o ancora come coadiuvante della lotta integrata con l'uso delle trappole che,

secondo la funzione, si distinguono in due tipi:

Trappole per monitoraggio (trap-test): sono le tipiche trappole utilizzate per monitorare l'andamento della popolazione di adulti allo scopo di valutare il

raggiungimento della eventuale soglia di intervento. Il vantaggio rispetto al

monitoraggio diretto delle infestazioni è che il metodo, una volta tarato, si

presenta di particolare efficacia e di semplice attuazione e permette d'intervenire

(32)

31

picchi di volo si verifica la maggior frequenza degli eventi riproduttivi e, di

conseguenza, l'incremento delle infestazioni a distanza di un certo intervallo di

tempo. Il monitoraggio si esegue in genere rilevando le catture a cadenza

settimanale e intervenendo quando il numero di catture raggiunge un valore

critico, detto soglia di intervento. La densità nell’impianto dipende in gran parte

dal tipo di attrattivo usato; con trappole chemiotropiche saranno sufficienti da

una a quattro trappole a ettaro, mentre i dispositivi cromotropici vanno disposti

più fitti poiché hanno un minore raggio d’azione. Le trappole sono in materiale

plastico cosparse, di solito, di vischio entomologico (cfr. Pollini 2002).

Trappole per cattura massale (mass trap): sono impiegate per catturare in massa gli adulti in modo da abbatterne la popolazione fino a livelli tali da mantenere le

infestazioni sotto la soglia di intervento. La cattura massale è da intendere come

tecnica alternativa al trattamento chimico, tuttavia il ricorso a questa tecnica è

da consigliarsi solo se applicata su larga scala (Servadei et al. 1972). La densità

delle trappole deve essere elevata (una trappola per pianta con attrattivi sessuali

e/o alimentari) e questo rende l’operazione piuttosto onerosa. Si presta perciò

per programmi di lotta a livello comprensoriale, mentre offre risultati non

eccellenti se attuata su limitate estensioni. Fino agli anni novanta le trappole che

hanno offerto i migliori risultati erano di fabbricazione artigianale, realizzate in

legno impregnato con un insetticida concentrato dotato di forte potere

abbattente e di lunga durata (Delrio e Lentini 2003). Fra i vari insetticidi i

migliori risultati si ottengono con Deltametrina. Da qualche anno sono

disponibili in commercio anche trappole preparate su scala industriale (Ecotrap)

(33)

32

attrattivo, il feromone della mosca dell'olivo e il bicarbonato d'ammonio, usando

come insetticida la Deltametrina.

In generale, perché una trappola svolga la meglio la sua funzione è necessario che sia

innescata con un buon attrattivo al fine di richiamare gli insetti della specie bersaglio;

essenzialmente gli attrattivi impiegati per le trappole sono di quattro tipi:

• Colore: le trappole che sfruttano l’azione attrattiva del colore sono dette cromotropiche. Ad esempio il verde attira le forme alate di molti afidi, il bianco

attira i tentredinidi, il giallo attira moltissimi insetti degli ordini dei ditteri, degli

imenotteri, dei rincoti. Ovviamente il colore non ha un’azione selettiva e,

dunque, questo tipo di trappola è da considerarsi valido solo per attività di

monitoraggio. Viste le premesse assume particolare importanza la disposizione,

che deve essere adeguata all'etologia della specie che s'intende monitorare. Ad

esempio, la migliore disposizione per il monitoraggio dei ditteri tefritidi è

disporre le trappole sulla parte esterna della chioma esposta a sud, ad altezza

d'uomo (Economopoulos 1980).

• Luce: le trappole fototropiche esercitano un'attrazione non selettiva attraverso una sorgente luminosa nei confronti degli insetti notturni o crepuscolari. Gli

insetti attratti vengono imprigionati in appositi sacchi oppure uccisi da un

substrato avvelenato o da una resistenza elettrica. Poco usate, trovano un

impiego come mezzo di difesa dalle zanzare in ambito domestico e in locali

ricreativi (Delrio e Lentini 2003).

• Feromone: le trappole a feromoni hanno avuto una larghissima diffusione negli ultimi decenni, grazie alla scoperta della composizione chimica del feromone

(34)

33

industriale. Il vantaggio delle trappole a feromoni è l'elevata selettività e il

notevole raggio d'azione. Ad esempio, nel caso di B. oleae, si è dimostrato

ideale per il mass trapping la riproduzione sintetica del feromone sessuale

emesso dalla femmina per attirare il maschio (1,7-dioxaspiro-5,5-undecano).

Tuttavia le trappole innescate con il solo feromone danno risultati non molto

efficaci, si è notato che data la volatilità dell’innesco dopo 3-4 settimane la

capacità di richiamo si riduce sensibilmente (Montiel Bueno e Jones 2002;

Delrio e Lentini 2003).

• Attrattivi alimentari: gli attrattivi alimentari usati possono essere di natura glucidica o, più spesso, di natura protidica. In generale sono più efficaci le

sostanze azotate volatili ovvero un qualsiasi composto che emani odore di

ammoniaca o di ammina. In generale le trappole innescate con attrattivi

alimentari azotati sono adatte per i ditteri, ma in particolare sono indicate per la

cattura dei ditteri tefritidi, arrivando a competere con lo stesso feromone in

termini di efficacia (Economopoulos 1979). Lo svantaggio di questi attrattivi è

che il loro funzionamento è influenzato dalle condizioni atmosferiche

(temperatura e umidità relativa). Spesso per ottenere migliori risultati può essere

buona pratica combinare un attrattivo alimentare con un feromone (Delrio e

Lentini 2003).

Riassumendo é lecito affermare che le trappole cromotropiche siano da preferirsi per il

monitoraggio poiché le soglie d'intervento calibrate su queste trappole sono state

ampiamente collaudate. Mentre per la pratica del mass trapping si prestano meglio le

trappole chemiotropiche (innescate con feromoni o attrattivi alimentari),

(35)

34

generale gli attrattivi, alimentari o sessuali, sono in formulati liquidi in soluzione

acquosa e, dunque, la loro efficacia è superiore in ambienti secchi nei quali l’insetto ha

un maggior fabbisogno di acqua. Recentemente sono state perfezionate delle tecniche

di mass-killing (trappole attrattive impregnate di insetticida) il cui utilizzo è consentito

anche dai disciplinari di produzione biologica (Canale e Raspi 2009).

4.4. Lotta integrata e biologica

La lotta integrata è una pratica di controllo delle avversità che sfrutta l'azione di

controllo svolta in natura da parte degli agenti climatici (es. alte temperature estive) e

degli antagonisti naturali. La lotta integrata parte dalla consapevolezza che quando si

interviene in un ecosistema si alterano le reti trofiche. I principi di lotta integrata si

adattano particolarmente bene alla lotta contro gli insetti, ma si possono elaborare

protocolli idonei alla lotta contro tutti gli organismi dannosi. L’obiettivo di questo tipo

di approccio non vuol essere l’eradicazione della specie dannosa ma piuttosto il suo

mantenimento entro una soglia oltre la quale l'organismo stesso crea danno economico

(cfr. Viggiani 1977). I criteri principali da adottare per la lotta integrata a B. oleae sono

i seguenti:

• Scelta delle cultivar meno recettive.

• Anticipo della raccolta, in particolare per le cultivar recettive.

• Impiego di insetticidi a basso impatto ambientale. In particolare vanno esclusi gli insetticidi a largo spettro in quanto nocivi per l'entomofauna utile.

• Trattamento chimico da effettuarsi solo al superamento della soglia di intervento.

(36)

35

• Trattamenti preventivi con esche proteiche avvelenate o prodotti rameici (poltiglia bordolese, idrossidi di rame, ossicloruri di rame).

• Rimozione di tutta la produzione per prevenire i focolai d'infestazione primaverili.

• Monitoraggio delle condizioni climatiche.

• Ricorso a metodi di lotta biotecnica.

Per quel che riguarda la lotta biologica a B. oleae, siamo finora confinati in ambito

sperimentale con lanci di alcuni parassitoidi suoi antagonisti naturali oppure tramite

Bacillus thuringiensis. I risultati delle sperimentazioni sin qui svolte per mezzo di

parassitoidi mostrano per il momento solo risultati parziali e in ogni modo si sono

rivelate tecniche particolarmente onerose. I recenti tentativi di controllo biologico

tramite B. thuringiensis sub. Kurstaki hanno dimostrato una scarsa efficacia,

principalmente a causa della difficoltà di raggiungere la larva in profondità (Navrozidis

et al. 2000). La mancanza di strategie collaudate ed efficienti è anche legata al fatto che

le ricerche in questa direzione non sono semplici e, soprattutto, sono abbastanza recenti.

Per farsi un’idea basti pensare che fino al 1931, pur conoscendo gia alcuni ectoparassiti,

si riteneva che in Europa non esistesse neanche una specie di parassita endofago della

larva della mosca delle olive. Proprio in quell’anno, infatti, Salvatore Monastero fa la

prima descrizione di un Opius in Europa; a questo insetto sfarfallato da olive infestate

da B. oleae venne dato il nome di Opius siculus dato che l’avvistamento avvenne in

Sicilia, si trattava però, molto probabilmente, di P. concolor (Saltini 1989). Un altro

fattore che non agevola le ricerche è da ricercarsi nel basso numero di antagonisti

naturali della mosca dell'olivo, ciononostante essi possono svolgere un ruolo non

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integrata. Nel corso delle ricerche si è tuttavia constatato che il ricorso a questi fattori

biologici, da soli, spesso non è sufficiente per contenere gli attacchi entro la soglia

d’intervento. In generale si può affermare che gli antagonisti naturali riescono a limitare

i danni causati dalla mosca quando siano contenuti, mentre risultano poco efficaci in

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5. I PARASSITOIDI DI B. oleae

Un parassitoide è un organismo che instaura con un secondo organismo, detto ospite,

un rapporto trofico ascrivibile al parassitismo ma con alcune caratteristiche che lo

avvicinano alla predazione. Infatti, il parassitoide porta a morte il proprio ospite. Il

parassitoidismo è tipico di alcuni insetti appartenenti agli ordini dei ditteri e degli

imenotteri, due ordini di insetti fra i più evoluti e specializzati. In questi insetti soltanto

lo stadio larvale si svolge a spese di un ospite, l’adulto spesso occupa altre nicchie

ecologiche e, comunque, vive svincolato da altri organismi. Generalmente il

parassitoide e il suo ospite hanno dimensioni simili e, inoltre, sono affini dal punto di

vista tassonomico. La larva del parassitoide può svilupparsi internamente al suo ospite,

e allora sarà un endoparassitoide, oppure esternamente, in questo caso sarà

ectoparassitoide. Spesso capita che ospiti che vivono in ambienti esposti siano attaccati

da endoparassitoidi mentre ospiti che vivono in luoghi riparati da ectoparassitoidi. Un

ospite parassitizzato può interrompere il proprio sviluppo al momento dell’attacco del

parassitoide, che in questo caso sarà definito idiobionte, oppure può continuare a

svilupparsi indipendentemente dalla parassitizzazione, in questo caso il parassitoide

sarà coinobionte. Non tutti i parassitoidi sono primari, molti sono parassitoidi secondari

o iperparassiti (ovvero parassiti di parassiti). Anche l’iperparassitismo, facoltativo o

obbligato, ha diverse sfaccettature. Un parassitoide secondario può, infatti, cercare

direttamente larve di altri parassitoidi; deporre un uovo su una larva non parassitizzata

che schiuderà solo quando venga parassitizzata la larva stessa; deporre su larve gia

parassitizzate per poi competere col parassitoide primario (detto cleptoparassitismo,

non è una vera forma di iperparassitismo). La forma più estrema di iperparassitismo è

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