• Non ci sono risultati.

Studio di matrici liofilizzate per applicazioni oftalmiche

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Studio di matrici liofilizzate per applicazioni oftalmiche"

Copied!
44
0
0

Testo completo

(1)

PARTE INTRODUTTIVA

1. La somministrazione oculare dei farmaci

1.1. Introduzione

La somministrazione topica di farmaci a livello oculare è un problema molto complesso che rende difficile il trattamento di molti disturbi oculari. L’accesso dei farmaci ai tessuti oculari interni (umore acqueo, umor vitreo e retinico) è infatti limitato dalle barriere protettive dell’occhio, essenziali per la sua funzione visiva.

La cornea, pur permettendo il passaggio di luce, è un’efficace barriera che limita l’accesso dei farmaci alle strutture più interne essendo composta da una parte liofila, che funge da barriera per farmaci polari, e da uno stroma idrofilo, che funge da barriera per farmaci liofili. Come risultato, solo minime quantità di principi attivi possono penetrare nell’umore acqueo e divenire disponibili per l’assorbimento corneale.

Le forme farmaceutiche oculari sono preparazioni sterili, prive di particelle estranee, opportunamente preparate e confezionate in contenitori che ne consentono l’applicazione oculare topica; esse includono colliri (soluzioni, sospensioni), preparazioni semisolide (unguenti e geli acquosi) e forme solide (inserti oculari). Esistono anche preparati liquidi (soluzioni, sospensioni) destinati a iniezione sottocongiuntivale, retrobulbare, intracamerale o intravitreale e si ricorre a queste per trattamenti ambulatoriali per interventi pre- o post- operatori quando è necessario raggiungere alte concentrazioni di farmaci nell’occhio (corticosteroidi, antibiotici, etc.).

Un fattore indispensabile che accomuna le forme oftalmiche è la sterilità, in quanto sono destinate alle applicazioni sugli occhi in condizioni patologiche e quindi in condizioni dove sono ridotti o annullati i naturali meccanismi di difesa contro le aggressioni batteriche.

La somministrazione, inoltre, risulta influenzata dalla compliance del paziente e da una serie di meccanismi che esistono nell’area precorneale, preposti a proteggere la superficie dell’occhio da sostanze estranee.

(2)

I processi cinetici di assorbimento, distribuzione ed eliminazione oculare dei farmaci somministrati topicamente sono assai complessi e influenzati da fattori fisiologici, oltre che dalle caratteristiche del farmaco e della formulazione. Quindi è necessario considerare l’assorbimento e l’eliminazione del farmaco in tre distretti: l’area precorneale, la cornea e la camera anteriore.

La biodisponibilità nell’occhio di un farmaco applicato topicamente, ossia la percentuale di dose somministrata che penetra nella camera anteriore, è spesso inferiore all’1% della dose. Quando una soluzione oftalmica viene installata nel sacco congiuntivale inferiore, il riflesso di ammiccamento produce una perdita sostanziale di volume attraverso il sistema di drenaggio (canale naso-lacrimale, faringe e tratto gastrointestinale). Quindi, la frazione di dose instillata che supera il normale volume lacrimale (corrispondente a 7-10 µL) viene in parte riversata fuori dall’occhio ed in parte subisce un rapido drenaggio dall’area precorneale. La lacrimazione e il ricambio lacrimale fisiologico possono essere stimolati ed aumentati dall’instillazione di medicazioni, soprattutto se irritanti.

Inoltre si deve valutare anche l’effetto della velocità del turnover lacrimale sulla concentrazione e la quantità di farmaco che rimane nell’occhio: man mano che il volume precorneale, lacrimale ed instillato, diviene più piccolo, la velocità di turnover del fluido lacrimale ha maggior importanza sulla quantità di farmaco residua. Quindi la quantità di farmaco che raggiunge la camera anteriore dipende da due processi in competizione tra loro: la velocità con cui il farmaco viene allontanato dall’area precorneale e la velocità di penetrazione corneale del farmaco. Un altro fattore che concorre alla riduzione della quantità di farmaco disponibile per l’assorbimento oculare è l’assorbimento non produttivo da parte dei vasi della congiuntiva palpebrale e sclerale, perché il farmaco sarà disponibile per l’assorbimento sistemico e produrrà effetti collaterali indesiderati e quindi non produrrà gli effetti oculari desiderati. Un ulteriore fattore, più irrilevante ma non trascurabile, sarà la possibile interazione del farmaco con le proteine lacrimali e quindi la quantità di farmaco in grado di raggiungere l’umore acqueo e le strutture oculari interne sarà assai bassa.

In pratica, il successo di un qualsiasi sistema di rilascio di farmaci dipende dalla buona penetrazione corneale e dalla ritenzione al sito di assorbimento.

Lo studio delle forme farmaceutiche oculari ha tenuto conto delle caratteristiche che deve possedere un veicolo oculare efficace:

(3)

● facilità di somministrazione;

● buona compliance da parte del paziente;

● aumentare il tempo di permanenza di un farmaco al sito di assorbimento rispetto ai sistemi di rilascio tradizionali.

(4)

1.2. Anatomia dell’occhio

L’apparato visivo è costituito principalmente da tre formazioni: - un organo sferoidale, situato nella cavità orbitaria (bulbo oculare);

- un insieme di fibre nervose che si dipartono dal bulbo per finire nella corteccia cerebrale (nervo ottico);

- strutture accessorie disposte attorno al bulbo oculare (annessi oculari come palpebre, congiuntiva e apparato lacrimale).

(5)

1.2.1. Bulbo oculare

Il globo oculare è un organo sferico leggermente appiattito in senso verticale ed è contenuto per cinque sesti all’interno della cavità orbitaria formata da tessuto osseo.

Vi si individuano, partendo dall’esterno, tre tonache concentriche:

1) la tonaca esterna o fibrosa, che ha la funzione di proteggere le strutture più interne, e si differenzia posteriormente in sclera (ne costituisce i cinque sesti) o sclerotica ed anteriormente in cornea (un sesto);

2) la tonaca intermedia o vascolare, detta uvea, ampiamente vascolarizzata (detta infatti membrana nutritiva) e pigmentata, che si divide anteriormente in iride, posteriormente in corioide e medialmente in corpo ciliare;

3) la tonaca interna o nervosa, formata esclusivamente dalla retina, struttura nervosa deputata alla percezione visiva.

Le membrane oculari si interrompono al polo posteriore del bulbo oculare per far passare le fibre nervose provenienti dalla retina; queste si raccolgono in fasci per andare a costituire il nervo ottico, che segna l’inizio delle vie ottiche. Esso percorre la cavità orbitaria, penetra nella scatola cranica attraverso il forame ottico e giunge alla sella turcica ove si incrocia parzialmente con il nervo ottico contro laterale (chiasma ottico). Le fibre ottiche decorrono successivamente negli strati inferiori dell’encefalo per raggiungere infine la corteccia occipitale.

Posteriormente il bulbo oculare è avvolto da tessuti molli, che gli conferiscono protezione elastica nella cavità orbitaria e che si continuano all’esterno in formazioni muscolo-cutanee (palpebre), mucose e tessuti ghiandolari (congiuntiva ed apparato lacrimale). Su di esso si inseriscono i muscoli che gli assicurano la mobilità per direzionare lo sguardo.

(6)

1.2.2. La tonaca esterna

La sclera è composta da uno strato di tessuto fibroso, di colore biancastro, dotato di una marcata consistenza ed elasticità.

Anteriormente si congiunge con la cornea attraverso il “canale di Schlemm”, seno venoso a forma di anello.

Nella regione posteriore dell’emisfero nasale presenta un forame di circa 2 mm di diametro, dove vi passano le fibre del nervo ottico. Invece nella regione anteriore la sclera, attraverso una limitata area di transizione, detta lembo sclero-corneale, confina con la cornea che si trova davanti alla regione colorata dell’occhio, detta iride.

La cornea, simile in tutti i mammiferi, eccetto in quelli inferiori dove è assente la membrana del Bowman, è composta da 5 strati ben differenziati: epitelio, lamina basale, stroma, membrana di Descemet ed endotelio. Essa agisce da mezzo diottrico; è una membrana trasparente, non è vascolarizzata, ma è ricca di fibre nervose, inoltre è resistente e flessibile. Assume l’aspetto di una calotta sferica, superficialmente si estende per circa 1.3 cm2 ed è spessa centralmente circa 0.58 mm nell’uomo (mentre nel coniglio 0.407 mm), per poi perifericamente aumentare di circa 0.1 mm per entrambe le specie. Non sono state notate differenze nello spessore corneale tra individui o animali di sesso diverso (Kruse-

Hansen, 1971).

La composizione della cornea è di notevole interesse per il campo terapeutico, poiché influenza l’entità dell’assorbimento dei farmaci ed è così composta:

▪ lo strato corneale più esterno (epitelio), normalmente a contatto con l’aria, in condizioni di chiusura delle palpebre viene a trovarsi a contatto con la congiuntiva palpebrale con l’interposizione del “film lacrimale” ed è costituito da 5 a 8 piani di cellule, ricche di monofibrille ed unite da desmosomi;

▪ la membrana del Bowman o lamina basale elastica interiore consiste in una fitta rete di fibre collagene, immersa in una matrice amorfa cementante;

▪ lo stroma è lo strato fondamentale e più spesso, formato da circa cinquanta lamelle, sovrapposte in diversi piani, di sostanza amorfa

(7)

glicoproteica; vi si trovano internamente fasci fibrosi di collagene, posti ortogonalmente tra loro, in modo da annullare la diffrazione della luce causata dai singoli piani. Negli spazi tra le lamelle si trovano le cellule corneali o cheratinociti, di natura connettivale e di forma appiattita, provviste di prolungamenti lamellari (Miglior,1999);

▪ la membrana di Descemet o lamina elastica posteriore è prodotta dalle cellule dell’endotelio; il suo spessore è in relazione alla specie ed all’età: nell’uomo varia da 3 µm, alla nascita, a 9-10 µm, nell’età adulta (Murphy

et al., 1984), mentre nei bovini arriva fino a 17 µm (Lee et Davison,1984);

▪ lo strato corneale più interno (endotelio), invece, delimita anteriormente la camera anteriore ed è costituito da un singolo strato di cellule appiattite di forma poligonale (Miglior, 1999).

La cornea contiene circa il 78% d’acqua, circa il 12-15% di collageno e l’1-3% di proteoglicani, quali maggiori elementi strutturali; secondariamente sono presenti anche proteine solubili, glicoproteine, lipidi e soluti a basso peso molecolare ed elettroliti, come Na+ e Cl-, il cui trasporto gioca un ruolo fondamentale nel controllo

dell’idratazione.

Il tessuto corneale non è vascolarizzato e quindi i composti necessari per mantenerlo vitale, come l’ossigeno e il glucosio, sono forniti rispettivamente dal film lacrimale e dall’umore acqueo (Maurice et Mishima, 1984).

1.2.3. La tonaca intermedia

L’uvea è la tunica pavimentata compresa tra la sclera e retina. Ha due funzioni principali: quella nutritizia (è detta anche tunica vascolare) e quella di assorbire la luce eliminando la diffrazione e la rifrazione dei raggi luminosi contribuendo a rendere possibile la visione distinta.

E’ costituita da 3 porzioni: la coroide, il corpo ciliare e l’iride.

La coroide è una membrana di colore bruno scuro per la presenza di cromofori e di numerosi vasi sanguigni e riveste internamente la sclera, interrompendosi solo in prossimità del forame ottico, dal quale si assottiglia progressivamente fino a raggiungere l’ora serrata, il confine con il corpo ciliare.

(8)

A circa 3 mm dal lembo sclero-corneale, l’uvea si allarga ed in sezione trasversale appare di forma triangolare, con il lato esterno aderente alla sclera ed i due lati interni liberi recanti anteriormente delle salienze longitudinali a cresta, chiamate processi ciliari. Questi sono circa settanta e sono separati da spazi intermedi, detti vallecole ed hanno la funzione di secernere umori endooculari; il corpo ciliare contiene anteriormente il piccolo muscolo ciliare, detto anche muscolo dell’accomodazione, costituito sia da fibre radiali che circolari di tessuto muscolare liscio, che ha la funzione di modificare il potere rifrattivo agendo sul cristallino (fenomeno dell’accomodazione). Dal corpo ciliare prende inizio il legamento sospensore, che va a inserirsi sulla capsula elastica della lente e la mantiene nella sua corretta posizione.

L’iride o parte colorata dell’occhio è la continuazione del corpo ciliare ed è costituita da fibre muscolare lisce circolari e radiali disposte a formare una specie di anello con un orifizio centrale detto pupilla. La pupilla ha un diametro variabile, che può aumentare (midriasi) o diminuire (miosi) in varie condizioni fisiologiche e patologiche o per azione di farmaci specifici. Essa rappresenta il sistema capace di regolare l’intensità luminosa e la profondità di campo; il colore della sua superficie anteriore varia da soggetto a soggetto per la quantità di cromofori presenti nello stroma, mentre il suo strato profondo è nero o molto scuro in tutti gli individui normali.

1.2.4. La tonaca interna

La retina ha una struttura complessa ed è incompleta, in quanto non è presente nella porzione anteriore dell’occhio; è una membrana molto sottile con spessore massimo di 0.5 mm a livello della papilla ottica, trasparente in condizioni normali.

Essa è composta da due foglietti: quello esterno formato da uno strato di cellule pigmentate epiteliali; quello interno, a struttura molto complessa, costituito principalmente da catene di neuroni a conduzione centripeta, dove si trovano dall’esterno all’interno i neuroni fotorecettori, i neuroni bipolari e i neuroni ganglionari.

(9)

I fotorecettori sono cellule nervose modificate di forma allungata, che presentano l’articolo, una porzione espansa, rivolto verso il foglietto pigmentato e la fibra, una porzione più sottile. Si classificano secondo la forma dell’articolo: i bastoncelli hanno l’articolo più lungo, esile e cilindrico; i coni presentano l’articolo più corto, tozzo e conico.

Essi sono i nostri recettori visivi, strutture altamente specializzate per essere stimolate dai raggi luminosi e differiscono tra loro per numero, distribuzione e funzione.

• Per numero: infatti i coni sono circa sette milioni ed i bastoncelli sono fra i dieci e venti volte di più.

• Per distribuzione: i coni sono più densamente localizzati nella fovea, una piccola depressione al centro di un’area giallastra detta macula lutea e diminuiscono avvicinandosi alla periferia, mentre i bastoncelli sono quasi assenti nella fovea e nella macula ed aumentano avvicinandosi alla periferia.

• Per funzione: i bastoncelli contengono rodopsina, un pigmento fotosensibile che si decompone sotto l’azione della luce liberando l’energia necessaria per la nascita degli impulsi visivi; mentre i coni contengono le iodopsine, pigmenti fotosensibili che contrariamente alla precedente, assorbono limitate lunghezze d’onda della luce, essendo ciascuna rodopsina specifica per un determinato colore; perciò i coni sono deputati alla discriminazione cromatica.

Le cellule bipolari sono soprattutto di tipo multisinaptico, cioè attraverso il loro dendrite stabiliscono sinapsi con più di un fotorecettore.

Le cellule ganglionari o multipolari sono grandi cellule di forma globosa, provviste di numerosi dendriti, che formano sinapsi con gli assoni delle cellule bipolari.

Tutti gli assoni dei neuroni ganglionari si concentrano in una piccola area circolare nella parte posteriore del globo oculare chiamata disco ottico o papilla; il disco ottico viene anche chiamato “zona cieca”, poiché i raggi luminosi che raggiungono questa area non possono essere captati in quanto essa è priva di coni e bastoncelli, essendo presenti solo le fibre del nervo ottico.

(10)

Il nervo ottico origina dal bulbo oculare per andare a terminare nel chiasma ottico, dove parte delle sue fibre si incrociano per continuare nel tratto ottico controlaterale.

1.2.5. Cavità ed umori oculari

Il globo oculare non è una sfera solida, poiché contiene una grande cavità interna, che è suddivisa in due cavità, una anteriore ed una posteriore.

La cavità anteriore presenta a sua volta due suddivisioni conosciute come “camera anteriore” e “camera posteriore”. L’intera cavità anteriore si trova davanti alla lente: la camera anteriore è delimitata posteriormente dall’iride e anteriormente dalla cornea, mentre la camera posteriore è delimitata anteriormente dall’iride e posteriormente dalle fibre zonulari e dal cristallino.

L’umore acqueo, una sostanza acquosa e trasparente, riempie entrambe le camere della cavità anteriore.

Non è ancora ben noto il meccanismo di formazione dell’umore acqueo, ma si sa che deriva soprattutto dal sangue che circola nei capillari dei corpi ciliari: è possibile che i capillari secernono attivamente l’umore acqueo all’interno della camera posteriore oppure un passaggio per filtrazione passiva del sangue papillare può contribuire alla sua formazione.

Dalla camera posteriore l’umore acqueo passa fra l’iride e la lente e, attraversando la pupilla, entra nella camera anteriore; da qui viene drenato nel canale di Schlemm e assorbito in piccole vene.

In condizioni normali, l’umore acqueo viene drenato dalla camera anteriore in misura uguale a quanto ne viene prodotto dalla camera posteriore, così che la quantità di umore acqueo nell’occhio rimane sempre relativamente costante e di conseguenza anche la pressione oculare rimane costante; talvolta però questo equilibrio viene turbato e la pressione oculare tende ad aumentare oltre il livello normale (circa 20-25 mmHg). Questo caso è conosciuto come una sindrome morbosa chiamata glaucoma.

La cavità posteriore del globo oculare invece è significativamente più grande di quella anteriore, poiché essa occupa tutto lo spazio che si trova dietro alla lente, al legamento sospensore e al corpo ciliare; essa contiene una sostanza

(11)

incolore, trasparente che ha una consistenza paragonabile a quella di una gelatina morbida, detta corpo vitreo. Questo materiale semisolido è in grado di mantenere una pressione intraoculare sufficiente a prevenire il collasso del globo oculare stesso. Esso ha quindi funzioni diottriche e di sostegno ed è costituito da un intreccio di fibrille di vitrosina, nelle cui maglie si trovano accumuli di mucopolisaccaridi (acido ialuronico) e da cellule connettivali, il tutto immerso nell’umore vitreo, liquido secreto a livello dei processi ciliari.

Umore acqueo e corpo vitreo, insieme a cornea e cristallino, hanno lo scopo di regolare opportunamente il decorso dei raggi luminosi che penetrano nel bulbo per poi raggiungere la retina.

Inoltre all’interno dell’occhio si trovano i mezzi diottrici, dei quali il più significativo è il cristallino o lente. Il cristallino è una struttura trasparente, elastica e piuttosto solida, a forma di lente biconvessa e situata tra iride e corpo vitreo; è privo di vasi sanguigni e di nervi, in quanto coinvolto nel meccanismo dell’accomodazione e perciò riceve nutrimento dall’umore acqueo per diffusione ed è racchiuso in una capsula connessa con il corpo ciliare tramite il legamento sospensore. Con l’età il cristallino perde elasticità, trasparenza, risultando minore di conseguenza anche il potere accomodativo (Miglior, 1999).

1.2.6. Annessi oculari

Gli annessi oculari sono strutture accessorie disposte intorno all’occhio e comprendono:

1) le palpebre, formazioni muscolari cutanee, consentono di occludere, in stato di contrazione, la parte anteriore del bulbo e costituiscono un elemento protettivo per il bulbo oculare e in particolare la cornea, grazie alla presenza delle ciglia al loro margine;

2) la congiuntiva, una mucosa che riveste la porzione anteriore della sclera (congiuntiva bulbare) e, continuando posteriormente e ripiegandosi in avanti (fornice congiuntivale), riveste anche la superficie interna delle palpebre (congiuntiva palpebrale);

3) l’apparato lacrimale, costituito dalle ghiandole lacrimali e dalle vie lacrimali.

(12)

Le ghiandole lacrimali si trovano nell’angolo superiore delle rispettive orbite ed hanno la funzione di secernere ininterrottamente il liquido lacrimale, il quale facilita lo scorrimento delle palpebre sul globo oculare, rimuove le particelle che si depositano sulla sua superficie ed impedisce gli effetti dannosi che sarebbero causati agli epiteli congiuntivale e sclerale dall’evaporazione degli umori.

Fig. 2- Apparato lacrimale.

Le lacrime si riversano di continuo nel sacco congiuntivale, si raccolgono presso l’angolo mediale dell’occhio, penetrano nei condotti lacrimali attraverso i punti lacrimali e sboccano nel meato nasale inferiore attraverso il dotto naso-lacrimale.

Il sistema secretivo è costituito da una ghiandola principale, in rapporto con l’angolo superiore esterno dell’orbita, e da varie ghiandole accessorie, dette ghiandole di Krause, di Ciacco o Wolfring e, secondo alcuni, di Manz (Miglior,

1999).

Il fluido lacrimale che bagna continuamente l’epitelio corneale, la congiuntiva e le pareti del sacco congiuntivale è uno strato fluido molto sottile.

Da un punto di vista descrittivo, il film lacrimale può essere suddiviso, in base alla sede, in quattro parti:

1. film della congiuntiva palpebrale; 2. film della congiuntiva bulbare; 3. laghi e rivi lacrimali o menischi; 4. film precorneale.

(13)

Il film bulbare, i menischi e il film precorneale costituiscono il film lacrimale preoculare.

Nell’adulto la superficie corneo-congiuntivale ricoperta dal film lacrimale ammonta a circa 16 cm2, la superficie oculare esposta è mediamente di 1.6 cm2 e lo spessore del film lacrimale è stato valutato tra i 41 e i 43 µm mediante l’utilizzo di tecniche ottiche.

Wolff (1954) ha descritto per primo il film precorneale come una struttura a

tre strati:

I. la porzione glicoproteica o lo strato mucoso adsorbito, che è quello più profondo, adiacente all’epitelio corneale. Il componente principale è la mucina, la quale agisce come agente bagnante e serve da ponte tra la superficie epiteliale normalmente congiunta della cornea e lo strato acquoso salino, posto immediatamente al di sopra dello strato mucoso. Lo strato mucoso è secreto da cellule caliciformi che si trovano sulla superficie congiuntivale, in particolare quella palpebrale e bulbare inferiore nasale, la regione della plica e il fornice inferiore e il muco viene secreto anche da cellule epiteliali non caliciformi ed in piccola parte dalle ghiandole lacrimali principali ed accessorie;

II. Lo strato acquoso intermedio di spessore compreso tra 6 e 10 µm costituisce la parte più cospicua ed è composto da acqua, elettroliti, proteine, cellule, detriti ed impurità provenienti dall’esterno, ed è secreto dalle ghiandole lacrimali;

III. Lo strato lipidico o oleoso costituisce lo strato superficiale e galleggia sulla componente acquosa; ha uno spessore approssimativamente di 0.1 µm e consiste di una miscela di cere ed esteri del colesterolo secreta dalle ghiandole di Meibomio, dalle ghiandole di Zeis e dalle ghiandole di Moll. Svolge la funzione molto importante di salvaguardare la cornea dall’essiccamento, rallentando la velocità di evaporazione dello strato acquoso sottostante da 10 a 20 volte.

La mobilità del bulbo oculare è data dall’azione dei muscoli estrinseci oculari retti (laterale, superiore, mediale ed inferiore) ed obliqui (superiore ed inferiore) che originano, ad eccezione dell’obliquo inferiore, dall’anello di Zinn, formazione fibrosa posta all’apice dell’orbita, e si inseriscono direttamente sulla sclera.

(14)

I muscoli estrinseci sono ricoperti, insieme a parte del bulbo, dalla capsula di Tenone, una guaina fibrosa che consente e limita contemporaneamente i movimenti oculari di verticalità, lateralità e torsione (Bucci, 1983).

(15)

1.3. Farmaci ad uso oftalmico

1.3.1. Cinetica dei farmaci nell’area precorneale

Nella cura di patologie oftalmiche oggigiorno i farmaci vengono somministrati per via topica, nonostante si disponga di diverse tecniche e strategie di dosaggio. Questi vengono quindi instillati o applicati nell’area precorneale e per penetrare nelle strutture più interne devono superare le barriere esterne, quali gli epiteli della cornea e della congiuntiva.

Quindi è necessario considerare l’assorbimento e l’eliminazione del farmaco in tre distretti oculari per comprendere la farmacocinetica oftalmica:

1. area precorneale, 2. cornea,

3. camera anteriore.

Spesso nella somministrazione topica di un farmaco solo l’1% della dose somministrata raggiunge i tessuti del segmento anteriore dell’occhio e ciò è dovuto alla struttura esterna dell’occhio stesso.

Il farmaco somministrato non è tutto disponibile per il passaggio transcorneale, in quanto ci sono fattori che intervengono nella perdita come:

■ eliminazione per ammiccamento ■ eliminazione per drenaggio ■ turnover lacrimale

■ diluizione da lacrimazione indotta

■ scarsa permeabilità corneale e sclerale alle sostanze estranee ■ binding con le proteine lacrimali

■ assorbimento congiuntivale e sclerale ■ evaporazione lacrimale

■ metabolismo

Il fluido lacrimale ha un volume normale, sia nell’uomo che nel coniglio, di 7 µl (Maurice e Mishima, 1984) e la capacità massima del sacco congiuntivale è di circa 30 µl. Poiché una goccia di soluzione instillata ha un volume di 50 µl, al momento dell’applicazione vengono eliminati circa 20 µl o fuoriuscendo a livello

(16)

del fornice congiuntivale, oppure attraverso il sistema di drenaggio naso-lacrimale, dove in parte il farmaco subisce assorbimento sistemico.

L’instillazione di piccoli volumi di soluzione può causare un aumento della biodisponibilità oculare del farmaco (Patton et Francouer, 1978).

Patton et Robinson (1976) hanno infatti osservato la stessa concentrazione

di pilocarpina nell’umore acqueo instillando 5 µL di una soluzione 20 mM, che 25 µL di una soluzione 10 mM di pilocarpina nitrato, nonostante nel primo caso la dose di farmaco fosse inferiore del 60%. Ciò è stato spiegato ammettendo che la maggior parte della soluzione instillata venga drenata entro pochi minuti attraverso il canale naso-lacrimale fino a che il volume lacrimale sia ritornato ai suoi livelli (Ehlers, 1965). Comunque esistono difficoltà reali nel realizzare sistemi che permettano di instillare microgocce ed inoltre bisogna tener presente che gran parte dei pazienti non sono in grado di somministrarsi piccoli volumi di soluzioni oftalmiche.

Un altro fattore che contribuisce all’allontanamento del farmaco dall’area precorneale è il turnover lacrimale. La velocità di ricambio del fluido lacrimale nel coniglio è di circa il 16% al minuto, corrispondente ad una velocità di 1.0 µL/ min (Chrai et al., 1973).

Nell’uomo esiste una certa variabilità individuale nella velocità di formazione del fluido lacrimale, che può influenzare l’assorbimento corneale dei farmaci. Inoltre, nei soggetti anziani il flusso lacrimale è ridotto e questo può comportare un aumento dell’assorbimento corneale.

La lacrimazione indotta, ossia l’aumento del flusso lacrimale, è un fenomeno spesso causato da uno stimolo irritativo e può portare ad una diminuzione della concentrazione del farmaco disponibile per l’assorbimento. Uno stimolo irritativo può essere costituito per esempio dal pH delle soluzioni che spesso per ragioni di stabilità dei farmaci si allontana dal valore fisiologico di 7.4.

Inoltre il farmaco somministrato può legarsi (binding) alle proteine presenti nel fluido lacrimale e ciò può contribuire alla riduzione della quantità di principio attivo libero per l’assorbimento; è comunque un fenomeno che non ha grande rilevanza, in quanto il normale contenuto proteico (albumina, globuline, lisozima) delle lacrime è piuttosto basso, circa lo 0.7%, essendo l’albumina presente per lo 0.4%. (Milder, 1981). E’ da considerare il fatto che con l’instillazione di soluzioni, la concentrazione delle proteine viene ulteriormente ridotta ed il drenaggio

(17)

naso-lacrimale elimina una parte del farmaco sia libero che legato con le proteine. D’altra parte va tenuto conto che il turnover lacrimale è una fonte continua di proteine fresche, che possono legarsi al farmaco e renderlo meno disponibile.

Anche la presenza di enzimi che metabolizzano il farmaco è un altro fattore che influenza l’assorbimento transcorneale e quindi la disponibilità e l’attività biologica del farmaco (Patton, 1980).

Un fenomeno tutt’altro che da trascurare nella riduzione dell’assorbimento transcorneale è l’assorbimento della congiuntiva, detto anche “assorbimento non produttivo”, che avviene attraverso appunto la congiuntiva di tipo palpebrale e sclerale. Infatti l’elevata area superficiale della congiuntiva (circa 5 volte maggiore di quella della cornea) e la sua buona permeabilità a diversi farmaci favoriscono questo fenomeno (Patton, 1980; Lee et Robinson, 1979). L’attività farmacologica stessa dei farmaci può aumentare l’assorbimento non produttivo: la pilocarpina, per esempio, avendo attività vasodilatatrice, viene assorbita in maggior misura attraverso la congiuntiva (Lee et Robinson, 1979).

In conclusione, tutti questi meccanismi di perdita influenzano la concentrazione di farmaco nell’umore acqueo, portando ad un assorbimento transcorneale inferiore all’1% del farmaco applicato in soluzione.

Riportando la concentrazione del farmaco in funzione del tempo si ottiene un grafico analogo a quello ottenuto tramite dati di concentrazione ematica dopo somministrazione orale; in tale grafico la pendenza del tratto ascendente e quella del tratto discendente corrispondono rispettivamente alle costanti trans corneali di assorbimento che variano tra 1·10-3 e 5·10-3 min-1 e di eliminazione che oscilla tra 0.5 e 0.7 min-1, cioè la velocità di perdita può essere da 500 a 700 volte maggiore della velocità di assorbimento.

Al contrario, per aumentare la biodisponibilità dei farmaci che vengono assorbiti lentamente attraverso la cornea, si può utilizzare la via di assorbimento sclerale: Ahmed et Patton (1985) fecero esperimenti a riguardo utilizzando timololo e inulina. L’inulina è un polimero che attraversa la cornea cento volte più lentamente di farmaci con PM più basso ed è stato dimostrato che circa il 40% dell’assorbimento di timololo si può attribuire al passaggio sclerale. Risultati analoghi sono stati ottenuti da Bito et al. (1986), i quali notarono che l’assorbimento della prostaglandina F avviene attraverso la congiuntiva sclerale direttamente dall’iride.

(18)

In definitiva l’assorbimento e la disponibilità oculare dei farmaci dipende in misura significativa dalle dinamiche del fluido lacrimale.

La formulazione dei farmaci oftalmici deve perciò tener conto non solo della stabilità e della compatibilità del farmaco, ma anche dell’influenza della formulazione stessa sulle dinamiche del fluido precorneale.

Turnover lacrimale

La velocità di ricambio del film lacrimale è uguale al 16% al minuto, ad eccezione dei periodi di sonno o durante l’anestesia. Si può avere notevole perdita di farmaco, poiché il normale volume lacrimale è di 7 µl.

Drenaggio della soluzione

instillata

L’area precorneale può trattenere al massimo 20 µl, film lacrimale compreso. Il volume instillato in eccesso è riversato all’esterno o subisce rapidamente drenaggio. Dal momento dell’instillazione, la soluzione è drenata nel dotto naso-lacrimale, subendo quindi assorbimento sistemico. La velocità di drenaggio è proporzionale al volume instillato: nel caso di soluzioni a bassa viscosità il processo è in genere completato in 1-2 minuti.

Legame con le proteine

Il normale contenuto proteico delle lacrime è circa lo 0.2% (rispetto al 7% del sangue). A differenza del sangue, nel quale il complesso farmaco-proteine rimane in circolazione, le lacrime sono rapidamente drenate portando via sia il farmaco legato sia quello libero. Il contenuto proteico dell’umore acqueo è ricambiato alla velocità dell’1% al minuto; i livelli di farmaci nel segmento anteriore sono di solito bassi.

Assorbimento non produttivo

Il farmaco viene assorbito sia dalla cornea sia dalla congiuntiva palpebrale e sclerale. L’area totale della congiuntiva è 5 volte quella della cornea e la permeabilità a molti farmaci è leggermente maggiore. Se il farmaco deve raggiungere l’interno dell’occhio, l’assorbimento non corneale va considerato come perdita “non produttiva”.

(19)

1.3.2. Vie di permeazione dei farmaci dopo applicazione oculare

La cornea, sebbene costituisca soltanto 1/6 della superficie totale dell’occhio, rappresenta la via principale attraverso la quale i farmaci raggiungono le strutture più interne dell’occhio (Maurice et Mishima, 1984; Patton, 1980).

I farmaci possono attraversare le cornea attraverso due vie: □ la via transcellulare

□ la via paracellulare

Alcuni studi hanno dimostrato che esiste un’altra via principale di penetrazione non corneale, rappresentata dal passaggio attraverso le congiuntiva e la sclera (Ahmed et al., 1987). Tale via sembra essere utilizzata da sostanze meno lipofile che sono poco assorbite attraverso la cornea, quali ad esempio l’inulina, un polimero lineare del D-glucosio e del D-fruttosio con peso molecolare di circa 5000 Da.

La permeazione corneale attraverso la via paracellulare comporta il passaggio attraverso gli spazi acquosi intercellulari e le giunzioni strette (tight-junctions).

Gli spazi intercellulari fra le membrane delle cellule corneali sono piuttosto ampi, cosicchè anche molecole con peso molecolare di 40 kDa, iniettate in camera anteriore possono diffondere anteriormente sino a raggiungere gli ultimi due o tre strati di cellule.

A questo livello gli spazi diventano più stretti e le cellule si trasformano da colonnari a piatte (zonula occludens), formando le giunzioni strette.

La permeabilità delle giunzioni strette dipende da:

- grado di evoluzione degli epiteli (Pitelka et al., 1973);

- condizioni di osmolarità e forza ionica dell’ambiente in cui si trova il tessuto (Humbert et al., 1976);

- presenza di farmaci, di vitamine e di ormoni; - risposte alle richieste fisiologiche.

La permeabilità delle giunzioni strette è influenzata anche dalla concentrazione di ioni calcio e dalle interazioni con il citoscheletro del tessuto. Il citoscheletro è un insieme di materiale proteico, costituito da tre tipi di strutture filamentose, classificate secondo le dimensioni in microfilamenti, filamenti

(20)

intermedi e microtubuli. I microfilamenti e i microtubuli sono responsabili della motilità, dell’adesione e della proliferazione cellulare. Al contrario, i filamenti intermedi più stabili e rigidi sono deputati al supporto meccanico delle cellule.

L’esatto meccanismo con cui la permeabilità delle giunzioni strette è regolata non è stato ancora chiarito, ma potrebbe dipendere da interazioni specifiche tra i microfilamenti ed alcuni componenti delle giunzioni stesse. E’ stato osservato da Cureijido (1980) che il trattamento con sostanze attive sul citoscheletro, come la citocalasina B ed agenti chelanti il calcio a livello extracellulare, produce un incremento di tale parametro.

La via paracellulare è la via principale di permeazione passiva di piccoli ioni ed è stata proposta come via secondaria per il passaggio di metanolo, etanolo e butanolo. Può essere utilizzata anche per molecole che hanno una dimensione massima di 60 A, corrispondente a quella del glicerolo (Grass et Robinson, 1985).

Inoltre è stato osservato che farmaci a medio peso molecolare come l’inulina, composti ionici come il cromoglicato sodico e specie ionizzabili come la pilocarpina e le sulfonammidi (Heller, 1980) potrebbero attraversare la cornea utilizzando la via paracellulare.

Tuttavia, dato che l’area totale superficiale della cornea a contatto con il fluido lacrimale attribuibile alla via paracellulare è piuttosto piccola, la maggior parte dei farmaci utilizzano la via transcellulare. La permeazione attraverso la via transcellulare può avvenire in seguito alla ripartizione nei diversi tessuti o alla diffusione per mezzo dei pori. Solo raramente il passaggio transcorneale avviene mediante carriers o mediante endocitosi.

La cornea rappresenta un’importante barriera al passaggio dei farmaci e la velocità con la quale un farmaco vi diffonde attraverso dipende da:

● le caratteristiche chimico-fisiche del farmaco (la lipofilicità, definita dal coefficiente di ripartizione n-ottanolo/acqua (PC); il pKa, che stabilisce in quale proporzione il farmaco è presente in forma dissociata e indissociata per uno specifico valore di pH; le dimensioni molecolari);

● le interazioni con la cornea (Mitra et Mikkelson, 1988)

Ad esempio, l’acetato di idrocortisone dopo l’instillazione nel sacco congiuntivale, raggiunge per il 98% l’iride ed il corpo ciliare (Doane et al., 1978), mentre per la pilocarpina (un’ammina terziaria) tale valore scende all’1-2% a causa dello stato di ionizzazione della molecola (Lazare et Morlington, 1975).

(21)

L’epitelio corneale ha una funzione di deposito per le molecole liofile, come il cloramfenicolo ed i suoi metaboliti (Mindel et al.,1984); la zonula occludens, contribuendo per almeno il 60% alla resistenza totale dell’intera cornea (Klyce,

1972), rappresenta un forte ostacolo alla penetrazione di molecole ioniche.

Soltanto le molecole lipofile possono attraversare facilmente la membrana apicale, ricca di fosfolipidi, mediante la via transcellulare (Lee et Robinson, 1986). Non è un fattore determinante nell’influenzare la velocità di permeazione corneale la dimensione delle molecole lipofile (Maurice et Mishima, 1984).

Lo stroma, grazie alla sua compatta struttura connettivale, ha la capacità di rallentare la diffusione delle molecole. I composti con peso molecolare superiore a 5000.000 Dalton non hanno sufficiente mobilità nello stroma, almeno che non sia edematoso (Maurice et Mishima, 1984). Lo stroma, costituendo più del 90% dello spessore corneale ed avendo carattere idrofilo, può agire come deposito per le molecole polari; al contrario l’endotelio con il suo piccolo spessore non ha funzione di riserva (Maurice et Mishima, 1984).

Quindi riassumendo affinchè possa avvenire il passaggio di un farmaco attraverso la cornea, è necessario che la molecola abbia un opportuno bilancio tra lipofilicità ed idrofilicità.

A volte la cornea può avere la struttura alterata e ciò provoca variazioni nelle proprietà di barriera e di riserva della cornea; in presenza di patologie oculari (infezioni, ustioni provocate dal contatto con sostanze alcaline e ulcerazioni della superficie oculare) si nota un aumento della permeabilità corneale (Benson, 1974). Ciò è stato dimostrato per farmaci come la penicillina (Leopoldo et La Motte,

1945), il desametasone alcool o fosfato sodico (Kupferman et al., 1974) e l’acetato di prednisolone (Kupferman et Leibowitz, 1974) instillati nel sacco congiuntivale in modelli di infiammazione sperimentale.

(22)

1.3.3. Metodi per aumentare la biodisponibilità dei farmaci oftalmici

Nelle patologie oculari si evita la somministrazione orale di farmaci che, come è noto, a livello sistemico comporta pesanti effetti collaterali, dovuti alle alte dosi richieste per ottenere a livello oculare una concentrazione attiva di principio attivo, ma si utilizza quella topica, mediante applicazione nel sacco congiuntivale.

Sorge un inconveniente, cioè che molti farmaci a livello della cornea permeano poco a causa delle loro caratteristiche chimico-fisiche.

Questo problema insieme alla necessità di diminuire l’entità dei fenomeni che portano alla parziale perdita di farmaco instillato, ha portato allo sviluppo di metodi per aumentare la biodisponibilità.

Questi metodi sono essenzialmente cinque e consistono:

I. nell’aumentare il tempo di contatto del farmaco con la cornea mediante l’utilizzo di soluzioni viscose o matrici solide;

II. nel modificare la lipofilicità del farmaco mediante formazione di una coppia ionica o trasformazione in un profarmaco;

III. nell’aggiungere alle preparazioni oftalmiche, promotori di permeazione (enhancers) che siano in grado di alterare transitoriamente la struttura dell’epitelio corneale;

IV. nell’applicare un campo elettrico in modo da favorire la permeazione dei farmaci polari attraverso la cornea (ionoforesi oftalmica);

V. nella veicolazione del farmaco in sistemi particellari (quali ad esempio i liposomi).

Per superare le barriere dell’occhio e permettere ai farmaci di raggiungere i siti intraoculari, sono stati messi a punto metodi alternativi:

- le iniezioni sottocongiuntivali: vengono praticate sotto la congiuntiva. Con questo tipo di iniezione vengono veicolati farmaci nel segmento anteriore dell’occhio e quindi questo metodo viene utilizzato soprattutto nelle infiammazioni e nelle infezioni più gravi di questo segmento. Negli ultimi anni sono state poco usate, perché si è visto che aumentando la frequenza di somministrazione topica dei colliri si raggiungono gli stessi livelli terapeutici.

(23)

- Le iniezioni sub-tenoniane: vengono effettuate sotto la capsula di Tenone, in modo che la sostanza inoculata abbia la possibilità di penetrare all’interno dell’occhio per diffusione tramite il limbus o la sclera.

- Le iniezioni retrobulbari: viene inserito l’ago all’esterno della palpebra inferiore o all’interno del fornice inferiore, lungo il tono muscolare e vengono effettuate in gravi affezioni infiammatorie del segmento posteriore dell’occhio (coroidi, neuriti ottiche). Spesso si somministrano corticosteroidi retard, che molto probabilmente penetrano nel globo oculare per un processo di diffusione.

- Le iniezioni intravitreali: i farmaci raggiungono direttamente le strutture intraoculari ad elevate concentrazioni e solitamente si pratica per antibiotici, corticosteroidi e fibrinolitici. Vengono iniettati piccoli volumi di formulazione a bassa concentrazione di principio attivo (da 0.1 a 0.2 ml), perché volumi maggiori possono determinare aumento della pressione endoculare e concentrazioni elevate possono essere tossiche per l’endotelio corneale, il cristallino e la retina (si possono avere infezioni endoculari e tossicità locale). Una singola iniezione assicura la permanenza dei farmaci per molte ore, dal momento che l’eliminazione dall’umore vitreo è generalmente un processo lento. Alcuni farmaci come gli antibiotici ß-lattamici subiscono ugualmente una rapida eliminazione ad opera di un sistema di trasporto attivo localizzato a livello emato-retinico.

Fig. 3- Metodiche di somministrazione per siti intraoculari:

A) iniezione sottocongiuntivale; B) iniezione sub-tenoniana; C) iniezione retrobulbare; D) iniezione intravitreale.

(24)

1.4. Veicoli per la somministrazione oculare di farmaci

Le possibili forme farmaceutiche impiegate per la somministrazione topica oftalmica di principi attivi si possono classificare in:

■ soluzioni o sospensioni acquose (colliri); ■ soluzioni o sospensioni oleose;

■ forme semisolide (unguenti, geli acquosi); ■ sistemi oftalmici mucoadesivi;

■ sistemi oftalmici viscosi; ■ uso di agenti complessanti;

■ forme solide (inserti,lenti a contatto medicate,etc.);

■ sistemi polimerici particellari a rilascio controllato (liposomi, microsfere, nanoparticelle, etc.).

Le soluzioni o sospensioni acquose ed oleose, insieme alle forme semisolide sono definiti sistemi tradizionali, mentre le forme solide fanno parte dei sistemi innovativi.

1.4.1. Sistemi tradizionali

1.4.1.1. Soluzioni o sospensioni

La preparazione oftalmica più diffusa è il collirio che secondo la Farmacopea Ufficiale XII (F.U. XII) è “una soluzione o sospensione sterile acquosa od oleosa contenente uno o più medicamenti”.

Il collirio è la forma farmaceutica oftalmica più comunemente usata e accettata dai pazienti per la facilità con cui è possibile eseguire l’automedicazione. Inoltre, i colliri presentano alcuni vantaggi anche sul piano industriale: sono di semplice preparazione, filtrazione e sterilizzazione.

Tuttavia, la biodisponibilità del farmaco dopo instillazione di tale forma è relativamente bassa (0.5-2%).

(25)

A causa dei fenomeni descritti in precedenza si può affermare che instillazioni ripetute in successione rapida non contribuiscono ad aumentare la biodisponibilità oculare del farmaco.

La concentrazione del farmaco in funzione del tempo nel fluido lacrimale, dopo applicazione topica di una soluzione acquosa, presenta un rapido aumento seguito da una rapida diminuzione. Questo posta alla necessità di eseguire somministrazioni ripetute, che tuttavia provocano picchi di concentrazioni elevati del farmaco (con gli effetti collaterali ad esso associati) seguiti da lassi di tempo in cui la concentrazione del farmaco è inferiore a quella terapeutica.

Le sospensioni, sebbene non siano così comuni come le soluzioni, sono ampiamente usate per formulazioni contenenti antiinfiammatori steroidei (es. prednisolone). L’iniziale resistenza all’uso di queste forme, basata sul timore che le particelle in sospensione potessero danneggiare la superficie oculare, è stata largamente superata con la riduzione delle dimensioni delle particelle stesse (<10 µm) e soprattutto con i benefici che queste forme hanno dimostrato.

Fig. 4- Grafico della variazione della concentrazione nel tempo dopo instillazione di gocce di soluzione oftalmica in rapida successione (Shell, 1984).

1.4.1.2. Forme semisolide

Soltanto le soluzioni acquose leggermente viscose sono ben accettate da parte dei pazienti, in quanto le formulazioni non devono offuscare la visione od

(26)

ostruire i punti lacrimali. L’aggiunta di viscosizzanti (polimeri idrofili naturali, semisintetici o sintetici) alle soluzioni acquose è un possibile metodo per ottenere un aumento della saturazione del film lacrimale, una riduzione della velocità di drenaggio della soluzione applicata e quindi un aumento del tempo di ritenzione del farmaco, con conseguente aumento della penetrazione intraoculare e dell’effetto farmacologico (Khron et Ronel, 1977).

Somministrando il farmaco in forme semisolide (unguenti o geli acquosi), la biodisponibilità viene aumentata in quanto il farmaco viene trattenuto nel veicolo e ceduto lentamente al fluido lacrimale.

I veicoli semisolidi possono essere a base semplice (miscele di idrocarburi paraffinici o geli acquosi), oppure a base composta (quasi esclusivamente emulsioni O/A). Dopo l’applicazione, i veicoli semisolidi si suddividono in piccole porzioni e rimangono nel sacco congiuntivale per molto tempo fungendo da deposito di farmaco (Chrai et al., 1973).

Uno degli inconvenienti principali degli unguenti è l’offuscamento della vista, per cui è preferibile utilizzarli nella terapia notturna ed occlusiva.

1.4.2. Metodi per aumentare il tempo di contatto corneale dei farmaci oftalmici

La principale ragione del fallimento terapeutico dei sistemi oftalmici convenzionali è il drenaggio del farmaco prima che sia potuto avvenire un adeguato assorbimento (Middleton et al., 1990). Per ridurre i fattori di perdita del farmaco dall’area precorneale, i formulatori sono ricorsi a metodi capaci di rallentare il tempo di drenaggio e di aumentare il tempo di contatto precorneale.

Tali metodi comprendono l’uso di sistemi oftalmici mucoadesivi, di sistemi oftalmici viscosi o di agenti complessanti capaci di interagire con le glicoproteine del muco.

(27)

1.4.2.1. Sistemi oftalmici mucoadesivi e fattori che intervengono nella mucoadesione oculare

I sistemi oftalmici mucoadesivi costituiscono un possibile approccio per aumentare il tempo di permanenza del farmaco nell’area precorneale e migliorarne l’assorbimento oculare e l’effetto farmacologico.

E’ stato possibile dimostrare (Saettone et al., 1989) che polimeri polianionici solubili e mucoadesivi, come l’acido ialuronico, l’acido poligalatturonico, il mesoglicano e l’acido poliacrilico aumentano l’assorbimento oculare di pilocarpina in modo maggiore rispetto al PVA di equivalente viscosità.

Snibson et al. (1990) hanno valutato in pazienti con cheratocongiuntivite

secca il tempo di permanenza nel sacco congiuntivale di soluzioni di sodio ialuronato allo 0.2% e 0.3% e di una soluzione di tampone salino. Per le soluzioni di ialuronato, il tempo medio di emivita (valutato tramite gamma scintigrafia) era rispettivamente di 11.1 min e 23.5 min contro un tempo minore di 1 min per la soluzione di tampone salino.

Inoltre, l’addizione di acido ialuronico ad una soluzione all’1% di cloridrato di pilocarpina produceva un’attività miotica più intensa, una maggiore durata d’azione e una più estesa area sotto la curva rispetto ad una soluzione di pilocarpina non viscosizzata. Questo effetto può essere ottenuto anche quando il farmaco è salificato con un polimero ad alto peso molecolare (Saettone et al.,

1989). Infatti, dalla salificazione della pilocarpina, molecola basica, con polimeri naturali acidi, si ottengono derivati che, somministrati in soluzione acquosa, mostrano un aumento di biodisponibilità e un maggiore effetto miotico rispetto ad una soluzione di nitrato di pilocarpina.

Dittgen et al. (1992) hanno dimostrato che più marcata è la forza bioadesiva

dell’eccipiente, più lente sono l’eliminazione oculare del farmaco e la sua iniziale permeazione attraverso la cornea. Questi autori hanno ipotizzato la formazione di uno strato macromolecolare da parte del polimero bioadesivo; questo strato creerebbe un aumento di densità delle interazioni polimero-cornea all’interfaccia, le quali sarebbero responsabili dell’iniziale ritardo della diffusione del farmaco.

Soluzioni isoviscose di polimeri mucoadesivi (Carpopol® 934P) e non (PVA) contenenti pilocarpina nitrato, furono valutate da Davies et al. (1991). Da questo studio è stato dimostrato che la proprietà adesiva del Carpopol® 934P porta ad un

(28)

prolungamento del tempo di residenza precorneale, in confronto con la soluzione di PVA.

L’aumento di biodisponibilità può essere ottenuto anche quando il farmaco è salificato con un polimero ad alto peso molecolare (Saettone et al., 1994). Infatti la salificazione del ciclopentolato e della pilocarpina, molecole basiche, con polimeri polianionici naturali o semisintetici, come acido poligalatturonico, acido ialuronico, carbossimetilamilosio, carbossimetilchitina, condroitin solfato e mesoglicano, mostrano un aumento della biodisponibilità del farmaco. Tale effetto è dovuto esclusivamente al meccanismo mucoadesivo; infatti è escluso il prolungamento del tempo di resistenza precorneale indotto dalla viscosità, poiché le preparazioni avevano una viscosità molto bassa e si osservava una diminuzione dell’attività in vivo dopo rimozione del muco precorneale mediante pre-trattamento con N-acetilcisteina.

Una sospensione di fluorometolone mantiene livelli terapeutici nell’umore acqueo per 8 ore, ma producendo livelli tissutali molto alti per 4 di queste 8 ore. L’aggiunta di polycarbophil, un acido poliacrilico reticolato con grande potere muco adesivo, permette di ridurre la dose somministrata della metà, riducendo la concentrazione massima di farmaco presente nei tessuti, mentre mantiene ancora il livello terapeutico minimo per 8 ore (Middleton et Robinson, 1991).

1.4.2.2. Sistemi oftalmici viscosi

Una delle più importanti proprietà di un polimero mucoadesivo è la sua viscosità in soluzione. Le interazioni polimero-solvente e polimero-solvente-film lacrimale dipendono dalla flessibilità molecolare, dal tipo di solvente, dal grado di ionizzazione, dalla concentrazione del polimero e dal pH (Florence et Attwood,

1982).

La maggior parte di soluzioni o sospensioni di polimeri tendono ad esibire un comportamento pseudoplastico anziché Newtoniano. Per aumentare la viscosità di veicoli oftalmici topici sono stati usati metilcellulosa (MC) e PVA.

Un sostanziale miglioramento della ritenzione del veicolo richiede soluzioni con viscosità di alcune migliaia di cP. Per esempio da circa 25 a 2000 cP la riduzione della velocità di drenaggio è modesta e non proporzionale all’aumento di

(29)

viscosità. Nell’uomo una significativa riduzione della velocità di drenaggio fu notata con alte concentrazioni di PVA (5.85%) o con lo 0.9% di idrossipropilcellulosa (Zaki et al., 1986).

Ulteriori aumenti della concentrazione di PVA portarono ad un valore pressoché costante della velocità di drenaggio. Solo raggiungendo concentrazioni molto elevate di polimero si ebbe un significativo effetto nella diminuzione del drenaggio.

Grass et Robinson (1984) dimostrarono che aumentando la viscosità (fino a

100 cP) di veicoli contenenti farmaci liposolubili non si aveva un sostanziale aumento dell’assorbimento corneale del farmaco. La barriera limitante per l’assorbimento di un farmaco di questo tipo è lo stroma acquoso ed invece il rapido assorbimento da parte dell’epitelio riduce l’effetto sulla biodisponibilità finale dell’aumentato tempo di residenza precorneale.

Per farmaci poco idrofili, che generalmente penetrano la cornea con grande difficoltà, l’aumento di viscosità del veicolo migliora l’assorbimento, grazie all’aumento del tempo di residenza precorneale. Bottari et al. (1979) notarono anche che il Carpopol® 940 prolungava l’attività di lidocaina e benzocaina, nonostante questi sistemi avessero un alto contenuto di acqua. Inizialmente fu ritenuto probabile che l’effetto prolungato fosse dovuto ad un effetto riserva del polimero. Alla luce delle nuove conoscenze sulle proprietà mucoadesive dell’acido poliacrilico l’aumento del tempo di contatto con l’area precorneale può essere attribuito a questo effetto più che a quello della viscosità del polimero.

Nella scelta di mucoadesivi per sistemi terapeutici oftalmici l’ideale è trovare un polimero con buona forza mucoadesiva ed anche un’alta viscosità a basse concentrazioni.

1.4.2.3. Uso di agenti complessanti

Gli agenti complessanti sono sostanze capaci di interagire sia con i componenti delle soluzioni oftalmiche che con le glicoproteine del muco; questa interazione porta spesso ad un legame tra queste due porzioni in grado di far aumentare notevolmente il tempo di contatto precorneale.

(30)

Uno degli agenti complessanti più noti, conosciuto per queste proprietà è lo ione calcio (Bettelheim, 1971), che agisce secondo due meccanismi:

1. il calcio può formare ponti fra gruppi carichi negativamente, quali fosfati e carbossili, riducendo così le normali forze repulsive e permettendo un avvolgimento delle catene di mucina, le quali diventano insolubili;

2. il calcio può causare una variazione conformazionale nelle glicoproteine, con una conseguente maggiore possibilità di interazioni idrofobiche che portano all’aggregazione.

L’aggregazione delle glicoproteine indotta dal calcio porta ad una riduzione della natura espansa del reticolo di muco. Il risultante aumento di densità del reticolo mucoso diminuisce la mobilità dei segmenti delle catene delle molecole di mucina e diminuisce l’interpenetrazione. Questo effetto ha come conseguenza una riduzione della viscosità del sistema (Leung et Robinson, 1988).

E’ da notare che il livello di calcio nelle lacrime umane è di 2.29 mg/100 mL, quindi non sufficiente a provocare un effetto significativo sulla natura espansa della mucina e produrre grovigli con i polimeri bioadesivi (Uotila et al., 1972).

1.4.3. Sistemi innovativi

Una delle nuove classi di sistemi di rilascio del farmaco sono i film polimerici oculari o inserti oculari che stanno guadagnando un riconoscimento in tutto il mondo. Essi sono in grado di rilasciare il farmaco ad una velocità programmata per un periodo più lungo rispetto alle forme farmaceutiche tradizionali, aumentando il tempo di permanenza precorneale del principio attivo.

Gli inserti oculari sono definiti come preparazioni sterili con una consistenza solida, le cui dimensioni e la forma sono appositamente progettate per l’applicazione oftalmica (bastoncelli, scudi, anelli). Questi inserti sono posizionati nel fornice inferiore e meno frequentemente nel fornice superiore o nella cornea per rilasciare il farmaco in essi contenuto. Di solito sono composti da una riserva di principio attivo posta in una matrice o contenuta in una membrana che controlla la velocità di cessione. Il principio attivo, che è più o meno solubile nei fluidi fisiologici, viene rilasciato in un determinato periodo di tempo.

(31)

Essi vengono confezionati singolarmente in contenitori sterili e sono principalmente usati per la terapia topica.

1.4.3.1. Vantaggi e svantaggi degli inserti oculari

Gli inserti oculari offrono diversi vantaggi, che possono essere così riassunti:

a) aumento della permanenza oculare, quindi un’attività prolungata del farmaco e una maggiore biodisponibilità rispetto ai veicoli standard;

b) un accurato dosaggio, al contrario dei colliri che possono essere impropriamente instillati dal paziente e sono in parte dispersi dopo la somministrazione;

c) migliore compliance del paziente, derivante da una ridotta frequenza di somministrazione ed da una minore incidenza di effetti collaterali sistemici;

d) possibilità di veicolare farmaci negli strati interni dei tessuti oculari attraverso vie non corneali (congiuntiva sclerale);

e) potenziale innovativo di questa forma farmaceutica con la possibilità di utilizzare nuovi approcci chimici e tecnologici per migliorare la veicolazione dei farmaci, come pro-farmaci, trasportatori mucoadesivi, microparticelle, etc.

I potenziali vantaggi offerti dagli inserti spiegano perché negli ultimi anni è stato dedicato un grande interesse a queste forme di dosaggio e perché continuano gli sforzi per introdurli sul mercato farmaceutico.

Naturalmente non tutti i vantaggi visti possono essere presenti in un singolo dispositivo. Ogni tipo di inserto rappresenta un compromesso tra le proprietà vantaggiose inerenti le forme di dosaggio solide e i parametri negativi dovuti alla forma e ai componenti dell’inserto, ai costi di fabbricazione, nonché ai parametri fisici e fisiologici del sito di applicazione.

(32)

Gli svantaggi degli inserti sono i seguenti:

a) rigidità dell’inserto, che implica una percezione da parte del paziente di corpo estraneo nell’occhio e ciò può costituire un ostacolo sia fisico che psicologico per l’accettazione da parte dei pazienti;

b) rimozione dovuta ai movimenti fisiologici dell’occhio;

c) perdita involontaria durante il sonno o lo sfregamento degli occhi; d) visione ostacolata;

e) difficoltà nell’applicazione e rimozione per i tipi insolubili.

1.4.3.2. Classificazione degli inserti oculari

Gli inserti sono stati classificati in base alle loro caratteristiche chimico-fisiche come solubili o insolubili. Solo quest’ultimi sono in grado di rilasciare i farmaci ad una velocità controllata, ma presentano l’inconveniente di dover essere rimossi dall’occhio quando il farmaco è stato completamente ceduto.

Gli inserti solubili sono classificati da alcuni autori come erodibili intendendo dispositivi polimerici monolitici che subiscono una graduale dissoluzione mentre rilasciano il farmaco e non hanno bisogno di essere rimossi.

E’ da sottolineare che nonostante i termini “solubile” ed “erodibile” non si distinguano nettamente, non sono intercambiabili e corrispondono a processi chimici distinti.

La vera dissoluzione avviene principalmente attraverso il rigonfiamento del polimero, mentre l’erosione corrisponde ad un processo idrolitico chimico o enzimatico (Heller, 1980).

Gli inserti oculari sono quindi classificati come:

I. inserti oculari insolubili che a loro volta si dividono in due categorie: sistemi a riserva e sistemi a matrice;

II. inserti oculari solubili a base di polimeri naturali e sintetici o semisintetici;

(33)

2. La bioadesione

2.1. Definizioni

L’adesione è stata definita come il legame prodotto dal contatto di un adesivo ed una superficie (Jimenez-Castellanos et al., 1993). Successivamente il concetto è stato esteso definendolo come lo stato in cui due superfici sono tenute insieme da forze interfacciali.

La bioadesione è un fenomeno interfacciale in cui un polimero di sintesi o naturale aderisce ad una superficie biologica per un determinato periodo di tempo, mediante forze interfacciali, con conseguente diminuzione dell’energia superficiale del sistema (Peppas et Buri, 1985).

Quando si parla di sistemi per il rilascio di farmaci, il termine bioadesione implica l’adesione del sistema ad un sito biologico preciso, che può essere il tessuto epiteliale o una membrana ricoperta di muco sulla superficie di un tessuto (si parla di mucoadesione).

Questa non si differenzia dall’adesione convenzionale se non per le particolari caratteristiche del tessuto naturale (Peppas et Buri, 1985) e per il fatto che avviene spesso in presenza di acqua.

2.2. Il muco

Il muco è un materiale viscoso che riveste gran parte delle superfici epiteliali ed è composto principalmente di mucina e sali inorganici sospesi in acqua.

Lo strato mucoso ha la funzione di una barriera diffusiva, evitando il contatto con sostanze dannose, come gli acidi gastrici ed il fumo, e di lubrificante, minimizzando gli sforzi di taglio.

I rivestimenti mucosi, quindi, sono particolarmente abbondanti negli epiteli dei tratti respiratorio, gastro-intestinale e genitale; inoltre il muco è un importante e abbondante componente della saliva, alla quale conferisce proprietà lubrificanti.

(34)

Il muco viene secreto dalle cellule caliciformi e la sua produzione è determinata primariamente da uno stimolo dovuto ad agenti irritanti, piuttosto che a variazioni dei livelli ormonali.

Fig. 5- Rappresentazione delle cellule caliciformi.

La secrezione di muco avviene mediante l’esocitosi dei granuli secretori. Il muco nei granuli delle cellule caliciformi è condensato, ma in seguito alla secrezione, si espande enormemente in volume.

Questo fenomeno sembra dovuto al fatto che le mucine sono rivestite da cariche negative (polianioniche) le quali, all’interno del granulo di secrezione, sono mascherate o neutralizzate da ioni calcio.

Durante l’esocitosi, i pori presenti sulla membrana, aperti verso l’esterno della cellula, permettono al calcio di fuoriuscire e ciò determina una rapida variazione di fase, basata sulla repulsione delle cariche polianioniche e sull’idratazione, che causa l’espansione del gel di mucina.

La composizione del muco (Tabella 2) varia notevolmente in base alla specie animale, alla collocazione anatomica ed alle condizioni, patologiche o normali, dell’organismo (Gandhi et Robinson, 1988) e si può così riassumere:

- Acqua 95% - Glicoproteine e Lipidi 0.5-5% - Sali Minerali 1% - Proteine 0.5-1%

(35)

Le mucine, una famiglia di proteine altamente glicosilate, sono le principali componenti del muco.

Nella mucina matura si distinguono due regioni significativamente diverse (Figura 6):

Fig. 6- Struttura chimica della mucina.

quella ammino- e carbossi-terminale, debolmente glicosilate, ma ricche di cisteina, la quale è responsabile della formazione di legami disolfuro fra e attraverso i monomeri della mucina ed un’ampia regione centrale formata da un tandem multiplo e ripetuto di sequenze costituite da 10 a 80 residui amminoacidici (più della metà dei quali sono treonina o serina).

Quest’area è saturata da centinaia di oligosaccaridi O-legati. Gli oligosaccaridi N-legati sono meno abbondanti.

Il denso rivestimento zuccherino delle mucine conferisce loro una considerevole capacità di legare acqua e le rende resistenti alla proteolisi, fenomeno importante nel mantenimento di barriere mucose.

Le mucine sono secrete come aggregati di grandi dimensioni, costituiti da masse molecolari da uno a 10 milioni di Da circa. All’interno di questi aggregati i monomeri sono legati principalmente mediante interazioni non covalenti, sebbene anche i legami disolfuro intermolecolari giochino un ruolo importante.

(36)

Tabella 2– Composizione in zuccheri ed amminoacidi del muco oculare umano. Monosaccaridi % di carboidrato Fucosio 8.3 Mannosio 7.9 Galattosio 20.2 Glucosio 15.2 Galattosammina 7.9 Glucosammina 18.8 Acido Sialico 21.9 Amminoacidi Residui/1000 Asp 84 Thr 33 Ser 144 Glu 107 Pro 50 Gly 204 Ala 64 Val 41 Ile 23 Leu 45 Tyr 5 Phe 19 Lys 21 His 29 Arg 31

(37)

2.3. Utilizzazioni farmaceutiche della mucoadesione

L’aggiunta di appropriati polimeri alle preparazioni oftalmiche è un metodo comune per aumentarne la biodisponibilità oculare.

Negli anni scorsi questo effetto, generalmente attribuito all’aumento del tempo di contatto e ad una diminuzione della velocità di eliminazione del farmaco dal sacco congiuntivale dovuto all’aumento di viscosità della preparazione, è stato ampiamente studiato usando diversi farmaci e diversi polimeri. Sebbene esso offra alcuni vantaggi, l’aumento della viscosità del veicolo per aumentare la biodisponibilità oculare mostra ben definite limitazioni. In molti casi porta solo ad un modesto aumento di biodisponibilità e le forme di dosaggio molto viscose non hanno spesso valore pratico, perché possono causare offuscamento della visione e/o difficoltà nell’instillazione.

Più recentemente i polimeri mucoadesivi sono stati valutati come coadiuvanti nel delivery oftalmico come carrier di farmaci, e quindi come sistemi a rilascio controllato (Peppas et Buri, 1985). Essi sono idrocolloidi macromolecolari con numerosi gruppi funzionali idrofili.

Si suppone che le soluzioni o i gel che contengono polimeri bioadesivi aderiscano allo strato precorneale/congiuntivale di mucina, instaurando forti interazioni fra i gruppi chimici del polimero e lo strato mucoso del tessuto. Tale fenomeno permette di mantenere il sistema a contatto con il tessuto per un lungo intervallo di tempo; il tempo massimo di permanenza del sistema è strettamente legato al turnover del muco (Krishnamootry et Mitra, 1993).

Figura

Fig. 1- Rappresentazione schematica dell’occhio.
Fig. 2- Apparato lacrimale.
Tabella 1- Fattori precorneali che producono l’allontanamento del farmaco.
Fig. 3- Metodiche di somministrazione per siti intraoculari:
+6

Riferimenti

Documenti correlati

- per le lenti in vetro i materiali vengono applicati su tutto lo spessore della lente, lo stesso metodo è utilizzato per le lenti organiche prodotte in massa ma si

We present early images of the solar atmosphere in K-band (18-26 GHz) with the Medicina 32-m and SRT, as a first test of solar observations using the Italian radio telescopes

Un'implementazione del ricavo di energia, derivante da questo stesso principio, si può ottenere mediante la predisposizione di locali intermedi tra interno esterno

Qui faremo poche applicazioni di ordine vario per mostrare, soprattutto, in che modo si suole procedere quando si ritiene che il movimento assunto dalle manifestazioni del

ü Riempire il bicchiere d’acqua fino al 3 cm dal bordo ü Aggiungere 6 cucchiaini di sale e mescolare ü Osservare il risultato (anche del procedimento 4). La soluzione

ü Riempire il bicchiere d’acqua fino al 3 cm dal bordo ü Aggiungere 6 cucchiaini di sale e mescolare ü Osservare il risultato (anche del procedimento 4). La soluzione

La crescita delle quote relative alle fonti rinnovabili in paesi come Cina, Giappone, Taiwan e Corea del Sud è dovuta al fatto che i governi di questi paesi si vogliono

Through a sample of EU energy rms' production and emissions characteristics, al-.. lowance transactions, and carbon and energy market prices, the rms were divided into subsets