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Le caratteristiche dei dati della sorveglianza sanitaria nel corso della pandemia da SARS-COV-2 nell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

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Academic year: 2021

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MEDICINA E CHIRURGIA

RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di laurea magistrale LM6

Le caratteristiche dei dati della sorveglianza sanitaria nel corso della pandemia da SARS-COV-2 nell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

Relatore:

Chiar.mo Prof. Alfonso Cristaudo

Candidato:

Valeriia Lazareva

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Indice

Riassunto ... 4

Capitolo 1. Introduzione. ... 5

Caratteristica della malattia come infortunio sul lavoro ... 6

Descrizione della famiglia del virus ... 7

Epidemiologia ... 8

La fonte di SARS-CoV-2 ... 9

Etiologia ... 10

Genoma di COVID-19 ... 10

Morfologia di COVID-19 ... 10

Persistenza dei coronavirus su superfici inanimate e loro inattivazione con agenti biocidi... 12

Modalità di trasmissione del virus COVID-19 ... 13

Patogenesi ... 14

Cronologia degli eventi durante l'infezione da SARS-CoV-2 ... 16

Immunopatogenesi Infiammatoria ... 18

Incubazione ... 24

Sintomi clinici ... 24

Comorbidità ... 24

Diagnosi ... 26

Criteri per il rilascio dei pazienti COVID-19 dall'isolamento ... 29

Trattamento ... 29

Protocollo terapeutico ... 29

Sviluppo di vaccini contro il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 ... 36

Vaccini a base di mRNA ... 39

Vaccini a base di DNA ... 40

Sottounità proteica ... 41

Vettori virali ... 41

Particelle simili a virus ... 41

Virus inattivato... 42

Virus vivo attenuato ... 42

(3)

Capitolo 2. Obiettivo della tesi. ... 46

Capitolo 3. Materiali e metodi. ... 47

Capitolo 4. Risultati... 48

Casi di Infezione da SARS-CoV-2 del personale sanitario in relazione al numero totale del personale sanitario. ... 48

Distribuzione dei casi del SARS-CoV-2 per età e genere ... 50

Casi INAIL ... 52

Analisi per professione dell’infortunato ... 55

Lo stato clinico e la sua evoluzione nel tempo ... 57

Sintomi... 60

Capitolo 5. Discussione. ... 61

Gestione della situazione all’AOUP ... 62

Sorveglianza sanitaria del personale ... 75

Sorveglianza sanitaria degli operatori che rientrano al lavoro dopo assenze o smart-working ... 79

Capitolo 6. Conclusioni. ... 81

Ringraziamenti ... 82

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Riassunto

Durante la epidemia di SARS-CoV-2, l'infezione del personale sanitario è stata una preoccupazione significativa. I casi di infezione sono stati considerati dall’INAIL come un infortunio (malattia infortunio) sul lavoro. Il nuovo coronavirus Severe acute respiratory syndrome Corona virus-2 (SARS-CoV-2) si è rapidamente diffuso in tutto il mondo dalla sua origine a Wuhan, in Cina, alla fine del 2019.

Durante lo studio sono stati confrontati i dati ottenuti dal personale sanitario dell’ Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana con l'estrazione dell'RNA virale dal materiale biologico prelevato mediante tampone oro/rinofaringeo attraverso una tecnica chiamata Reverse Real-Time PCR con i dati simili raccolti dal personale sanitario in tutta la regione Toscana.

I risultati dello studio mostrano che la percentuale degli operatori sanitari contagiati all’AOUP è inferiore rispetto ai dati regionali e nazionali. Ciò è dovuto alla precoce introduzione di misure preventive all’AOUP, alla distribuzione competente dei dispositivi di protezione individuale, alla informazione tempestiva del personale sanitario, all’elaborazione di istruzioni per l'assistenza di misure preventive. Gli operatori sanitari sono a rischio di contattare COVID-19 a causa della loro esposizione professionale. L'esame del personale medico è importante e necessario per identificare e isolare i casi con infezione in corso e, in prospettiva, riammettere alle attività lavorative e sociali, senza restrizioni e senza pericolo per loro e per gli altri, i casi con infezione pregressa e immuni. Alla data attuale il distanziamento sociale, l'uso di DPI e le misure organizzative rimangono le principali misure preventive contro la diffusione del SARS-CoV-2.

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Capitolo 1. Introduzione.

Il nuovo coronavirus Severe acute respiratory syndrome Corona virus-2 (SARS-CoV-2) si è rapidamente diffuso in tutto il mondo dalla sua origine a Wuhan, in Cina, alla fine del 2019. La conseguente malattia coronavirus 2019 (COVID-19) ha imposto un enorme onere ai sistemi sanitari a causa degli elevati tassi di trasmissione, della prevalenza di malattie gravi e della mortalità. Il rischio di trasmissione virale agli operatori sanitari è stato motivo di preoccupazione fin dall'inizio dell'epidemia e la prima persona a manifestare le proprie preoccupazioni sulla malattia alla comunità internazionale è stato il dottore Li Wen-Liang, un oculista di Wuhan che purtroppo è morto a causa della malattia che probabilmente ha contratto durante il lavoro.

Il tasso di mortalità complessivo tra gli operatori sanitari e sociali era simile a quello della popolazione in generale.

A gennaio, quando sono emerse le prove della trasmissione da uomo a uomo della SARS-CoV-2, la preoccupazione per la trasmissione da individui infetti agli operatori sanitari era inevitabile. Le prime segnalazioni hanno sollevato la preoccupazione che gli operatori sanitari fossero a maggior rischio di infezione e che, al momento del contagio, questo sarebbe stato più grave.

In Europa, gli operatori sanitari hanno rappresentato una parte sostanziale di tutti i casi di COVID-19. In Italia, gli operatori sanitari hanno rappresentato l'8% dei casi all'inizio di marzo, salendo al 10,5% alla fine di aprile. Più della metà di essi proveniva dalla Lombardia e comprendeva: personale infermieristico e ostetrico (43,2%); personale paramedico (9,9%); medici ospedalieri (19%); medici generici (0,8%).

La coorte aveva un'età media di 66 anni, il 90% erano uomini e il 40% dei decessi avvenuti in Italia. La medicina d'urgenza e i medici di medicina generale hanno rappresentato circa il 40% dei decessi, mentre la percentuale di persone coinvolte in specialità con elevata esposizione a procedure generatrici di aerosol è

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stata bassa: dentisti (5%), chirurghi dell'orecchio, del naso e della gola (4%), oftalmologi (4%) e anestesisti (3%). (1)

Caratteristica della malattia come infortunio sul lavoro

I casi di infezione sono stati considerati dall’INAIL come un infortunio (malattia infortunio) sul lavoro. (2)

La definizione giuridica, ai sensi del T.U. 1124/65, del concetto di "infortunio sul lavoro" è desumibile dall'art. 2 che lo definisce come "…quell'evento avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni". La figura giuridica dell'infortunio sul lavoro risulta, quindi, costituita da tre elementi fondamentali che corrispondono a:

1. Involontarietà

Si intende "involontario" quell'evento accidentale e fortuito pregiudizievole per l'integrità psicofisica dell'assicurato; l'eventuale colpa nell'evento dello stesso assicurato, colpa collegata ad azioni di negligenza, imperizia e imprudenza, non esclude il riconoscimento come infortunio sul lavoro.

2. causa violenta

La giurisprudenza della Corte di Cassazione richiede, perché si abbia infortunio, che esso derivi da una causa esterna che agisca con azione rapida ed intensa o in un brevissimo arco temporale o in una minima misura temporale desumendo la necessità di concentrazione dall'aggettivo violenta che specifica la causa dell'infortunio sul lavoro. (Cass.14119/2006)

3. occasione di lavoro

Le caratteristiche dell'occasione del lavoro sono oltre la "finalità di lavoro" anche il "rischio"; cioè il lavoro è la condizione che consente alla causa lesiva di incontrare l'organismo umano, e il rischio, inteso come rischio specifico, è quello a cui sono soggetti esclusivamente o prevalentemente alcuni individui per ragione del loro lavoro.

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Malattia infortunio

Consiste in un processo morboso conseguente alla penetrazione nell'organismo umano di germi patogeni. La caratteristica principale di questo tipo di patologie è che, dal punto di vista assicurativo, esse vengono giuridicamente qualificate come infortuni sul lavoro in quanto la causa virulenta viene assimilata alla causa violenta. La tutela assicurativa delle patologie in questione come infortuni sul lavoro consente all'Inail di erogare le prestazioni di legge già nella fase del contagio, se noto, che determini, anche per motivi profilattici, l'astensione temporanea dal lavoro(3). Descrizione della famiglia del virus

I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS).

Sono virus RNA a filamento positivo, con aspetto simile a una corona al microscopio elettronico. La sottofamiglia Orthocoronavirinae della famiglia Coronaviridae è classificata in quattro generi di coronavirus (CoV): Alpha-, Beta-, Delta- e Gamma-coronavirus. Il genere del betacoronavirus è ulteriormente separato in cinque sottogeneri (tra i quali il Sarbecovirus).

I Coronavirus sono stati identificati a metà degli anni '60 e sono noti per infettare l'uomo e alcuni animali (inclusi uccelli e mammiferi). Le cellule bersaglio primarie sono quelle epiteliali del tratto respiratorio e gastrointestinale.

Ad oggi, sette Coronavirus hanno dimostrato di essere in grado di infettare l'uomo:

 Coronavirus umani comuni: HCoV-OC43 e HCoV-HKU1 (Betacoronavirus) e HCoV-229E e HCoV-NL63 (Alphacoronavirus); essi possono causare raffreddori comuni ma anche gravi infezioni del tratto respiratorio inferiore

 Altri Coronavirus umani (Betacoronavirus): SARS-CoV, MERS-CoV e 2019-nCoV (ora denominato SARS-CoV-2).

Il nuovo Coronavirus è un nuovo ceppo di coronavirus che non è stato precedentemente mai identificato nell'uomo.

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Il virus che causa l'attuale epidemia di coronavirus (precedentemente denominato 2019-nCoV) prende il nome di SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome - Coronavirus - 2)

Epidemiologia

Durante la comparsa del coronavirus correlato alla sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV) nel 2002–2003, il virus ha colpito 8.096 persone causando gravi infezioni polmonari, con 774 decessi (tasso di mortalità: 10%).

Per MERS-CoV, i dromedari sono importanti serbatoi del virus e sono considerati la principale fonte intermedia per le infezioni MERS-CoV. La maggior parte dei casi umani è stata osservata nella penisola arabica, con focolai nosocomiali in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Corea del Sud, mentre un numero limitato di casi importati è stato segnalato da vari paesi. Si è verificata trasmissione a pazienti che condividono una stanza o un reparto con un paziente MERS, a operatori sanitari e a visitatori. Non sono stati documentati né trasmissione sostenuta da persona a persona né trasmissione comunitaria al di fuori di stretti contatti. L'analisi dei modelli di trasmissione è supportata da studi epidemiologici molecolari, che sono in grado di identificare la correlazione dei virus senza evidenti fattori di rischio per la trasmissione. Il tasso di mortalità delle infezioni da MERS-CoV è stimato al 35%. (4)

Da dicembre 2019, a Wuhan, nella provincia cinese di Hubei, sono stati segnalati molti casi di malattia da Coronavirus 2019 (COVID-19), una patologia che si è successivamente diffusa rapidamente in tutto il paese. (5)

Il 30 gennaio 2020, dopo la seconda riunione del Comitato di sicurezza, il Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato il focolaio internazionale di COVID-19 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale (Public Health Emergency of International Concern – PHEIC), come sancito nel Regolamento sanitario internazionale (International Health Regulations, IHR, 2005).

La dichiarazione di PHEIC comporta per l’OMS il fatto di fornire raccomandazioni e misure temporanee, che non sono vincolanti per i Paesi, ma che

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sono significative sia dal punto di vista pratico che politico relativamente a: viaggi, commerci, quarantena, screening e trattamento. L’OnMS inoltre definisce standard di pratica globali.

Per “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale” si intende: “un evento straordinario che può costituire una minaccia sanitaria per altri Stati membri attraverso la diffusione di una malattia e richiedere una risposta coordinata a livello internazionale”.

Nel meeting del 30 gennaio 2020, il Comitato di sicurezza ha sottolineato il grande impegno della Cina e gli sforzi fatti per contenere il focolaio di infezione da SARS-CoV-2 (tra cui il mantenimento di contatti quotidiani con l’OMS e interventi multisettoriali per limitare l’infezione). La Cina ha infatti identificato rapidamente il virus, condividendone la sequenza in modo che anche altri Paesi potessero sviluppare rapidamente strumenti diagnostici. (6)

L’11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che il focolaio internazionale di infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 può essere considerato una pandemia ma che, nonostante questa definizione, può essere ancora controllata.

La decisione è stata presa a causa della velocità e della dimensione del contagio e perché, nonostante i frequenti avvertimenti, l’OMS si definisce preoccupata che alcuni Paesi non si stiano avvicinando a questa minaccia con un adeguato livello di impegno politico necessario per controllarla.(7)

A livello globale il 21 settembre 2020 ci sono stati 30 905 162 casi confermati di COVID-19, di cui 958 703 morti, segnalati all'OMS.

La fonte di SARS-CoV-2

Ad oggi, la fonte di SARS-CoV-2, il coronavirus che provoca COVID-19, non è conosciuta. Le evidenze disponibili suggeriscono che SARS-CoV-2 abbia un’origine animale e che non sia un virus costruito. Molto probabilmente il reservoir ecologico di SARS-CoV-2 risiede nei pipistrelli. SARS-CoV-2 appartiene a un gruppo di virus geneticamente correlati, tra cui SARS-CoV (il coronavirus che provoca SARS) e una serie di altri coronavirus, isolati da popolazioni di pipistrelli.

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(2) Tuttavia, tra tutte le sequenze di coronavirus conosciute, la SARS-CoV-2 è più simile al coronavirus dei pipistrelli RaTG13, con il 98% di somiglianza, e anche le sequenze di coronavirus nel pangolino (un formichiere squamoso) hanno un'elevata somiglianza. (8)

Etiologia

Genoma di COVID-19

Il confronto delle sequenze genomiche di COVID-19, SARS-CoV e MERS-CoV ha mostrato che la 2019-MERS-CoV ha una migliore identità di sequenza con la SARS-CoV rispetto alla MERS CoV6. La sequenza di aminoacidi COVID-19 varia da altri coronavirus esclusivamente nelle regioni della poliproteina 1ab e della glicoproteina di superficie o S-proteina. La S-proteina ha due sottounità con una sottounità che si lega direttamente al recettore dell'ospite aiutando l'ingresso del virus nelle cellule. Il dominio di legame dell'RNA della S-proteina in COVID-19 ha un'omologia più elevata con SARS-CoV. Anche se alcuni dei residui critici per il legame del recettore sono diversi, nel complesso i residui non identici non hanno alterato la conformazione strutturale. Gli studi suggeriscono che il recettore umano per COVID-19 potrebbe essere l'enzima di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2). Altri coronavirus, tra cui la SARS-CoV, entrano nelle cellule umane attraverso ACE2.

Morfologia di COVID-19

I coronavirus sono particelle avvolte, pleomorfe o sferiche, di dimensioni da 150 a 160 nm, associate a RNA positivo a filamento singolo, non segmentato, nucleoproteina, capside, matrice e proteina-S (Figura 1). Le proteine virali importanti sono la proteina del nucleocapside (N), la glicoproteina di membrana (M) e la glicoproteina di superficie (spike) (S). COVID-19 si differenzia da altri coronavirus perchè codifica una glicoproteina aggiuntiva che ha proprietà di acetil-esterasi e di emoagglutinazione (HE).

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Figura 1. Diagramma schematico del Coronavirus. (Per gentile concessione del Dr. Ian Mackay, Ph.D.).

Nucleocapside. Proteina (N) di COVID-19

Gli anticorpi generati contro la proteina N della SARS-CoV possono reagire in modo incrociato con COVID-19. Gli anticorpi eterofili della SARS-CoV possono non fornire protezione incrociata a COVID-19. Ciononostante, possono essere utilizzati a scopo diagnostico. Un altro ruolo potenziale della proteina N della SARS-CoV è la sua capacità di contrastare la risposta immunitaria dell'ospite come proteina soppressore virale dell'RNAi (VSR). I VSRs sopprimono l'RNAi a livello pre-dicer o post-dicer per superare la difesa dell'ospite a stabilire l'infezione. (9)

Glicoproteina del picco (S) di COVID-19

I recettori cellulari di SARS-CoV e MERS-CoV sono stati identificati, e la glicoproteina spike (S), è stata anche ben studiata. La glicoproteina S comprende due sottounità, S1 e S2, derivanti dalla scissione del precursore uno in due parti. S1 determina determina la gamma degli ospiti di un virus e il tropismo cellulare con il dominio funzionale chiave - il dominio di legame del recettore (RBD), mentre S2 contiene due domini tandem, heptad ripete 1 (HR1) e heptad ripete 2 (HR2), per mediare la fusione delle membrane delle cellule del virus. Si ritiene che il processo di fusione sia simile a quello dell'HIV-1; per esempio, quando S1 si lega al recettore

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sulla membrana cellulare, il peptide di fusione al capolinea N di S2 si inserisce nella membrana cellulare, poi tre HR1 si attaccano l'un l'altro in parallelo come trimer, seguiti dal legame di tre HR2 separatamente sulla parte esterna del trimer per formare un fascio di 6 eliche, portando così il virus e le membrane cellulari vicine tra loro per innescare la fusione. Come obiettivo principale del vaccino, la proteina S è stata valutata in diversi tipi di vaccini contro l'infezione da CoV. (10)

L'ingresso della SARS-CoV è facilitato dall'aggiunta di glicoproteina S all'ACE2, successivamente, i cambiamenti conformazionali della glicoproteina S hanno luogo nel microambiente endosoma per opera di cateossidi di serina proteasi cellulare B e L per facilitare il processo di fusione.

L'ACE2 è espresso sulle cellule epiteliali dei polmoni, della lingua, dei reni, del cuore e del fegato.

L'attaccamento della glicoproteina S all'ACE2 può causare la perdita delle ciglia, metaplasia squamosa e un aumento dei macrofagi negli alveoli che causano diffusi danni agli alveoli polmonari.

Inoltre, la SARS-CoV produce le proteine 3a e 7a che causano l'apoptosi dei polmoni, reni e cellule epatiche. Inoltre, l'attivazione del TH1 aumenta l’ infiammazione delle citochine e delle interleuchine come IFN-γ -IP-10, IFN-γ, IL-1B, IL-6, IL-8, IL-12 e MCP-1 che si verifica nell'infezione da SARS-CoV. (10)

Persistenza dei coronavirus su superfici inanimate e loro inattivazione con agenti biocidi

I coronavirus umani possono rimanere infettivi su superfici inanimate per un massimo di 9 giorni. La disinfezione delle superfici con ipoclorito di sodio allo 0,1% o etanolo al 62-71% riduce significativamente l'infettività del coronavirus sulle superfici entro 1 min di esposizione.(11)

Decadimento del virus SARS-CoV-2 (COVID-19) in alcune condizioni ambientali (aerosol, plastica, acciaio inossidabile, rame e cartone)

SARS-CoV-2 è rimasto vivo in aerosol per 3 ore, con una riduzione del titolo infettivo da 103,5 a 102,7 TCID50 per litro di aria (simile a quella osservata con SARS-CoV-1)

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SARS-CoV-2 era più stabile su plastica e acciaio inossidabile rispetto a rame e cartone con una presenza di virus vivo rilevato fino a 72 ore dopo l'applicazione, sebbene il titolo del virus fosse notevolmente ridotto. Simili i risultati osservati sul virus SARS-CoV-1

Sul rame, il SARS-CoV-2 non è stato individuato vivo dopo 4 ore ( mentre SARS-CoV-1 dopo 8 ore)

Sul cartone, SARS-CoV-2 non è stato misurato vivo dopo 24 ore ( mentre SARS-CoV-1 dopo 8 ore)

Entrambi i virus hanno mostrato un decadimento esponenziale del titolo virale in tutte le condizioni sperimentali

Le emivite di SARS-CoV-2 e SARS-CoV-1 erano simili negli aerosol, con stime mediane di circa 1,1 a 1,2 ore (CI 95%; 0,64 - 2,64 per SARS-CoV-2 e 0,78-2,43 per SARS-CoV-1). Simili anche le emivite dei due virus sul rame mentre sul cartone, l'emivita di SARS-CoV-2 è risultata più lunga rispetto a SARS-CoV-1. La vitalità più lunga di entrambi i virus si è riscontrata su acciaio inossidabile e plastica. L'emivita mediana stimata di SARS-CoV-2 era di circa 5.6 ore su acciaio inossidabile e 6.8 ore su plastica

La stabilità dei due virus (SARS-CoV-2 e SARS-CoV-1) nei contesti testati risulta pressoché sovrapponibile, pertanto le differenze epidemiologiche prodotte da SARS-CoV-2 derivano da fattori diversi fra cui la presenza di elevata carica virale nel tratto respiratorio superiore e la notevole possibilità di trasmissione in fase asintomatica.(12)

Modalità di trasmissione del virus COVID-19

Le infezioni respiratorie possono essere trasmesse attraverso goccioline di diverse dimensioni: quando le particelle di goccioline hanno un diametro >5-10 μm vengono chiamate goccioline respiratorie, e quando poi hanno un diametro <5μm, vengono chiamate nuclei di goccioline. Secondo le prove attuali, il virus COVID-19 si trasmette principalmente tra le persone attraverso le goccioline respiratorie e le vie di contatto. In un'analisi di 75.465 casi di COVID-19 in Cina, la trasmissione per via aerea non è stata segnalata.

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La trasmissione delle goccioline si verifica quando una persona è a stretto contatto (entro 1 m) con qualcuno che presenta sintomi respiratori (ad esempio, tosse o starnuti) ed è quindi a rischio di esposizione delle sue mucose (bocca e naso) o congiuntiva (occhi) a goccioline respiratorie potenzialmente infettive. La trasmissione può avvenire anche attraverso fomiti nell'ambiente circostante la persona infetta. Pertanto, la trasmissione del virus COVID-19 può avvenire per contatto diretto con le persone infette e per contatto indiretto con superfici nell'ambiente circostante o con oggetti utilizzati sulla persona infetta (ad es. stetoscopio o termometro).

La trasmissione per via aerea è diversa dalla trasmissione delle goccioline in quanto si riferisce alla presenza dei microbi all'interno dei nuclei delle goccioline, che sono generalmente considerate particelle di diametro <5μm, possono rimanere nell'aria per lunghi periodi di tempo ed essere trasmesse ad altri su distanze superiori a 1 m.

Nel contesto di COVID-19, la trasmissione in aria può essere possibile in circostanze e impostazioni specifiche in cui vengono eseguite procedure o trattamenti di supporto che generano aerosol; ad esempio, intubazione endotracheale, broncoscopia, aspirazione aperta, somministrazione di trattamento nebulizzato, ventilazione manuale prima dell'intubazione, rotazione del paziente in posizione prona, scollegamento del paziente dal ventilatore, ventilazione a pressione positiva non invasiva, tracheostomia e rianimazione cardiopolmonare.

Ci sono alcune prove che l'infezione COVID-19 possa portare ad un'infezione intestinale ed essere presente nelle feci. Tuttavia, fino ad oggi, solo uno studio ha coltivato il virus COVID-19 da un singolo campione di feci. Non ci sono state segnalazioni di trasmissione fecale-orale del virus COVID-19 fino ad oggi.(13)

Patogenesi

La fisiopatologia dell'infezione da SARS-CoV-2 assomiglia molto a quella dell'infezione da SARS-CoV, con risposte infiammatorie aggressive fortemente implicate nel conseguente danno alle vie aeree. Pertanto, la gravità della malattia nei pazienti è dovuta non solo all'infezione virale ma anche alla risposta dell'ospite. Il

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modello di gravità crescente con l'età è anche ampiamente coerente con l'epidemiologia della SARS-CoV e della MERS-CoV.

L'ARDS grave visto in COVID-19 è caratterizzato da difficoltà di respirazione e basso livello di ossigeno nel sangue. Di conseguenza, alcuni pazienti possono soccombere a infezioni batteriche e fungine secondarie. L'ARDS può portare direttamente all'insufficienza respiratoria, che è la causa di morte nel 70% dei casi di COVID-19. Inoltre, il vasto rilascio di citochine da parte del sistema immunitario in risposta all'infezione virale e/o alle infezioni secondarie può provocare una tempesta di citochine e sintomi di sepsi che sono la causa di morte nel 28% dei casi di COVID-19 mortali. In questi casi, l'infiammazione incontrollata infligge danni multiorgano che portano al collasso degli organi, soprattutto del sistema cardiaco, epatico e renale (Fig. 2). La maggior parte dei pazienti con infezione da SARS-CoV che hanno progredito fino all'insufficienza renale alla fine sono morti.

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Cronologia degli eventi durante l'infezione da SARS-CoV-2

Quando il virus della sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2) infetta le cellule che esprimono i recettori di superficie dell'enzima di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2) e TMPRSS2, la replicazione attiva e il rilascio del virus causano la piroptosi della cellula ospite e il rilascio di modelli molecolari associati al danno, tra cui ATP, acidi nucleici e oligomeri ASC. Questi sono riconosciuti dalle cellule epiteliali vicine, dalle cellule endoteliali e dai macrofagi alveolari, innescando la generazione di citochine pro-infiammatorie e chemochine (tra cui IL-6, IP-10, proteina infiammatoria macrofagica 1α (MIP1α), MIP1β e MCP1). Queste proteine attraggono i monociti, i macrofagi e le cellule T nel sito di infezione, promuovendo un'ulteriore infiammazione (con l'aggiunta di IFNγ prodotto dalle cellule T) e stabilendo un ciclo di feedback pro-infiammatorio. In una risposta immunitaria difettosa (lato sinistro) questo può portare ad un ulteriore accumulo di cellule immunitarie nei polmoni, causando una sovrapproduzione di citochine pro-infiammatorie, che alla fine danneggiano l'infrastruttura polmonare. La conseguente tempesta di citochine che ne deriva circola in altri organi, portando a danni multiorgano. Inoltre, gli anticorpi non neutralizzanti prodotti dalle cellule B possono aumentare l'infezione da SARS-CoV-2 attraverso il potenziamento anticorpo-dipendente (ADE), aggravando ulteriormente i danni agli organi. In alternativa, in una risposta immunitaria sana (lato destro), l'infiammazione iniziale attira le cellule T specifiche per il virus verso il sito dell'infezione, dove possono eliminare le cellule infette prima che il virus si diffonda. Gli anticorpi neutralizzanti in questi individui possono bloccare l'infezione virale, e i macrofagi alveolari riconoscono i virus neutralizzati e le cellule apoptotiche e li eliminano per fagocitosi. Complessivamente, questi processi portano all'eliminazione del virus e al minimo danno polmonare, con conseguente recupero. G-CSF, fattore stimolante delle colonie di granulociti; TNF, fattore di necrosi tumorale.

Infezione delle cellule ospiti e la sua prevenzione

Il primo passo nell'infezione è il legame del virus ad una cellula ospite attraverso il suo recettore bersaglio. Lavori precedenti sul SARS-CoV hanno

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dimostrato che questo virus prende di mira principalmente le cellule epiteliali delle vie aeree, le cellule epiteliali alveolari, le cellule endoteliali vascolari e i macrofagi nel polmone, che esprimono il recettore target dell'enzima di conversione dell'angiotensina 2 (ACE2) utilizzato dalla SARS-CoV2. Poiché la SARS-CoV-2 utilizza lo stesso recettore di ingresso, questi sottoinsiemi cellulari sono probabilmente bersaglio di questo virus. L'infezione da SARS-CoV-2 riduce l'espressione di ACE2 nelle cellule polmonari. Poiché la perdita della funzione polmonare ACE2 è associata a una lesione polmonare acuta, la downregulation ACE2 indotta dal virus può essere importante per la patologia della malattia. ACE2 ha dimostrato di regolare il sistema renina-angiotensina (RAS). Pertanto, una riduzione della funzione dell'ACE2 dopo l'infezione virale potrebbe provocare una disfunzione del RAS, che influenza la pressione sanguigna e l'equilibrio fluido/elettrolita, e migliorare l'infiammazione e la permeabilità vascolare nelle vie aeree.

COVID-19 mostra una differenza nel tasso di mortalità tra i maschi (2,8%) e le femmine (1,7%). Poiché l'ACE2 si trova sul cromosoma X, ci possono essere alleli che conferiscono resistenza a COVID-19, spiegando il più basso tasso di mortalità nelle femmine. In alternativa, gli ormoni sessuali estrogeni e testosterone hanno funzioni immunoregolatorie diverse, che potrebbero influenzare la protezione immunitaria o la gravità della malattia.

La SARS-CoV-2 condivide il 79% dell'identità della sequenza genomica con la SARS-CoV. La proteina spike (S) è espressa sulla superficie delle particelle del virus, dando il caratteristico aspetto di "corona". La proteina S comprende due sottounità: S1 e S2. La sottounità S1 è costituita da un dominio ammino-terminale e da un dominio legante del recettore (RBD), che in SARS-CoV si estende dal residuo amminoacido 318 al residuo amminoacido 510 . L'RBD si lega all'ACE2 come recettore bersaglio della cellula ospite, che avvia il processo di infezione. L'RBD che si lega all'ACE2 innesca l'endocitosi del virione SARS-CoV-2 e lo espone alle proteasi endosomiche. La sottounità S2 è costituita da una regione peptidica di fusione (FP) e da due regioni di ripetizione eptadica: HR1 e HR2. All'interno

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dell'endosoma, la sottounità S1 viene scissa, esponendo il peptide di fusione, che si inserisce nella membrana ospite. La regione S2 si ripiega poi su se stessa per riunire le regioni HR1 e HR2. Questo porta alla fusione della membrana e rilascia il pacchetto virale nel citoplasma dell'ospite.

C'è una somiglianza del 72% nella sequenza degli aminoacidi delle RBD di SARS-CoV e SARS-CoV-2, con strutture terziarie molto simili. La modellazione computazionale e le misurazioni biofisiche indicano che la RBD della SARS-CoV-2 si lega all'ACESARS-CoV-2 con un'affinità superiore a quella della SARS-CoV. Inoltre, la proteina SARS-CoV-2 S contiene un sito di scissione simile al furino, in modo simile al MERS-CoV e al coronavirus umano OC43, che non si trova nella SARS-CoV. Queste caratteristiche potrebbero contribuire ad aumentare l'infettività della SARS-CoV-2 rispetto alla SARS-CoV. Oltre alla precleavage del furino, la serina proteasi cellulare TMPRSS2 è anche necessaria per elaborare correttamente la proteina del picco SARS-CoV-2 e facilitare l'ingresso della cellula ospite.

Immunopatogenesi Infiammatoria

L'infezione di SARS-CoV-2 e la distruzione delle cellule polmonari innesca una risposta immune locale, che porta al reclutamento dei macrofagi e dei moniciti che rispondono all’infezione, rilasciano citochine e inducono la risposta adattativa delle cellule B e T. In molti casi questo processo è sufficiente a risolvere l’infezione. In alcuni casi invece avviene una risposta immune disfunzionale che può causare patologia polmonare severa e addirittura conseguenze sistemiche.

I virus citopatici, tra cui la SARS-CoV-2, inducono la morte e la lesione di cellule e tessuti infetti da virus come parte del ciclo di replicazione del virus. L'infezione virale e la replicazione nelle cellule epiteliali delle vie aeree potrebbe causare alti livelli di piroptosi legata al virus con associata perdita vascolare, come si è visto in pazienti affetti da SARS-CoV. La piroptosi è una forma altamente infiammatoria di morte cellulare programmata che si vede comunemente con i virus citopatici. Questo è un probabile fattore scatenante per la successiva risposta infiammatoria. IL-1β, un'importante citochina rilasciata durante la piroptosi, è elevata durante l'infezione da SARS-CoV-2. Utilizzando una varietà di recettori per

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il riconoscimento dei pattern (PRR), le cellule epiteliali alveolari e i macrofagi alveolari rilevano i pattern molecolari associati ai patogeni rilasciati (PAMP), come l'RNA virale, e i pattern molecolari associati ai danni (DAMP), compresi gli oligomeri ATP, DNA e ASC. Ne consegue un'ondata di infiammazione locale, che comporta un aumento della secrezione delle citochine pro-infiammatorie e delle chemochine IL-6, IFNγ, MCP1 e IP-10 nel sangue dei pazienti affetti. Queste citochine sono indicatori di una risposta cellulare polarizzata T helper 1 (TH1), che mette in parallelo le osservazioni fatte per SARS-CoV e MERS-CoV. La secrezione di tali citochine e chemochine attrae le cellule immunitarie, in particolare i monociti e i linfociti T, ma non i neutrofili, dal sangue al sito infetto. Il reclutamento polmonare di cellule immunitarie dal sangue e l'infiltrazione di linfociti nelle vie aeree può spiegare la linfopenia e l'aumento del rapporto neutrofili-linfocitari osservato in circa l'80% dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2.

Nella maggior parte degli individui, le cellule reclutate eliminano l'infezione nel polmone, la risposta immunitaria recede e i pazienti si riprendono. Tuttavia, in alcuni pazienti si verifica una risposta immunitaria disfunzionale, che innesca una tempesta di citochine che media l'infiammazione polmonare diffusa. È stato osservato che i pazienti con COVID-19 grave, che richiedono cure intensive negli ospedali, hanno mostrato livelli plasmatici più elevati di IL-2, IL-7, IL-10, fattore di stimolazione delle colonie di granulociti (G-CSF), IP-10, MCP1, proteina infiammatoria macrofagica 1α (MIP1α) e fattore di necrosi tumorale (TNF)11 . I livelli di IL-6 in questi pazienti continuano ad aumentare nel tempo e sono relativamente più elevati nei nonsopravvissuti rispetto ai sopravvissuti. In particolare, esiste una popolazione di macrofagi monocitari altamente infiammatori derivati dal FCN1+ nel liquido di lavaggio broncoalveolare dei pazienti con COVID-19 grave ma nonlieve. Inoltre, i pazienti con malattia grave mostrano una percentuale significativamente più alta di monociti infiammatori CD14+CD16+ nel sangue periferico rispetto ai pazienti con malattia lieve. Queste cellule secernono citochine infiammatorie che contribuiscono alla tempesta di citochine, tra cui MCP1, IP-10 e MIP1α (Fig. 2).

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I meccanismi con cui la SARS-CoV-2 sovverte le risposte antivirali innate delle citochine dell'organismo sono ancora da studiare, ma la ricerca sulla SARS-CoV mostra che molteplici proteine virali strutturali e non strutturali antagonizzano le risposte dell'interferone. L'antagonismo si verifica in varie fasi del percorso di segnalazione dell'interferone, anche impedendo il riconoscimento PRR dell'RNA virale, impedendo la segnalazione PRR attraverso TBK1/inibitore del fattore nucleare-κB chinasi subunità-ε (IKKε), TRAF3 e IRF3), impedendo la segnalazione dell'interferone a valle attraverso STAT1 e promuovendo la degradazione dell'mRNA dell'ospite e inibendo la traduzione della proteina dell'ospite. È molto probabile che almeno alcuni di questi percorsi siano conservati nella SARS-CoV-2. L'antagonismo della risposta dell'interferone aiuta la replicazione virale, con conseguente aumento del rilascio di prodotti di piroptosi che possono ulteriormente indurre risposte infiammatorie aberranti.

L'infiltrazione delle cellule infiammatorie senza restrizioni può di per sé mediare i danni nel polmone attraverso l'eccessiva secrezione di proteasi e di specie reattive dell'ossigeno, oltre ai danni diretti derivanti dal virus. Insieme, questi si traducono in danni alveolari diffusi, tra cui la desquamazione delle cellule alveolari, la formazione di membrane ialine e l'edema polmonare. Questo limita l'efficienza dello scambio di gas nel polmone, causando difficoltà di respirazione e bassi livelli di ossigeno nel sangue. Il polmone diventa anche più vulnerabile alle infezioni secondarie.

Oltre ai danni locali, la tempesta di citochine ha anche effetti di ondulazione in tutto il corpo. Livelli elevati di citochine come il TNF possono causare shock settico e insufficienza multiorgano. Questi possono causare danni al miocardio e insufficienza circolatoria osservati in alcuni pazienti. Gli anziani (quelli di età superiore ai 60 anni) e le persone con comorbidità hanno maggiori probabilità di sviluppare una tale risposta immunitaria disfunzionale che causa la patologia e non riesce a sradicare con successo l'agente patogeno. Le ragioni esatte di ciò non sono chiare, anche se una ragione può essere un microambiente polmonare invecchiato che causa un'alterazione della maturazione delle cellule dendritiche e la migrazione

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verso gli organi linfoidi, e quindi un'attivazione difettosa delle cellule T. Al contrario, i bambini tendono a non sviluppare gravi malattie nonostante siano in grado di sperimentare alti titoli virali. In tutti i gruppi di età inferiore ai 18 anni, più del 50% dei bambini ha avuto sintomi lievi o erano asintomatici, con meno del 6% dei bambini che hanno sviluppato sintomi gravi. Pertanto, mentre gli studi sopra citati rappresentano un importante passo avanti, un quadro completo dei fattori immunitari critici dell'ospite che sono alla base dello sviluppo di risposte infiammatorie più gravi in alcuni pazienti rimane poco definito.

Rimane controverso se la persistenza del virus sia necessaria per guidare il danno in corso. Il picco dei titoli virali nei campioni delle vie respiratorie potrebbe verificarsi anche prima dell'insorgenza dei sintomi della polmonite nelle infezioni da SARS-CoV e SARS-CoV-2. Tuttavia, un ampio studio di coorte retrospettivo ha mostrato che l'RNA virale era rilevabile nei non sopravvissuti fino al punto di morte, suggerendo una correlazione tra la persistenza del virus e l'esito negativo della malattia. Poiché l'RNA virale può indugiare anche dopo l'infezione attiva, e non è rappresentativo dell'infettività del virus, se il cattivo esito della malattia sia direttamente dovuto a grandi quantità di particelle infettive è speculativo in questo momento. Inoltre, studi precedenti di SARS-CoV hanno scoperto che il virus può infettare altri bersagli oltre alle cellule polmonari. In particolare, il virus è stato trovato nei linfociti T, nei macrofagi e nelle cellule dendritiche derivate da monociti. L'uccisione diretta dei linfociti da parte del virus potrebbe contribuire alla linfopenia osservata nei pazienti. L'infezione virale nelle cellule immunitarie come i monociti e i macrofagi può portare alla produzione di citochine aberranti, anche se l'infezione virale non è produttiva. Il grado in cui la SARS-CoV-2 colpisce queste cellule rimane poco definito. La comprensione dei precisi fattori che determinano le disfunzioni immunitarie è fondamentale per guidare l'applicazione di adeguati trattamenti immunomodulatori.

Immunità dei Linfociti T

Sia le risposte delle cellule T e B contro la SARS-CoV-2 vengono rilevate nel sangue circa 1 settimana dopo l'insorgenza dei sintomi della COVID-19. Le cellule

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T CD8+ sono importanti per attaccare e uccidere direttamente le cellule infettate dal virus, mentre le cellule T CD4+ sono cruciali per attivare sia le cellule T CD8+ che le cellule B. Le cellule T CD4+ sono anche responsabili della produzione di citochine per guidare il reclutamento delle cellule immunitarie. La prima autopsia di un paziente con COVID-19 ha rivelato un accumulo di cellule mononucleari (probabilmente monociti e cellule T) nei polmoni, insieme a bassi livelli di cellule T iperattive nel sangue periferico. Insieme ai rapporti di linfopenia e ai ridotti livelli di cellule T periferiche nei pazienti, questi risultati suggeriscono che le cellule T sono attratte lontano dal sangue e nel sito infetto per controllare l'infezione virale. Nei pazienti con COVID-19, l'aumento dell'esaurimento dei linfociti T e la riduzione della diversità funzionale hanno predetto una grave malattia. Nonostante la ridotta risposta, i pazienti che si sono ripresi dall'infezione da SARS-CoV hanno sviluppato cellule T della memoria specifica del coronavirus, che sono state trovate fino a 2 anni dopo il recupero.

Le cellule T CD4+ CD4+ specifiche per la SARS-CoV esprimono IFNγ, TNF e IL-2, il che suggerisce che i pazienti con infezione da SARS-CoV mostrano una risposta cellulare TH1 e utilizzano principalmente l'immunità cellulare per controllare l'infezione. Anche se questo profilo pro-infiammatorio può essere un fattore aggravante per l'immunopatogenesi, le cellule T CD4+ sono state ipotizzate per controllare la SARS, in quanto l'esaurimento di queste cellule nei topi ha portato ad una più lenta clearance del virus dall'ospite e ad una più grave infiammazione polmonare.

Le cellule T specifiche del Coronavirus sono chiaramente importanti per eliminare il virus e controllare lo sviluppo della malattia e dovrebbero essere considerate nelle strategie di vaccinazione. Tuttavia, se le risposte delle cellule T siano in grado da sole di prevenire l'infezione in ambienti umani, rimane ancora da indagare. Questa conoscenza sarà importante per lo sviluppo del vaccino.

Immunità dei B-Linfociti

Le risposte delle cellule B nei pazienti con COVID-19 si verificano in concomitanza con le risposte delle cellule follicolari T helper, a partire da circa 1

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settimana dopo l'insorgenza dei sintomi. Nei pazienti con infezione da SARS-CoV, le risposte delle cellule B in genere nascono prima contro la proteina del nucleocapside (N). Entro 4-8 giorni dopo l'insorgenza del sintomo, si trovano risposte anticorpali alla proteina S. Le risposte anticorpali neutralizzanti, probabilmente contro la proteina S, iniziano a svilupparsi entro la seconda settimana, e la maggior parte dei pazienti sviluppa anticorpi neutralizzanti entro la terza settimana. Dato che i titoli virali raggiungono il picco più precocemente per la SARS-CoV-2 rispetto alla SARS-CoV, le risposte anticorpali possono anche sorgere prima. Sembra che un sottoinsieme di pazienti possa non sviluppare anticorpi di lunga durata contro la SARS-CoV-2. Non si sa se questi pazienti siano suscettibili di reinfezione, di cui esistono sporadici rapporti. È probabile che gli anticorpi siano efficaci contro la SARS-CoV-2: campioni di siero di convalescenti sono stati applicati con risultati clinici apparentemente buoni in COVID-19 e sono stati utilizzati con successo nel trattamento della SARS. (8)

La risposta anticorpale, invece, pur positivizzandosi a partire dal quarto giorno dall’inizio dei sintomi, ha un andamento crescente fino alla seconda e terza settimana dall’inizio di malattia, dopo la quale gli anticorpi di tipo IgM subiscono un decremento fino alla definitiva scomparsa intorno alla settima settimana, mentre le IgG persistono anche oltre.(14)

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Incubazione

E' il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi clinici. Recenti evidenze fornite dallo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) sul periodo di incubazione del virus delimitano il periodo tra 2 e 12 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni. (15)

Sintomi clinici

I principali sintomi clinici dell’infezione sono febbre (88.7%), più alta negli adulti rispetto ai bambini, tosse (57.6%), dispnea (45.6%) e mialgia. A questi sintomi più comuni, si aggiungono altri, riportati più recentemente, quali iposmia, disgeusia, gola infiammata, mal di testa e congiuntivite. In una più limitata percentuale di casi, viene riportato anche il coinvolgimento gastrointestinale con diarrea, nausea e vomito. Secondo i dati attualmente disponibili, la malattia in circa l’80-90% dei casi può decorrere in maniera asintomatica o presentare un decorso lieve, con sintomi simil-influenzali. Nel 10% dei casi può manifestarsi con dispnea, ipossiemia e severo coinvolgimento polmonare. Nel 5% dei casi può evolvere in una forma grave con necessità di assistenza in reparti di terapia intensiva. Infatti, l’infezione può complicarsi con una sindrome da distress respiratorio, e in minor frequenza con shock, infezioni secondarie, insufficienza cardiaca o renale; lo sviluppo in una forma più o meno grave dipende per lo più dalla presenza di comorbilità o dall’età avanzata. Il tasso di mortalità riportato in diversi studi appare variabile e in diminuzione con l’avanzare del tempo. Tale variabilità tra le percentuali indicate è probabilmente dovuta alle diverse caratteristiche dei pazienti e / o dei tassi di prevalenza di infezione nelle diverse zone ed è influenzata dal numero di test diagnostici eseguiti e anche dal fatto che le terapie intensive non sono più sature come nelle prime settimane. (16)

Comorbidità

Il COVID-19 comporta un enorme onere per le strutture sanitarie, in particolare per i pazienti con comorbidità. La terapia intensiva, infatti, era richiesta per circa il 20% dei pazienti con infezione da COVID-19 e polimorbilità.(17)

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Il tasso di mortalità e morbilità risulta aumentato e questo impone una particolare attenzione alla gestione dei soggetti ipersuscettibili. La letteratura finora disponibile è concorde nel riportare tra le categorie a rischio i pazienti anziani e coloro che soffrono di patologie croniche.

Il tasso di mortalità ospedaliera è più elevato laddove vi siano le patologie cardiovascolari e il diabete. Gli autori indicano, inoltre, tra i possibili fattori associati ad una prognosi infausta anche l’età avanzata (media pazienti defunti: 69 aa vs media pazienti sopravvissuti: 52 aa). (18)

L’identificazione di gruppi di soggetti con rischio potenzialmente più alto è essenziale per prendere decisioni relative alla gestione dei pazienti. Tra fattori di rischio indipendenti nei pazienti affetti sono incluse: l’ipertensione arteriosa, le malattie cardio- e cerebrovascolari, il diabete, e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). (19)

Le potenziali implicazioni cardiologiche dell’infezione da coronavirus suggerite fin dall’esordio della pandemia si sono dimostrate tutt’altro che marginali. La pratica clinica ha mostrato come i pazienti con pregressa storia di patologia cardiovascolare, (ipertensione arteriosa, coronaropatia, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale) presentino maggiore suscettibilità all’infezione, decorso clinico più severo con aumentato rischio di complicanze tromboemboliche, distress respiratorio, shock settico ed esito infausto più frequente rispetto ai pazienti non cardiopatici (mortalità: 36% vs. 15%). (20)

Riguardo la relazione tra diabete e infezione da Covid-19, una revisione in fase di stampa ha tentato di fornire una sintesi delle conoscenze attuali, interrogandosi sui possibili meccanismi fisiopatologici sottesi a tale relazione, come la presenza di fenomeni di instabilità metabolica con condizioni di iper e ipoglicemia, il deficit della risposta immunitaria affidata ai linfociti T e il danno micro e macrovascolare che la malattia causa in vari distretti. Un’ottimale gestione del paziente diabetico non può prescindere dal mantenimento di un buon controllo glicemico considerando anche le possibili interazioni con il trattamento anti SARS-CoV-2, come nel caso

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dell’idrossiclorochina il cui effetto ipoglicemizzante deve essere attentamente considerato.(21)

Per quanto riguarda il cancro come condizione di suscettibilità, dalla letteratura scientifica precedente alla pandemia, emerge come i pazienti oncologici presentino un più elevato rischio di mortalità per complicanze legate ad infezioni, a causa della compromissione del sistema immunitario indotta dalla patologia e dai trattamenti chemio e radioterapici che questa può richiedere. L’attuale pandemia impone certamente una particolare attenzione per questa popolazione vulnerabile, che potrebbe avere un aumentato rischio di contrarre l’infezione e di avere una prognosi peggiore rispetto a quella della popolazione generale. E’ ragionevole pensare che la popolazione oncologica, tra cui soggetti con linfoma, leucemia e mielodisplasia, trapiantati di recente o in trattamento chemio-radioterapico, possa presentare un elevato rischio di complicanze in seguito all’infezione da coronavirus. La linfopenia da trattamento chemioterapico dovrebbe essere sempre tenuta in stretta considerazione, considerando come tale riscontro laboratoristico sia frequente (82.3%) nei soggetti affetti da COVID-19.(22)

Diagnosi

Il gold standard per la diagnosi di infezione è l’estrazione dell’RNA virale dal materiale biologico prelevato mediante tampone oro/rinofaringeo attraverso una tecnica chiamata Reverse Real-Time PCR (rRT-PCR), con specificità vicina al 100% e sensibilità bassa al 64%. (23)

La tecnica RT-PCR eseguita su campione biologico sembra più efficace per la diagnosi di COVID-19 nei primi 11 giorni successivi all’insorgenza dei sintomi, per poi diminuire in seguito alla comparsa della risposta anticorpale. Si suggerisce inoltre di utilizzare la tecnica ELISA per la rilevazione degli anticorpi di classe IgM e/o IgG in pazienti che presentino sintomi da più di 10 giorni.(24)

La diagnosi di Covid-19 non può prescindere dall’identificazione dell’RNA virale su materiale biologico proveniente dalle alte (tampone naso-faringeo) o basse vie respiratorie. Al contrario, gli esami sierologici al momento disponibili, finalizzati ad individuare se una persona sia stata infettata mediante l’analisi del suo stato

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anticorpale, ovvero la risposta immunitaria di tipo IgM, IgA o IgG, hanno un utilizzo circoscritto a scopi epidemiologici o comunque un ruolo esclusivamente di supporto in fase diagnostica. Si usa un test sierologico basato sulla tecnica ELISA altamente specifico e sensibile, con un’accuratezza diagnostica del 97.3%, che utilizza come antigene la proteina virale S1. L’utilizzo improprio dell’una o dell’altra metodica di laboratorio o la loro non corretta interpretazione potrebbe tradursi in una gestione errata con conseguenze dannose sia in caso di falsi positivi che di falsi negativi.

Per quanto riguarda l’RNA virale, esso è rilevabile già dal primo giorno di comparsa dei sintomi ed, in genere, permane determinabile fino a 3 settimane dalla loro insorgenza, quando inizia a diminuire per poi diventare non più riscontrabile. Nei soggetti con malattia più grave, la rilevabilità dell’RNA virale può persistere per periodi più lunghi, con una variabilità dovuta anche al tipo di campione utilizzato per l’analisi (lavaggio bronco-alveolare, espettorato, tampone naso-faringeo), con alcuni studi che hanno dimostrato che la PCR può risultare ancora positiva nell’espettorato quando si è invece già negativizzata nei campioni raccolti tramite tampone naso-faringeo. La risposta anticorpale, invece, pur positivizzandosi a partire dal quarto giorno dall’inizio dei sintomi, ha un andamento crescente fino alla seconda e terza settimana dall’inizio di malattia, dopo la quale gli anticorpi di tipo IgM subiscono un decremento fino alla definitiva scomparsa intorno alla settima settimana, mentre le IgG persistono anche oltre.(14)

Circa la diagnostica per immagini, la radiografia del torace mostra alterazioni nel 33-60% dei casi. Molto più sensibile, ma meno specifica è la TAC che è diventata la diagnostica di base per il COVID-19, utile sia per la diagnosi che per il follow-up. L'imaging del torace, nella fase iniziale, mostra molteplici ombre e cambiamenti interstiziali, per lo più localizzati nella periferia polmonare e nello spazio subpleurico, successivamente si sviluppano multiple opacità a vetro smerigliato in entrambi i polmoni. Nei casi più gravi, può verificarsi un consolidamento polmonare, presentandosi come "polmone bianco", con raro versamento pleurico e ingrossamento dei linfonodi mediastinici. L’immagine alla TC appare in continua

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evoluzione, andando a riflettere il processo infiammatorio patologico che avviene a livello polmonare. (5)

Gli esami di laboratorio non sono specifici. Infatti le alterazioni più comuni sono leucocitosi (11%), leucopenia (36.9%), linfocitopenia (57.4%), aumento degli indici di flogosi (Velocità di eritrosedimentazione (42.2%), proteina C reattiva (61.3%), lattato deidrogenasi (57.0%))[2], ipoalbuminemia (75.8%). (17)Più recentemente sono state riportate anche altre alterazioni, quali il prolungato tempo di protrombina (58%), l’aumento delle transaminasi (ALT 21.3% e AST 63.4%) e l’eosinofilopenia (78.8%). (23)

Un'altra forma di rilevamento di antigeni o anticorpi è l'utilizzo di test rapidi, alcuni dei quali vengono eseguiti anche in prossimità del paziente (POCT). Sono dei metodi che velocizzano il flusso di esami nei laboratori specializzati e permettono di avere risultati in tempi molto più brevi di quelli precedenti (1-2 h vs 6-8 h).

Molti test rapidi sono progettati come strisce reattive, il che riduce al minimo indispensabile la manualità per l'esecuzione. Anche i dispositivi di misura utilizzati nei test rapidi sono solitamente quasi completamente automatizzati e richiedono solo pochi semplici interventi dell'utente dalla preparazione del campione al risultato del test. Si basano su diversi modelli d’analisi e possono essere utilizzati direttamente nei pressi del punto di prelievo (point-of-care). È possibile utilizzare come materiale d'analisi la saliva al posto del muco naso-faringeo. I metodi rapidi point-of-care attualmente disponibili sul mercato sono di due tipi. Molecolari si basano comunque sull’amplificazione genica. Antigenici si basano sugli anticorpi monoclonali e sui metodi immunoenzimatici.

I test rapidi sono semplici e intuitivi da utilizzare e hanno il vantaggio che la lettura del risultato può essere fatta in poco tempo. Gli svantaggi dei test rapidi sono una minore sensibilità analitica (capacità di svelare la presenza di piccole quantità del componente che si propone di ricercare) e specificità analitica (capacità di identificare correttamente solo il componente che si propone di ricercare). (25)

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Criteri per il rilascio dei pazienti COVID-19 dall'isolamento

Il 27 maggio 2020 l'OMS ha aggiornato i criteri per la dimissione dall'isolamento come parte del percorso di cura clinica di un paziente COVID-19. Non servono più necessariamente due tamponi negativi a distanza di almeno 24 ore, oltre alla guarigione clinica per interrompere l'isolamento. Questi criteri nuovi si applicano a tutti i casi di COVID-19, indipendentemente dal luogo di isolamento o dalla gravità della malattia.

Criteri per la dimissione dei pazienti dall'isolamento (ad esempio, interruzione delle precauzioni basate sulla trasmissione) senza che sia necessario ripetere i test:

Per i pazienti sintomatici: 10 giorni dopo l'insorgenza dei sintomi, più almeno 3 giorni aggiuntivi senza sintomi (anche senza febbre e senza sintomi respiratori).

Per i casi asintomatici: 10 giorni dopo il test positivo per la SARS-CoV-2 Con la trasmissione diffusa nella comunità, questi criteri iniziali per la SARS-CoV-2 hanno posto diverse complicanze:

 Lunghi periodi di isolamento per individui con un prolungato rilevamento di RNA virale dopo la risoluzione dei sintomi, che influiscono sul benessere individuale, sulla società e sull'accesso all'assistenza sanitaria.

 Insufficiente capacità di test per soddisfare i criteri di scarica iniziale in molte parti del mondo.

 Prolungamento della dispersione virale intorno al limite di rilevazione, con risultati negativi seguiti da risultati positivi, che fa perdere inutilmente la fiducia nel sistema di laboratorio.(15)

Trattamento

Protocollo terapeutico

Paziente positivo per COVID-19 asintomatico o con sintomi lievi: (Febbre (>37,5°C), tosse, sintomi da raffreddamento senza dispnea), età < 70 anni e senza fattori di rischio (BPCO, diabete e cardiopatia) e RX torace negativo hanno bisogno dell’osservazione clinica, terapia di supporto.

Paziente positivo per COVID-19 con sintomi respiratori lievi ma di età > 70 anni e/o con fattori di rischio (BPCO, diabete e cardiopatia) oppure sintomatico o

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con sintomi lievi (Febbre (>37,5°C), tosse, dispnea da lieve a moderata) e Rx torace con quadro di polmonite: lopinavir/ritonavir cps 400/100 mg, 2 x 2/die, + clorochina 500 mg, 1 x 2/ die o idrossiclorochina cp 200 mg, 1 x 2/die. Durata della terapia: almeno 5-7 giorni, da stabilire secondo evoluzione clinica. In caso di necessità di ossigenoterapia o rapido peggioramento clinico richiedere Remdesivir ad uso compassionevole. Al momento della sua disponibilità sospendere LPV/RTV e proseguire con: Remdesivir fiale 150 mg: 1 giorno 200 mg ev in 30 minuti poi 100 mg ev /die per altri 9 giorni in associazione a clorochina 500 mg, 1 x 2/ die o idrossiclorochina 200 mg, 1 x 2/die (durata del trattamento da 5 a 20 giorni secondo evoluzione clinica).

Paziente positivo per COVID-19 con quadro di polmonite grave, ARDS o insufficienza respiratoria globale, scompenso emodinamico, insufficienza multiorgano, necessità di ventilazione meccanica (o non invasiva): Remdesivir 1 giorno 200 mg ev come dose carico, quindi 100 mg/die ev (giorni 2-10) + clorochina 500 mg, 1 x 2/ die o idrossiclorochina 200 mg x 2 via SNG (durata del trattamento da 5 a 20 giorni secondo evoluzione clinica). Fino al momento della disponibilità di Remdesivir intraprendere terapia con LPV/RTV 5 mL x 2/die via SNG + idrossiclorochina 200 mg x 2 via SNG.

Terapia antiinfettiva di supporto

Aggiungere terapia antibiotica (empirica o mirata) e/o antivirale (oseltamivir) secondo indicazioni cliniche, politiche sanitarie o protocolli in uso.

Accesso ai farmaci Per la richiesta di uso fuori indicazione di farmaci registrati (lopinavir/ritonavir e clorochina o idrossiclorochina) è sufficiente compilare il modulo di utilizzo off-label del farmaco e far firmare al paziente (tranne che in caso di stato di necessità) il consenso informato. Per l’utilizzo di remdesivir, essendo il farmaco non registrato in Italia, è necessario chiedere l’uso compassionevole del farmaco, attraverso la compilazione di una apposita modulistica ad personam, all’azienda Gilead Sciences inc. e ottenere approvazione all’uso dal Comitato Etico.

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Misure di supporto

Terapia steroidea

In generale, la terapia steroidea non sembra aggiungere benefici in termini di outcome clinico nel trattamento dell’infezione da COVID-19. Al contrario, la terapia steroidea potrebbe rallentare la clearance del virus. Tuttavia, in pazienti in ARDS confermata, ma NON con infezioni da COVID-19, è stato recentemente descritto un beneficio da PARTE DEL desametasone a basso dosaggio e per un periodo limitato di tempo (10 giorni), con beneficio in termini di riduzione significativa di mortalità. Nonostante si tratti di una evidenza indiretta, appare ragionevole considerare l’impiego di desametasone esclusivamente in pazienti con ARDS confermata e su indicazione intensivistica.

Ventilazione meccanica non invasiva

Esiste una forte evidenza che l’utilizzo di NIV (ventilazione meccanica non invasive) nel trattamento della polmonite da COVID-19 sia associato ad un outcome peggiore. Su queste basi l’OMS raccomanda, ove possibile, di evitare l’utilizzo di NIV e adottare invece standard che prevedano l’intubazione precoce. In caso di necessità di utilizzo della NIV, questa deve essere impiegata all’interno di in un reparto di terapia Intensiva.

Indicazione ad inizio di trattamento antivirale

Studi in vitro hanno dimostrato che l’inizio più precoce possibile della terapia antivirale (sia con LPV/r che con remdesivir) riduce le complicanze gravi della malattia (soprattutto insufficienza respiratoria acuta).

Il trattamento è indicato in pazienti con diagnosi virologica accertata di infezione da COVID-19:

• Con sintomi lievi ma con presenza di comorbidità o rischio di mortalità aumentato.

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Trattamento farmacologico

Clorochina, idrossiclorochina

Nelle prime fasi dell’epidemia l’uso off-label di idrossiclorochina è stato consentito, sulla base dei dati preliminari disponibili, unicamente nell’ambito del piano nazionale di gestione dell’emergenza COVID-19 e nel rispetto degli elementi riportarti nelle precedenti versioni della scheda. Alla luce delle evidenze di letteratura recentemente prodotte e riassunte nel presente aggiornamento, l’AIFA ha sospeso l’autorizzazione all’utilizzo off-label del farmaco al di fuori degli studi clinici. Le disposizioni di seguito riportate sono da estendersi anche all’utilizzo di clorochina.

Si sono rese disponibili nuove evidenze di letteratura provenienti da studi osservazionali. Di seguito sono riassunti gli studi pubblicati su riviste internazionali peer-reviewed, più rilevanti dal punto di vista clinico, in cui fosse presente un gruppo di controllo e il cui endpoint fosse la mortalità.

Linee di Indirizzo per l’uso terapeutico

In questa nuova fase dell’epidemia, considerate le premesse sopra descritte, l’uso dell’idrossiclorochina, da sola o in associazione ad altri farmaci, non è autorizzato al di fuori degli studi clinici. Per analogia tale disposizione si intende applicata anche alla clorochina.

Linee di Indirizzo per l’uso profilattico

Al momento l’uso profilattico è basato esclusivamente su osservazioni in vitro, per cui non esistono indicazioni neppure in merito alle dosi da utilizzare. L’uso profilattico deve essere quindi considerato esclusivamente nell’ambito di studi clinici

Prima gli studi clinici hanno dimostrato l’attività in vitro e nel modello animale della clorochina fosfato come antivirale nei confronti del virus della SARS e dell’influenza aviaria. Sembra infatti che la clorochina possa esplicare la sua efficacia antivirale incrementando il Ph endosomiale necessario per la fusione virus/cellula ospite. Inoltre la clorochina appare interferire con la glicosilazione dei recettori cellulari di SARS COV 10.(8)

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Lopinavir/ritonavir (LPV/R)

Lopinavir è un noto antiretrovirale di seconda generazione che inibisce la proteasi virale di HIV. In combinazione con ritonavir (antivirale somministrato a basso dosaggio per il solo effetto potenziatore di lopinavir) ha dato importanti risultati nella riduzione della morbilità e mortalità nei pazienti con HIV/AIDS.

LPV/r è considerata una promettente opzione di trattamento per le infezioni da COVID-19, sulla base dell’efficacia dimostrata nei confronti di SARS COV (in combinazione con ribavirina).

Le evidenze cliniche tuttavia, benché stiano aumentando nell’ultimo mese, rimangono limitate. L’efficacia clinica di LPV/r è suggerita da casi aneddotici. In modo simile, casi aneddotici suggeriscono come la somministrazione di LPV/r sia in grado di ridurre la carica virale di COVID-19 molto rapidamente.

E’ attualmente in corso uno studio clinico randomizzato e controllato (MIRACLE trial) che ha l’obiettivo di verificare l’efficacia terapeutica di LPV/RTV+IFNb nei pazienti con infezione da MERS-CoV.(27)

Remdesivir (GS-5734)

Remdesivir è un analogo nucleotidico che viene incorporato nella catena di RNA virale nascente risultando nella sua terminazione prematura. Tale meccanismo è alla base della sua possibile efficacia nei confronti dei coronavirus respiratori. Remdesvir è attivo, in studi preclinici, su infezioni SARS-CoV e MERS-CoV agendo sulla polimerasi virale dei coronavirus. In modelli animali infetti con coronavirus MERS, Remdesivir sembra avere maggiore efficacia rispetto al trattamento con lopinavir/ritonavir + interferone beta 1/b.

Eparine a basso peso molecolare nei pazienti adulti con COVID-19

Le eparine a basso peso molecolare (EBPM) sono glicosaminoglicani ottenuti per frazionamento dell’eparina. Sono utilizzate nella profilassi del tromboembolismo venoso post chirurgico e del tromboembolismo venoso in pazienti NON chirurgici affetti da una patologia acuta (come ad esempio insufficienza cardiaca acuta, insufficienza respiratoria, infezioni gravi o malattie reumatiche) e mobilità ridotta ad aumentato rischio di tromboembolismo venoso. Sono inoltre

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utilizzate nel trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare e della sindrome coronarica acuta. Solo enoxaparina ha l’indicazione nella profilassi del tromboembolismo venoso dei pazienti non chirurgici; la dose raccomandata in RCP è di 40 mg (4.000 U) al giorno sc per almeno 6-14 giorni.

Razionale Il decorso clinico del COVID-19 sta sempre più nettamente delineando l’esistenza di 3 distinte fasi cliniche della malattia:

1. una fase iniziale durante la quale il virus si replica all’interno delle cellule dell’ospite. Tale fase si caratterizza clinicamente per la presenza di malessere generale, febbre e tosse secca. I casi in cui si riesce a bloccare l’infezione in questo stadio hanno un decorso assolutamente benigno.

2. La malattia può poi evolvere verso una seconda fase caratterizzata da alterazioni morfofunzionali a livello polmonare causate sia dagli effetti diretti del virus sia dalla risposta immunitaria dell’ospite. Tale fase si caratterizza per un quadro di polmonite interstiziale molto spesso bilaterale associata, ad una sintomatologia respiratoria che nella fase precoce è stabile e senza ipossiemia, ma che può successivamente sfociare verso una progressiva instabilità clinica.

3. Tale scenario, in un numero limitato di persone, può evolvere verso un quadro clinico ingravescente dominato dalla tempesta citochinica e dal conseguente stato iperinfiammatorio che determina conseguenze locali e sistemiche e rappresenta un fattore prognostico negativo producendo, a livello polmonare, quadri di vasculopatia arteriosa e venosa con trombizzazione dei piccoli vasi ed evoluzione verso lesioni polmonari gravi e talvolta permanenti (fibrosi polmonare). Le fasi finali di questo gravissimo quadro clinico portano ad una ARD grave e in alcuni casi alla CID. In tale fase si è osservata un’alterazione progressiva di alcuni parametri infiammatori quali PCR, ferritina, e citochine pro-infiammatorie (IL2, IL6, IL7, IL10, GSCF, IP10, MCP1, MIP1A e TNFα) e coagulativi quali aumentati livelli dei frammenti di degradazione della fibrina come il D-dimero, consumo di fattori della coagulazione, trombocitopenia, ecc. Tale quadro, sia sul piano clinico che dal dal punto di vista ematochimico è simile a quello della linfoistiocitosi emofagocitica (quadro clinico raro spesso scatenato da una infezione virale).

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Mentre le scelte terapeutiche della prima fase e della seconda fase iniziale (IIA) dovrebbero mirare al contenimento della crescita virale, nella seconda fase avanzata (IIB) e nella terza fase della malattia l’obiettivo dovrebbe essere il contenimento dell’iperinfiammazione e delle sue conseguenze utilizzando farmaci biologici che bloccano la cascata citochinica e verosimilmente anche il cortisone, le EBPM o le eparine non frazionate a dosi terapeutiche sfruttando le loro proprietà anticoagulanti e non solo. È stato dimostrato che scelte terapeutiche tempestive possono migliorare l’esito clinico.

Tratto da Hasan K. et Al. Apparirà in: Journal of Heart and Lung Transplantation.

In tale complesso quadro le EBPM si collocano:

 nella fase iniziale della malattia quando è presente una polmonite e si determina una ipomobilità del paziente con allettamento. In questa fase l’EBPM dovrà essere utilizzata a dose profilattica allo scopo di prevenire il tromboembolismo venoso.

 nella fase più avanzata, in pazienti ricoverati per contenere i fenomeni trombotici a partenza dal circolo polmonare come conseguenza dell’iperinfiammazione. In tale caso le EBPM dovranno essere utilizzate a dosi terapeutiche.(28)

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