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La Relazione di Corporate Governance come strumento di disclosure per le società a partecipazione pubblica:casi empirici nel contesto regionale toscano.

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Strategia Management e Controllo

Tesi di Laurea

La Relazione di Corporate Governance come strumento di disclosure

per le società a partecipazione pubblica: casi empirici nel contesto

regionale toscano

Relatore:

Candidato:

Prof. Vincenzo Zarone Sara Pucci

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(3)

Alla mia famiglia….

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INDICE

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO I: LA NON FINANCIAL INFORMATION 5

1.1 Le origini della non financial information: la Corporate social responsibility 5 1.1.1 L’evoluzione del concetto di CSR e l’introduzione nel contesto UE 6

1.2 Le non financial reporting initiatives 10

1.2.1 Il carattere volontario e glistandard 11

1.2.2 Dal Sustainability Reporting all’Integrated Reporting 15

1.3 Le determinanti, gli antecedenti e i vantaggi dell’informazione non finanziaria 19

1.3.1 Le determinanti 20

1.3.2 Gli antecedenti 22

1.3.3 I vantaggi 28

CAPITOLO II: LE NOVITÀ DELL’INFORMATIVA NON FINANZIARIA 31

2.1 L’ informativa non finanziaria verso il cambiamento 31

2.1.1 Il Decreto Legislativo sulla dichiarazione non finanziaria e le novità sulla

governance 32

2.1.2 La Relazione sul governo societario 36

2.1.3 La disclosure sui rischi 40

2.2 Il Decreto Legislativo n. 175 44

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2.2.2Principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione delle società a

controllo pubblico; l'articolo 6 61

CAPITOLO III: LA RELAZIONE SUL GOVERNO SOCIETARIO NELLE SOCIETÀ A CONTROLLO PUBBLICO: EVIDENZE EMPIRICHE DALLA

REGIONE TOSCANA 65

3.1 La ricerca sul campo: considerazioni preliminari… 65

3.2Le caratteristiche del campione di studio 67

3.2.1Ilcampione: composizione 69

3.3 La metodologia di analisi 77

3.3.1 Il campione pilota 92

3.4L’analisi nel contesto regionale toscano 102

3.4.1 Riflessioni sui risultati: uno sguardo al contesto regionale 131

3.4.2L’ analisi dei risultati a livello di singolo comune 142

3.5 Focus sul Cda e i Programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale 156

Appendice al capitolo III: Tabelle di rilevazione dati 166

CONCLUSIONI 179

BIBLIOGRAFIA 187

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1

INTRODUZIONE

Lo scopo dell’elaborato è quello di indagare la presenza della Relazione sul governo societario all’interno dei bilanci di esercizio di una particolare categoria di società partecipate, le società a controllo pubblico, in relazione a quanto disposto dal D.lgs. n.175/2016, la cosiddetta legge Madia.

Tale normativa si inserisce in un contesto di novità per quanto riguarda la non financial disclosure.

Negli ultimi anni infatti si è assistito all’emanazione di normative a livello nazionale ed europeo, che per alcune tipologie di società richiedono complessità ulteriori in relazione al tema della non financial information, sia per quanto riguarda gli argomenti da sviluppare, non più solo di tipo socio-ambientale, che per l’aspetto inerente al passaggio dalla volontarietà alla cogenza nella trattazione di materie non financial.

A livello europeo, la Direttiva Comunitaria n. 95 del 2014 sulla non financial disclosure, al fine di favorire la trasparenza sulle informazioni sociali ed ambientali ed identificare i concreti rischi di sostenibilità, converte ciò che fino al 2014 era per gli stati membri dell’Unione Europea una iniziativa volontaria di disclosure, in un obbligo a partire dai bilanci del 2017.

La Direttiva europea viene attuata nel nostro paese con il decreto legislativo n. 254 del 30 dicembre 2016, il quale allineandosi totalmente con essa si rivolge agli enti di interesse pubblico (EIP)prevedendo in particolare l’obbligo di introdurre, in relazione alla tematica di governance, informazioni inerenti alla “diversità”.

In quest’ottica quindi, possiamo interpretare anche l’articolo 6 del D.lgs. 175/2016, che impone alle società a controllo pubblico, l’implementazione all’interno del progetto di

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2

bilancio di una Relazione sul governo societario, che vada ad accogliere tematiche relative alla governance societaria e al rischio.

Alla luce di quanto affermato la relazione sul governo societario diviene un documento chiave per la disclosure abbracciando nuove tematiche non financial.

Prima di andare ad analizzare l’adeguamento delle società a controllo pubblico, appartenenti in particolare al contesto regionale toscano, all’articolo 6 del D.lgs. 175/2016, si procede, nel primo capitolo, ad evidenziare gli aspetti salienti della non-financial disclosure: dalla sua nascita negli Stati Uniti fino all’evoluzione anche nel contesto UE, descrivendo poi le diverse non financial reporting initiatives, e gli standard di redazione. Vengono inoltre delineati i fattori determinanti che influenzano la decisione di pubblicare informazioni di carattere non finanziario, nonché gli antecedenti e i vantaggi derivanti da tale tipologia di informativa.

Il capitolo II, si concentra sui cambiamenti concernenti la non financial disclosure, che come anticipato, riguardano sia il passaggio all’obbligatorietà, che le novità in merito alle materie trattate. Ci soffermeremo in particolare sugli aspetti di modernità relativi alla governance e ai rischi, accennando quindi sia al decreto n. 254 che al decreto n. 175, in particolare all’articolo 6 della norma. Sempre in linea alle suddette complessità parleremo della Relazione sulla corporate governance nelle sue principali caratteristiche nonché della disclosure in tema di rischi.

Inoltre. Poiché l’articolo 6 della legge Madia, si rivolge a una particolare categoria di società, ovvero quelle a controllo pubblico, nel secondo capitolo si mostral’importanza nel tessuto economico italiano delle società a partecipazione pubblica.

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3

Infine il terzo capitolo contiene le evidenze relative all’analisi empirica svolta su un campione di 82 società a controllo pubblico, non quotate e non emittenti titoli sul mercato azionario, selezionate tra quelle partecipate dai comuni capoluogo di provincia toscani. Per il suddetto campione si svolgono rilevazioni relative sia all’adesione articolo 6 del D.lg. 175/2016, sia in relazione all’articolo 123- bis del TUF, il quale disciplina il contenuto minimo della Relazione sul governo societario per le società quotate.

Si va così a determinare se l’implementazione della Relazione di corporate governance secondo il D.lgs. 175/2016, favorisca una pubblicazione in luogo ad essa, da parte delle società in oggetto, delle informazioni richieste dall’articolo 123-bis del TUF, e sistematizzate nel Format di Borsa Italiana.

Poiché si svolgerà un’analisi sia livello del contesto regionale toscano nel suo insieme, che a livello di singolo comune, per il capoluogo di provincia che rappresenta l’esempio migliore di compliance normativa, andremo a svolgere, alla fine del capitolo delle analisi che riguardano i due contenuti centrali nell’innovazione informativa: il rischio e la governance.

In particolare si osserva come vengono presentati i Programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale, richiesti dal comma 2, articolo 6 D.lgs. 175/2016, e le informazioni inerenti al Cda come richiesto dal Format d borsa italiana, alla luce in particolare dell’introduzione delle “politiche in materia di diversità”.

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5

CAPITOLO I

LA NON FINANCIAL INFORMATION

SOMMARIO: 1.1 Le origini della non financial information: la Corporate social responsibility. – 1.1.1 L’evoluzione del concetto di CSR e l’introduzione nel contesto UE. – 1.2 Le non financial reporting initiatives. – 1.2.1 Il carattere volontario e gli standard. – 1.2.2 Dal Sustainability Reporting all’Integrated Reporting. – 1.3 Le determinanti, gli antecedenti e i vantaggi dell’informazione non finanziaria. – 1.3.1 Le determinanti. – 1.3.2 Gli antecedenti. – 1.3.3 I Vantaggi.

1.1 Le origini della non financial information: la Corporate

social responsibility

L’informazione di natura non finanziaria che è stata per molti anni una previsione volontaria di disclosure, si è sviluppata con l’affermarsi di concetti come la responsabilità sociale d’impresa (individuata dall’acronimo CSR, corporate social responsibility) e lo sviluppo sostenibile, i quali hanno mosso le aziende verso la consapevolezza di dover rispondere dell’impatto prodotto sull’ambiente e sulla società attraverso una maggiore trasparenza nelle modalità di operare e negli effetti prodotti dalle attività aziendali.

La corporate social responsibility 1indica un orientamento gestionale che pone al centro della visione aziendale la necessità di accogliere i molteplici interessi dei diversi stakeholder che orbitano attorno all’azienda stessa. Si tratta di una vera e propria tensione che mira quindi a soddisfare in maniera crescente tanto le attese sociali ed ambientali

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6

quanto quelle economiche dei differenti portatori di interesse; Con la CSRci troviamo di fronte ad una concezione di azienda che va oltre la stretta dimensione economico-finanziaria.

1.1.1 L’evoluzione del concetto di CSR e l’introduzione nel

contesto UE.

Le radici della CSR possono essere individuate già negli anni ‘50, quando H.R. Bowen affermò “le responsabilità sociali dell'azienda si riferiscono agli obblighi per i manager

di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni o di seguire quelle linee d'azione che sono desiderabili in vista degli obiettivi e dei valori della società nel suo complesso” 2,è infatti negli Stati Uniti durante gli anni ’60 che il concetto acquista popolarità e prende forma, guidato in particolare, dai movimenti ambientalistici e dalle battaglie sociali per i diritti civili, delle donne e dei consumatori, e dal tentativo di lungimiranti studiosi di comprendere il vero significato della CSR e che cosa implicasse per le imprese. 3 In quegli anni infatti, ciò che si sviluppò significativamente fu non tanto un’attività di applicazione dei principi di responsabilità sociale quanto la letteratura sull’argomento; Joseph McGuire affermò che “la responsabilità sociale spinge le aziende

ad assumere certe responsabilità verso la società che si estendono oltre i loro obblighi economici e legali”, e William C. Frederick si pronunciò in tale modo: “le risorse delle imprese dovrebbero essere utilizzate anche per ampi obiettivi sociali. 4 Un contributo

2 Archie B. Carroll (1999)” Corporate Social Responsibility: Evolution of a Definitional Construct”,

Business e society, 38 (3),268-295

3 Archie B. Carroll and Kareem M. Shabana (2010) “The business case for corporate social responsability:

a review of concepts, research and practice”, International Journal of management reviews, 85-105.

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7

fondamentale in quel periodo arrivò da keith Davis, il quale sosteneva che il concetto di CSR pur essendo ancora “nebuloso” doveva essere applicato al contesto manageriale, e non doveva rimanere una questione prettamente teorica, ritenendo chevi fosse uno stretto legame tra responsabilità sociale e potere di mercato, pensava infatti che la responsabilità degli uomini d’affari dovesse essere commisurata al loro “potere sociale” e che, nel lungo periodo, un comportamento socialmente responsabile potesse portare ad un beneficio per le aziende.5 Gli anni ’70 rappresentarono la decade in cui la social responsibility, social responsiveness e la social performance furono al centro del dibattito; in particolare Friederick nel 1978 formalizzò la distinzione tra social responsibilities (CSR1) e social responsiveness (CSR2): il primo termine enfatizzava l’impegno da parte delle imprese nell’assumere una posizione socialmente responsabile, il secondo si focalizzava sull’atto concreto da parte delle imprese di assumere e di raggiungere una posizione che andasse incontro ai bisogni della società. Il concetto di corporate social performance (CSP), invece oltre a conciliare l’importanza tra CSR1 e CSR2 poneva l’attenzione sul raggiungimento dei risultati e sugli effetti delle iniziative socialmente responsabili.6 Questa enfasi verso gli effetti della CSR aprì la strada verso le misurazioni, le ricerche empiriche e quindi le valutazione svolte a partire dagli anni 80, e ancora oggi attuali, in merito ai risultati ed ai benefici delle politiche e delle attività di corporate social responsibilities da parte delle imprese, (le ricerche erano orientate soprattutto verso l’identificazione di legami tra la CSR e le performance finanziarie delle organizzazioni). Tale trend proseguì nella decade successiva, nella quale però l’attenzione degli

5 Archie B. Carroll (1999)” Corporate Social Responsibility: Evolution of a Definitional Construct”,

Business e society, 38 (3), 268-295.

6 Archie B. Carroll and Kareem M. Shabana (2010) “The business case for corporate social responsibility:

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8

accademici volse principalmente verso altri temi che abbracciavano la CSR, come la stakeholdet theory7, la business ethics theory8, e la corporate citizenship9.

Con l’inizio del ventunesimo secolo riaffiorò con forza l’interesse verso la sostenibilità10 e lo sviluppo sostenibile che divennero parte integrante di ogni discussione in merito alla CSR, verso la quale in questi stessi anni anche l’Unione Europea sancisce il suo impegno; In particolare l’attenzione dell’UE verso i temi della sostenibilità e della CSR nasce in occasione del Vertice Europeo di Lisbona 11nel marzo 2000 e si manifesta con il Libro verde del 2001 12in cui la Corporate Social Responsibility è definita come “l’integrazione

volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. In tale documento la Commissione Europea lanciando il dibattito in merito alla CSR afferma che la promozione di questa può avvenire:” sfruttando al meglio le esperienze esistenti,

7 La stakeholder theory può essere definifta come: una cornice concettuale di etica aziendale e gestione

organizzativa che affronta i valori morali ed etici nella gestione di un'azienda o di un'altra organizzazione. La teoria degli stakeholder è stata inizialmente proposta nel libro Strategic

Management: A Stakeholder Approach di R. Edward Freeman e illustra come la gestione può soddisfare gli interessi degli stakeholder di un’azienda.

8 Il termine business ethics theory tradotto in italiano significa teoria dell’etica degli affari, ed ha lo

scopo di analizzare i fini e le condotte che un’impresa adotta e studia inoltre i principi, i valori e le norme etiche che sono alla base delle scelte che un’azienda vuole intraprendere. Nel 1986 Frederick

identificava la business ethic con la sigla CSR3 ovvero la corporate social rectitude.

9 Il termine Economic citizenship letteralmente significa cittadinanza aziendale e può essere definita

come: “l'amministrazione di un pacchetto di diritti individuali di cittadinanza, sociali, civili e politici,

convenzionalmente concessi e protetti dai governi”, Dirk Matten, Andrew Crane (2005) Corporate

Citizenship: Toward an Extended Theoretical Conceptualization, Academy of Management, 30 (1).

10Il concetto di sostenibilità nasce nel 1987 quando le Nazioni Unite affidarono alla Commissione

Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (WCED, World Commission on Environment and Development) la redazione di un rapporto sulla situazione mondiale dell’ambiente e dello sviluppo: il Rapporto Burtland. Nel rapporto il concetto è cosi definito: “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”, RAPPORTO BRUNDTLAND, WORLD COMMISSION ON ENVIRONMENT AND DEVELOPMENT (1987) “ Our Common Future, From One Heart to One World: An overview by the World Commission on Environment and Development

11L’’European Council Summit di Lisbona definisce l’obiettivo strategico per il decennio 2000-2010 :

“divenire l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita

economica sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale”.

12 Il Libro Verde del 18 maggio 2001 si intitola: “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità

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9

incoraggiando lo sviluppo di prassi innovative, migliorando la trasparenza e rafforzando l’affidabilità delle varie iniziative”.Lo scopo del documento era quello di incentivare le imprese verso un impegno volontario e concreto che potesse contribuire ad incrementare la redditività e supportare le iniziative intraprese con una divulgazione anche ‘essa volontaria, relativa alle informazioni di natura non finanziaria legate in particolare all’impatto delle operazioni aziendali sull’ambiente e sulla società.

Il Libro Verde fu seguito dalla comunicazione della Commissione del 2002 13e successivamente dalla più significativa nel 201114, nella quale la CSR viene presentate come “la responsabilità delle imprese per i loro impatti sulla società […] Per soddisfare

pienamente la loro responsabilità sociale le imprese devono avere in atto un processo per integrare le questioni sociali, ambientali, etiche, i diritti umani e le sollecitazioni dei consumatori nelle loro operazioni commerciali e nella loro strategia di base in stretta collaborazione con i rispettivi interlocutori …”; viene qui espresso un concetto più

coerente con i principi e gli orientamenti riconosciuti a livello internazionale ed inoltre in tale comunicazione la Commissione comunica la volontà di presentare nel futuro una proposta legislativa sulla trasparenza delle informazioni sociali e ambientali (ma anche altre tipologie di informazioni)15data l’importanza già anticipata della divulgazione di queste tematiche.

13 Si tratta della Comunicazione della Commissione del 2 luglio 2002 relativa alla “Responsabilità sociale

delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile”

14 Si tratta della comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato

economico e sociale europeo e al comitato delle regioni, del 25 ottobre 2011, intitolata:” Strategia

rinnovata dell'UE per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle imprese”.

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1.2 Le non financial reporting initiatives

Alla luce dell’importanza dei temi appena affrontati, e delle pressioni derivanti da investitori, dipendenti, clienti, Pubblica Amministrazione, comunità locali e istituzioni nei confronti delle imprese al fine di contrastare il loro comportamento irresponsabile e spingerle verso un approccio maggiormente sostenibile, numerose organizzazioni hanno iniziato a comunicare all’esterno gli impatti sociali e ambientali prodotti dalle attività svolte, comprendendo come le informazioni di natura finanziaria non siano più sufficienti a soddisfare le esigenze conoscitive dei vari gruppi di stakeholder. 16

Oltre ai temi strettamente legati alla CSR nelle comunicazioni di carattere non

finanziario vengono sempre più inclusi aspetti relativi anche alla governance e questo approccio è sintetizzabile nella sigla ESG (Environmental, social and governance), orientamento quest’ultimo sviluppatosi a partire dal 2007, anno caratterizzato dalla crisi finanziaria globale che ha portato molte società a riconsiderare le proprie strategie di business e la propria esposizione al rischio sistematico. 17 In particolare facendo riferimento ai Disclosure Index 18più utilizzati in tema di governane gli aspetti più rendicontati fanno riferimento ai Codici di condotta, alle “Board practice”, ai Sistemi di Anticorruzione e al Risk Management. L’integrazione di aspetti ESG insieme alla sostenibilità e la loro disclosure 19risultano essenziali, soprattutto per le società quotate,

16 C. Bernardi, A. W. Stark (2018) “Environmental, social and governance disclosure, integrsted reporting,

and the accurancy of analyst forecasts”, The British Accounting Review, 50, 6-31

17 Con Rischio Sistematico si intende il rischio che dipende da fattori che influiscono sull'andamento

generale del mercato e che non può essere eliminato o ridotto tramite una diversificazione del portafoglio

18 Indici che vengono utilizzati per misurare il grado di disclosure su determinate variabili.

19 Con il termine disclosure si intende la comunicazione e la divulgazione di determinate informazioni; in

questa trattazione per riferirci alla rendicontazione delle informazioni a carattere non finanziario useremo tal volta indistintamente i termini: disclosure non finanziiaria, non financial discloure.

(17)

11

nel prendere decisioni strategiche e per fronteggiare il rischioso ambiente imprenditoriale odierno.20

1.2.1 Il carattere volontario e gli standard

Poiché la suddetta informativa viene comunicata dalle imprese su iniziativa volontaria risulta appropriato illustrare la divergenza che vi è tra l’informativa volontaria e quella obbligatoria.

L’informativa obbligatoria, per definizione, tende a rendere omogenee le informazioni emanate dalle aziende privandole della possibilità di differenziarsi dalle altre simili, mentre l’informativa volontaria permette al management di sviluppare una comunicazione di indirizzo verso gli stakeholders, e in particolare per le società quotate, tende a facilitare l’attrazione di investitori con orizzonti temporali di lungo periodo. Sebbene la distinzione tra informazione volontaria ed obbligatoria sembri evidente, dal punto di vista concreto vi sono casi in cui non è sempre facile distinguerle.21

Una prima circostanza risiede nella diversa interpretazione fornita dalle aziende sul contenuto dell’obbligo informativo, per cui adempiendo allo stesso obbligo, alcune società forniscono una disclosure ampia altre un’informazione minimale, (si pensi alla nota integrativa dove è chiesto di indicare il numero medio di dipendenti e alcune società riportano semplicemente una cifra mentre altre invece vi commentano la dinamica del personale).

20 R. Atan, J. Said, F.A. Razali, Sahunah Z, (2016) “Environmental, Social and Governance (ESG) Disclosure

and its effect on firm’s performance: a comparative study”, International journal of economics and

management,10, (S2) 355-375.

21 Alberto Quagli e Claudio Teodori, (2005) “L’informativa volontaria per settori di attività”, Franco Angeli

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Un'altra situazione di difficile separazione tra informativa volontaria e obbligatoria può essere rappresentata dalla così detta informazione volontaria “reattiva”. Si tratta cioè di disclosure voluta che rappresenta però la risposta a richieste provenienti da stakeholder, i quali se ben coalizzati possono tal volta esercitare una pressione verso l’incremento della disclosure societaria, (ad esempio le richieste da parte di organizzazioni sindacali al fine di ottenere informazioni aggiuntive sui piani di ristrutturazioni societarie).

Possiamo menzionare anche una terza condizione di ardua distinzione tra le due tipologie di informativa, ossia un’informazione che risulta discrezionale quanto alla scelta se comunicarla o meno, ma vincolata in merito alla modalità di diffusione22 (un esempio è rappresentato dall’informativa prospettica al mercato da parte delle società quotate ed in merito a dati previsionali e obiettivi quantitativi, che deve rispettare obblighi formali di pubblicità per evitare situazioni di privilegio informativo a favore di alcuni operatori e a scapito di altri23).

Il carattere puramente volontario dell’informativa non finanziaria fa sì che non vi sia omogeneità in relazione al metodo e agli strumenti con cui questa viene divulgata, in particolar modo, diversi studi dimostrano come vi siano differenti livelli di comunicazione tra i vari stati e i diversi settori di appartenenza. Per rimediare a ciò, all’inizio del ventunesimo secolo, vengono definiti degli standard da parte di alcune organizzazioni internazionali allo scopo di incrementare la comparabilità e la consistenza delle non financial informations e ridurre quindi la totale discrezione delle aziende. Tra i principali standard ricordiamo: UN Global Compact principles, OECD Guidelines for

22 Ibidem

23 La comunicazione di dati previsionali al mercato di cui all’art 68 del Regolamento Emittenti Consob

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multinational enterprises, ISO 26000, AccountAbility AA1000 e il Global Reporting Initiative (GRI) standards.

Quest’ ultimo è lo standard maggiormente utilizzato ed è ad opera di GRI, un'organizzazione internazionale indipendente che aiuta le aziende a comprendere e comunicare il loro impatto economico, ambientale e sociale e a trarne benefici, definendo degli indicatori di performance attraverso un processo multi-stakeholder. GRI focalizza i suoi sforzi nel creare standard e linee guida per facilitare lo sviluppo sostenibile; Le linee guida pubblicate (Sustainability Reporting Guidelines) si sono susseguite in una pluralità di versioni, le più utilizzate sono le G4 (GRI G4 Guideliness)le quali, valide fino a luglio 2018, sono state riformulate e aggiornate, dando vita ai nuovi GRI Sustainability Reporting Standards (GRI Standards 2016) lanciati il 19 ottobre 2016.24

I nuovi GRI Standards sono caratterizzati da una struttura modulare, con una serie di standard universali che definiscono i principi generali (serie 100) e una serie di standard specifici su temi economici, ambientali e sociali (serie 200, 300, 400).

Più dettagliatamente per quanto concerne la serie 100:

a) GRI 101 definisce i principi guida per redigere il report definendo il contenuto e la qualità del report.

b) GRI 102 include informazioni sul profilo, la strategia, l'etica e l'integrità di un'organizzazione, la governance, le pratiche di coinvolgimento degli stakeholder e il processo di reporting.

c) GRI 103 riguarda l’approccio del management nel gestire i diversi temi. In merito agli standard 200,300 e 400:

24 Per un approfondimento:

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14

d) La serie 200 (da 201 a 206) contiene le informazioni sulle performance economiche, la presenza nel mercato, gli impatti economici indiretti, le pratiche di approvvigionamento, anticorruzione e comportamenti anti-concorrenza.

e) La serie 300 (da 301 a 308) indica le informazioni su materialità, energia, acqua, biodiversità, emissioni, rifiuti, compliance ambientale e valutazione ambientale dei fornitori.

f) La serie 400 (da 401 a 419) riguarda gli aspetti inerenti a :dipendenti, relazioni tra lavoro e management, salute e sicurezza sul lavoro, formazione ed educazione, opportunità di diversità ed equità, non discriminazione, libertà di associazione, lavoro minorile, lavoro forzato, sicurezza, diritti degli indigeni, diritti umani, comunità locali, valutazione sociale dei fornitori, ordine pubblico, salute e sicurezza dei clienti, marketing ed etichettatura, privacy dei consumatori, compliance socioeconomica.25

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1.2.2 Dal Sustainability Reporting all’Integrated Reporting

Grazie alla definizione degli standard per la comunicazione delle informazioni non finanziarie, le aziende all’alba del nuovo millennio cominciano a redigere e pubblicare i cosiddetti Report di Sostenibilità, documenti che affiancano il tradizionale bilancio d’esercizio e che, sposando il tema della CSR, contengono l’esplicazione degli impatti ambientali e sociali dell’agire aziendale.

Con il termine report di sostenibilità, spesso si fa riferimento anche al bilancio sociale, ma rispetto a quest’ultimo il primo include funzioni aggiuntive; Tale documento infatti fornisce una rappresentazione delle performance ambientali, sociali ed economiche dell’impresa evidenziandone i rischi ed opportunità rispetto all’obiettivo di sostenibilità e costituisce uno strumento di pianificazione e controllo volto ad analizzare le attività aziendali valutandole secondo i criteri di efficienza economica e tutela socio-ambientale.26 Poiché la crescita negli anni della rendicontazione non finanziaria spesso non è stata accompagnata da un adeguato livello di affidabilità e fiducia nelle informazioni comunicate, un aspetto importante legato al report di sostenibilità è la certificazione della qualità di quest’ultime27. Si parla quindi di assurance (asservazione) che permette di verificare la concretezza di ciò che l’impresa comunica all’esterno, aumentando quindi la trasparenza e la credibilità dell’informativa riguardante gli impatti ambientali e sociali prodotti dalle attività aziendali. In particolare laddove il livello di fiducia è già alto può essere fatta una auto-certificazione da parte dell’imprese ed una revisione interna, ma più efficace è l’external assurance caratterizzata da indipendenza e imparzialità in quanto effettuata da un’organizzazione di esperti che possiedono capacità

26 EY e GRI (2013), “Sustainability reporting – the time in now”

27 N. Dando, T. Swift, (2003), “Trasparency and assurance: Minding the credibility gap”, Journal of

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e competenze adeguate e riconosciute in grado di garantire l’integrità, la solidità e l’adeguatezza del contenuto del report agli stakeholder28. Inoltre per garantire una comparabilità tra i report esistono degli standard di assurance; degni di menzione sono gli AA1000AS Assurance Standard che possono essere utilizzati da diversi tipologie di soggetti.

Al fine di superare il limite principale del report di sostenibilità,ovvero la mancanza di un collegamento tra le variabili non finanziarie e l’informativa economico-finanziaria, un altro documento si è affacciato sul panorama della disclosure aziendale: l’Integrated Reporting ad opera dell’IIRC (International Integrated Reporting Council).

L’ IIRCè un’associazione internazionale con sede a Londra cui aderiscono organismi di regolamentazione, aziende, investitori, università, singoli professionisti e ONG, con l’obiettivo di sviluppare, appunto, l’Integrated Reporting; nel dicembre 2013, dopo un lungo processo di collaborazione scientifica tra organizzazioni rappresentative della professione, aziende, istituzioni e operatori del settore, l’IIRC ha pubblicato gli standard di redazione dell’ Integrated Reporting, (IR) Framework 1.0.

La caratteristica principale di questo report è proprio il suo carattere olistico, infatti l’International Integrated Reporting Council definisce l’IR come “una comunicazione sintetica che illustra come la strategia, la governance, le performance e le prospettive di un’organizzazione consentono di creare valore nel breve, medio e lungo periodo nel contesto in cui esso opera”.29 Si va quindi ad integrare aspetti ESG con performance finanziarie e strategia prospettica, con l’obiettivo di evidenziarne le connessioni e gli effetti sul contesto economico, sociale e ambientale in cui l’impresa svolge le proprie attività. Si parla inoltre di “integrated thinking”, il pensiero integrato, che consiste

28 CORPORATEREGISTER.COM (2008) “The CSR Assurance Statement Report”.

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nell’esplicitazione completa delle relazioni tra le varie dimensioni e funzioni aziendali attraverso l’identificazione di sei categorie di capitali: financial, manufactured, human, intellectual, natural e social,le quali conducono alla creazione di valore nel tempo. All’interno del Consultation Draft of the International IR Framework, redatto dall’IIRC, si trovano indicati i contenuti del report, i quali sono formulati sotto forma di domanda:  Presentazione dell’organizzazione e dell’ambiente esterno; Quale è l’attività

dell’organizzazione e le circostanze nelle quali opera?

 Governance; In che modo la struttura di governance dell’organizzazione sostiene la sua capacità di creare valore nel breve, medio e lungo termine?

 Modello di business; Quale è il modello di business?

 Rischi ed opportunità; Quali sono le opportunità e i rischi specifici che influiscono sulla capacità dell’organizzazione di creare valore nel breve, medio e lungo termine e in che modo essi vengono da questa gestiti?

 Strategia e allocazione di risorse; Quali sono gli obiettivi dell’organizzazione e come intende raggiungerli?

 Performance; Quali obiettivi sono stati raggiunti e che peso hanno avuto?

 Prospettive; Quali saranno performance future dell’organizzazione, quali sfide ed

incertezze si presenteranno?

 Base di preparazione e presentazione; In che modo l’organizzazione decide quali informazioni inserire nel report e, soprattutto, come vengono quantificate e valutate?

Inoltre nel documento citato vengono esplicitati anche i principi guida da seguire nel redigere il report:

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 Focus strategico e orientamento al futuro: il report integrato deve definire la strategia e spiegare come questa influisce sulla capacità di creare valore nel breve, medio, lungo termine;

 Connettività delle informazioni: il report integrato deve fornire informazioni sulle relazioni e interdipendenze tra i fattori che influiscono sulla creazione di valore in una visione unitaria;

 Relazioni con gli stakeholder: nel report devono essere esplicitati il tipo di stakeholders e il tipo di relazioni che l’organizzazione ha con gli stessi.

 Materialità e sinteticità: il report integrato deve contenere informazioni che risultano rilevanti in relazione alla capacità di generare valore da parte dell’organizzazione, e devono essere riportate in modo conciso.

 Attendibilità e completezza: il report integrato deve fornire informazioni veritiere e deve essere trasparente.

 Coerenza e comparabilità: il report integrato deve fornire informazioni che siano coerenti nel tempo e confrontabili con altre imprese.30

Particolare attenzione va posta nei confronti del concetto di materialità presente anche nelle linee guida degli standars GRI. Il G4 in tema di materialità, intesa come soglia che suddivide ciò che è rilevante da ciò che non lo è, afferma che le informazioni contenute in un report devono riferirsi ai temi e agli indicatori che:

 Riflettono gli impatti significativi, economici, ambientali e sociali, o che

 Potrebbero influenzare in modo sostanziale le valutazioni e le decisioni degli stakeholder.

(25)

19

Un’organizzazione, di fronte quindi ad un’ampia scelta di questioni da riportare, deve selezionare quelle che sono significative e che sono importanti per riflettere il proprio impatto a livello economico, sociale e ambientale.

L’International IR Framework, relativamente al principio della materialità, prevede che siano materiali le informazioni relative ai fattori che incidono sulla capacità dell’organizzazione di creare valore nel breve, medio e lungo termine.Vi è quindi una differenza nella prospettiva in quanto quella del GRI riguarda la sostenibilità mentre quella dell’IIRC attiene alla creazione di valore; i soggetti poi che la determinano sono per il GRI l’organizzazione e gli stakeholder principali, per IIRC sono gli interlocutori fondamentali delle aziende ovvero i fornitori di capitali.

1.3 Le

determinanti,

gli

antecedenti

e

i

vantaggi

dell’informazione non finanziaria

Oltre all’indubbio peso esercitato da pressioni esterne esistono altri fattori che influenzano l’implementazione dell’informativa volontaria a carattere non finanziario.

La letteratura comprende vari tentativi volti a dimostrare come l’adozione della rendicontazione non finanziaria dipenda da differenti fattori. In particolare le ricerche indagano sia quelle che sono le principali determinanti alla base del diverso sviluppo del reporting non finanziario nelle varie aziende, dove per determinanti generalmente la letteratura fa riferimento alle teorie positiviste, che i principali antecedenti, ovvero i fattori di diversa natura maggiormente connessi allo sviluppo dell’informativa inerente alla CSR e ai temi ESG.

(26)

20

Di particolare rilievo risulta altresì un’analisi di quelle che sono le conseguenze, o meglio ancora i vantaggi derivanti dall’implementazione della non financial disclosure.

1.3.1 Le determinanti

Nell’analisi delle determinanti del non financial reporting emergono principalmente gli studi inerenti alla positive accounting theory31. Questo filone di pensiero appartiene alla scuola dell’induzione poiché spiega e descrive la realtà a posteriori ponendo domande come: Quale è lo stato attuale delle cose? Perché è così? Da questa prospettiva i tentativi di spiegare lo sviluppo della rendicontazione non finanziaria si basano principalmente su alcune delle teorie positivistiche.32

Legitimacy theory: Questa teoria ritiene che le società operino grazie ad un “contratto sociale” incentrato sulla conquista e sul mantenimento dell'accettazione sociale; la sopravvivenza dell’impresa deriva infatti dall’apprezzamento del suo operato da parte della società. Ciò aiuta a comprendere la necessità di implementare una rendicontazione non finanziaria il cui scopo è precisamente quello di presentare e giustificare la legalità delle attività aziendali dati i contributi all’ambiente interno ed esterno attesi dagli stakeholders. La comunicazione delle informazioni relative alla responsabilità sociale sta diventando quindi un obbligo morale di rendicontazione. 33

31 La positive accounting theory, è la branca della ricerca accademica contabile che cerca di spiegare e

prevedere le pratiche contabili effettive. Ciò contrasta con la contabilità normativa, che cerca di derivare e prescrivere standard contabili "ottimali".

32 B. Zyznarska-Dworczak (2017), “Determinants for the development of non –financial reporting and its

external verificationn in the light of accounting theory and practice.”, Poznan University of Economics

and Business, Faculty of Management, Department of Accounting, 5, (6) 136-149.

(27)

21

Stakeholder theory: è strettamente legata alla teoria poc’anzi presentata in quanto evidenzia l’importanza della relazione tra l’impresa e i suoi stakeholders, sia interni che esterni. Con la pubblicazione di un report di sostenibilità, l’azienda risponde alle pressioni esercitate dai vari soggetti che con essa interagiscono, i quali sono interessati ad un approccio sostenibile. La disclosure di informazioni a carattere non finanziario permette inoltre di ridurre le asimmetrie informative esistenti tra il management e gli stakeholder e quindi di aumentare la trasparenza e la credibilità delle attività aziendali (Agency Theory).34

Istitutional theory: Secondo questa teoria l’isomorfismo istituzionale fornisce una spiegazione delle diverse pratiche di rendicontazione non finanziaria attuate dalle aziende,sostenendo dunque che le organizzazioni operanti nello stesso contesto tendono ad assumere comportamenti omogenei in risposta alla necessità di soddisfare le aspettative esterne. In particolare secondo la teoria istituzionale sono tre tipologie di isomorfismo a cui un’azienda è sottoposta: normativo, mimetico e coercitivo. Un’ azienda allora predisporrà un report di sostenibilità nel caso in cui sia disposto dalla legge o richiesto dagli shareholder (isomorfismo normativo), oppure perché le altre aziende adempiono tale pratica (isomorfismo mimetico) o infine con lo scopo di seguire gli standard internazionali e essere riconosciuti come buoni cittadini (isomorfismo coercitivo).35

34 R Hahn, M Kühnen, (2013) “Determinants of sustainability reporting: a review of results, trends,

theory, and opportunities in an expanding field of research”, Journal of Cleaner Production 59, 5-21.

35 C Searcy, R Buslovich. (2014) “Corporate Perspectives on the Development and Use of Sustainability

(28)

22

1.3.2 Gli antecedenti

Numerosi studi si sono invece concentrati sugli antecedenti della rendicontazione non finanziaria, andando a ricercare quelli che sono i fattori che ne influenzano l’implementazione, la quale infatti può variare in relazione a:

 Il paese di appartenenza: in particolare le variabili esaminate riguardano il sistema culturale, educativo e lavorativo, finanziario ed economico

 In base alle caratteristiche dell’impresa stessa, quali: la dimensione, gli assetti di governance ed il settore di attività.

 Il sistema culturale

Uno degli elementi principali che condiziona la disclosure non finanziaria nei diversi paesi è sicuramente la cultura e il sistema di valori. Tanto è vero che più è alto il grado di responsabilità sociale a livello nazionale e prevalenti sono i principi incentrati principalmente sul benessere e la qualità della vita, più è probabile che le imprese appartenenti a quel paese agiscano in modo responsabile e divulghino informazioni sui loro aspetti sociali e attività ambientali.

La Svezia ad esempio, presenta tradizionalmente una responsabilità aziendale nazionale notevolmente superiore rispetto agli Stati Uniti, sebbene lo sviluppo economico dei due paesi sia simile.

 Il sistema educativo e lavorativo

Alcune aziende si distinguono dalle altre in relazione alla pratica di investire nell’educazione e nella formazione, fenomeno che ha portato in alcuni casi alla rapida crescita delle università aziendali. Le imprese che spendono risorse nell’istruzione mostrano un forte interesse per i nuovi risultati derivanti dalle ricerche accademiche e

(29)

23

quindi saranno più inclini ad implementare documenti quali il sustainability reporting o l’integrated reporting.

Questa propensione ha valore anche per le organizzazioni che riconoscono l’importanza del coinvolgimento dei dipendenti nel processo di decision-making in quanto comprendono la necessità di trasparenza nei confronti degli stakeholder per ciò che concerne gli impatti prodotti dalle attività aziendali. Tale pratica inoltre è particolarmente sviluppata in Svezia e Germania e risulta essere bassa invece nell'Europa sudorientale.  Il sistema finanziario

Nelle economie basate sul sistema bancario come il Giappone e la Germania, gli intermediari finanziari sono i principali interlocutori delle imprese e poiché essi hanno libero accesso ai dati finanziari delle aziende queste non sono sollecitate in alcun modo a pubblicare nessun altro tipo di informazione su base volontaria.

Al contrario nei paesi in cui vigono le regole del mercato, come Regno Unito e Stati Uniti, l’azionariato è diffuso tra numerosi shareholders, i quali basano le proprie decisioni di investimento sull’ analisi delle informazioni rese loro disponibili; ciò allora rappresenta un incentivo per le aziende a procedere a una rendicontazione non solo a carattere finanziario, ma anche di tipo CSR.

 Il sistema economico

La divulgazione dell’IR e di report di sostenibilità risulta più comune nei paesi sviluppati rispetto a quelli in via di sviluppo in quanto i primi sono più inclini ad innovare e ad implementare i nuovi strumenti digestione. Nel caso in cui i paesi di sviluppo diffondano un’informativa volontaria questo avviene generalmente per la pressione esercitata dalle multinazionali.36

36 J.C. Jensen and N. Berg (2012), “Determinants of Traditional Sustainability Reporting versus

(30)

24

 La dimensione dell’impresa

Generalmente le imprese di maggiori dimensioni sono più propense a divulgare le informazioni non finanziarie, poiché soggette a minori costi di produzione delle informazioni e di svantaggio competitivo associati alla disclosure; infatti presentano costi marginali minori rispetto alle imprese di piccole dimensioni. Le aziende di grandi dimensioni inoltre sono favorite anche da una struttura organizzativa maggiormente gerarchizzata, in quanto potrebbero adibire una specifica unità aziendale allo sviluppo delle pratiche di sostenibilità rispetto ad un’impresa di piccole-medie dimensioni che possiede minori risorse sia organizzative che monetarie. Non di minor peso è la pressione esercitata dagli stakeholders a cui le società più grandi sono maggiormente sottoposte. 37  Gli assetti di governance

Riguardo questo aspetto che risulta essere in assoluto il più studiato in tema di antecedenti dell’informativa volontaria a carattere sia finanziario che non finanziario, gli elementi presi in esame dalla maggior parte di ricerche riguardano in particolare: la dimensione e composizione del consiglio di amministrazione, il ruolo del comitato di controllo e la cosiddetta CEO dualityche segnala l'assenza di separazione tra controllo delle decisioni e processo decisionale.

Per quanto riguarda la dimensione del consiglio di amministrazione gli studi empirici supportano un'associazione positiva tra dimensioni del consiglio e disclosure volontaria (Abeysekera, 2010; Allegrini e Greco, 2013), infatti una CdA di grandi dimensioni comporta una varietà di esperienze e opinioni al suo interno che, a loro volta, aumentano la capacità di supervisione del consiglio e una maggiore divulgazione volontaria (Gandia, 2008). Sul tema della composizione del consiglio di amministrazione, dove per

37 G. k. Meek, C. B. Roberts, S. J.Gray,(1995) “Factors influencing voluntary annual report disclosures by

U.S., U.K. and continental european multinational corporations”,Journal if International Business Studies, 555-572

(31)

25

composizione si fa riferimento alla presenza o meno di amministratori indipendenti, vi sono pareri discordanti; mentre Adams e Hossain (1998) e Cheng e Courtenay (2006) trovano un'associazione positiva tra divulgazione volontaria e presenza di amministratori indipendenti del consiglio di amministrazione, Abdelsalam e Street (2007) e Eng and Mak (2003) documentano il contrario.

A proposito invece del ruolo del comitato di controllo in generale si pensa che esso giochi un ruolo fondamentale nel monitorare le attività del CdA migliorando la qualità delle informazioni divulgate e garantendo la protezione degli interessi degli azionisti attraverso il rilascio di informazioni price-sensitive. Alcune ricerche supportano un'associazione positiva tra il comitato di controllo e divulgazione di informazioni volontarie (Al-Shammari e Al-Sultan, 2010; Barako et al. 2006 e Ho & Wong, 2001). Al contrario, alcuni studi non trovano una relazione (Allegrini e Greco, 2013).

Infine relativamente all’ aspetto della CEO duality è ritenuto che le aziende che presentano questo asset conducano ad una spinta alla divulgazione volontaria più scarsa poiché la concentrazione del potere riduce l’efficacia del monitoraggio nei confronti del CdA il che a sua volta può comportare l’assenza di trasparenza e asimmetria informativa

(Gul e Leung 2004). Questo viene sostenuto dai risultati di molti studi empirici come quelli condotti da Cerbioni e Parbonetti (2007), e Allegrini e Greco (2013).38

 I settori di attività

In merito a questo fattore si sono espressi Alberto Quagli, Claudio Teodori e altri autori facenti parte di una ricerca che è andata ad indagare come i settori di attività in Italia

38 K. Samaha, H. Khlif and K. Hussainey (2015), “The impact of board and audit committee characteristics

on voluntary disclosure: a meta-analysis”, Journal of International Accounting Auditing and Taxation 24,

13-28 e M. Allegrini , G. Greco (2013) “Corporate boards, audit committees and voluntary disclosure:

evidence from Italian Listed Companies”, J Manag Gov 17, 187-216.

(32)

26

influenzassero l’informativa a carattere volontario sia finanziaria che non finanziaria, comprendendo infatti nello studio oltre alle variabili tipiche dell’informativa volontaria a carattere non finanziario, ovvero le tematiche ambientali e sociali (in particolare viene analizzato il bilancio sociale), anche altre variabili tra cui le più interessanti al fine del presente lavoro risultano essere la disclosure sui rischi, e sulla corporate governance. 39

In relazione alla rendicontazione sulla tematica socio-ambientale lo studio mostra come in alcuni settori, abbigliamento, calzaturiero, costruzioni, information technology e mobile, nessun dato è stato registrato, a differenza dei settori motoristico/automobilistico, bancario, petrolifero, trasporto e public utilities, i quali pubblicano informazioni sul suddetto aspetto. In particolare, laddove sono stati rilevati dei valori diversi da zero, i ricercatori hanno riscontrato una presenza di bilancio sociale per le società quotate nettamente maggiore rispetto alle società non quotate. I risultati inoltre sono in linea con quelle che erano le attese dei ricercatori soprattutto per il settore petrolifero e quello delle public utilities (includendo quest’ultimo infatti aziende che erogano servizi pubblici di elettricità, acqua e gas), ovvero che, dato l’impatto sull’ambiente generato dalle attività svolte era ipotizzata l’adozione di strumenti che descrivessero il comportamento assunto.

Per quanto attiene alla corporate governance la ricerca va a esaminare i contenuti delle Relazioni di Corporate Governance 40 là dove esse vengono redatte; ciò che emerge è che questa tematica risulta essere oggetto di molta attenzione in tutti i settori analizzati, con una netta differenza però tra società quotate e società non quotate, in quanto per le prime sono stati rilevati comportamenti di eccellenza mentre dalle seconde la Relazione sul

39 I settori analizzati dalla ricerca sono: abbigliamento e tessile; motoristico/automobilistico; bancario;

calzaturiero; ceramico/cementifico; chimico; costruzioni; farmaceutico; gomma; information technology; mobile; metallurgico e minerario; petrolifero; trasporto; public utilities. Per ogni settore sono individuate società quotate e non quotate.

40 Nello studio vengono prese in esame le seguenti macro classi di informazione di corporate

governance: la struttura della proprietà, i rapporti con i soci e con l’ambiente esterno; il consiglio di amministrazione; il sistema di controllo interno ed i principali dirigenti.

(33)

27

governo societario veniva pressoché omessa. Questo secondo gli autori è dovuto alla cogenza della relazione sulla governance per le società quotate a cui consegue inoltre un’informativa che va oltre spesso le semplici richieste di legge.41

Infine per quanto concerne la disclosure sul rischio è stato riscontrato un limitato impegno da parte di quasi tutti i settori, infatti gli unici che si attestano a livelli interessanti di divulgazione sono il settore petrolifero e del trasporto. Anche nel caso di informazioni sui rischi vi è poi una differenza nell’approccio tra le quotate e le non quotate; le società quotate forniscono nel caso di sei tipologie di settori il doppio di informazioni rispetto alle non quotate.42 L’ impegno esiguo riscontrato su tale tematica è sicuramente dovuto al fatto che le relazioni sulla gestione esaminate risalgono agli esercizi del 2001 quando la disclosure sul rischio era a carattere puramente volontario tranne che per il settore bancario.

Su questo aspetto più aggiornati sono i risultati di una ricerca a cura di Marco Allegrini et al. del 2011 che esamina la disclosure sul rischio conseguente agli obblighi normativi sopraggiunti dal 2005 (si veda a tal proposito il capitolo 2 sulla disclosure sui rischi); la ricerca si concentra sui settori servizi ed industriale e mostra come vi sia un incremento significativo post 2005 nella disclosure sui rischi.43

Un altro contributo nella direzione di analisi dei settori di attività arriva da una ricerca condotta da Gary K. Meek, Clare B. Roberts e Sidney J. Gray su multinazionali appartenenti agli Stati Uniti, al Regno Unito e all’Europa Continentale. In questo studio è stato rilevato come alcuni settori siano più sensibili alla rendicontazione volontaria a

41 Il decreto legislativo 173/2008 modificando l’articolo 123 del Tuf prevede l’obbligo per le società

quotate di redigere una Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari.

42 Alberto Quagli e Claudio Teodori, (2005) “L’informativa volontaria per settori di attività”, Franco

Angeli

43 Marco Allegrini, (2011) “Risk reporting e sistemi di controllo interno un’analisi comparata tra Italia e

(34)

28

carattere non finanziario, precisamente: le società operanti nel settore chimico, petrolifero e minerario risultano particolarmente inclini alla disclosure non finanziaria soprattutto relativa a temi ambientali44, questo probabilmente, come ipotizzato dalla ricerca italiana per l’impatto ambientale dovuto alle particolari attività dei suddetti settori.

1.3.3 I Vantaggi

Il processo di rendicontazione di informazioni non finanziarie da parte delle imprese porta con se innegabili conseguenze positive. L’implementazione di report di sostenibilità o di IR determina infatti benefici notevoli, tra i più immediati troviamo:

 Il miglioramento del rapporto con gli stakeholders e della loro percezione dell’impresa: l’informazione non finanziaria aiuta gli stakeholders a comprendere meglio le performance dell’azienda in generale, la strategia di business, e le prospettive di crescita future, consentendo inoltre la mitigazione dei conflitti interni ed esterni all’organizzazione grazie alla diffusione dell’impegno nel perseguire uno sviluppo economico in equilibrio con l’ambiente e la società.45

 Il rafforzamento del brand e del posizionamento sul mercato: i suddetti documenti sono efficaci strumenti di comunicazione e di marketing e ciò consente di creare una brand equity e migliorare l’immagine dell’impresa nei confronti e dei clienti del mercato  La valutazione delle prestazioni di un’organizzazione: il bilancio di sostenibilità e l’IR

poiché si possono considerare strumenti non solo di comunicazione ma anche di

44 Gli altri settori analizzati erano: metallurgico, materiali da costruzioni, costruzioni, beni di consumo e

servizi, ingegneristico.

45 F. Perrini, (2006) “The practioner’s perspective on non-financial reporting”, California Management

(35)

29

pianificazione e rendicontazione strategica, permettono di valutare il raggiungimento dei propri obiettivi nel tempo.

 Il reperimento di migliori risorse umane e valorizzazioni di quelle presenti: una più solida reputazione e immagine aziendale favoriscono una politica di reperimento di risorse qualificate e motivate nonché un clima di lavoro più disteso e più incentivante.

I benefici appena illustrati sono riscontrabili in particolare anche nelle PMI per le quali, risultando fondamentale l’aspetto della reputazione e il legame con il territorio, vi è un vincolo ad agire con onestà ed integrità al fine acquisire e mantenere il consenso da parte della comunità locale di riferimento.46

Altri vantaggi riscontrabili nelle imprese in seguito alla diffusione di informazioni non finanziarie sono:

 Le divulgazioni su tematiche ESG sono generalmente associate a migliori prestazioni aziendali: esiste una relazione positiva tra responsabilità sociale e ambientale d’impresa, misurata dalla propensione delle aziende alla rendicontazione non finanziaria, e performance economico- finanziarie.47

 L’ influenza da parte dei report di sostenibilità sul costo del capitale di un’impresa: le società di capitali che aderiscono volontariamente a programmi di responsabilità sociale tendono a subire una diminuzione del loro costo del capitale.48

 Un legame con l’accuratezza delle previsioni sugli andamenti finanziari: Più precisamente, dato che l'IR è volto a collegare ambiti ESG e performance finanziarie, uno studio a cura di Cristiana Bernardi e Andrew w. Stark, (2018) ha indagato come

46 Corporate Responsibility reporting e verifica, Progetto di responsabilità e opportunità per lo sviluppo

sociale ed economico (2018), www.cndcec.it

47 Ibidem

48 M.L. James, (2014) “The benefits of sustainability and integrated reporting: an investigation of

(36)

30

l’implementazione di questo porti informazioni utili agli utenti di report finanziari. Il legame più forte tra la precisione delle previsioni sugli andamenti finanziari e l’informativa riguardante temi ESG interessa il contenuto ambientale.49

49 C. Bernanrdi, A. W. Stark, (2018) “Environmental, social and governance disclosure, integrated

(37)

31

CAPITOLO II

LE NOVIT

À DELL’INFORMATIVA NON

FINANZIARIA

SOMMARIO: 2.1 L’ informativa non finanziaria verso il cambiamento. – 2.1.1 Il Decreto Legislativo sulla dichiarazione non finanziaria e le novità sulla governance. – 2.1.2 La Relazione sul governo societario. – 2.1.3 La disclosure sui rischi. – 2.2 Il Decreto Legislativo n. 175. – 2.2.1 Le società a partecipazione pubblica in Italia. – 2.2.2 Principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico; l'articolo 6.

2.1 L’ informativa non finanziaria verso il cambiamento

Spostando il nostro punto di vista esclusivamente sul contesto italiano l’informativa non finanziaria si trova di fronte a due principali novità:

 La prima su cui ci soffermiamo brevemente riguarda il carattere obbligatorio che tale informativa ricoprirà per alcune categorie di società,

 La seconda riguarda i temi già facenti parti dell’informativa non finanziaria a cui però viene data maggior rilevanza; questi temi riguardano in particolare i rischi e gli aspetti attinenti alla governance.

I due elementi di novità corrispondono a due normative: il Decreto n. 254 del 2016, il quale recepisce la Direttiva Comunitaria n. 95 del 2014, e il Decreto Legislativo n. 175 del 2016 o Testo unico sulle partecipate. Ai fini di questa trattazione ci soffermeremo in particolare sugli aspetti di novità relativi alla governance e ai rischi; Per quanto riguarda il primo aspetto le novità riguardano una maggiore attenzione verso lo stesso,

(38)

32

riscontrabile; nel decreto n. 254 che introduce l’informativa sulla “diversità” e nel decreto n. 175 che all’articolo 6 presenta l’obbligo di redigere una Relazione sul governo societario da parte delle società a controllo pubblico.

Relativamente ai rischi invece l’aspetto di novità emerge principalmente dal decreto 175 il quale prevede per la tipologia di società appena menzionata l’obbligo di predisporre dei programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e di darne notizia all’assemblea attraverso la Relazione sul governo societario.

Ciò che infatti accomuna le due norme di legge è l’importanza che viene data alla Relazione sul governo societario, strumento volontario di disclosure per le società non quotate, che viene ampliato quindi nei contenuti dalla normativa n. 254, mentre viene reso obbligatorio per una particolare categoria di società, ovvero le società a controllo pubblico, dalla legge n.175.

2.1.1 Il Decreto Legislativo sulla dichiarazione non finanziaria

e le novità sulla governance.

Il Decreto Legislativo n. 254 recepisce completamente la Direttiva Comunitaria n. 95 del 201450, sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità, la quale, come anticipavamo al paragrafo 1.1 da tempo era nelle intenzioni della Commissione Europea.

Tale direttiva, adottata per favorire la trasparenza sulle informazioni sociali ed ambientali ed identificare i concreti rischi di sostenibilità, converte ciò che fino al 2014 era per gli stati membri dell’Unione Europea una iniziativa volontaria di disclosure, in un obbligo a

(39)

33

partire dai bilanci del 2017. Come poc’anzi affermato, la Direttiva europea viene attuata

nel nostro paese con il decreto legislativo n. 254 del 30 dicembre 2016, il quale allineandosi totalmente con essa si rivolge agli enti di interesse pubblico (EIP) che soddisfano i seguenti criteri51:

 Numero medio di dipendenti nell’esercizio superiore a 500 unità

 Alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno uno dei due seguenti parametri: a) totale dello stato patrimoniale :20000000 di euro

b) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40000000 di euro.

Inoltre l’obbligo riguarda anche gli EIP che siano società madri di un gruppo che rispetti i suddetti requisiti.

Gli EIP, nel nostro ordinamento sono: le banche, le assicurazioni, le imprese di riassicurazione, le società italiane emittenti valori mobiliari ammessi alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano o dell’UE.

Il legislatore italiano rispetto però alla direttiva europea ha ampliato la fattispecie, prevedendo la possibilità per quelle imprese che pubblicano informazioni socio/ ambientali in via volontaria, quindi le PMI, di apporre sulla loro dichiarazione non finanziaria la dicitura di conformità al decreto prevedendo inoltre per quest’ultime delle semplificazioni.52

La dichiarazione non finanziaria, che diventa quindi obbligatoria per i soggetti menzionati, deve poi contenere informazioni atte a coprire: “i temi ambientali, sociali,

51DIRETTIVA 2014/95/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, in merito ai soggetti destinatari

dell’obbligo informativo si esprime cosi: “l’obbligo di pubblicare la dichiarazione di carattere non

finanziario dovrebbe essere imposto soltanto alle imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e agli enti di interesse pubblico che sono imprese madri di un gruppo di grandi dimensioni, in ciascun caso aventi in media più di 500 lavoratori, nel caso di un gruppo, da calcolarsi su base consolidata”.

52 Le dichiarazioni delle imprese con meno di 250 dipendenti, a differenze delle altre, possono essere

(40)

34

attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che sono rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa”, 53e deve essere pubblicata in un’apposita sezione della Relazione sulla gestione oppure può essere redatta con una relazione distinta. Per quanto riguarda la relazione tra la dichiarazione non finanziaria e i bilanci di sostenibilità o il bilancio integrato redatti volontariamente dalle imprese, questa non è ancora chiara, ma attenendosi alla normativa si evince che una società che già redige il bilancio di sostenibilità, può rinviare a quest’ultimo al fine di integrare e completare la dichiarazione non finanziaria obbligatoria, onde evitare inutili ridondanze.

Il Decreto Legislativo n. 254, inoltre, recependo totalmente a livello di contenuti la direttiva europea, apporta modifiche anche in tema di governance, infatti, attraverso la modifica del Testo Unico della Finanza, TUF 54(d.lgs. 58/1998), ha reso obbligatoria la descrizione delle politiche aziendali in materia di “diversità”. In particolare la normativa ha introdotto il concetto di diversità all’articolo 10 (lettera a del suo primo comma ) dove si va a modificare l’art 123–bis del TUF, aggiungendo la lettera d-bis che dispone una “descrizione delle politiche in materia di diversità applicate in relazione alla

composizione degli organi del consiglio di amministrazione, gestione e controllo, relativamente ad aspetti quali l’età, la composizione di genere e il percorso formativo e professionale, nonché una descrizione degli obiettivi, delle modalità di attuazione e dei risultati di tali politiche”.55 Se ciò non viene fatto la normativa, cosi come la direttiva europea, chiede di spiegare le ragioni della mancanza di adozione di questa politica,

53 DECRETO LEGISLATIVO 2016/254, Articolo 3.

54 Noto anche come “Riforma Draghi” approvato con il decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 e

modificato all’articolo 123 nel 2008 prevedendo l’obbligo in capo alle società quotate di redigere una Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari”

(41)

35

(secondo il principio del comply or explain).56 Lo stesso decreto prevede che tali informazioni possano essere omesse dalle società che alla data di chiusura dell’esercizio di riferimento, non superino almeno due dei seguenti parametri:1) totale dello stato patrimoniale: 20000000 di euro; 2) totale dei ricavi netti di vendita e delle prestazioni: 40000000 di euro, 3) numero medio dei dipendenti durante l’esercizio finanziario pari a duecentocinquanta.

Questo ultimo aspetto inerente alla modifica dell’articolo 123 –bis del TUF, il quale disciplina il contenuto minimo della Relazione sul governo societario per le società quotate, risulta di particolare importanza nell’ottica della maggior complessità ed attenzione verso la trasparenza e la disclosure sul tema della governance; tema che viene affrontato anche nella legge 175 se pur come anticipato per particolari tipologie di società.

56 Tale principio è tipico degli obblighi informativi sulle pratiche di governo societario, in base al quale le

imprese devono indicare i motivi di mancata adesione al Codice di Autodisciplina, viene applicato in tema di dichiarazione non finanziaria nel caso in cui l’impresa non pratichi politiche negli ambiti tematici rilevanti per la disciplina in esame.

(42)

36

2.1.2 La Relazione sul governo societario

Gli aspetti inerenti alla corporate governance rappresentano un elemento che fa già parte dell’ informativa a carattere non finanziario, come si è visto infatti, anche nell’Integrated Reporting vengono affrontate tali tematiche integrandole con gli aspetti ambientali, sociali ed economico-finanziari; A tal proposito, inoltre, è opportuno menzionare la ricerca effettuata da Kolk e Pinkse sulle più grandi multinazionali del mondo, relativamente all’integrazione nei report sulla CSR di tematiche di corporate governance.57

Ma è nella Relazione sul governo societario che gli assetti di corporate governance trovano maggior, dettaglio, complessità e approfondimento.

La Relazione sul governo societario è un documento che per alcune imprese, rappresenta un obbligo di legge (come accennato nel capitolo precedente in merito alla relazione tra i settori e i livelli di disclosure), in particolare la cogenza sussiste per le società sottoposte al TUF, quindi per le società emittenti58, mentre per le altre rappresenta un’informativa a carattere volontario.

Come appena affermato nel precedente paragrafo la redazione della Relazione di Corporate Governance è disciplinata dall’articolo 123-bis del TUF dal 2008, ma è nel Format59 (Format 2018) proposto da Borsa italiana che il contenuto del documento trova

57 J.E.M. Kolk, J.M Pinkse, (2010)” The integration of corporate governance in corporate social

responsibility disclosures”, Corporate Social Responsibility and Environmental Management, 17, (1), 15-26.

58 Le società emittenti sottoposte al TUF sono: le società quotate ma anche le società emittenti

strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante. Si tratta di emittenti i cui strumenti finanziari, pur non essendo quotati su mercati regolamentati, sono comunque oggetto di investimento e di circolazione presso un pubblico sufficientemente ampio. I criteri per stabilire quando un emittente sia diffuso sono fissati dal Regolamento Emittenti CONSOB.

59 Precedono il Format del 2018 che ha recepito le modifiche del decreto 254 al 123-bis del TUF, quello

del 2008 sempre a cura di Borsa Italiana, le Linee Guida di Assonime ed Emittenti Titoli s.p.a del 2004, e le Linee Guida di Borsa Italiana del 2002-2003

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