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. Tuttavia questo approccio possiede elevati costi di produzione oltre che diversi effetti collaterali

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5. DISCUSSIONE

In una prima parte della nostra ricerca, ci siamo rivolti allo studio di un vaccino contro l’antigene tumorale Her2 (anche detto ErbB2 o neu o p185). Her2, codificato dall’omonimo proto-oncogene, è un membro della famiglia dei recettori tirosin-chinasici di membrana dell’EGF, che risulta iper- espresso in diversi tumori umani ed associato con una prognosi scarsa

121

. Come molti altri recettori di fattori di crescita, i membri di questa famiglia dimerizzano in seguito alla stimolazione del ligando e trasducono il segnale mediante autofosforilazione, catalizzata dall’attività citoplasmatica tirosin-chinasica del recettore stesso, che risulta infine nel recruiting e nell’attivazione di una serie di molecole-segnale a valle che portano in ultimo alla proliferazione ed al differenziamento cellulare. La sua iper-espressione porta all’omo- o eterodimerizzazione con altri recettori dell’EGF. Tali dimeri, trasducendo segnali positivi di crescita in maniera ligando- indipendente, risultano così coinvolti nell’iniziazione e nella progressione della trasformazione neoplastica. In particolare, l’aumento considerevole nell’espressione di Her2 risulta associato a diversi tumori epiteliali umani, inclusi quelli di origine mammaria, ovarica e gastrointestinale.

Nonostante diversi studi preclinici abbiano dimostrato l’attività antitumorale svolta da vari approcci immunologici per il trattamento del tumore mammario, ad oggi non esistono ancora evidenze di efficacia clinica, ed il fallimento delle terapie finora sperimentate potrebbe essere il risultato degli effetti di precedenti trattamenti oncolitici (chemioterapia e radioterapia) sul sistema immune, della popolazione di pazienti trattati fino ad oggi (caratterizzata da tumori molto sviluppati), dell’abilità dei grandi tumori a sfuggire il sistema immune ed infine della difficoltà di rompere la tolleranza immunologica. L’unica terapia attualmente disponibile per i tumori al seno esprimenti Her2 consiste di un anticorpo monoclonale umanizzato, detto trastuzumab o herceptin, che si lega al dominio extracellulare di Her2 bloccandone così la dimerizzazione e quindi la trasmissione dei segnali di proliferazione cellulare

122

. Tuttavia questo approccio possiede elevati costi di produzione oltre che diversi effetti collaterali

123

.

Nel presente lavoro, è stato valutato l’effetto della combinazione di un vaccino genetico contro

Her2/neu con un nuovo agonista del TLR9 (IMO) nel modello dei topi BALB/NeuT, un modello

murino ben caratterizzato per seguire il naturale sviluppo del tumore mammario. Infatti, topi

BALB/c sono stati ingegnerizzati per esprimere l’oncogene di ratto Her2/neu V664E (la forma di

(2)

ratto possiede una mutazione puntiforme che sostituisce la valina in posizione 664 del dominio transmembrana di Her2 con un acido glutammico, trasformando così il proto-oncogene Her2/neu in un oncogene trasformante dominante) sotto il controllo del promotore di MMTV in tutte le ghiandole mammarie. Questi topi risultano quindi immunologicamente tolleranti a Her2. Inoltre, i topi NeuT sviluppano progressivamente adenocarcinomi invasivi in tutte le dieci ghiandole mammarie, a partire dalla 10

a

settimana di vita ed entro la 33

a

. In particolare, dopo tre settimane di vita, sviluppano un’iperplasia dei dotti che, dopo la 13

a

settimana, diventa carcinoma in situ o iperplasia atipica, che a sua volta, dopo la 20

a

settimana, si trasforma in un tumore palpabile della ghiandola mammaria ossia un adenocarcinoma mammario

124

. In questo lavoro, l’efficacia immunologica del vaccino è stata valutata sia in un setting profilattico che uno terapeutico. Per quanto riguarda lo studio profilattico, topi NeuT sono stati vaccinati con due iniezioni di DNA plasmidico codificante per ratNeu, ciascuna eseguita per elettroporazione direttamente nel muscolo, alla decima e dodicesima settimana di vita (quando non vi è ancora traccia evidente del tumore), ed in seguito una serie di iniezioni di adiuvante, monitorando poi lo sviluppo del tumore fino alla 29° settimana di vita (Fig. 15). Tale studio ha dimostrato l’efficacia del vaccino genetico nell’ottenere un consistente effetto antitumorale, rallentando la progressione del tumore in tutte le ghiandole mammarie, mentre la combinazione con IMO o la somministrazione del solo IMO riduce questo effetto.

Lo studio terapeutico si è invece diviso in due parti a seconda dello stadio d’avanzamento della

malattia. Nella prima parte, i topi NeuT sono stati vaccinati alla 13° settimana d’età in presenza di

iperplasie mammarie relativamente piccole e carcinoma in situ. Solamente il gruppo che ha

ricevuto il trattamento combinato DNA-IMO ha mostrato di avere un effetto antitumorale netto e

durevole ed una riduzione del volume tumorale (Fig. 16). I dati raccolti con l’immunoistochimica

nei topi trattati hanno mostrato ghiandole mammarie normali, o al massimo un’iperplasia, e

nessuna metastasi al polmone (Fig. 20). Inoltre, questi topi hanno ricevuto l’ultimo trattamento

con DNA-IMO alla 43

a

settimana e sono rimasti senza malattia per tutto l’arco di vita (ossia più di

70 settimane), e questo dato conferma l’induzione da parte del trattamento di una memoria

immunologia durevole. L’effetto antitumorale correla sicuramente con l’induzione della secrezione

di citochine di tipo T

h

1 e l’attivazione delle cellule NK (Fig. 17), l’incremento nelle risposte adattive

delle cellule T (Fig. 18), l’aumento significativo nelle risposte anticorpali antigene-specifiche con

switch isotipico IgG

2a

e l’induzione dell’attività ADCC esercitata dalle NK contro le cellule tumorali

riconosciute dagli anticorpi (Fig. 18), ed infine con lo sviluppo di alti titoli anticorpali contro il

(3)

dominio di dimerizzazione di Her2/neu, che potrebbe giocare un ruolo rilevante nell’inibizione della cascata di segnali attivati da Her2 e della crescita tumorale (Fig. 19).

Per la prima volta in questo studio sono state impiegate tecniche di imaging quali [

18

F]FDG microPET e microCT come strumenti per la caratterizzazione dell’efficacia del trattamento combinato DNA-EP ed IMO in questo modello tumorale. Queste tecniche di imaging hanno fornito una misurazione più sensibile ed accurata della risposta tumorale rispetto alla semplice palpazione: è stato osservato un buon uptake del radio tracciante all’interno dei tumori di volume misurabile (circa 5 mm di diametro ciascuno, ad un’età di circa 17 settimane) e similmente la microCT ha costituito uno strumento eccellente per la determinazione degli effetti di tale trattamento sui volumi tumorali. A 17 settimane di età, nei topi trattati con DNA-IMO, è stato rilevato un consistente rallentamento nella crescita tumorale ma nessuna differenza nella percentuale di sopravvivenza (Fig. 21A). Al tempo stesso però, è stata riscontrata una consistente risposta immune anticorpale, ma non cellulo-mediata. Comunque, la risposta T sub ottimale, quando associata con la mancanza di un effetto antitumorale, potrebbe essere il risultato di attività immunosoppressive associate con il volume tumorale. Ad esempio, le cellule soppressorie mieloidi-derivate si accumulano nel sangue, negli organi linfoidi e nei tumori dei topi BALB/NeuT

125

e risultano inversamente proporzionali alla risposta immunitaria stimolata

110

. Nella seconda parte dello studio terapeutico, ad uno stadio più avanzato della malattia, un regime di vaccinazione più aggressivo, basato su cinque iniezioni di DNA-EP e due di adenovirus combinate poi con IMO, ha avuto come risultato una maggiore inibizione della progressione del tumore ed una risposta cellulo-mediata misurabile (Fig. 21B), indicando così che sono richiesti vettori fortemente immunogenici, in aggiunta all’attivazione pleiotropica della risposta immune da parte di IMO, in presenza di volumi tumorali importanti. I nostri risultati suggeriscono quindi che i vettori a DNA ed adenovirali inducono risposte immuni sia cellulari che umorali nei topi BALB/NeuT e che il protocollo di vaccinazione basato su DNA ed adenovirus in combinazione con IMO può rompere la tolleranza verso Her2/neu ed aumentare la sopravvivenza di questi topi. I dati ottenuti suggeriscono inoltre l’importanza sia degli anticorpi specifici che delle cellule T secernenti IFN nel controllo dei tumori, indicazioni confermate anche nello studio profilattico

124

.

In vari clinical trials sono stati sperimentati vaccini antitumorali basati su peptidi derivati da

Her2/neu, al fine di indurre CTLs peptide-specifici

126,127

. La generazione di CTLs è ben correlata con

la prevenzione o l’eliminazione delle cellule tumorali in coltura o nei modelli tumorali preclinici,

(4)

ma i peptidi non controllano le metastasi tumorali nell’uomo, bensì potrebbero essere utili nel prevenire la ricaduta nella malattia nei pazienti ad alto rischio. Queste scoperte indicano che le semplici risposte T sono insufficienti per esercitare un effetto terapeutico nei pazienti e che bisognerebbe impiegare tutte gli scomparti del sistema immunitario, esplorando anche altre terapie in combinazione. Il pre-trattamento delle cellule di tumore al seno con trastuzumab induce il turnover della proteina Her2 ed una più frequente eliminazione da parte dei CTLs Her2-stimolati provenienti dai pazienti vaccinati con il peptide

126

, ad ulteriore prova del fatto che un vaccino capace di stimolare entrambi i rami della risposta adattiva, sia quello umorale sia quello cellulare, è fortemente auspicabile in queste condizioni. La combinazione di vaccino ed IMO induce sia risposte immuni di tipo innato che adattivo contro l’intera proteina e non solo contro un singolo epitopo. La risposta umorale indotta porta all’attività ADCC esercitata dalle cellule NK attivate in vivo dal trattamento con IMO nei topi BALB/NeuT (Fig. 17-18B e C). L’attivazione diretta delle cellule NK umane, attraverso stimolazione del TLR9, aumenta significativamente la secrezione di citochine e l’attività litica contro le cellule tumorali umane, Her2-positive, riconosciute dall’anticorpo trastuzumab

128

, dimostrando ancora una volta che le risposte immuni innate giocano un ruolo importante nell’effetto antitumorale prodotto dagli agonisti del TLR9.

Similmente, anticorpi come pertuzumab (che riconosce Her2 bloccandone la dimerizzazione e

quindi l’attivazione) potrebbe esercitare un effetto inibitorio diretto sull’attivazione di Her2/neu,

bloccandone l’interazione con Her3, il signaling, ed in ultimo la proliferazione tumorale

129

. Inoltre,

la specificità della popolazione anticorpale indotta dalle iniezioni di DNA-EP è stata determinata

mediante una nuova e relativamente semplice tecnologia di array peptidico, che permette una

rapida identificazione dei determinanti anticorpo-specifici, a condizione che siano lineari (non

conformazionali) e privi di altre modificazioni (quali glicosilazioni ecc.). In aggiunta, abbiamo

dimostrato che la presenza di questi anticorpi specifici è in grado di predire l’esito della malattia

nei topi e può essere inoltre considerato un potenziale marker farmacodinamico del trattamento

combinato DNA-IMO (Fig. 19B-C). Questi risultati supportano l’efficacia di un trattamento con

l’anticorpo monoclonale anti-Her2/neu nei tumori al seno Her2-positivi e la scoperta che vaccini

peptidici di Her2 possono dare una protezione parziale in topi transgenici per Her2 contro lo

sviluppo di tumori mammari

130-131

. Dunque i nostri dati indicano chiaramente che un trattamento

basato sulla combinazione di DNA-EP, adenovirus ed IMO nei topi BALB/NeuT risulta nella

stabilizzazione o perfino nella regressione del tumore ed in una protezione durevole contro il

carcinoma mammario spontaneo. Inoltre è stato identificato mediante array peptidico l’epitopo

(5)

che rappresenta il bersaglio dominante per gli anticorpi stimolati (r70), che diventa così un potenziale biomarker predittivo della malattia nei clinical trials.

Sulla base di quanto osservato finora e dei risultati ottenuti nel modello dei topi NeuT, nella seconda parte della nostra ricerca, ci siamo concentrati sullo sviluppo di un vaccino contro un altro antigene tumorale, hCEA (Human Carcinoembryonic Antigen), appartenente alla classe degli antigeni oncofetali, ossia quelle proteine espresse a livelli elevati su cellule tumorali e su tessuti normali durante la loro ontogenesi (ossia su tessuti fetali) ma non nell’età adulta. CEA è una proteina integrale di membrana altamente glicosilata, appartenente alla superfamiglia delle immunoglobuline, che funge da molecola di adesione favorendo l’adesione delle cellule tumorali tra loro. In condizioni normali, un’elevata espressione di CEA è limitata alle cellule intestinali, del pancreas e del fegato nel corso dei primi due trimestri di gestazione; un’espressione molto più bassa è dimostrabile a livello della mucosa del colon normale e della mammella durante l’allattamento. L’espressione di CEA risulta maggiore in molti carcinomi del colon, del pancreas, dello stomaco e della mammella, e livelli elevati vengono ritrovati nel siero di molti pazienti affetti da queste patologie, ed in particolare nel 90% dei carcinomi colon rettali, nel 70% di NSCLC (Non Small Cell Lung Cancer) e carcinomi gastrici e nel 50% di quelli ovarici. Inoltre i livelli sierici di CEA vengono utilizzati normalmente nel follow-up post-operatorio per monitorare un’eventuale recidiva della neoplasia dopo la terapia, sebbene la sua utilità come marcatore tumorale è però limitata dal fatto che livelli elevati di CEA sono osservati anche in condizioni non neoplastiche, quali malattie infiammatorie croniche a carico del fegato o dell’intestino. Per tali ragioni CEA è diventato il bersaglio di vari protocolli di immunoterapia attiva e passiva e dati clinici dimostrano che diverse strategie di vaccinazione possono generare cellule umane B e T specifiche per CEA, dimostrando così che CEA rappresenta un candidato bersaglio in vari tipi di tumori. Tuttavia, un requisito fondamentale per una strategia di vaccinazione contro CEA che sia efficace consiste nel superare la barriera della tolleranza immunologica preesistente. Infatti le cellule epiteliali umane della zona midollare del timo esprimono CEA7 ed altre proteine della famiglia CEA, che condividono regioni di alta omologia, risultano espresse nelle normali cellule di origine ematopoietica (ad esempio nei neutrofili)

132

. Negli ultimi anni, sono stati spesi numerosi sforzi nella generazione di un modello murino transgenico per CEA, quello dei cosiddetti topi CEA.tg.

Questo modello murino è caratterizzato dall’espressione di hCEA nel tratto gastrointestinale,

come avviene nell’uomo, e dalla tolleranza immunologica verso questo antigene

133,134

. È stato

precedentemente dimostrato che il vaccino genetico contro CEA basato su DNA plasmidico ed

(6)

adenovirus esprimenti CEA è in grado di rompere la tolleranza e di esercitare un effetto antitumorale in topi CEA.tg. In particolare, al fine di aumentarne l’espressione e l’immunogenicità, la sequenza del gene di CEA è stata ottimizzata secondo il codon usage più frequente nell’uomo e ne è stata creata una proteina di fusione con con la subunità della heat labile enterotoxin (LTB) di Escherichia Coli. Sono stati eseguite due serie di esperimenti in topi CEA.tg

106

. La prima serie prevedeva cinque iniezioni di DNA (50 g/iniezione di pV1J/CEA

opt

-LTB) ed una di adenovirus (Ad6- hCEA

opt

) seguite poi da un tumor challenge di cellule MC38-CEA mediante iniezione sottocutanea od intrasplenica. In questo setting profilattico, è stato osservato un consistente rallentamento della progressione tumorale, almeno fino alla 35

a

settimana di vita, nel gruppo di topi che ha ricevuto il vaccino genetico ottimizzato rispetto al gruppo di controllo. In una seconda serie di esperimenti, i topi hanno ricevuto dapprima il tumor challenge e poi il vaccino genetico, ed anche in questo caso si è osservata una maggiore percentuale di topi sopravvissuti nel gruppo vaccinato rispetto a quello di controllo. Questi risultati hanno quindi fornito una prova dell’efficacia del vaccino genetico nell’induzione di una risposta immune e soprattutto di un effetto antitumorale nel modello dei topi CEA.tg. Sulla base di questi dati, abbiamo sperimentato in questo stesso modello murino il trattamento combinato di vaccino genetico ed immunomodulatore ma, nel setting terapeutico da noi testato, non è stato riscontrato un aumento, piuttosto una diminuzione, della risposta immune con il trattamento combinato (Fig. 22). Al contrario, gli esperimenti di combinazione del vaccino peptidico di hCEA con IMO, sia nei topi CEA.tg sia in quelli HHD/CEA (topi transgenici per CEA ed esprimenti l’HLA umano), hanno avuto esito positivo per quanto riguarda la risposta T antigene-specifica (Fig. 23). Essendo il nostro obiettivo quello di trovare un modello tumorale adatto a dimostrare l’efficacia del trattamento combinato di vaccino genetico ed IMO, ed avendo invece osservato l’effetto contrario nei topi CEA.tg, abbiamo scelto un antigene alternativo quale target di un vaccino genetico antitumorale.

La telomerasi TERT è una ribonucleoproteina composta da una componente a RNA ed una proteica

catalitica, ed in particolare una DNA polimerasi RNA-dipendente responsabile della sintesi delle

ripetizioni di DNA telomeriche sulla base dello stampo del suo RNA

135

. La telomerasi ha quindi un

ruolo fondamentale all’interno della cellula, ossia quello di mantenere intatta la lunghezza dei

telomeri ad ogni ciclo di replicazione, dato che le DNA polimerasi DNA-dipendenti cellulari sono

incapaci di replicare le estremità dei telomeri poiché necessitano di un primer a RNA al 5’ come

innesco per la replicazione e poiché la rimozione del primer a RNA terminale lascerebbe un gap

che non potrebbe esser replicato da questo tipo di polimerasi. Da ciò risulta chiaro il ruolo svolto

(7)

dalla telomerasi nel mantenimento ad ogni ciclo cellulare della lunghezza dei telomeri, il cui accorciamento risulta infatti associato alla senescenza cellulare, e se ne comprende, come dimostrato da esperimenti condotti su linee cellulari immortalizzate o tumorali, l’associazione con il fenomeno dell’immortalizzazione cellulare

136,137,138

. Infatti, la maggior parte delle cellule umane non presentano attività telomerasica e perdono DNA telomerico ad ogni divisione cellulare, a differenza della maggior parte dei tipi cellulari tumorali, che esibiscono una forte attività telomerasica, esprimono hTERT e mantengono la lunghezza dei telomeri

135,137,139

. L’espressione di TERT nelle cellule tumorali risulta quindi associata alla crescita tumorale e contribuisce in maniera critica alla trasformazione oncogenica, conferendo alle cellule tumorali un potenziale re plicativo illimitato. Inoltre, l’inibizione dell’attività telomerasica nelle cellule tumorali hTERT-positive risulta in un progressivo accorciamento della lunghezza dei telomeri e nell’eventuale morte cellulare per apoptosi

140

. Di conseguenza, l’espressione della telomerasi in più dell’85% dei tumori umani, la presentazione dei peptidi TERT-derivati insieme con molecole MHC di classe I ed il loro riconoscimento da parte del sistema immunitario cellulare rendono TERT un potenziale antigene universale per l’immunoterapia attiva e passiva del cancro. Nonostante sia un antigene self, peraltro responsabile di una tolleranza immunologica centrale e periferica, hTERT si è chiaramente dimostrato immunogenico, sia in vitro che in vivo. Peptidi derivati da hTERT vengono infatti naturalmente processati dalle cellule tumorali e dalle APCs e presentati sulle molecole MHC di classe I per poi attivare le cellule T effettrici. Ad esempio peptidi di hTERT legati a molecole HLA-A2 (il più comune allele MHC di classe I) sono stati usati per generare in vitro cellule T CD8+ capaci di lisare un ampio spettro di linee tumorali hTERT-positive

141,142,143

. L’importanza di hTERT quale bersaglio di immunoterapia antitumorale è supportata da vari modelli preclinici che ne hanno dimostrato l’immunogenicità e la parziale tolleranza immunologica

144

. Queste scoperte e ne hanno incentivato la sperimentazione in molteplici clinical trials, dai quali fino ad oggi non sono emersi effetti collaterali (data peraltro l’osservazione che alcuni tipi cellulari normali, quali cellule staminali del midollo osseo, esprimono hTERT). La maggior parte dei clinical trials si è concentrata sulla sperimentazione di cellule dendritiche autologhe trasfettate o stimolate con i peptidi derivati da hTERT

145,146

e su vaccini genetici.

I vaccini genetici hanno dimostrato di essere in grado di stimolare risposte immuni significative ed

effetti terapeutici contro mTERT in due diversi modelli di carcinogenesi spontanea

116

. Per

incrementare l’efficacia del vaccino contro mTERT, in questo lavoro è stata sperimentato il regime

di vaccinazione eterologa (DNA-EP/Ad6) in combinazione con l’agonista del TLR9 IMO. Per quanto

(8)

concerne la risposta immune di tipo innata, è stato osservato un aumento dose-dipendente della secrezione di varie citochine di tipo T

h

1 ed anche dell’IL-10 in risposta all’immunomodulatore (Fig.

25). Tra i meccanismi soppressori del sistema immune, naturali o indotti dal tumore, oltre all’IL-10, anche prostaglandine, VEGF e TGF hanno dimostrato di limitare l’efficienza della stimolazione del TLR9 ai fini della generazione di un’efficiente risposta CD8+ tumore-specifica

147

. La modulazione del pattern di citochine indotte dai vari immunomodulatori è infatti attualmente oggetto di studi approfonditi

91,102,148

. Inoltre, l’immunostimolazione con IMO è risultata nell’attivazione delle cellule NK e T nella milza (Fig. 26) e, fatto ancora più importante, la combinazione di vaccino ed IMO ha dimostrato di avere un effetto antitumorale additivo in due diversi modelli preclinici (Fig.

27). I biomarkers associati con questi effetti terapeutici sono gli infiltrati tumorali, quali cellule T, NK e cellule dendritiche (Fig. 28A-B). Mediante staining con il tetramero poi, sono state rilevate cellule T mTERT-specifiche nel modello RenCa (Fig. 28C). Tuttavia, quando IMO è stato somministrato, in zona peritumorale, insieme con il vaccino, da un lato la risposta mTERT-specifica nel sangue periferico si è ridotta considerevolmente (Fig. 29A-B), e dall’altro è stato osservato un infiltrato massiccio dose-dipendente di cellule T e NK attivate nel tumore (Fig. 30). Questi dati indicano chiaramente che la somministrazione peritumorale di IMO porta ad una chemio- attrazione delle cellule del sistema immunitario dal sangue periferico al tumore. Infatti gli agonisti del TLR9 , quando somministrati localmente, possono indurre l’espressione di chemochine quali i ligandi di CXCR3 (CXC Chemochine Receptor), ossia CXCL9, CXCL10 e CXCL11, che favoriscono il recruiting di cellule T attivate esprimenti CXCR3

149

. Similmente, gli immunomodulatori hanno dimostrato di saper stimolare queste chemochine insieme con altre citochine sia in vitro

91,149

che in vivo, ed infatti il reclutamento delle cellule del sistema immune in seguito a somministrazione locale di un agonista del TLR9 è stato osservato in recenti clinical trials sul melanoma

150

. In accordo con questi risultati, non è stato riscontrato alcun impatto significativo del trattamento combinato DNA-IMO sulla risposta immune cellulare verso hTERT nei primati

117

. È stato dimostrato inoltre che oligodeossinucleotidi contenenti CpG sono in grado di sopprimere la proliferazione di cellule T CD8+ sia in vitro che in vivo nonostante un consistente effetto antitumorale

151

.

In questo lavoro si è sperimentata la somministrazione di IMO in combinazione con un vaccino che

ha come bersaglio l’antigene self mTERT e sono stati inoltre caratterizzati i biomarkers associati

con l’effetto antitumorale osservato. Occorre sottolineare che il meccanismo d’azione che spiega

l’effetto antitumorale del trattamento combinato vax-IMO potrebbe essere differente da quello

(9)

osservato nel precedente lavoro sul vaccino contro Her2, e questa differenza risiede principalmente nella natura dell’antigene tumorale. Infatti, Her2 risulta espresso sulla superficie cellulare ed è quindi probabile che la risposta umorale e la maggiore attività ADCC osservate dopo l’attivazione in vivo delle cellule NK da parte di IMO giochino il ruolo principale nell’effetto terapeutico osservato. Inoltre gli anticorpi stessi potrebbero esercitare un’azione inibitoria diretta sull’attivazione di Her/neu, bloccandone l’interazione con Her3, il signaling e la crescita tumorale.

Al contrario di Her2, non ci si aspetta che gli anticorpi contro TERT abbiano un ruolo biologico/terapeutico, dal momento che TERT è una proteina intracellulare che quindi, normalmente, non è presente sulla superficie cellulare e non viene secreta. Ad ogni modo, gli anticorpi anti-TERT potrebbero rappresentare dei potenziali biomarkers di un’efficace risposta immune, come già osservato nei primati

117

. Nel modello descritto nel presente lavoro, la risposta delle cellule T, indotta dal vaccino, in combinazione con l’attività chemioattrattiva all’interno del tumore e l’attivazione dell’immunità innata costituiscono dei fattori chiave dell’effetto terapeutico osservato.

In conclusione, i dati qui presentati dimostrano che il vaccino contro mTERT, basato su DNA-EP ed adenovirus, combinato con l’iniezione peritumorale di un agonista del TLR9, IMO, produce un maggior effetto antitumorale rispetto alla somministrazione del solo vaccino. In particolare, l’induzione della risposta immune innata e l’aumento delle cellule T e NK TERT-specifiche all’interno del tumore risulta correlato con gli effetti terapeutici osservati. Inoltre, pur con un meccanismo d’azione diverso da quello osservato nel modello dei tumori esprimenti Her2, è stata comunque dimostrata l’importanza dell’integrazione dell’immunomodulatore nell’immunoterapia dei vaccini genetici antitumorali, supportando ancor di più un suo impiego nei clinical trials.

Ad ogni modo, l’importanza clinica dell’immunoterapia del cancro è strettamente relazionata con i

modelli preclinici impiegati (ad oggi per lo più roditori) e risente dell’assenza di un animale più

grande quale modello terapeutico più adatto. Alla luce di ciò, i cani rappresentano un buon

modello di ricerca, per la loro taglia, per lo sviluppo spontaneo dei tumori e per un pattern di

espressione genica tumorale simile a quello umano

100

, oltre che ovviamente per una paragonabile

esposizione ai fattori ambientali

152

. Il tumore nei cani domestici è caratterizzato da una crescita di

durata prolungata nel tempo nel contesto di un sistema immune intatto, da eterogeneità inter- ed

intraindividuale, dallo sviluppo di malattie ricorrenti o resistenti, e da metastasi in siti rilevanti a

distanza. Grazie alla grandezza della popolazione canina, la frequenza tumorale negli animali

(10)

domestici è sufficiente a supportare dei clinical trials, inclusa la valutazione di nuovi farmaci.

Nonostante queste premesse, ad oggi non è stata ancora investigata a fondo l’applicazione dei vaccini tumorali nei cani, con l’eccezione di un vaccino a DNA xenogenico per il melanoma poi approvato e culminato con la produzione di farmaci veterinari (Merial, US).

Attività telomerasica è stata riconosciuta nella maggior parte (più del 90%) dei tumori di cane

153,154

. In particolare, nel presente lavoro, il modello tumorale prescelto è stato quello del linfoma maligno ML (Malignant Lymphoma), il tumore del sangue più comune nei cani, causato dalla proliferazione clonale dei linfociti nei tessuti solidi. L’età media di comparsa è circa sette anni e l’eziologia è multifattoriale (di origine virale, genetica ecc.) pur essendo relazionata all’esposizione a pesticidi, agenti chimici ed inquinamento atmosferico

109,152

. Sulla base della localizzazione anatomica del linfoma, si possono distinguere diversi sintomi clinici: multicentrico, alimentare, mediastinico, cutaneo ed extranodale. La forma più comune è il multicentrico, anche detto linfadenopatia generalizzata

155

ha proposto una classificazione dei tipi di ML basata sullo stadio clinico della malattia: I, coinvolgimento limitato ad un singolo linfonodo o tessuto linfoide in un singolo organo; II, coinvolgimento di molti linfonodi nell’area circostante; III, coinvolgimento generale dei linfonodi; IV, coinvolgimento del fegato e/o della milza; V, coinvolgimento del sangue o del midollo osseo

156

. Normalmente si esegue una valutazione citologica dell’ago aspirato per fare una disgnosi di ML nel cane e la forma più comunemente rilevata è quella centroblastica polimorfica ad alto grado di malignità, sulla base della classificazione aggiornata di Kiel

109

. In generale, i linfomi a cellule T sono associata con scarsa prognosi

157

. Sono stati proposti diversi protocolli chemioterapici per la terapia del ML canino, ma essenzialmente consistono tutti in un trattamento chemioterapico ad alta dose (fase d’induzione) ed uno a dose minore più prolungato (fase di mantenimento). È stata dimostrata una completa remissione (nel 73% dei casi) in cani con linfoma di tipo B e T trattati con un protocollo multifarmacologico costituito da L-asparaginasi, Vincristina, Ciclofosfamide, Doxorubicina, Metrotrexato e Prednisone

158

. Nonostante questo, si sono verificate anche ricadute nella malattia e la sopravvivenza media è di 35 settimane.

Similmente, un regime chemioterapico composto da Vincristina, Ciclofosfamide e Prednisone

(regime COP) per 6-8 settimane, seguito da una fase di mantenimento con prednisone e

ciclofosfamide o clorambucile e melfalan, ha dimostrato nel 68,7% dei casi una completa

remissione dalla malattia entro dieci settimane e tempo medio di sopravvivenza di 27

setttimane

109

. In questo lavoro, abbiamo dimostrato che un vaccino genetico contro dTERT può

indurre una forte risposta immune antigene-specifica in cani affetti da ML a cellule B e che il

(11)

regime standard di chemioterapia non interferisce con gli effetti dell’immunoterapia. Inoltre, la sopravvivenza dei cani malati è stata significativamente incrementata rispetto ai controlli storici di soggetti trattati con la sola chemioterapia. I nostri dati supportano la sperimentazione del vaccino genetico basato su Ad6 e DNA-EP nella fase III del clinical trial sui cani affetti da ML come anche nei pazienti umani affetti da linfoma B.

Dopo aver dimostrato l’efficacia del vaccino contro la telomerasi in altri modelli animali, quali roditori, primati e cani sani

108

, è stato quindi scelto il modello del linfoma maligno a cellule B canino come modello terapeutico dell’immunoterapia del vaccino contro TERT, per diverse ragioni: è il tumore ematopoietico più comune nei cani, in circa l’80% dei casi è di tipo B, le sue proprietà citologiche sono comparabili a quelle del tumore corrispettivo nell’uomo

99

, è molto aggressivo e non esiste cura ad oggi al di fuori della chemioterapia. Cani sottoposti a COP standard sopravvivono solitamente per 8 mesi in media, anche se spesso ricadono nella malattia

109

. Ciò rende la vaccinazione nei cani ancora più interessante, dal momento che gli effetti clinici possono essere osservati in tempi brevi e che i cani affetti da ML sono trattati con protocolli chemioterapici simili a quelli usati per i pazienti umani.

Al fine di valutare l’adattibilità di un approccio immunoterapeutico contro dTERT, ne è stata verificata l’espressione per real time PCR (fig.31). L’mRNA di dTERT è stato rilevato a vari livelli d’espressione in tutte le biopsie di linfonodi prelevati da cani affetti da ML a cellule B.

L’aggressività della malattia non ha permesso l’arruolamento di pazienti in remissione dopo fase

chemioterapica induttiva e senza quella di mantenimento. Ad ogni modo, dato che alcuni agenti

chemioterapici possono agire come immunomodulatori, abbiamo deciso di combinare la

vaccinazione con la chemioterapia di mantenimento. Infatti, è noto che il trattamento combinato

di vaccinazione e chemioterapia risulta in grado di influenzare la cross-presentation antigenica

159

,

di indurre una tempesta di citochine

160

, di ridurre il numero di cellule T regolatorie

161

e di attivare

la proliferazione linfoidale omeostatica

162

che potrebbe aiutare nell’induzione della risposta

immune contro gli antigeni self

163

. Una consistente risposta a cellule T contro dTERT è stata infatti

riscontrata nei cani affetti da ML e trattati con la vaccinazione genetica durante la chemioterapia

di mantenimento. Questa osservazione è stata di cruciale importanza dal momento che la

soppressione della tolleranza immunologica al tumore gioca un ruolo fondamentale nel

determinare l’efficacia del vaccino. Due iniezioni di adenovirus tipo 6 sono poi risultate sufficienti

nel rompere la tolleranza in 13 cani su 14 (93% del campione esaminato – Tab.1-Fig.32). La

(12)

risposta misurata, in particolare, era polispecifica ed epitopi di cellule T risultavano distribuiti per l’intera sequenza antigenica. In generale, la reattività delle cellule T si abbassava da 6 a 14 settimane dopo la prima vaccinazione (Fig.33). Dunque ne abbiamo dedotto che il mantenimento della risposta immune contro dTERT contribuisse all’effetto terapeutico e di conseguenza i cani sono stati vaccinati con DNA-EP per almeno due cicli. Un ciclo di trattamento (5 o 3 iniezioni di DNA-EP) si è dimostrato in grado di ripristinare la reattività cellulare T quasi a livello di quella ottenuta dopo la seconda iniezione di adenovirus nella maggior parte dei cani. Questa osservazione ha così portato alla scelta di un regime d’immunizzazione basato su molteplici iniezioni di DNA-EP eseguite ad appropriati intervalli in modo da sostenere la risposta delle cellule T dTERT-specifiche

117

. Ciò è stato poi ulteriormente supportato dai dati ottenuti in tutti i cani trattati ed in un soggetto che ha ricevuto tre cicli di DNA-EP ed è giunto a più di 98 settimane di follow-up (Fig.34), suggerendo così che il protocollo di vaccinazione basato su due iniezioni di adenovirus seguite da una serie di DNA-EP rappresenta un’utile strategia per stimolare risposte immunitarie durevoli. Oltre alla valutazione della risposta immune, un altro obiettivo di questo studio è stato quello di verificare l’efficacia della vaccinazione per dTERT sul comportamento biologico, sulla progressione e sull’evoluzione degli ML in remissione trattati con chemioterapia COP (Fig.35). Nei cani trattati con la combinazione di vaccino e chemioterapia sono state osservate differenze significative nel tempo che intercorre tra l’ultima vaccinazione e la ricaduta nella malattia. Inoltre è stato rilevato un forte impatto terapeutico sul tempo di sopravvivenza nei pazienti che hanno ricevuto la chemioterapia rispetto ad una coorte comparabile di 8 cani che hanno ricevuto solo la chemioterapia standard. Nessun effetto collaterale è stato osservato nei cani pazienti, quali cambiamenti nei parametri clinici od ematologici, tossicità locale o sistemica o disfunzione organica o febbre che fosse riconducibile al trattamento, come riferito dai proprietari.

In conclusione i nostri dati indicano per la prima volta che il vaccino per dTERT può efficacemente

rompere la tolleranza verso questo antigene in cani affetti da linfoma ed ottenere anche una

risposta immune durevole. È stato qui dimostrato che il vaccino per dTERT può essere facilmente

combinato con la chemioterapia COP di mantenimento e, cosa fondamentale, la combinazione

mostra di aver un impatto significativo sulla sopravvivenza media dei pazienti. Infine, i nostri dati

indicano che l’approccio vaccinale sviluppato potrebbe trovare importanti applicazioni cliniche da

solo o in combinazione con la chemioterapia in pazienti umani affetti da linfoma.

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