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Studio di una coorte di pazienti affetti da miopatia mitocondriale afferenti alla Clinica Neurologica dell'Università di Pisa

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UNIVERSITA’ DI PISA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di Laurea in Medicina e Chirurgia

Studio di una coorte di pazienti affetti da

miopatia mitocondriale afferenti alla Clinica

Neurologica dell'Università di Pisa

Relatore

Chiar.mo Prof. Michelangelo MANCUSO

Candidato

Francesco GRUOSSO

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2

INDICE

INDICE 2

1. ABSTRACT DELLA TESI 5

2. INTRODUZIONE 7

2.1. I MITOCONDRI E LA FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA 7

2.2. IL DNA MITOCONDRIALE 10

2.3. LE MALATTIE MITOCONDRIALI: GENERALITÀ 13

2.4. MALATTIE MITOCONDRIALI: CLASSIFICAZIONE 15

2.5. APPROCCIO DIAGNOSTICO 19

2.5.1.MARCATORI SOLUBILI A RIPOSO 20

2.5.2.TEST DA SFORZO 21

2.5.3.STUDI BIOMOLECOLARI SU CELLULE CIRCOLANTI 22

2.5.4.TECNICHE DI IMAGING 22

2.5.5.BIOPSIA MUSCOLARE 23

2.6. APPROCCI TERAPEUTICI 25

2.7. DISFUNZIONE MITOCONDRIALE, STRESS OSSIDATIVO E APOPTOSI 27

2.8. MIOPATIE MITOCONDRIALI PRIMITIVE (PMM) 31

2.9. FGF-21 E GDF-15 COME PARAMETRI SIERICI CORRELATI ALLA DISFUNZIONE

MITOCONDRIALE 33

2.10. STANDARD INTERNAZIONALI PER LA DIAGNOSI E IL TRATTAMENTO DELLE

(3)

3

3. OBIETTIVI E DISEGNO DELLO STUDIO 38

3.1. PROGETTO TELETHON E OBIETTIVI 39

4. MATERIALI E METODI 43

4.1. SOGGETTI IN STUDIO 43

4.2. VALUTAZIONE CLINICA E INDAGINE SULLA QUALITÀ DI VITA 46

4.2.1.NEWCASTLE MITOCHONDRIAL DISEASE ADULT SCALE (NMDAS) 46

4.2.2.QUESTIONARI SULLA QUALITÀ DI VITA 47

4.3. DOSAGGI BIOCHIMICI 48

4.3.1.DETERMINAZIONE DI FGF21 E GDF15 48

4.4. TEST FUNZIONALI 51

4.4.1SIX MINUTES WALKING TEST (6MWT) 51

4.4.2.TIMED WATER SWALLOWING TEST (TWST) 52

4.4.4.FIVE TIMES SIT TO STAND TEST (5XSST) 54

4.4.5. CONFRONTO TEST FUNZIONALI DEI PAZIENTI CON I VALORI DI

RIFERIMENTO 55

4.5. ANALISI STATISTICA 56

5. RISULTATI 57

5.1. DETERMINAZIONI INIZIALI (T0) 57

5.2. ANALISI CORRELAZIONALI INIZIALI (T0) 58

5.2.1.ACIDO LATTICO 58

5.2.2. CREATININ-CHINASI 59

5.2.4. SCALE CLINICHE E QUESTIONARI SULLA QUALITÀ DI VITA 62

5.3. ANALISI CON TEST U DI MANN-WHITNEY DEI VALORI INIZIALI (T0) 71

5.4. DETERMINAZIONI AL FOLLOW-UP (T1) 77

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4

7. CONCLUSIONE 83

8. SCALE CLINICHE E QUESTIONARI 85

8.1. THE NEWCASTLE MITOCHONDRIAL DISEASE ADULT SCALE

(NMDAS) 85

8.2. FATIGUE SEVERITY SCALE (FSS) 92

8.3. WEST HEAVEN-YALE MULTIDIMENSIONAL PAIN INVENTORY

(WHYMPI) 93

8.4. PATIENTS GLOBAL IMPRESSION OF CHANGE (PGIC) 100

9. RINGRAZIAMENTI 101

10. ABBREVIAZIONI 102

11. BIBLIOGRAFIA 103

(5)

5

1.

ABSTRACT DELLA TESI

Introduzione. Le malattie mitocondriali sono patologie ereditarie o sporadiche, caratterizzate da un’alterata funzionalità della catena respiratoria del mitocondrio. Ad oggi, il trattamento di questo gruppo di malattie non è ben definito. L’alterato funzionamento della fosforilazione ossidativa determina un deficit energetico, l’incremento dei livelli di acido lattico a riposo e durante l’esercizio fisico ed un aumento della produzione di radicali liberi dell’ossigeno. I tessuti e gli organi con maggiore richiesta energetica sono colpiti più gravemente. Negli adulti prevalgono i sintomi cerebrali, muscolari o degli organi di senso.

Le miopatie mitocondriali primitive sono un gruppo di disordini genetici della catena respiratoria mitocondriale in cui sono coinvolti prevalentemente, ma non esclusivamente, i muscoli scheletrici.

La diagnosi delle malattie mitocondriali richiede un approccio complesso: misurazione dell’acido lattico sierico, test da sforzo fisico, elettromiografia, esami istologico e citologico del muscolo ed analisi genetiche.

I biomarkers sono molecole associate ai meccanismi regolatori fisiologici e ai processi biologici. Un valido biomarker per lo screening, la diagnosi e il monitoraggio della risposta terapeutica delle miopatie mitocondriali è ancora in

fase di ricerca.

Obiettivi. Obiettivi del presente studio sono: caratterizzare, dal punto di vista clinico e laboratoristico una coorte di pazienti affetti da miopatia mitocondriale reclutati presso la Clinica Neurologica dell’Università di Pisa; studiare il possibile utilizzo di nuove molecole, quali FGF-21 e GDF-15, come possibili marcatori

(6)

6 diagnostici di patologia, in relazione alle condizioni clinico-funzionali dei pazienti, alla qualità di vita degli stessi e a misure umorali e strumentali.

Disegno dello studio. È stato effettuato uno studio clinico su una coorte di 23 pazienti affetti da miopatia mitocondriale primitiva, 13 dei quali hanno completato un primo controllo ad un anno dall’inizio dello studio. Sono state effettuate le seguenti valutazioni: scala NMDAS, questionari sulla qualità della vita (SF-36, FSS, PGIC Scale), determinazione ematica dell’acido lattico e della creatinin-fosfochinasi basali, prove di funzionalità motoria (6MWT – 6 Minutes Walking Test, 3TUG – 3 Time Up to Go test, 5XSST – 5 Times Sit-to-stand Test, TWST – Timed Water Swallowing Test), valutazione elettrocardiografica e spirometrica. Si è quindi proceduto con la determinazione ematica dei valori di GDF-15 e FGF-21 e l’analisi statistica dei parametri ottenuti.

Risultati. È stata osservata una correlazione statisticamente significativa fra uno dei biomarker ipotizzati e le condizioni clinico-funzionali dei soggetti in studio. Tale correlazione risulta ulteriormente evidente confrontando i valori dei biomarkers utilizzati con gli altri parametri analizzati.

Conclusione. In base alle nostre osservazioni, l’ipotesi di utilizzo della determinazione ematica di GDF-15 e FGF-21 nella diagnosi di MM sembra essere confermata.

(7)

7

2.

INTRODUZIONE

2.1. I mitocondri e la fosforilazione ossidativa

In origine le cellule eucariote primordiali erano prive della capacità di utilizzare

l’ossigeno (O2) a fini metabolici. Oltre 1 miliardo di anni fa furono colonizzate da

batteri aerobi, che, coevolvendo insieme alle cellule ospiti, divennero quegli organelli intracellulari che oggi chiamiamo mitocondri. Questo processo, noto come “simbiosi”, ha permesso ai batteri aerobi colonizzatori una più facile ricerca di substrati metabolici, demandata alla cellula ospite, e contemporaneamente ha apportato un nuovo tipo di metabolismo, molto più efficiente, agli eucarioti: il metabolismo aerobico, o ossidativo. A differenza della glicolisi anaerobia, che consente di ottenere solo 4 molecole di adenosina trifosfato (ATP) ad “alta energia” per ogni molecola di glucosio consumata, il metabolismo aerobico permette di portare questa cifra a 28-32 unità a parità di consumo di glucosio (DiMauro & Schon 2003).

Tra le funzioni del mitocondrio si annoverano il metabolismo di aminoacidi, acidi grassi (β-ossidazione) e steroidi, la gluconeogenesi, la biosintesi di pirimidine, aminoacidi, fosfolipidi, nucleotidi ed eme, l’ossidazione del piruvato ed il ciclo di Krebs (ciclo dell’acido citrico), l’omeostasi del calcio, la regolazione dello stato ossidoreduttivo intracellulare, l’induzione dell’apoptosi, ma soprattutto la generazione di ATP tramite la fosforilazione ossidativa (Figura 1). La fosforilazione ossidativa è il processo biochimico ad alta efficienza tramite il quale viene prodotto ATP, grazie all’energia progressivamente liberata dagli elettroni lungo la “catena di trasporto degli elettroni” (ETC). Al termine del

processo gli elettroni sono accettati dall’O2, che si combina con i protoni (H+) per

formare acqua. A costituire la ETC vi sono cinque complessi proteici multimerici localizzati a livello della membrana mitocondriale interna e due piccoli

(8)

8 trasportatori di elettroni, il coenzima Q10 (CoQ10) ed il citocromo c (cyt c). Essa

genera un gradiente elettrochimico di ioni H+ a cavallo della membrana

mitocondriale interna; il flusso retrogrado degli H+ attraverso il Complesso V

avviene a favore di corrente (è perciò associato a liberazione di energia), ed è accoppiato alla sintesi di ATP a partire da adenosina difosfato (ADP) e fosfati inorganici (DiMauro & Schon 2003).

Dall’interno all’esterno, i mitocondri sono costituiti da una membrana esterna di origine “cellulare”, uno spazio intermembrana, una membrana interna di origine “batterica” composta prevalentemente da cardiolipina, ed una matrice interna, contenente il DNA mitocondriale (mtDNA) (vedi Figura 1).

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Figura 1. Bioenergetica mitocondriale. Rappresentazione schematica del mitocondrio,

raffigurante la correlazione esistente fra produzione di energia (ETC, catena di trasporto degli elettroni), produzione di specie reattive dell’ossigeno (superossido O2˙¯, idrossile OH˙), regolazione dell’apoptosi. CytC (via Apaf-1, caspasi, CAD) e AIF, quando rilasciati nel citoplasma, innescano la morte cellulare programmata; Bax e Bcl-2 sono fattori citoplasmatici rispettivamente pro- ed antiapoptotici. I, II, III, IV, F0V, rispettivi complessi della catena respiratoria; ADP, ATP, rispettivamente adenosina di- e trifosfato; AIF, fattore inducente l’apoptosi; ANT, trasfocatore del nucleotide adenina; CAD, DNAsi attivata da caspasi; CytC, citocromo c; CoQ, coenzima Q10; GPx, glutatione perossidasi; LDH, lattico deidrogenasi; MnSOD, manganese superossido dismutasi; NAD+/NADH nicotinammide adenina dinucleotide ossidato/ridotto; OAA, acido ossalacetico; PDH, piruvato deidrogenasi; Pi, fosfato inorganico; TCA, ciclo degli acidi tricarbossilici; VDAC, canale anionico voltaggio-dipendente. (Da MITOMAP: A Human Mitochondrial Genome Database. http://www.mitomap.org, 2008. Riproduzione consentita)

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2.2. Il DNA mitocondriale

Il mitocondrio è l’unico organello delle cellule animali dotato di un proprio genoma. In ogni mitocondrio è possibile trovare da 2 a 10 copie di mtDNA ed in ogni cellula più di 1000 copie (“poliplasmia”). La struttura ed il funzionamento del mtDNA differiscono da quelli del DNA nucleare (nDNA), mentre sono più simili a quelli dei cromosomi batterici.

Il mtDNA è una molecola circolare di DNA a doppio filamento (tranne un tratto di tripla elica, il D-loop), costituito da 16569 paia basi (Figura 2): il filamento pesante (H, da heavy), ricco in guanine, codifica 28 geni; quello leggero (L, da light), ricco in citosine, codifica 9 geni. Le due catene sono dapprima trascritte in due lunghi RNA, i quali, vengono successivamente scissi nei trascritti individuali. Su un totale di 37 geni, 13 codificano peptidi della ETC. Tutte le altre proteine mitocondriali (comprese le 67 subunità che concorrono a formare i cinque complessi della ETC) sono codificate dal nDNA. Gli altri geni del mtDNA vengono trascritti in 2 RNA ribosomali e 22 RNA transfer (tRNA). Il D-loop, ottenuto dalla sintesi di un tratto aggiuntivo di mtDNA, non codifica geni ma contiene l’origine di replicazione e di trascrizione della molecola di DNA.

Il mtDNA non contiene introni ed è codificante per il 93%, diversamente dal nDNA. Poiché risulta assente un sistema di riparazione adeguato, il mtDNA è altamente sensibile ai fattori mutageni, ad esempio lo stress ossidativo (Mancuso et al 2006), e il tasso di insorgenza di nuove mutazioni risulta essere 10-100 volte maggiore rispetto a quello del nDNA.

Il mtDNA è ereditato per via materna. Il mtDNA degli spermatozoi viene degradato dopo la fecondazione; solo eccezionalmente è stata riportata la trasmissione paterna di una mutazione del mtDNA (Schwartz & Vissing 2002). Clusters di genomi mitocondriali definiti in base alla presenza di polimorfismi

(11)

11 stabili definiscono gruppi di mtDNA evolutivamente correlati, chiamati aplogruppi mitocondriali.

I fattori implicati in mantenimento, replicazione ed espressione del mtDNA sono tutti codificati a livello nucleare. Ciò spiega l’esistenza delle malattie mitocondriali ad eredità autosomica (vedi oltre).

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Figura 2. Il genoma mitocondriale. Sono rappresentate le più frequenti mutazioni

patogenetiche. DEAF, sordità da aminoglicosidi; LHON, neuropatia ottica ereditaria di Leber; MELAS, encefalomiopatia mitocondriale, lattico-acidosi, episodi simili a stroke; MERRF, epilessia mioclonica con fibre “ragged red”; NARP, neuropatia, atassia, retinopatia pigmentosa. (Da MITOMAP: A Human Mitochondrial Genome Database. http://www.mitomap.org, 2008. Riproduzione consentita)

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2.3. Le malattie mitocondriali: generalità

Le malattie mitocondriali sono un gruppo di disturbi causati da alterazioni della catena respiratoria mitocondriale. Gli effetti delle mutazioni che colpiscono la ETC tendono ad essere multisistemici, interessando le vie visive ed uditive, il cuore, il sistema nervoso centrale (SNC), le ghiandole endocrine ed il muscolo scheletrico. Si stima che il rischio di sviluppare una malattia mitocondriale sia di 1 su 5000 (Haas et al 2007; Schaefer et al 2008).

La classificazione genetica delle malattie mitocondriali consente di identificare i disordini dovuti a difetti nel mtDNA e quelli dovuti ad alterazioni primitive del nDNA (vedi oltre).

Le mutazioni del mtDNA sono ereditate secondo le regole della genetica mitocondriale (eredità materna, segregazione mitotica, eteroplasmia ed effetto soglia). Se tutte le copie di mtDNA in una cellula sono identiche si parla di “omoplasmia”, in caso contrario di “eteroplasmia” (DiMauro & Schon 2003). L’eteroplasmia è una condizione frequente nelle malattie da alterazione del mtDNA. È necessario che il numero di genomi mutati in un certo tessuto debba raggiungere un livello minimo critico prima che il metabolismo ossidativo sia compromesso a sufficienza da determinare manifestazioni cliniche (“effetto soglia”). La soglia patogenetica differisce da tessuto a tessuto, in relazione alla diversa dipendenza dal metabolismo aerobico. L’eterogeneità fenotipica di queste condizioni è spiegabile attraverso le differenze nel carico mutazionale, che potrebbe superare la soglia patogenetica in certi tessuti e non in altri. Il carico mutazionale può variare nel tempo ed è spesso più elevato nei tessuti post-mitotici, come neuroni, muscolo striato, cuore, ghiandole endocrine (DiMauro & Schon 2003), i quali rappresentano i tessuti che necessitano di un’elevata produzione di ATP. Ciò può spiegare il loro frequente coinvolgimento nelle malattie mitocondriali.

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14 La complessità della genetica mitocondriale si ripercuote in una estrema eterogeneità di quadri clinici associati a difetti del mtDNA (DiMauro & Schon 2003). Una singola mutazione può infatti esprimersi in maniera differente in diverse famiglie o in membri della stessa famiglia (variabilità inter- ed intra-familiare) e, viceversa, differenti mutazioni possono produrre quadri clinici simili. Pazienti con miopatia ed encefalopatia mitocondriale possono presentare ptosi palpebrale e oftalmoplegia esterna progressiva (PEO), affaticabilità muscolare, disturbi del sistema nervoso centrale tra cui atassia, demenza, crisi epilettiche, retinopatia, ipoacusia neurosensoriale, episodi tipo stroke (DiMauro & Schon 2003). Sono noti altresì quadri di miopatia mitocondriale (MM) associati a episodi critici, soprattutto di natura mioclonica (MERRF, epilessia mioclonica con fibre “ragged red”) ed encefalopatia mitocondriale con acidosi lattica ed episodi tipo stroke (MELAS) (DiMauro & Schon 2003).

Negli anni recenti sono stati individuati numerosi geni nucleari che codificano diverse subunità della ETC, proteine mitocondriali coinvolte nell’assemblaggio dei peptidi di ciascun complesso respiratorio e proteine coinvolte nella trascrizione e replicazione del mtDNA (DiMauro & Schon 2003). Se questi geni presentano una mutazione possono causare l’insorgenza di malattie mitocondriali che seguono le regole della genetica mendeliana, e che si traducono clinicamente in patologie più o meno multisistemiche. Le alterazioni del nDNA che possono causare malattie mitocondriali sono di vario genere: mutazioni in componenti strutturali o proteine ancillari delle ETC, difetti della comunicazione intergenomica (associati a delezioni multiple o deplezione del mtDNA), difetti nel mileu lipidico di membrana, e mutazioni nella via biosintetica del CoQ10 (DiMauro & Schon 2003).

L’insorgenza di una delezione singola su larga scala, generalmente associata a PEO, è quasi sempre sporadica (Filosto & Mancuso 2007).

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2.4. Malattie mitocondriali: classificazione

La più importante conseguenza della complessità e delle peculiari caratteristiche della genetica mitocondriale è l’estrema eterogeneità dei quadri clinici associati a difetti del mtDNA (Mancuso et al 2007a). Una singola mutazione può esprimersi con diversi fenotipi e, viceversa, differenti mutazioni possono esitare in quadri clinici simili. Alcune sindromi ben codificate (es. PEO, MELAS, MERRF) sono associate a mutazioni specifiche (DiMauro & Schon 2003) tuttavia, in molti casi, i fenotipi possono essere polimorfi e presentarsi con gravità differente, da forme puramente miopatiche a quadri clinici multisistemici. Pertanto, risulta difficile stabilire una precisa relazione genotipo/fenotipo.

L’attenzione dei ricercatori negli ultimi anni si è focalizzata sulle alterazioni genetiche del nDNA che possono determinare modifiche delle componenti strutturali mitocondriali da esso codificate, oppure compromettere la stabilità e la replicazione del mtDNA. Circa il 90% delle proteine mitocondriali correlate alla catena respiratoria è codificato da geni nucleari; tuttavia il numero di disordini mitocondriali causati da difetti nucleari geneticamente definiti rimane ancora limitato.

Ad oggi, la classificazione più utile delle malattie mitocondriali sembra quella genetica (Filosto & Mancuso 2007). Si distinguono due grandi gruppi nosologici sulla base della localizzazione del difetto genetico nel mtDNA (forme sporadiche o a trasmissione materna; Tabella 1) o nel nDNA (forme autosomiche; Tabella 2). La più frequente fra le malattie mitocondriali è la PEO (oftalmoplegia cronica esterna progressiva). La PEO è una MM caratterizzata da ptosi palpebrale bilaterale di solito ad esordio nell’adolescenza, seguita da limitazione nei movimenti dei muscoli extraoculari, fino ad un quadro (più o meno tardivo) di oftalmoplegia completa. Generalmente sono presenti ipostenia muscolare ed intolleranza all’esercizio fisico. Possono essere presenti inoltre segni di

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16 interessamento multisistemico (es. cardiomiopatia, cataratta, atassia cerebellare, retinopatia, ipoacusia neurosensoriale): in tal caso si parla di PEO plus (Filosto & Mancuso 2007).

La PEO è dovuta a delezioni o mutazioni puntiformi nel mtDNA, ad ereditarietà variabile. La forma dovuta a delezioni può essere sporadica (per delezioni singole nel mtDNA verificatesi durante l’oogenesi o l’embriogenesi precoce) o ad ereditarietà mendeliana (autosomica recessiva o dominante: rispettivamente arPEO e adPEO), per mutazioni in geni nucleari codificanti proteine necessarie per il mantenimento della stabilità e dell’integrità del mtDNA o per la replicazione di questo. Le forme mendeliane in genere si associano a delezioni multiple del mtDNA. In particolare, arPEO e adPEO sono dovute a mutazioni nei seguenti geni nucleari noti: ANT-1 (traslocatore del nucleotide adenina, il cui prodotto forma un canale omodimerico nella membrana mitocondriale interna, necessario per regolare la concentrazione di adenina nella matrice mitocondriale), C10orf2 (codificante l’elicasi mitocondriale Twinkle), POLG-1 e POLG-2 (codificanti la polimerasi gamma mitocondriale, complesso enzimatico eterodimerico). Le forme adPEO sono spesso caratterizzate da un quadro clinico in cui si osserva interessamento del solo muscolo scheletrico, mentre le forme arPEO sono più spesso multisistemiche (Filosto & Mancuso 2007).

La forma dovuta a mutazioni puntiformi nel mtDNA (in particolare nei geni codificanti tRNA) segue un modello di ereditarietà materna. Raramente sono stati descritti casi sporadici (Filosto & Mancuso 2007).

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Riarrangiamenti sporadici Sindrome di Kearns-Sayre

Sindrome di Pearson

Oftalmoplegia esterna progressiva (PEO) sporadica Tubulopatia sporadica

Diabete e Sordità

Mutazioni puntiformi sporadiche PEO

MELAS

Intolleranza all’esercizio fisico Miopatia

Mutazioni puntiformi ereditate per via matrilineare

Mutazioni puntiformi in geni codificanti proteine strutturali Neuropatia ereditaria di Leber

Sindrome con neuropatia, atassia e retinite pigmentosa (NARP) Sindrome di Leigh

Mutazioni puntiformi in geni codificanti tRNA

MELAS

Epilessia mioclonica con fibre “ragged red” (MERRF)

Cardiopatia e/o miopatia dell’adulto a trasmissione materna (MIMyCa) PEO

Miopatia Diabete e sordità

Sordità nurosensoriale non sindromica Cardiomiopatia ipertrofica

Mutazioni puntiformi in geni codificanti rRNA

Sordità non sindromica indotta dagli aminoglicosidi Cardiomiopatia ipertrofica

Tabella 1. Classificazione genetica delle malattie mitocondriali da disordini del genoma mitocondriale. MELAS, encefalomiopatia mitocondriale con lattico-acidosi ed

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Difetti di geni nucleari codificanti componenti strutturali dei complessi della catena respiratoria Sindrome di Leigh

Cardiomiopatia Paraganglioma

Sindromi multisistemiche

Difetti di geni nucleari codificanti fattori coinvolti nell’assemblaggio dei complessi della catena respiratoria (“assembly genes”)

Sindrome di Leigh Sindromi multisistemiche

Difetti di geni che alterano la stabilità del mtDNA (o difetti di comunicazione intergenomica) PEO autosomica (arPEO e adPEO)

MNGIE

Sindromi da deplezione del mtDNA Deficit di Coenzima Q10

Tabella 2. Classificazione genetica delle malattie mitocondriali da disordini del genoma nucleare. MNGIE, encefalomiopatia mitocondriale neurogastrointestinale; PEO,

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2.5. Approccio diagnostico

Il processo diagnostico ha inizio con l’anamnesi personale e familiare e con l’esame obiettivo neurologico (DiMauro et al 2004). Il sospetto di malattia mitocondriale è avvalorato da alcune “red flags”, quali bassa statura, ipoacusia neurosensoriale, ptosi palpebrale, oftalmoplegia, neuropatia assonale, diabete mellito, miopatia, cardiomiopatia ipertrofica, emicrania. Tali manifestazioni devono essere ricercate non solo nel paziente ma anche nei familiari (DiMauro et al 2004), nel tentativo di definire una possibile ereditarietà. Si è già fatto cenno al controllo genetico duale della ETC. Difatti, una ereditarietà di tipo materno suggerisce mutazioni del mtDNA, mentre una di tipo mendeliano suggerisce alterazioni delle proteine codificate dal nDNA (DiMauro et al 2004).

Attualmente, la diagnosi richiede un complesso approccio: misurazioni del lattato sierico, elettromiografia, risonanza magnetica spettroscopica (MRS), biopsia muscolare con studi istologici e biochimici, e analisi genetiche. La creatin chinasi (CK) ematica, comune marcatore di patologia muscolare, è quasi sempre normale. Un sintomo comune di MM è l’intolleranza all’esercizio con algie muscolari, dovuta alla deficitaria produzione di energia nel muscolo scheletrico. Questo porta ad un’aumentata produzione di lattato, deplezione di fosfocreatina (PCr), aumentata generazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Per questi motivi, i test da sforzo rimangono uno strumento particolarmente utile nella diagnostica delle MM (Siciliano et al 2007).

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2.5.1. Marcatori solubili a riposo

Nelle MM si ha un’alterazione della fosforilazione ossidativa e ciò comporta un metabolismo aerobio difettoso. Per questo motivo, il metabolismo del tessuto muscolare diventa prevalentemente anaerobio, con aumentata produzione di acido lattico. La lattico-acidosi è un reperto comune nelle malattie mitocondriali, ma può essere anche assente. L’iperlattacidemia è presente anche nei disordini della gluconeogenesi, come il deficit di piruvato deidrogenasi. Per distinguere le malattie mitocondriali da questa condizione può essere utile il rapporto molare lattato/piruvato, che nelle malattie mitocondriali tende ad essere > 25 (Debray et al 2007). Un altro parametro da considerare è il livello sierico di alcuni aminoacidi, utile, ad esempio, nella diagnostica differenziale del neonato ipotonico. L’alanina non risulta aumentata nel neonato con iperlattacidemia transitoria in seguito a moderata ipossia perinatale, mentre è un marker sensibile di disfunzione mitocondriale (Morava et al 2006). Inoltre, nei pazienti MELAS la concentrazione di citrullina è inferiore rispetto ai controlli (in modo inversamente proporzionale ai livelli di arginina) (Naini et al 2005). Il lattato urinario non è un utile marcatore di MM, mentre il fumarato ed il malato potrebbero essere utili per distinguere i pazienti con malattia mitocondriale ed aciduria organica da altri soggetti (Barshop 2004). In alcuni casi di sindrome di Leigh è stata osservata una persistente escrezione urinaria di acido 3-metilglutaconico (Wortmann et al 2006). In rari casi, la sindrome infantile da deplezione di mtDNA può essere associata a metilmalonico aciduria (Yano et al 2003).

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2.5.2. Test da sforzo

Nei pazienti con MM la prova da sforzo ha l’obiettivo di stimolare il metabolismo aerobico, quello prevalentemente alterato. Il test deve essere eseguito a digiuno e generalmente viene effettuato su una pedana mobile o un cicloergometro (Siciliano et al 1999; Siciliano et al 2007).

I test da sforzo sono anche utilizzati come misura di outcome negli studi di intervento (es. CoQ10, creatina, allenamento aerobico) (Taivassalo et al 1996, 2003; Siciliano et al 2000). L’allenamento aerobico sembra comportare anche una riduzione dei livelli circolanti dei marcatori di stress ossidativo (es. lipoperossidi) nei pazienti affetti da MM. In questi pazienti i livelli medi di lipoperossidi sono indicativi di un moderato stress ossidativo. Durante l’esercizio incrementale i lipoperossidi non aumentano ulteriormente, tuttavia rimangono significativamente più elevati rispetto ai controlli. È stato osservato che, a seguito di un programma di allenamento aerobico della durata di 10 settimane, i lipoperossidi diminuiscono del 13,7% a riposo (P < 0,01) e del 13,1%, 11,0% e 10,4% rispettivamente al 40% della potenza massima teorica normale (pnPOmax), al carico massimo effettivo, e 20 min. dopo la fine dell’esercizio (P < 0.05) (Siciliano et al 2007).

Uno strumento semplice e poco invasivo di screening per le MM è il test aerobico all’avambraccio (Meulemans et al 2007), ma un recente studio su 41 soggetti normali, 15 pazienti con MM e 20 con altre miopatie ha mostrato una sensibilità di solo il 20% ed una specificità del 95% nei confronti dei controlli sani; la specificità nei confronti dei soggetti affetti da altre miopatie scendeva al 75% (Hanish et al 2006). Il test ischemico all’avambraccio è più sensibile per la diagnosi di MM (Tarnopolsky et al 2003), ma meno specifico.

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2.5.3. Studi biomolecolari su cellule circolanti

Gli studi genetici su cellule ematiche sono più utili nelle malattie associate ad alterazioni del nDNA mentre le mutazioni del mtDNA sono più facili da reperire nel tessuto muscolare. Con la sola eccezione della più comune mutazione “MERRF” (A8344G), che è quasi sempre rinvenibile nel sangue, le altre mutazioni dei tRNA si ritrovano solo a livelli molto bassi nelle cellule circolanti (DiMauro et al 2004). Altri materiali facilmente accessibili per gli studi genetici sono il sedimento urinario, la mucosa orale, i follicoli piliferi, i fibroblasti dermici (DiMauro et al 2004).

2.5.4. Tecniche di imaging

Soggetti con differenti malattie mitocondriali possono presentare reperti di risonanza magnetica caratteristici. Ad esempio, nella sindrome di Leigh si osserva bilateralmente un’iperintensità di segnale nei nuclei della base e nel tronco encefalico. Nella MELAS sono presenti lesioni simili a stroke, in particolare nel lobo occipitale; diffuse anomalie di segnale della sostanza bianca centrale sono caratteristiche della sindrome di Kearns-Sayre (KSS); calcificazioni dei nuclei della base si ritrovano nella KSS e nella MELAS (DiMauro et al 2004; Bianchi et al 2007).

La 1H MRS ha un ruolo nel dimostrare l’alterazione del metabolismo ossidativo nell’encefalo, mostrando l’accumulo del lattato nel SNC (Bianchi et al 2007).

La 31P MRS è in grado di misurare le fluttuazioni di PCr e fosfato inorganico (Pi) durante l’esercizio fisico, a livello del tessuto muscolare. I più utili indicatori di MM sono: basso rapporto PCr/Pi a riposo e post-esercizio (Kuhl et al 1994) e ritardato recupero dell’ADP (Argov 1998).

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2.5.5. Biopsia muscolare

Il muscolo può essere l’unico tessuto affetto (essendo principalmente dipendente dal metabolismo ossidativo) o può essere coinvolto come parte di una malattia multisistemica. Le principali caratteristiche di MM sono le fibre “ragged red” (RRF) (fibre rosse stracciate), causate dall’accumulo di mitocondri strutturalmente alterati (Figura 3), e le fibre citocromo c ossidasi (COX) negative (Filosto et al 2007).

La tricromica di Gomori consente di mostrare la presenza di RRF sulle sezioni di muscolo (Figura 4), contenenti un carico mutazionale elevato ed una proliferazione patologica di mitocondri strutturalmente alterati (Filosto et al 2007). La colorazione per la succinato-deidrogenasi (SDH) può dimostrare la presenza di accumuli subsarcolemmali o diffusi di mitocondri (fibre “ragged blue”). La colorazione COX può dimostrare la presenza di fibre COX-negative (Figura 5). Con l’utilizzo di anticorpi contro le diverse subunità della COX è possibile distinguere l’origine della disfunzione (nDNA o mtDNA) (Filosto et al 2007).

Alcuni pazienti affetti da MELAS (e raramente da MERRF) presentano un quadro istopatologico non significativo, ma un difetto biochimico dei complessi respiratori; pertanto una biopsia muscolare normale non esclude una malattia mitocondriale, specialmente in pazienti con mutazioni del tRNA (McFarland et al 2002; Mancuso et al 2007b).

La biopsia muscolare, oltre ai reperti istopatologici, è la base per ulteriori studi biochimici e molecolari, che possono dare ulteriori informazioni sul difetto responsabile del quadro clinico ed istopatologico.

Generalmente, mutazioni nei geni strutturali portano a deficit nell’attività dell’enzima affetto, mentre mutazioni nei geni che controllano la sintesi proteica riducono l’attività di tutti i complessi respiratori (DiMauro & Schon 2003).

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Figura 3. Ragged red fibers (RRF). Sono osservabili due RRF, in alto al centro ed in

basso a sinistra. Colorazione ematossilina-eosina.

Figura 4. Ragged red fibers (RRF). Sono osservabili due RRF in alto a destra ed una in

alto a sinistra. Tricromica di Gomori.

Figura 5. Fibre citocromo c ossidasi (COX)-negative. Numerose fibre muscolari

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2.6. Approcci terapeutici

Ad oggi non esiste una strategia razionale nel trattamento delle malattie mitocondriali. Sono stati usati in casi isolati ed in piccoli studi clinici al fine di modificare la storia naturale di queste malattie supplementi vitaminici, agenti farmacologici, modificazioni dietetiche ed esercizio fisico; l’efficacia di questi interventi rimane tuttora incerta. Nello specifico, sono stati utilizzati agenti antiossidanti (CoQ10, idebenone, vitamina C, vitamina E, menadione), agenti che agiscono sulla lattico-acidosi (dicloroacetato e dimetilglicina), agenti che correggono deficit biochimici secondari (carnitina, creatina), cofattori della catena respiratoria (nicotinamide, tiamina, riboflavina, succinato, CoQ10), ormoni (ormone della crescita e corticosteroidi) (Chinnery et al 2006). La maggior parte delle evidenze a favore dell’uso di specifici trattamenti deriva da singoli case reports.

Le opzioni terapeutiche sono state globalmente rivisitate da Chinnery et al (2006). Dei 678 studi esaminati dagli autori, solo sei sono stati ritenuti accettabili per una revisione sistematica (studi randomizzati). Ciononostante, considerando soltanto i lavori ritenuti accettabili, il numero dei soggetti partecipanti resta comunque molto basso (media 11, range 5-17) mentre l’eterogeneità clinica e genetica elevate.

Due lavori hanno studiato gli effetti del CoQ10, tuttavia i risultati ottenuti sono stati contrastanti: il primo di essi ha riportato un miglioramento soggettivo ed un significativo aumento della forza muscolare (Chen et al 1997), il secondo non ha mostrato alcun beneficio del CoQ10 (Muller et al 1990). Allo stesso modo in due studi clinici è stata usata la creatina: uno di essi ha mostrato un aumento della forza muscolare ed una riduzione del lattato ematico post-esercizio (Tarnopolsky et al 1997), mentre il secondo non ha riportato benefici (Klopstock et al 2000). Un miglioramento dei soli parametri biochimici è stato osservato in uno studio con dicloroacetato (DeStefano et al 1995). L’ultimo studio valutato nella revisione

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26 sistematica (Chinnery et al 2006), con dimetilglicina, non ha ottenuto effetti significativi (Liet et al 2001).

In conclusione, al momento attuale non sembra esserci una chiara evidenza a favore o contro i trattamenti comunemente utilizzati nelle malattie mitocondriali (Chinnery et al 2006). Sono necessari ulteriori studi al fine di chiarire il ruolo dei diversi approcci terapeutici nel trattamento delle malattie mitocondriali.

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2.7. Disfunzione mitocondriale, stress ossidativo e apoptosi

L’apoptosi, o morte cellulare programmata, è un processo fisiologico necessario per l’organogenesi, per l’omeostasi tissutale e per l’eliminazione di cellule danneggiate o potenzialmente pericolose. Si tratta di un meccanismo presente in molti processi fisiologici e patologici, caratterizzato da coartazione della cellula, frammentazione del DNA, condensazione della cromatina e frammentazione nucleare. Il processo è innescato grazie all’attivazione dei recettori “di morte” situati sulle membrane cellulare (recettore Fas e recettore per il fattore di necrosi tumorale alfa, TNF-α) oppure a seguito del rilascio di Cyt c e di altre proteine dal mitocondrio nel citoplasma (“via mitocondriale”). Entrambe le vie giungono ad un comune punto di arrivo, ossia l’attivazione di una famiglia di cisteina-proteasi denominate caspasi, effettrici intracellulari dell’apoptosi.

Lo spazio intermembrana mitocondriale sequestra alcuni fattori proapoptotici, fra cui il Cyt c, Smac/DIABLO e l’endonucleasi G (vedi Figura 1). Esistono diversi tipi di insulto mitocondriale capaci di aprire il poro di transizione di permeabilità mitocondriale e causare il rilascio di Cyt c nel citoplasma. Il Cyt c si unisce ad Apaf1 e alla pro-caspasi 9 per formare l’apoptosoma, il quale attiva la cascata delle caspasi, che condurrà alla morte cellulare. La via mitocondriale è innescata dalla mancanza di fattori di crescita ed è regolata da proteine membri della famiglia di Bcl-2, come Bid, Bax e Bad. Esiste anche un meccanismo mitocondriale indipendente da caspasi, in cui AIF (fattore inducente l’apoptosi) è rilasciato dal mitocondrio e traslocato nel nucleo, dove attiva infine le DNA nucleasi. Durante l’apoptosi, la funzione mitocondriale viene alterata a causa del clivaggio caspasi-mediato della subunità p75 del complesso I della ETC (Ricci et al 2004).

Il trasporto degli elettroni ad alta energia attraverso la ETC, indispensabile per la sintesi di ATP, rappresenta anche fonte della produzione di ROS (vedi Figura 1). A livello dei complessi I-III della catena respiratoria, gli elettroni ad alta energia

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possono reagire con l’O2, producendo il superossido (O2˙¯) (Genova et al 2004), il

quale costituisce fino al 4-5% dell’O2 consumato da mitocondri sani. Questa quota

aumenta nei mitocondri danneggiati o invecchiati. Se la ETC è inibita, gli elettroni si accumulano ai livelli iniziali della catena respiratoria (complesso I e CoQ10), dai quali vengono ceduti direttamente all’ossigeno molecolare, producendo l’anione superossido (Genova et al 2004). L’accumulo di ROS può potenzialmente danneggiare diverse biomolecole, fra cui lipidi, proteine ed acidi nucleici. Alcuni tessuti sono molto più vulnerabili allo stress ossidativo a causa

del loro elevato consumo di O2; tra questi in particolare SNC e muscolo

scheletrico (Mancuso et al 2006). Inoltre, rispetto ad altri tessuti, l’encefalo è caratterizzato da una quota minore di enzimi antiossidanti, come la glutatione perossidasi (GPX) e la catalasi, e contiene elevate concentrazioni di acidi grassi polinsaturi, altamente sensibili alla perossidazione (Mancuso et al 2006). Il superossido può reagire con l’ossido nitrico (NO), una molecola che nel SNC

agisce da neurotrasmettitore, a formare il perossinitrito (ONOO-), molecola

altamente dannosa per il DNA. Si ritiene che il danno ossidativo sul DNA sia altamente deleterio sulle cellule post-mitotiche (come neuroni e miociti), non potendo essere rimpiazzato tramite meccanismi di divisione cellulare. Le cellule possiedono un complesso sistema di difesa (superossido dismutasi o SOD, GPX e altre molecole) che permette loro di fronteggiare un accumulo eccessivo di ROS. Il termine “stress ossidativo” descrive la condizione in cui i meccanismi di difesa antiossidanti della cellula sono insufficienti a mantenere i livelli di ROS sotto la soglia di tossicità.

Il mtDNA è particolarmente sensibile al danno ossidativo, essendo localizzato a stretto contatto con la membrane mitocondriale interna (dove i ROS sono prodotti); inoltre non è protetto da istoni ed è riparato in modo inefficiente. Poiché diversi dei geni del mtDNA codificano subunità della ETC, il danno ossidativo sul mtDNA, se non correttamente riparato, può risultare in mutazioni e delezioni che alterano la funzione dei geni coinvolti nella produzione di ATP, portando così a

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29 disfunzione respiratoria, aumentata produzione di ROS, ed infine a morte cellulare (Mancuso et al 2006). Per tali motivi, le modificazioni ossidative alle basi del mtDNA possono accentuare la disfunzione bioenergetica presente per definizione nelle malattie mitocondriali, e costituire un fattore di progressione in questo gruppo di malattie (Figura 6).

Si è osservato che linee cellulari portatrici di mutazioni puntiformi nel mtDNA dimostrino un’aumentata produzione di ROS (Vives-Bauza et al 2005). Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato un maggior livello di danno ossidativo sul DNA in pazienti affetti da malattia mitocondriale rispetto a controlli sani (Migliore et al 2004). Due settimane di terapia con CoQ10 hanno ridotto il livello di danno ossidativo sul DNA (Migliore et al 2004). Inoltre, linfociti di pazienti affetti da malattie mitocondriali (in particolare la LHON) mostrano una maggior sensibilità all’apoptosi indotta da stress ossidativo (Battisti et al 2004).

Il circolo vizioso fra mutazioni del mtDNA, disfunzione della catena respiratoria e stress ossidativo (fattori che in ultima analisi innescano l’apoptosi; vedi Figura 6) potrebbe rappresentare un importante fattore di progressione non solo delle malattie mitocondriali propriamente dette, ma anche di altre condizioni associate a disfunzione mitocondriale come le malattie neurodegenerative e l’invecchiamento stesso (Mancuso et al 2007c). È auspicabile che questo circolo vizioso possa in futuro rappresentare un utile target farmacologico.

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Figura 6. Circolo vizioso fra disfunzione mitocondriale e stress ossidativo. La

disfunzione della catena respiratoria, si associa a cessione diretta degli elettroni all’O2, con formazione di superossido e altre specie reattive dell’ossigeno (ROS). A loro volta le ROS causano mutazioni e delezioni del mtDNA, che alterano la funzione dei geni coinvolti nella produzione di ATP, aggravando ulteriormente la disfunzione mitocondriale. Entrambi gli attori di questo circolo vizioso portano alla fine a morte cellulare.

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2.8. Miopatie mitocondriali primitive (PMM)

Le miopatie mitocondriali primitive (Primary mitochondrial myopathies - PMM) costituiscono un gruppo di disordini genetici della catena respiratoria mitocondriale che interessa prevalentemente, ma non esclusivamente, il muscolo scheletrico. Un interesse secondario dei mitocondri è frequentemente osservato in molte malattie neuromuscolari (es. miosite a corpi inclusi, miopatia di Ullrich e Bethlem, malattia di Kennedy); queste patologie tuttavia non rientrano nella definizione di PMM.

La miopatia può essere l’unica presentazione clinica della patologia mitocondriale, oppure presentarsi in associazione con diabete, ipoacusia/sordità, atrofia ottica, neuropatia periferica, cardiomiopatia, aritmie cardiache, nefropatia, episodi stroke-like, atassia, convulsioni, ritardo di crescita o demenza. Le miopatie mitocondriali primitive possono presentarsi a qualsiasi età; tipicamente i fenotipi più severi di malattia tendono a manifestarsi in età precoce. Il fenotipo più comune di PMM, osservato in circa due terzi dei casi è l’oftalmoplegia esterna progressiva (PEO). Essa si associa spesso con segni di sofferenza del muscolo scheletrico; tipicamente si osserva una lenta e progressiva debolezza del tronco e degli arti prossimali, con interessamento dei muscoli del bacino e della spalla, in associazione ad atrofia muscolare. La debolezza muscolare può causare anche difficoltà a deglutire e insufficienza respiratoria. La debolezza dei muscoli distali può essere presente ma raramente viene osservata nelle fasi precoci della malattia. Le principali manifestazioni della PMM sono l'intolleranza all'esercizio fisico con mialgia, atrofia muscolare, astenia (definita come un senso opprimente di stanchezza, mancanza di energia e sensazione di esaurimento), crampi muscolari e rabdomiolisi ricorrente con mioglobinuria innescata dall'esercizio fisico, come osservato nelle miopatie da carenza del citocromo b o di CoQ10. I sintomi indotti dall'esercizio fisico sono comuni nella PMM e riflettono la mancanza di produzione di energia dovuta alla disfunzione mitocondriale nel muscolo scheletrico, l’aumento della produzione di lattato e la deplezione di fosfocreatina

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32 (PCr). Ipotonia, debolezza generalizzata, insufficienza respiratoria e riflessi tendinei profondi o assenti sono comuni nelle forme precoci di PMM, spesso fatali nella prima infanzia.

Mentre sono stati compiuti enormi progressi nella diagnostica e nella delucidazione dei pato-meccanismi della miopatia mitocondriale, dal punto di vista terapeutico non si sono registrati notevoli progressi. Infatti, per la maggior parte delle miopatie mitocondriali, mancano opzioni terapeutiche efficaci e mirate ai difetti, con la gestione clinica focalizzata principalmente sul controllo dei sintomi.

Oltre ai trattamenti sintomatici, le terapie che sono state tentate si basano sulla somministrazione di cofattori ETC, altri metaboliti secondariamente diminuiti nelle malattie mitocondriali, antiossidanti e agenti che agiscono sull'acidosi lattica. Tuttavia, il loro ruolo nel trattamento della maggior parte delle malattie mitocondriali rimane poco chiaro (Chinnery et al., 2006, Pfeffer et al., 2012). La somministrazione di metaboliti e cofattori è il cardine attuale della terapia ed è particolarmente importante nei disturbi dovuti a carenze primarie di composti specifici, come il CoQ10.

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2.9. FGF-21 e GDF-15 come parametri sierici correlati alla

disfunzione mitocondriale

Poiché i livelli plasmatici di lattato e piruvato non sono sempre biomarkers accurati nella diagnosi di malattia mitocondriale, è necessaria la ricerca di un nuovo biomarcatore, che risulti più sensibile, specifico, riproducibile e quantitativo. Tra i vari biomarkers ipotizzati un’attenzione particolare è stata rivolta alle molecole FGF-21 e GDF-15, oggetto dello studio di questa tesi. La famiglia di fattori di crescita dei fibroblasti umani (FGF) comprende almeno 22 membri con diverse funzioni biologiche, come la crescita cellulare, la differenziazione cellulare e la guarigione delle ferite. Dati recenti hanno dimostrato che questa famiglia può svolgere ruoli importanti nel definire e regolare le funzioni di alcuni tessuti e organi endocrini, oltre a modulare vari processi metabolici. L'FGF-21 è stato identificato come un potente regolatore metabolico. Sebbene il ruolo fisiologico di FGF-21 nell'uomo non sia stato ancora compreso, livelli circolanti più elevati sono fortemente associati a determinati stati metabolici, caratterizzati da steatosi epatica, aumento dei trigliceridi circolanti e riduzione del colesterolo HDL (Mohammad Hossein Salehi et al. 2013). È stato recentemente identificato un ruolo svolto da FGF-21 nel metabolismo dei carboidrati e dei lipidi. Studi su animali suggeriscono che FGF-21 sia un potente regolatore metabolico con molteplici effetti benefici su obesità e diabete. I livelli sierici di FGF-21, che è stato suggerito come potenziale candidato per il trattamento del diabete, sono aumentati nell'obesità. Inoltre, esiste un'associazione positiva dei livelli sierici di FGF-21 con l'età, diversi parametri di adiposità tra cui indice di massa corporea, circonferenza della vita, rapporto vita-fianchi, percentuale di grasso, resistenza all'insulina e profili lipidici sfavorevoli.

L'FGF-21 è stato rilevato sia nel tessuto adiposo sia nel muscolo ed è stato suggerito il concetto di FGF-21 come epatokina, adipochina e persino miosina. Tuttavia, l'FGF-21 è presente anche nel pancreas esocrino e nelle cellule B a

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34 livelli drasticamente più elevati rispetto al fegato, al tessuto adiposo e ai muscoli. Nei muscoli scheletrici, l'espressione della proteina FGF-21 è essenzialmente paragonabile a quella del fegato a digiuno. Le concentrazioni sieriche medie di FGF-21 risultano significativamente elevate nei pazienti con malattia mitocondriale, in correlazione al deficit primitivo della catena respiratoria che manifestano i muscoli negli adulti e nei bambini affetti da MM. Di conseguenza potrebbe essere possibile utilizzare come test diagnostico di prima linea la misurazione sierica di FGF-21 per questi disturbi, in modo da ridurre la necessità di biopsia muscolare.

Il fattore di differenziazione di crescita 15 (GDF-15) è membro della super-famiglia del fattore di crescita trasformante. L'espressione di GDF-15 in quasi tutti i tessuti suggerisce la sua importanza generale nelle funzioni cellulari essenziali. Il GDF-15 è stato proposto come biomarcatore di cardiopatia, malattie renali e tumori; tuttavia, le sue esatte funzioni biologiche rimangono scarsamente comprese. Si è ipotizzato che GDF-15 aumenti a seguito dell’attivazione del fattore di trascrizione 4 (ATF4), uno “stress-responsive gene” indotto da vari tipi di stress. GDF-15 è attualmente oggetto di indagine come marker di fattori di rischio clinici, mortalità, morbilità e efficacia dei trattamenti per le malattie cardiache, renali e alcuni tipi di cancro (Yatsuka et al. 2015).

Nel 2014, Kalko et al. hanno studiato il profilo di espressione genica di scheletro umano in soggetti con deficit di timidina chinasi 2 (TK2) utilizzando microarray di DNA complementari e hanno dimostrato che il valore sierico di GDF-15 può rappresentare un possibile biomarker per le malattie mitocondriali.

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2.10. Standard internazionali per la diagnosi e il trattamento

delle miopatie mitocondriali

Le difficoltà nel trattamento delle MM non sono dovute solo alle limitazioni biologiche dell'armamentario terapeutico molecolare, ma anche ad ulteriori aspetti, quali l'eterogeneità fenotipica delle malattie mitocondriali, la scarsa conoscenza della loro storia naturale, la mancanza di consapevolezza tra i medici generici e talvolta gli specialisti e la complessità dell'approccio diagnostico. Inoltre, è necessario considerare la mancanza di registri di pazienti ampi e completi, una base fondamentale per avviare la raccolta di dati clinici longitudinali e per costruire studi clinici controllati. Per le malattie rare, le piccole popolazioni di pazienti rappresentano il principale ostacolo al progresso nella ricerca e nella cura. Si può ovviare a questa limitazione attraverso la costruzione di un registro di pazienti in combinazione con una banca di biomateriali. Ciò spiega il recente interesse a sviluppare reti collaborative a livello nazionale in altri paesi europei come il Regno Unito, la Francia e la Germania, capaci di interfacciarsi con le associazioni dei pazienti sia in Europa (MITOCON) che negli Stati Uniti (UMDF).

Nel 2009, grazie a Telethon-UILMD, è stata istituita la rete collaborativa italiana a livello nazionale. La rete ha sviluppato un registro web di pazienti con malattie mitocondriali, in cui si sono raccolti i dati di oltre 1700 pazienti, con età adulta ed esordio infantile della malattia. Questa rete ha raggiunto diversi obiettivi: creazione di una rete italiana di centri clinici con esperienza nella patologia mitocondriale; creazione di un database web validato e armonizzato con altri database e reti europee; caratterizzazione di una grande coorte di casi di MM, clinicamente, istologicamente e geneticamente; diffusione di nuove conoscenze per le associazioni di pazienti. L'approccio ideale consiste nell'acquisire i dati dei pazienti in modo prospettico, ma di solito c'è un gran numero di pazienti esistenti i cui dati devono essere aggiunti in modo retrospettivo.

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36 I protocolli e le misure di outcome nelle prove cliniche della malattia mitocondriale dovrebbero essere armonizzati a livello internazionale. Al fine di valutare correttamente la storia naturale dei pazienti affetti da PMM e i diversi studi clinici sulla patologia, le manifestazioni cliniche dovrebbero essere valutate usando un metodo standardizzato che consenta la quantificazione della gravità della malattia clinica e della qualità di vita riferita dal paziente.

Per questo motivo, sono stati identificati scale cliniche e test funzionali specifici con la funzione di fornire l’approccio ideale alla valutazione dell’evoluzione della PMM nel paziente adulto (Mancuso et al 2017). La scala per adulti della malattia mitocondriale di Newcastle (NMDAS) è una scala di valutazione clinica convalidata ed implementata nel 2005, concepita per catturare la storia naturale della malattia mitocondriale. NMDAS comprende elementi oggettivi e soggettivi classificati in tre sezioni: funzione corrente, coinvolgimento specifico del sistema e valutazione clinica corrente. La qualità di vita correlata alla salute (HRQoL) è sempre più riconosciuta come fondamentale misura di outcome centrata sul paziente sia nell'intervento clinico che nella ricerca. L'”Health Survey of Short Form 36 versione 2” (SF-36v2) è una misura HRQoL generica ampiamente convalidata in più stati patologici cronici. Per quanto concerne le valutazioni funzionali, i seguenti test sono utilizzati nella valutazione preliminare nelle PMM: 6-Minute Walk Test (6MWT), Timed Up and Go (TUGx3) e Five Times Sit to Stand (5XSTS). Ciascuna di queste misure di outcome ha dimostrato di essere valida e in grado di discernere definitivamente i pazienti dai soggetti di controllo. Invece, per quanto riguarda l’identificazione del disturbo disfagico, il primo passo consiste certamente in una corretta valutazione clinica della deglutizione. Questa può essere ritenuta sufficientemente valida utilizzando un test da 150 ml in acqua (TWST) e il test della masticazione e deglutizione di cibi solidi (TOMASS). Tali informazioni possono migliorare il valore predittivo della valutazione clinica e forniscono un modo semplice per monitorare i cambiamenti nel tempo in pazienti con disfagia di diversa origine (Mancuso et al 2017).

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37 In conclusione, l’adozione di procedure operative standardizzate è consigliata nella pratica al fine di favorire la standardizzazione e migliorare le misurazioni delle misure di outcome clinico.

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3.

OBIETTIVI E DISEGNO DELLO STUDIO

Obiettivi del presente studio sono: caratterizzazione clinica e della storia naturale della PMM in una coorte di pazienti selezionati con criteri specifici (vedi oltre); valutazione di due promettenti biomarkers in vivo (FGF21 e GDF15) in relazione alle condizioni cliniche e alla qualità di vita dei pazienti oggetto dello studio; valutazione dello status clinico e funzionale dei pazienti selezionati e correlazione con le variazioni dei biomarkers scelti; valutazione della progressione della patologia ad un anno dal reclutamento.

Per la costituzione della coorte di pazienti oggetto dello studio si sono rispettati i seguenti criteri di inclusione: pazienti con PMM molecolarmente definiti (sia mitocondriali che mutazioni nucleari); età da 18 a 75 anni; accertata esecuzione di biopsia muscolare, neurofisiologia (EMG, studi sulla conduzione nervosa) e valutazione cardio-respiratoria; possibilità di firmare un consenso informato. Sono stati esclusi i pazienti incapaci di firmare un consenso informato e i pazienti affetti da disturbi psichiatrici (asse 1 e 2 – DSMIV).

Per ciascun paziente si è proceduto con la determinazione, all’inizio dello studio, di:

1. valori sierici di FGF21 e GDF15 tramite metodica ELISA;

2. valori, su sangue venoso, dell’acido lattico e della creatininfosfochinasi (CPK), quali marcatore di disfunzione del metabolismo aerobico mitocondriale.

Ciascun paziente è inoltre stato sottoposto a valutazioni clinica neurologica, elettrocardiografica e spirometrica.

Tutti i parametri sopra discussi sono stati correlati con le condizioni cliniche basali dei soggetti in studio, determinate tramite scale quantitative (es. qualità

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39 della vita, forza muscolare). La valutazione clinica ed i dosaggi ematici sono stati effettuati da sperimentatori differenti, ciascuno “in cieco” rispetto all’altro.

Sono stati arruolati 23 pazienti, 13 dei quali sono stati sottoposti ad un controllo dopo un anno dall’inizio dello studio, utilizzando le stesse valutazioni cliniche e misurazioni ematiche.

Si è quindi proceduto ad effettuare una valutazione statistica della correlazione tra le variazioni dei biomarkers scelti e dei parametri ematici e clinici nella totalità dei pazienti e nei controlli ad un anno.

3.1. Progetto Telethon e obiettivi

Lo studio oggetto di questa tesi si inserisce in un progetto più ampio e multicentrico: “Sviluppo di strumenti di valutazione clinica delle miopatie mitocondriali dell’adulto per studiare la storia naturale e preparare i trial clinici”, finanziato da Mitocon - Insieme per lo studio e la cura delle malattie mitocondriali Onlus, in collaborazione con la Fondazione Telethon, e sviluppato dal Network Italiano sulle Malattie Mitocondriali, sotto la coordinazione del Centro di Pisa. L’obiettivo di tale progetto prevede che il trial clinico sia effettuato in almeno cento pazienti.

Per quanto riguarda l'Unità di Pisa i pazienti reclutati sono seguiti da Unità Neurogenetica, Clinica Neurologica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale.

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40 Obiettivi di questo progetto sono:

- Sviluppo e validazione di misure di outcome funzionali condivise in pazienti affetti da PMM con esordio in età adulta (> 18 anni)

- Valutazione di due promettenti biomarkers in vivo (FGF-21 e GDF-15) - Caratterizzazione della storia naturale della PMM

Le applicazioni collaterali dei risultati di questo studio includeranno: (I) manutenzione, espansione e interazione fruttuosa di una rete clinica nazionale per il reclutamento e la fenotipizzazione standardizzata dei pazienti; (II) implementazione di un registro di pazienti già esistente basato sul web e aggiornato per condurre studi di storia naturale; (III) coinvolgimento in consorzi internazionali e reti per disturbi mitocondriali; (IV) una conoscenza complessiva più approfondita della malattia mitocondriale.

Ulteriori applicazioni comprenderanno la possibilità di effettuare studi epidemiologici prospettici, stilare raccomandazioni e linee guida sulla gestione clinica, elaborare strategie per affrontare il carico di malattia nei pazienti con malattia mitocondriale.

Il protocollo clinico del progetto di ricerca prevede:

• WP1. Identificazione delle misure di outcome clinico-funzionali per la prontezza negli studi clinici per la PMM con esordio in età adulta. I dati raccolti da ciascun centro sono criptati utilizzando un codice univoco (dati anonimi). Si sono considerati: (a) affidabilità, inclusa coerenza interna e riproducibilità e (b) validità. I partner del Progetto si sono impegnati a identificare i segni e i sintomi muscolari e le scale che sembrano avere un impatto importante sulla funzione e sulla qualità della vita dei pazienti. • WP2: Identificazione di biomarcatori putativi di malattia in vivo. Sono

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41 Yatsuga et al 2015) valutando la loro sensibilità e specificità in almeno 100 pazienti adulti con PMM e almeno 50 controlli o pazienti affetti da altre condizioni neuromuscolari o soggetti con sospetta malattia neuromuscolare, non confermata. I pazienti hanno firmato il consenso informato al momento del prelievo di sangue routinario nel primo caso e al momento di una valutazione diagnostica del sangue nel secondo caso. I test verranno eseguiti all’inizio dello studio, dopo un anno e in tutte le occasioni di decompensazione clinica acuta (es. aumento acuto di acido lattico, insufficienza respiratoria acuta, convulsioni ecc.) con la valutazione contemporanea della CK sierica e del lattato. I pazienti selezionati per FGF-21 e GDF-15 sono stati valutati, allo stesso tempo, clinicamente e con test funzionali e sono inclusi avendo già fatto biopsia muscolare, analisi neurofisiologica (EMG, studi di conduzione nervosa) e valutazione cardio-respiratoria. Un'analisi di correlazione sarà eseguita con CK, lattato, valori di BMI, biopsia muscolare (morfologia e biochimica) e dati clinici. Si sono inoltre ricercate differenze nella distribuzione di diabete e dislipidemia tra pazienti con valori elevati di FGF-21 e pazienti con valori di FGF-21 al di sotto del cut-off calcolato. I due biomarkers, oltre alle caratteristiche cliniche, saranno utilizzati per verificare il loro potenziale nella definizione di PMM. Inoltre, si è prefissato come obiettivo quello di valutare se i livelli di GDF-15 e FGF-21 possano predire i punteggi clinici e la progressione della malattia.

• WP3. Caratterizzazione della storia naturale di sindromi PMM selezionate dell'età adulta. I partecipanti saranno visitati ogni 6 mesi (visite a T0, T6, T12, T18, T24). Ad ogni visita verrà eseguita una valutazione medica completa e verranno registrati nuovi dati clinici, radiologici o biochimici. Una valutazione del set di dati è stata preparata e diffusa agli altri partner partecipanti al fine di raccogliere dati omogenei di follow-up.

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42 Lo studio è stato approvato dai Comitati Etici dei centri coinvolti e sarà condotto secondo le regole della buona pratica clinica europea. I dati raccolti saranno analizzati, insieme alle diverse opzioni di trattamento adottate. Si analizzerà

l'evoluzione clinica di queste sindromi sia retrospettivamente che

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43

4.

MATERIALI E METODI

4.1. Soggetti in studio

Sono stati selezionati 23 pazienti (14 femmine, 9 maschi; età [in anni, media ± deviazione standard] 53 ± 13) con diagnosi di PMM definita in base agli esami istopatologici, biochimici e genetici, che abbiano dato il consenso informato. Sono stati esclusi i pazienti in stato eccessivamente avanzato di malattia, con meno di 18 e più di 75 anni e psichiatrici.

La raccolta dei dati personali ha previsto: 1. Anamnesi all’arruolamento;

2. Esame obiettivo neurologico, comprensivo della scala MRC per la valutazione clinica della forza muscolare (flessori del collo, estensori del collo, deltoide, bicipite brachiale, tricipite brachiale, flessori del polso, estensori del polso, opponenti del pollice, flessori delle dita della mano, ileopsoas, quadricipite femorale, bicipite femorale, tibiale anteriore, tricipite surale);

3. Elettrocardiogramma (ECG), ecocardiogramma e visita cardiologica all’arruolamento;

4. Spirometria, misura del volume espiratorio massimo nel 1° secondo (FEV1).

I dati dei pazienti sono riportati in Tabella 3. Sul totale di 23 pazienti arruolati nello studio:

• 11 sono affetti da PEO,

(44)

44 Il profilo genetico di ciascun paziente è riportato in Tabella 3. La sintomatologia è esordita in media a 38 ± 17 anni; dei 23 pazienti in studio, 6 presentano comorbidità per cardiopatia, 4 per diabete mellito, 9 per dislipidemia; inoltre, 5 pazienti presentano alterazioni elettrocardiografiche.

Di questi 23 pazienti, 13 hanno eseguito un nuovo controllo ad un anno dall’inizio dello studio clinico.

(45)

45 Nu mer o p azi en te Et à B M I Ses so Et à es o rd io FE NO TI P O G EN O TI P O DM Ca rd io p at ia D is lip id e mi a ECG NO R M AL E

1 48 24,91 M 38 PEO delezione singola no no si si

2 50 26,81 M 31 PEO delezione singola no no no si

3 40 24,07 M 14 PMM deficit di CoQ no no no si

4 56 24,84 F 43 PMM delezioni multiple no no si si

5 66 27,10 F 20 PEO delezioni multiple no No si si

6 49 20,03 F 36 PMM MT-tRNA-LEU si No no si 7 67 37,78 F 55 PMM delezioni multiple si si no no 8 71 27,64 F 59 PMM p.V73M cit.B DNA mitocondriale no no si si 9 35 17,96 F 30 PMM MT-TLI A325IG no si no si

10 65 22,46 M 60 PEO delezioni multiple si si si no

11 20 20,42 F 12 PEO delezione singola no no no si

12 62 30,04 F 51 PMM TWNK A1727G si no si no

13 45 34,57 M 23 PEO delezione singola no no si si

14 48 24,16 F 40 PMM c. 1156C>T p.Arg386Cys no si si si

15 58 24,54 F 51 PMM 5835G>A tRNATyr no no no si

16 46 23,31 M 21 PEO delezione singola no no si no

17 70 26,23 M 67 PMM delezioni multiple no no no si

18 51 22,86 F 41 PEO DGUOK c.707+2T>G no no no si

19 64 34,08 M 60 PMM A8344G tRNALys no si no si

20 71 33,14 M 50 PEO TVNKC.1075G>A Ala359Thr no si no no

21 36 33,41 F 16 PMM MT-CO3 A9399G no no no si

22 54 19,29 F 11 PEO delezione singola no no no si

23 54 22,31 F 35 PEO TWNK 907C>T (p.303R>V) no no no si

Tabella 3. Soggetti arruolati nello studio. Per i punteggi delle scale cliniche, dei

parametri bioumorali, dei test funzionali e dei questionari sulla qualità di vita all’arruolamento, vedi Tabella 6.

(46)

46

4.2. Valutazione clinica e indagine sulla qualità di vita

Lo studio ha previsto una valutazione del paziente al tempo zero (T0) e dopo un

anno (T1). Durante ognuna delle visite, sono stati eseguiti:

1. prelievo ematico per la determinazione dei parametri biochimici e sierici; 2. valutazione clinica attraverso scala NMDAS;

3. compilazione di questionari sulla qualità di vita; 4. esecuzione di test funzionali;

4.2.1. Newcastle Mitochondrial Disease Adult Scale (NMDAS)

La Newcastle Mitochondrial Disease Adult Scale (NMDAS) costituisce un valido strumento per consentire la valutazione della progressione della malattia mitocondriale in pazienti adulti di età superiore ai 16 anni.

La somministrazione ripetuta di NMDAS fornisce una valutazione quantitativa nel follow-up longitudinale di pazienti con malattia mitocondriale di qualsiasi causa genetica. L'uso di questa scala di rating ha consentito di standardizzare la valutazione del paziente e ne ha garantito una raccolta di dati più accurata per facilitare la comprensione della storia naturale di malattia mitocondriale. Si prevede che NMDAS si rivelerà un inestimabile strumento per la valutazione clinica futura dei trattamenti proposti.

La scala di valutazione comprende tutti gli aspetti della malattia mitocondriale ed esplora diversi domini: funzione corrente; coinvolgimento specifico del sistema; clinica corrente; valutazione e qualità della vita. Ogni domanda nel NMDAS ha un possibile punteggio da 0-5. I punteggi delle tre sezioni sono calcolati semplicemente sommando i punteggi ottenuti per ogni domanda nella rispettiva sezione. Più alto è il punteggio più grave è la malattia. L’ultima sezione di

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