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5. TERAPIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO

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Academic year: 2021

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1. INTRODUZIONE

Si stima che le persone in terapia per scompenso cardiaco negli Stati Uniti siano 4,9 milioni e che i nuovi casi diagnosticati ogni anno siano 550000.

La prevalenza aumenta drasticamente con l’età: l'1-2% delle persone con età compresa tra i 45 e i 54 anni, e il 10% dei soggetti con età superiore a 75 anni, soffrono di scompenso cardiaco1.

L’analisi dei casi ospedalieri, dimessi in Italia nel 2003, mostra che i ricoveri per scompenso cardiaco corrispondono all’1,6% del totale dei ricoveri effettuati in tutte le discipline. In termini di giorni di degenza, l’insufficienza cardiaca assorbe, invece, il 2,6% di tutte le giornate di degenza erogate, sia in regime ordinario che in day-hospital. Se in questa casistica si identificano le principali categorie di diagnosi secondaria, nei dimessi con scompenso cardiaco si rileva che l'insufficienza renale cronica è presente nel 2,3% dei casi, e l'insufficienza renale acuta nell'1,0% dei casi. La più lunga degenza media, rilevata per i pazienti dimessi con diagnosi di scompenso cardiaco, non è solo imputabile alla tipologia di attività ospedaliera (ordinaria o per acuti) ma è anche da attribuire alla peculiare ―fragilità‖ della popolazione con scompenso cardiaco, trattandosi spesso di persone anziane e affette da patologie croniche concomitanti2. La percentuale di mortalità annua, nei pazienti con scompenso cardiaco, varia a seconda del tipo di popolazione presa in esame, della gravità clinica e della terapia farmacologica attuata, oltre che dalle eventuali comorbidità:

i dati oscillano dal 2,3% dei pazienti arruolati negli studi clinici controllati, al 19% dei registri ospedalieri3.

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La riduzione della funzione renale è un fattore prognostico negativo indipendente nei pazienti con scompenso cardiaco; tale fattore è però spesso mal valutabile poiché è sotto-rappresentato. La maggior parte dei dati, infatti, derivano da studi che hanno incluso gruppi selezionati di pazienti, sia per quanto riguarda la patologia cardiaca (scompenso cardiaco esclusivamente sistolico, ad eziologia prevalentemente ischemica), sia per quanto riguarda la malattia renale (esclusione dei soggetti con livelli di creatininemia superiore a 2-2,5 mg/dL), oltre che per la netta prevalenza di soggetti di sesso maschile. Nonostante gli evidenti limiti metodologici, derivati da una casistica assai lontana dalle caratteristiche tipiche dei pazienti affetti da scompenso, da ciascuno di questi studi è emersa una correlazione significativa e inversamente proporzionale tra funzione emuntoria e mortalità per tutte le cause.

Ad esempio l’analisi degli studi SOLVD Prevention Trial (Studies On Left Ventricular Dysfunction) e SOLVD Treatment Trial, ha sottolineato come il GFR sia un’importante determinante nella sopravvivenza dei pazienti.

Tra i criteri di esclusione degli studi vi erano una frazione di eiezione maggiore o uguale al 35% e valori di creatininemia superiori a 2,0 mg/dL.

Dai risultati dell’analisi è emerso che soggetti con insufficienza renale

―moderata‖ (definita a priori come Clearence della creatinina minore di 60 ml/min, calcolata con metodo Cockroft), rispetto a soggetti con funzione renale mantenuta, andavano incontro più frequentemente a morte per tutte le cause e per insufficienza cardiaca e a morte e/o ospedalizzazione per aggravamento dello scompenso cardiaco4. I risultati dei due studi SOLVD mostrano come l’insufficienza renale rimanga un fattore di rischio indipendente, nonostante la correzione dei dati per la severità di malattia e per le patologie concomitanti: l’insufficienza renale non è un semplice

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marcatore di quadri clinici più gravi, bensì un fattore causale di primaria importanza nella progressione della disfunzione ventricolare sistolica.

Hillege e coll. nello studio PRIME-II (The Second Prospective Randomized study of Ipobamine on Mortality and Efficacy) hanno evidenziato che nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato la velocità di filtrazione glomerulare si colloca come il più importante indicatore di mortalità5.

Gli stessi autori hanno condotto un’analisi sullo studio CHARM-Overall (The Candesartan in Heart Failure: Assessment of Reduction in Mortality and Morbidity) che ha arruolato 2680 pazienti con scompenso cardiaco suddivisi in tre distinte popolazioni: pazienti con frazione di eiezione maggiore del 40% (CHARM- Preserved), pazienti con frazione di eiezione minore o uguale al 40% e trattati con un ACE-inibitore (CHARM-Added), pazienti con frazione di eiezione minore o uguale al 40% e non trattati con un ACEI-I a causa di una pregressa intolleranza (CHARM-Alternative). In questo studio come parametro di funzione renale è stato usato il GFR calcolato mediante la formula MDRD. In base ai risultati dell’analisi, l’insufficienza renale, definita come GFR minore di 60 mL/min per 1.73 m2 di superficie corporea, è risultata comune in pazienti con scompenso cardiaco. Più precisamente, la percentuale media dei pazienti con GFR minore di 60 ml/min/m2 era del 36% (42,6% nel CHARM-Alternative;

33,0% nel CHARM-Added; 34,7% nel CHARM-Preserved). Da questi risultati appare evidente che la funzione renale è strettamente correlata alla prognosi: dopo un follow-up medio di 34,4 mesi è rilevabile una correlazione prognostica negativa ―a scalini‖ secondo quintili decrescenti di funzione renale. Anche tali risultati supportano l'ipotesi che la riduzione della funzione emuntoria è un fattore di rischio per mortalità indipendente dalla riduzione della frazione di eiezione 6.

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Una valutazione sulle implicazioni tra insufficienza cardiaca e renale è stata effettuata anche nell’ambito dello studio VALIANT (Valsartan in Acute Myocardial Infarction Trial), che ha esaminato 14527 pazienti con infarto miocardico acuto complicato da scompenso cardiaco. Da questo studio è emerso che circa un terzo dei pazienti arruolati aveva un GFR inferiore a 60 ml/min (calcolato mediante MDRD), confermando, ancora una volta, l’impatto prognostico negativo dell’insufficienza renale sullo scompenso cardiaco. In questo studio si rileva che, nonostante l’esclusione di tutti i pazienti con livelli di creatininemia superiori a 2,5 mg/dL, il 33,6% dei soggetti mostrava livelli di GFR compatibili con la diagnosi di insufficienza renale7. Lo studio VALIANT ha confermato l’esistenza di una relazione tra grado di insufficienza renale, valutato in base al GFR, e mortalità per tutte le cause e che questo rischio si applica già a partire da livelli di malattia di grado lieve (insufficienza renale di grado 3, GFR minore di 60 ml/min/1,73 m² BSA)8.

Fig. 1. Stime del tasso di mortalità a tre anni, in pazienti con scompenso cardiaco, in relazione all'eGFR basale e alle cause di morte (cardiovascolari, infarto, insufficienza cardiaca congestizia, ictus, manovre rianimatorie, morte per tutte le cause). [Tratta da: Anavekar NS, McMurray JJV, Velazquez EJ, Solomon SD, Kober L, Rouleau JL, White HD, Nordlander R, Maggioni A, Dickstein K, Zelenkofske S, Leimberger JD, Califf RM, Pfeffer MA. Relation between renal dysfunction and cardiovascular outcomes after myocardial infarction. N Engl J Med 2004;351:1285-1295.]

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La contrazione della funzione emuntoria, che si sviluppa nell’ambito della degenza ospedaliera, è risultata, in alcuni studi, un fattore prognosticamente negativo.

McAlister e coll. hanno analizzato le implicazioni prognostiche dell’insufficienza renale nei pazienti con insufficienza cardiaca. In questo studio venivano selezionati 754 pazienti con scompenso cardiaco di grado moderato (NYHA II-III), sia sistolico che diastolico, anche di eziologia non ischemica, oltre ad una significativa percentuale di soggetti di sesso femminile senza criteri di esclusione riguardanti la creatininemia. I risultati confermavano quelli degli altri lavori: infatti, durante un follow-up medio di 926 giorni, il 37% dei pazienti è deceduto. La sopravvivenza dell’intera coorte a 1 anno, 2 anni e 5 anni era rispettivamente del 73%, 57% e 26% ed era significativamente associata alla clearance della creatinina (anche dopo correzione per tutti gli altri fattori prognostici quali l’età, il sesso, la classe funzionale NYHA, la disfunzione diastolica, la terapia con beta-bloccanti, spironolattone, vasodilatatori, ACE-inibitori). In particolare è emerso che per ogni 1 ml/min/m² di riduzione del GFR la mortalità aumentava dell’1%9.

Nello studio di Gottlieb et al. sono stati arruolati pazienti con scompenso cardiaco di classe NYHA II-III; in un terzo dei pazienti sarebbe stato rilevato un innalzamento dei livelli di creatininemia del 20% rispetto ai valori rilevati al momento del ricovero. L’aumento assoluto di creatinina sierica di 0,3 mg/dL, rispetto all’ingresso, è risultato correlato alla mortalità a breve termine e al prolungamento della degenza oltre i 10 giorni10.

Anche l’analisi condotta da Smith et al. ha confermato che per modesti innalzamenti di creatininemia la mortalità a breve termine aumentava in maniera significativa11.

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Da Silva et al. hanno analizzato il GFR in 1216 pazienti con scompenso cardiaco cronico evidenziando una correlazione tra il peggioramento della prognosi per lo scompenso e il deterioramento della funzione renale; inoltre il loro studio ha messo in luce un nuovo dato: il miglioramento della funzione renale, nell’arco di un follow-up a breve termine (sei mesi), è predittivo di una migliore prognosi cardiovascolare. Se, infatti, la mortalità a sei mesi risultava aumentata nei soggetti che andavano incontro ad un peggioramento della funzione renale (aumento maggiore o uguale a 0.3 mg/dL di creatininemia), coloro i cui livelli di creatinina si riducevano della stessa entità andavano incontro ad una prognosi migliore, anche correggendo i dati per età, sesso e classe NYHA. Questo evidenzia l’esistenza di una relazione prognostica tra scompenso cardiaco e insufficienza renale, e suggerisce il possibile miglioramento degli outcome cardiovascolari in relazione al miglioramento della funzione emuntoria12.

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2. LA SINDROME CARDIO-RENALE

Le malattie cardiache e renali sono frequenti e spesso coesistono determinando un significativo aumento di mortalità e morbidità, della difficoltà di gestione del paziente e dei costi sanitari13, 14.

La sindrome cardio-renale è stata definita come ―una disfunzione combinata di cuore e rene in cui l'alterazione acuta o cronica di uno dei due organi può indurre alterazioni acute o croniche anche nell'altro‖15.

Questa definizione è molto recente: nonostante le crescenti attenzioni ricevute, solo nel 2008 è stata organizzata una ―Consenus Conference‖ per definire, classificare, trovare criteri diagnostici ed impostare strategie di prevenzione, gestione e terapia della sindrome cardio-renale. Per questo motivo, fino a quel momento, sono state usate definizioni differenti, i dati epidemiologici sono stati limitati e non sono stati individuati criteri diagnostici standardizzati.

Per includere la vasta gamma di disordini correlati e per tener conto della natura bidirezionale delle interazioni cuore-rene, la sindrome cardio-renale è stata recentemente classificata in cinque sottotipi che ne riflettono la fisiopatologia, la rapidità con cui la disfunzione si instaura e la natura della concomitante disfunzione dei due organi16:

Sindrome cardio-renale acuta Sindrome cardio-renale cronica Sindrome reno-cardiaca acuta

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Sindrome reno-cardiaca cronica Sindrome cardio-renale secondaria

2.1. Sindrome cardio-renale acuta (tipo 1)

La sindrome cardio-renale acuta (tipo 1) é stata definita come un peggioramento acuto della funzionalità cardiaca che porta a danno e/o disfunzione renale17. Essa è caratterizzata da un rapido deterioramento della funzione cardiaca a cui consegue un danno renale acuto o una riattivazione della disfunzione cronica. La sua incidenza stimata va dal 19% al 45%15; in particolare, oltre il 30 % dei pazienti ospedalizzati per insufficienza cardiaca acuta sviluppa un danno renale acuto14, 10. Molti studi hanno dimostrato che la sindrome cardio-renale acuta si verificava frequentemente subito dopo il ricovero per scompenso; l'instaurarsi, o la riattivazione di una concomitante disfunzione renale, erano correlati con l'aumento di mortalità, sia a breve che a lungo termine, con la durata della degenza, e con le riospedalizzazioni18, 19. In particolare, è stato dimostrato che, nei pazienti che già presentavano insufficienza renale cronica, risultava accelerato il passaggio tra lo stadio 4 e quello terminale20 e che, nei soggetti che sviluppavano insufficienza renale acuta, esisteva una correlazione diretta tra la gravità del danno renale e il rischio di morte11. Inoltre è stato osservato come il rischio di un outcome peggiore era indipendente dalla transitorietà dell'insufficienza renale21 e che esiste una proporzionalità diretta tra i, seppur piccoli, cambiamenti della creatininemia (0,3 mg/ dL) e l'aumentata mortalità22.

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I meccanismi attraverso i quali l'insorgenza di uno scompenso acuto, o la riattivazione di uno scompenso cronico, porta ad un danno renale, sono molteplici e complessi23.

Fig. 2. Interazioni fisiopatologiche tra cuore e rene nella sindrome cardio-renale acuta. [Tratta da: Ronco C, House AA, Haapio M. Cardiorenal syndrome: refining the definition of a complex symbiosis gone wrong. J. Am. Coll. Cardiol. 2008;34:957-962]

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É stato osservato che l'insorgenza di insufficienza renale in pazienti con scompenso cardiaco acuto è un fattore di rischio, per mortalità ad un anno, indipendente dagli altri24. Questo potrebbe significare che un declino acuto della funzione renale non è semplicemente un marker di gravità della malattia, ma è in relazione all'accelerazione del danno cardiovascolare attraverso l'attivazione neuro-ormonale e dei processi infiammatori e immunologici25, 26. L'insorgenza di disfunzione renale acuta deve suggerire al clinico un’origine pre-renale del danno, e dovrebbero essere presi in considerazione la diagnosi di scompenso cardiaco a bassa gittata e/o un aumento della pressione venosa centrale e conseguente congestione circolatoria.

Firth e coll. hanno dimostrato, in un modello sperimentale, che un aumento della pressione venosa centrale al di sopra di 19 cmH2O si associava ad una drastica diminuzione del GFR, anche quando la gittata cardiaca e la pressione arteriosa media erano mantenute costanti; al migliorare della Pressione Venosa Centrale si verificava un miglioramento del GFR27. Nella sindrome cardio-renale acuta è stata inoltre osservata un'aumentata resistenza alla terapia diuretica28. Infine, l'insufficienza renale acuta può essere aggravata dalla somministrazione di alte dosi o, di combinazioni, di diuretici; questa classe di farmaci rappresenta infatti la principale causa iatrogena di danno renale 29.

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2.2. Sindrome cardio-renale cronica (tipo 2)

La sindrome cardio-renale cronica (tipo 2) si riferisce ad uno scompenso cardiaco cronico che porta ad una progressiva insufficienza renale. Lo scompenso cardiaco cronico e l'insufficienza renale cronica frequentemente coesistono e, spesso, non è possibile stabilire qual è il disordine primitivo17. Il 25% dei pazienti con scompenso cardiaco cronico ha una concomitante insufficienza renale cronica; la percentuale sale al 63% quando si considerano i pazienti ospedalizzati7. L'insufficienza renale cronica in cardiopatici cronici è risultata essere correlata all'aumento di mortalità per tutte le cause, comprese quelle cardiache30,31. Anche piccole riduzioni del GFR aumentano significativamente il rischio di morte6 e sono considerate un marker di danno vascolare severo32. Questo quadro fisiopatologico è caratterizzato da una persistente riduzione della perfusione renale a causa di uno scompenso cardiaco cronico, e spesso è accompagnata da danni micro e macrovascolari. Fattori di rischio indipendenti, per l'insorgere di una sindrome cardio-renale cronica, sono l'età avanzata, l'ipertensione, il diabete mellito e sindromi coronariche acute. È stato osservato che, i pazienti con scompenso cardiaco cronico e funzione ventricolare sinistra conservata, avevano un GFR stimato paragonabile a quello dei pazienti che avevano una riduzione acuta della frazione di eiezione al di sotto del 45%32.

I meccanismi fisiopatologici che stanno alla base di una disfunzione renale in corso di scompenso cardiaco cronico sono diversi da quelli che avvengono in acuto.

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12 Fig. 3. Interazioni fisiopatologiche tra cuore e rene nella sindrome cardio-renale cronica. [Tratta da: Ronco C, House AA, Haapio M. Cardiorenal syndrome: refining the definition of a complex symbiosis gone wrong. J. Am. Coll. Cardiol. 2008;34:957-962]

Innanzitutto si ha uno squilibrio cronico dei fattori neuro-ormonali:

prevalgono i mediatori che inducono vasocostrizione (aumentato tono simpatico, angiotensina, endotelina) mentre c'è riduzione della secrezione e/o dell'azione dei fattori endogeni che mediano la vasodilatazione (peptidi natriuretici, ossido nitrico). Recentemente sta crescendo l'interesse anche nei confronti del ruolo che potrebbe avere il deficit, assoluto o relativo, di

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eritropoietina nell'instaurarsi di anemia più marcata in questi pazienti rispetto a quelli che hanno solo insufficienza renale cronica33. L'attivazione del gene dell'eritropoietina a livello cardiaco sembra avere effetti protettivi a livello miocardico nei confronti di apoptosi, infiammazione e fibrosi34. Studi clinici preliminari hanno mostrato che la somministrazione di fattori stimolanti l'eritropoietina nei pazienti con scompenso cardiaco, con insufficienza renale cronica e anemia, migliora la funzione cardiaca, riduce l'ipertrofia del ventricolo sinistro e diminuisce i livelli plasmatici di BNP35. Anche la terapia dello scompenso cardiaco cronico potrebbe peggiorare la funzione renale; possono, infatti, contribuire all'insorgenza di questa sindrome: l'ipovolemia indotta dall'uso di diuretici, l’inibizione del Sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone e l'ipotensione indotta dall'uso di vasodilatatori23, 36.

2.3. Sindrome reno-cardiaca acuta (tipo 3)

La sindrome reno-cardiaca acuta (tipo 3) è caratterizzata da una primitiva insufficienza renale (insufficienza renale acuta, ischemia renale, glomerulonefriti) che porta ad uno scompenso cardiaco acuto. Risulta essere meno comune della sindorme cardio-renale acuta, ma, a differenza di quest'ultima, non sono stati effettuati studi sistematici che possano offrire un analisi epidemiologica rigorosa. Usando la definizione di RIFLE (Risk, Injury, and Failure, Loss, and End-stage kidney desease), l'insufficienza renale acuta è stata diagnosticata nel 9% dei pazienti ospedalizzati37.

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L'insufficienza renale acuta può danneggiare la funzionalità cardiaca attraverso eventi patogenetici la cui sequenza temporale non è ancora ben definita.

Fig. 4. Interazioni fisiopatologiche tra cuore e rene nella sindrome reno-cardiaca acuta. [Tratta da: Ronco C, House AA, Haapio M. Cardiorenal syndrome: refining the definition of a complex symbiosis gone wrong. J. Am. Coll. Cardiol. 2008;34:957-962]

Il sovraccarico di volume può contribuire allo sviluppo di edema polmonare, mentre l'iperkaliemia può contribuire all'insorgenza di aritmie e potrebbe causare arresto cardiaco. L'uremia deprime la contrattilità cardiaca

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attraverso l'accumulo di fattori inibitori38 e favorisce lo sviluppo di pericarditi39. L'acidosi induce vasocostrizione a livello polmonare che, a sua volta, contribuisce significativamente all'instaurarsi di uno scompenso destro40; inoltre, l'acidosi sembra avere effetti inotropi negativi sulla contrattilità miocardica41 e può, insieme ad uno squilibrio elettrolitico, contribuire all'aumento del rischio di aritmie42. Infine, l'ischemia renale può peggiorare questo quadro fisiopatologico mediante l'attivazione dell'infiammazione che a sua volta favorisce l'apoptosi dei miocardiociti25.

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2.4. Sindrome reno-cardiaca cronica (tipo 4)

La sindrome reno-cardiaca cronica (tipo 4) è definita come una insufficienza renale cronica a cui consegue un progressivo danno cardiaco15.

Fig. 5. Interazioni fisiopatologiche tra cuore e rene nella sindrome reno-cardiaca cronica. [Tratta da: Ronco C, House AA, Haapio M. Cardiorenal syndrome: refining the definition of a complex symbiosis gone wrong. J. Am. Coll. Cardiol. 2008;34:957-962]

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Una recente meta-analisi ha messo in evidenza che esiste una relazione esponenziale tra la gravità dell'insufficienza renale e il rischio di mortalità per tutte le cause43; più del 50% delle morti nei pazienti allo stadio uremico muoiono per causa cardiaca44.

Da alcuni studi risulta che anche forme di insufficienza renale cronica lievi sembrano essere associate ad un incremento significativo del rischio cardiovascolare. In particolare è stata documentata una relazione inversa tra la funzionalità renale e lo sviluppo di danno cardiovascolare45, 46 .

Tra le coorti ad alto rischio, la clearance della creatinina è risultata un predittore significativo ed indipendente di prognosi a breve termine, per infarto cardiaco e/o decesso47.

In studi su larga scala, ad esempio nel SOLVD (Studies on Left Ventricular Dysfunction) e nel VALIANT (Valsartan in Acute Miocardial Infarction Trial), in cui sono stati esclusi i soggetti con creatininemia superiore a 2,5 mg/dl, la riduzione della funzione emuntoria è risultata in associazione con una mortalità significativamente maggiore e con maggiori eventi cardiovascolari48,49.

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2.5. Sindrome cardio-renale secondaria (tipo 5)

La sindrome cardio-renale secondaria (tipo 5) è caratterizzata dalla concomitante insufficienza di cuore e rene causata da malattie sistemiche, sia acute che croniche17.

Fig. 6. Interazioni fisiopatologiche tra cuore e rene nella sindrome cardio-renale secondaria.

[Tratta da: Ronco C, House AA, Haapio M. Cardiorenal syndrome: refining the definition of a complex symbiosis gone wrong. J. Am. Coll. Cardiol. 2008;34:957-962]

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Cause possibili di questa sindrome sono: la sepsi, l'amiloidosi, il lupus eritematoso sistemico e la sarcoidosi. Condizioni croniche quali il diabete mellito e/o l'ipertensione sono invece imputate nella eziopatogenesi del tipo 2 e del tipo 4.

La sepsi grave figura tra le cause più comuni che possono portare ad una sindrome cardio-renale secondaria; essa può indurre sia l'insorgenza di insufficienza renale acuta, sia una profonda depressione miocardica.

I meccanismi fisiopatologici che stanno alla base della sindrome cardio- renale secondaria non sono ancora del tutto compresi ma sembra che siano coinvolti il TNF e altri mediatori 49, 50.

La depressione della funzionalità cardiaca con gittata cardiaca inadeguata può ulteriormente ridurre la funzione renale (come abbiamo già visto nella sindrome cardio-renale acuta), mentre, lo sviluppo di insufficienza renale acuta può, a sua volta, influenzare la funzione cardiaca (come già descritto nella sindrome reno-cardiaca acuta). Infine, l'ischemia renale può peggiorare il danno miocardico15 avviando così un circolo vizioso.

La comprensione della complessa interazione tra cuore e rene, date le importanti implicazioni cliniche che può avere, e l'identificazione tempestiva delle sindromi, possono fornire un migliore approccio terapeutico e un miglioramento dell'outcome di questi pazienti. Individuare correttamente i pazienti, infatti, è di fondamentale importanza per migliorarne la prognosi sia a breve che a lungo termine: possiamo così agire sui fattori potenzialmente reversibili e impostare una terapia che non incida negativamente sui meccanismi che stanno alla base di questo complesso quadro fisiopatologico.

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3. FISIOPATOLOGIA DELL'INTERAZIONE CUORE-RENE

La stretta correlazione tra patologia renale e cardiovascolare ha suscitato in tempi recenti un rinnovato interesse sulla complessa interazione tra cuore e rene.

Guyton aveva già descritto queste interazioni in un modello che mette in relazione la regolazione dei fluidi extracellulari, operata dal rene, e il controllo della circolazione sistemica51. Il modello di Guyton è sufficiente per capire i meccanismi di compenso messi in atto dall'organismo al fine di mantenere un controllo emodinamico: l'aumento del volume extracellulare da parte del rene e l'aumento della gittata cardiaca da parte del cuore, l'autoregolazione sistemica e la ridistribuzione della gittata cardiaca, il conseguente aumento delle resistenze periferiche e la congestione venosa.

Questo modello però non basta per capire l'aterosclerosi accelerata, il rimodellamento cardiaco e l'ipertrofia ventricolare che sono stati osservati nelle sindromi cardiorenali severe52.

Schrier ha posto l’attenzione soprattutto sul ruolo del rene come protagonista della regolazione del volume extracellulare53. La ritenzione idrica costituisce un punto cruciale nella patogenesi dello scompenso e, modeste alterazioni della funzione renale, possono compromettere la capacità di mantenere la volemia entro i limiti della normalità. Secondo Schrier, il sovraccarico di volume, derivante dall’alterata regolazione da parte del rene, influenza la progressione dello scompenso cardiaco attraverso vari meccanismi. In primo luogo, l'espansione della volemia porta ad un incremento del precarico e a conseguente dilatazione delle

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camere cardiache. La dilatazione della camere provoca il rilascio di peptidi natriuretici, la cui funzione è quella di ridurre l'attivazione del sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone e di facilitare il mantenimento dell'omeostasi del sodio.

Il BNP viene prodotto dai fibroblasti cardiaci in conseguenza alla dilatazione ventricolare e, mediante l'induzione di metallo-proteasi riduce la fibrosi miocardica54. Il BNP esogeno, somministrato per infusione in pazienti scompensati, si è dimostrato in grado di ridurre il precarico55. La dilatazione degli atri dà, inoltre, avvio al ―riflesso di volume‖: per mezzo di segnali inibitori inviati all'ipotalamo, si ha una ridotta secrezione dell'ormone antidiuretico e una significativa dilatazione delle arteriole. La ridotta resistenza delle arteriole afferenti renali fa aumentare la pressione nei capillari glomerulari con conseguente aumento della filtrazione glomerulare. Inoltre, la diminuzione della concentrazione plasmatica di vasopressina riduce il riassorbimento tubulare di acqua. La combinazione tra aumentata filtrazione glomerulare e ridotto riassorbimento tubulare causa l'incremento dell'eliminazione renale di liquidi. Il riflesso atriale di Bainbridge, che è risposta all'aumento della pressione atriale, quest'ultima a sua volta conseguenza del sovraccarico volumetrico, attraverso il sistema nervoso autonomo, incrementa la frequenza cardiaca e la contrattilità miocardica con lo scopo di prevenire la congestione del circolo polmonare e sistemico56.

In pazienti con scompenso cardiaco in fase avanzata la natriuresi indotta dai peptidi natriuretici diminuisce57, 58 e a questo si affianca una parallela riduzione del tono parasimpatico59 e un'alterata sensibilità dei barocettori arteriosi60. Questo fenomeno giustificherebbe anche l'elevazione dei livelli

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di catecolamine circolanti e l'aumentata attività a livello renale caratteristici dell'insufficienza cardiaca cronica61.

La fisiopatologia dell’interazione cardio-renale è stata recentemente analizzata anche da Bongartz e coll.52, i quali, a partire dal modello di Guyton, hanno proposto un modello fisiopatologico che delineava le possibili interazioni tra i due sistemi.

Al centro del modello fisiopatologico proposto si ritrovano quattro fattori chiave interconnessi tra di loro: il sistema Renina-Angiotensina- Aldosterone (RAAs), l’equilibrio tra Nitrossido (NO) e radicali liberi dell’ossigeno (ROS), l’infiammazione e il Sistema Nervoso Simpatico (SNS).

L’alterazione di uno di questi fattori provoca l’innesco di un circolo vizioso che porta, mediante lo sbilanciamento degli altri elementi, ad alterazioni funzionali e a danni strutturali a carico di cuore e rene.

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23 Fig. 7. Basi fisiopatologiche dell'interazione cuore–rene nella sindrome cardio-renale. [Tratta da: Bongartz LG,Cramer MJ,Doevendans PA,Joles JA,Braam B. The severe cardiorenal syndrome:Guyton revisited. Eur Heart J. 2005;26:11-17.]

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3.1. Il sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone

Il sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAAs) è attivato dalla ridotta pressione di perfusione renale: si tratta di un meccanismo di difesa per contrastare l’ipoperfusione degli organi vitali. L’apparato juxta- glomerulare renale costituisce il centro dell’attivazione del sistema Renina- Angiotensina-Aldosterone tramite l’aumentata stimolazione beta- adrenergica62 e la diminuita concentrazione di sodio a livello della macula densa63, situazioni peraltro molto comuni nello scompenso cardiaco. La ritenzione idrica che ne deriva peggiora ulteriormente il quadro di insufficienza cardiaca attraverso l'innesco di circoli viziosi.

È importante ricordare che l’angiotensina II prende anche parte ai meccanismi di rimodellamento cardiaco64, mentre l’aldosterone ha un ruolo importante nell’induzione della fibrosi e della necrosi miocardica65. Oltre ad alterare la regolazione del volume extracellulare e ad indurre la vasocostrizione a più livelli, il RAAs porta all'attivazione del sistema nervoso autonomo attraverso meccanismi complessi66; nei pazienti con insufficienza renale è proprio l'alterazione dei meccanismi che coinvolgono il RAAs a dare origine all’iperattivazione simpatica67. Inoltre, mediante l’aumento dell'espressione del gene pro-infiammatorio NF-kB (nuclear factor Kb), il RAAs induce la sintesi di molecole chemiotattiche e di adesione promuovendo l'infiammazione68.

Infine l’attivazione della NADPH-ossidasi, causata dall'aumento del RAAs, sarebbe responsabile della formazione dei radicali liberi dell’ossigeno69. Questo meccanismo è stato riscontrato nelle cellule endoteliali, nelle cellule muscolari lisce, nelle cellule dei tubuli renali e nei miocardiociti.

Un’aumento dell’attività della NADPH-ossidasi è stato riscontrato anche in

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pazienti con Insufficienza Renale terminale (ESRD - End Stage Renal Disease)70.

3.2. Squilibrio tra NO e ROS

Bongartz e coll. hanno osservato che nella ―sindrome cardio-renale severa‖

c'è un graduale squilibrio tra nitrossido e radicali liberi dell'ossogeno, a favore di questi ultimi.

L'ossido nitrico induce vasodilatazione, natriuresi e riduzione del feedback tubulo-glomerulare71 e si inserisce, in questo modo, nel complesso sistema che regola il volume extracellulare e la pressione arteriosa.

Recentemente è stato dimostrato che l’anione superossido possiede effetti opposti al nitrossido per quanto riguarda il volume extracellulare72 e che può essere parte in causa nell’aumento dei livelli pressori73 riscontrati in molti pazienti con scompenso cardiaco.

L'aumentato stress ossidativo è stato riscontrato sia in pazienti con insufficienza renale avanzata sottoposti a dialisi che in pazienti con scompenso cardiaco52. Lo stress ossidativo che caratterizza sia l’insufficienza renale che cardiaca, danneggia DNA, proteine, carboidrati, lipidi e cellule endoteliali e innesca l'infiammazione. In particolare in seguito a stress ossidativo vengono liberati mediatori della flogosi quali l’interleuchina-1, l’interleuchina-6 e il fattore di necrosi tumorale alfa (TNFα). Lo stress ossidativo potrebbe danneggiare anche il tubulo renale o le cellule interstiziali, interferendo con il meccanismo di sintesi e di rilascio

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della renina e quindi attivando di nuovo il RAAs e innescando ancora una volta un circolo vizioso.

Kielstein e coll. hanno anche mostrato come, analogamente a quello che succede nei pazienti con insufficienza renale avanzata sottoposti a dialisi74, in pazienti normotesi con scompenso cardiaco, esisteva una correlazione tra ipoperfusione renale, alterata vasodilatazione mediata dal NO e elevate concentrazioni di ADMA (dimetil-arginina, un antagonista endogeno del NO)75.

L’inibizione cronica della sintesi di NO porterebbe ad una sovraespressione cardiaca dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e dei recettori dell’angiotensina II e questo contribuirebbe ad innescare una reazione infiammatoria a questo livello76.

3.3. Infiammazione

L’esatto ruolo dell’infiammazione nella sindrome cardiorenale non è stato ancora compreso, ma la sua presenza in questo complesso quadro fisiopatologico è indubbia ed è stato ipotizzato che uno stato pro- infiammatorio influisca negativamente anche nella progressione dello scompenso cardiaco.

Alte concentrazioni di TNFα e di Interleuchina-6, sono state rinvenute sia nel plasma che nel miocardio di pazienti con scompenso cardiaco e sembrano essere correlate con la progressione della malattia77, 78.

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In pazienti con insufficienza renale, elevati livelli di proteina C reattiva e di citochine come l’IL-1β, l’IL-6 e il TNFα sono predittori dell’insorgenza di aterosclerosi79. Inoltre, l’infiammazione, insieme allo stress ossidativo, costituisce un punto critico nella fisiopatologia dello stato uremico.

3.4. Il sistema nervoso autonomo

ll sistema nervoso simpatico interagisce con tutti gli elementi della connessione cuore-rene stimolando il rilascio di renina, la produzione di radicali liberi dell’ossigeno e l’infiammazione.

Sia l’angiotensina II che il Sistema Nervoso Simpatico potenziano il riassorbimento di sodio e di acqua a livello del tubulo prossimale renale sia mediante un effetto diretto sull’epitelio del tubulo stesso, che, secondariamente, attraverso la vasocostrizione dell’arteriola efferente.

Infatti l’angiotensina II e il sistema nervoso simpatico attivano i recettori del tubulo prossimale, incrementando il riassorbimento di sodio. Il conseguente minore apporto di sodio al tubulo distale altera gli effetti sodio-ritentivi compensatori dell’aldosterone.

La vasocostrizione dell’arteriola efferente, causata dall’angiotensina II, induce una modificazione delle forze di Starling nei capillari peritubulari (diminuisce la pressione idrostatica e aumenta la pressione oncotica) tale da favorire un ulteriore riassorbimento del sodio nei pazienti scompensati80. L’attivazione del sistema nervoso simpatico, nell’insufficienza cardiaca, è inizialmente finalizzata ad aumentare l’inotropismo e a mantenere la gittata

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cardiaca entro valori normali, ma, con il progredire della malattia, l’eccessiva attività simpatica può provocare apoptosi, ipertrofia e necrosi focale dei miocardiociti81.

L'ipertrofia cardiaca è in parte ascrivibile all’azione diretta delle catecolamine e, cosa ancora più interessante, pare che tale effetto coinvolga anche la formazione di anione superossido82.

A lungo andare, l’iperattivazione simpatica porta a desensibilizzazione dei beta-recettori, sia nei pazienti con scompenso cardiaco83 che in quelli con insufficienza renale84. Questa, infine, potrebbe essere la causa dell’alterazione dei riflessi barocettivi, della ridotta variabilità della frequenza cardiaca e, dell’aumentata suscettibilità alle aritmie, nei pazienti con scompenso.

Un dato interessante emerso da alcuni recenti studi è che la sintesi di angiotensina II aumenta anche a livello del sistema nervoso centrale, come dimostrato dalle elevate concentrazioni riscontrate nel liquor di pazienti con scompenso cardiaco: l’aumento dell’angiotensina II e la diminuzione dell'ossido nitrico nel sistema nervoso sarebbero implicati nel fenomeno di attenuazione della sensibilità barocettiva, come è emerso da studi su modelli sperimentali di scompenso cardiaco85.

Come già detto l’alterazione dei riflessi barocettivi porta ad un’aumentata attività simpatica renale, la quale è, a sua volta, responsabile della ritenzione di sodio.

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29 Fig. 8. Modello fisiopatologico proposto da Bongartz e coll. Nel modello si ritrovano quattro fattori chiave interconnessi tra loro: (A) Ristema Renina-Angiotensina-Aldosterone, (B) equilibrio tra ossido nitrico e radicali liberi dell'ossigeno, (C) infiammazione, (D) Sistema Nervoso Simpatico. [Tratta da: Bongartz LG,Cramer MJ,Doevendans PA,Joles JA,Braam B.

The severe cardiorenal syndrome:Guyton revisited. Eur Heart J. 2005;26:11-17.]

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Finora è stato preso in considerazione un quadro di disfunzione combinata di cuore e reni, in cui l'alterata funzione renale, porta, attraverso il sovraccarico di volume, l'iperattivazione del sistema Renina-Angiotensina- Aldosterone, e il sistema nervoso autonomo, al peggioramento dello scompenso cardiaco. Questi meccanismi fisiopatologici sono essenzialmente di natura funzionale e potenzialmente reversibili.

Tuttavia, il peggioramento dell'insufficienza cardiaca può essere la conseguenza di una malattia renale intrinseca, ad esempio una patologia microvascolare renale, che è frequente vista l'alta prevalenza di ipertensione e/o diabete mellito86.

Nei pazienti con insufficienza renale il ridursi del GFR è in relazione all'aumento dell'incidenza di fattori che incrementano il rischio cardiovascolare (ipertensione, stress ossidativo, alterazioni idroelettrolitiche, insulinoresistenza, anemia, infiammazione, stato procoagulativo). Questi fattori sono associati a disfunzione endoteliale e ad un'accelerata aterosclerosi87, 88. A questi si possono aggiungere altri fattori di rischio non convenzionali quali: albuminuria, proteinuria, iperomocisteinemia, elevati livelli di acido urico e fibrinogeno89.

L'aterosclerosi, la patologia vascolare renale, il diabete e l'ipertensione sono precursori importanti sia dell'insufficienza renale che dello scompenso cardiaco 90, 91.

Per quanto il danno nefrologico possa riconoscere tanti fattori eziologici, nella maggioranza dei casi è l'ipoperfusione renale che conduce a sviluppo o peggioramento della disfunzione renale 92.

Ljungman e coll. hanno dimostrato che nei pazienti con scompenso cardiaco il flusso plasmatico renale (FPR) e il GFR si mantengono costanti

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fintantoché l'indice cardiaco supera 1,5 l/min/m2 mentre cominciano a diminuire al di sotto di questi valori. Dallo stesso studio è emerso che l'azotemia è un migliore indicatore di ridotta perfusione renale rispetto alla creatininemia93.

Il flusso plasmatico renale e il GFR si mantengono costanti nel range pressorio medio di 80-160 mmHg grazie al riflesso miogenico dell'arteriola afferente e alla renina che induce vasocostrizione nell'arteriola efferente.

L'attivazione cronica del sistema Renina-Angiotensina, nel rene ipoperfuso, provoca ipossia, vasocostrizione, ipertensione intraglomerulare, glomerulosclerosi, fibrosi tubulo-interstiziale e proteinuria94,95. Allo stesso modo l'attivazione del sistema nervoso simpatico causa proliferazione delle cellule muscolari lisce e dei fibroblasti avventiziali dei vasi intrarenali96. In considerazione dei molteplici meccanismi che stanno alla base di una concomitante disfunzione renale nei pazienti con scompenso cardiaco, l'eziologia di questa sindrome risulta complessa e spesso multifattoriale.

Tenendo conto del peggioramento della prognosi di questo gruppo di pazienti, diventa fondamentale individuare e gestire i fattori implicati nell'eziopatogenesi della sindrome cardio-renale.

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4. MARCATORI DI FUNZIONALITÀ RENALE

I parametri di laboratorio, presi in considerazione per la correlazione prognostica della funzione renale sulla prognosi dei pazienti affetti da scompenso cardiaco, variano da studio a studio e sono rappresentati principalmente dalla creatininemia, dall'azotemia e dall’eGFR (estimated Glomerular Filtration Rate).

La creatinina è un prodotto del metabolismo della creatina ed è prodotta in rapporto alla massa muscolare e alla dieta. I livelli sierici di creatinina dipendono dall’età, dal sesso e dalla massa muscolare97, 98, 99

, quindi sottostimano la disfunzione renale soprattutto in donne e anziani100, 101. Nei soggetti anziani un valore di creatininemia entro i limiti della norma potrebbe essere legato ad una ridotta massa muscolare, mascherando una coesistente riduzione della funzione renale. La creatinina, inoltre, viene secreta dalle cellule del tubulo prossimale renale, oltre essere filtrata dal glomerulo, per cui la sua clearence sovrastima la funzione emuntoria. Data la sua relazione non lineare con il GFR (fig. 9) la creatininemia ha anche lo svantaggio di rimanere entro i limiti della normalità a fronte di riduzioni del patrimonio nefronico di oltre il 50%. Ciò significa che il raddoppiamento dei valori sierici di creatinina, pur entro i limiti di normalità (ad esempio da 0.6 a 1.2 mg/dL), potrebbe indicare la perdita di più della metà della massa renale funzionante. Il dosaggio della creatininemia, nonostante l'utilità e la semplicità di esecuzione, non può essere considerato un metodo del tutto soddisfacente per valutare la funzione emuntoria. La sensibilità dei valori ematici della creatinina, come marcatore di insufficienza renale, soprattutto negli stadi iniziali, è quindi molto bassa102.

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33 Fig. 9. Relazione tra il GFR e la concentrazione sierica si creatinina. [Tratto da: Robert D.

Safian, Ryan D. Madder. Refining the Approach to Renal Artery Revascularization. J Am Coll Cardiol Intv, 2009; 2:161-174].

Come marcatore della funzionalità renale, sarebbe preferibile utilizzare il GFR rispetto alla creatininemia. Spesso nella pratica clinica viene calcolato l'eGFR (estimated Glomerular Filtration Rate) mediante l'utilizzo di formule, come la Cockcroft Gault103 o la MDRD104, che tengono conto di alcune variabili che influenzano la funzione renale (l’età, il sesso e la razza). La formula MDRD a 4 variabili è risultata essere più sensibile, soprattutto in caso di disfunzione renale105.

La maggioranza degli studi, per la stratificazione prognostica dei pazienti con scompenso cardiaco, si è basata essenzialmente su indicatori

―creatinine-based”, sottovalutando il ruolo dell’azotemia, che, invece,

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riflette non solo la filtrazione glomerulare ma anche lo stato volemico del paziente e che risulta particolarmente utile nei soggetti anziani.

L’urea deriva dal catabolismo delle proteine assunte con la dieta e dal turnover proteico. In Europa viene dosata prevalentemente l’intera molecola, mentre negli Stati Uniti si dosa abitualmente la componente azotata, detta BUN (Blood Urea Nitrogen) o SUN (Serum Urea Nitrogen), che corrisponde a circa la metà dei livelli ematici dell’urea (0,446 o 28/60).

Approssimativamente, dal 40% al 50% dell’urea filtrata viene riassorbita a livello del tubulo renale prossimale grazie ad una modalità di trasporto passivo guidato dal riassorbimento del sodio e dell’acqua libera. Un aumento del riassorbimento di sodio e di acqua, come si verifica nello scompenso cardiaco o negli stati ipovolemici, provoca un aumento parallelo del riassorbimento tubulare di urea, associato ad un corrispondente aumento dell'azotemia senza che si verifichi necessariamente un parallelo aumento della creatininemia106.

Sia l’azotemia che il rapporto BUN/creatininemia si sono rivelati essere due importanti predittori di mortalità per tutte le cause in pazienti ospedalizzati per riacutizzazione di scompenso cardiaco. É stato ipotizzato che la creatininemia e il GFR siano indicatori accurati di funzione renale in condizioni di stabilità emodinamica. In condizioni di instabilità, invece, come nel caso di riacutizzazione di scompenso cardiaco, BUN e il rapporto BUN/creatininemia sarebbero indicatori prognostici migliori107. Questi due indicatori, infatti, incorporano l’effetto cumulativo di più meccanismi, diversi tra loro e convergenti, quali le alterazioni emodinamiche che portano a loro volta ad ipoperfusione renale e le alterazioni neuro-ormonali

108, 109

oltre che alla progressione della disfunzione ventricolare sinistra110. Alla vasocostrizione arteriolare renale contribuiscono, infatti, sia il sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone111, sia le catecolamine circolanti112 sia

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l’endotelina-1113, 114, con il risultato finale di una riduzione della perfusione renale che provoca ritenzione idrosodica e aumentato riassorbimento di urea. Gli elevati livelli di vasopressina, che si hanno nello scompenso cardiaco, promuovono il riassorbimento di urea anche da parte del dotto collettore a livello midollare, grazie a specifici trasportatori recettori V2- dipendenti115, 116. Il risultato finale è, come già detto, un riassorbimento di urea, non accompagnato da un parallelo e proporzionale riassorbimento di creatinina, che porta ad un aumento del rapporto BUN/creatininemia. I meccanismi neuro-ormonali possono essere amplificati anche dalla deplezione di volume indotta dai diuretici117. Molti studi fisiopatologici hanno, infatti, sottolineato l’impatto dei diuretici sulla funzione renale ed è ipotizzabile che un aumento dell’azotemia possa identificarsi come marcatore prognostico avverso nell’ambito di pazienti sottoposti a terapia diuretica ad alto dosaggio.

Sono molti gli studi che hanno dimostrato una correlazione migliore tra i livelli di azotemia, rispetto a quelli della creatininemia, e gli esiti in termini di mortalità/riospedalizzazione107. Fonarow e coll. hanno recentemente dimostrato una correlazione tra un’importante aumento dei livelli di SUN (superiori a 15.4 mmol/L) e la mortalità intraospedaliera in pazienti con scompenso cardiaco acuto3. Anche in un’ampia coorte di circa 33000 pazienti ricoverati per scompenso cardiaco avanzato (registro ADHERE), livelli di urea maggiori di 43 mg/dL hanno costituito il singolo predittore più efficace per mortalità e riospedalizzazione 13.

Un recente studio condotto su un’ampia casistica di soggetti di età superiore a 65 anni, ospedalizzati per infarto miocardico acuto e scompenso cardiaco, si è posto l’obiettivo di valutare, dopo un follow up medio di un anno, il valore predittivo di quattro differenti indicatori di funzione renale, in relazione alla mortalità per tutte le cause118. In particolare sono stati

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messi a confronto: azotemia, creatininemia, GFR calcolato sia con formula MDRD che con formula MCQ (Mayo Clinic Quadratic equation)118, 119. Da questo studio è emerso che tutti e quattro gli indicatori di funzionalità renale mostravano una relazione lineare con la mortalità ad un anno, ma che l'azotemia e il GFR calcolato mediante formula MCQ risultavano i migliori predittori di rischio. In particolare è emerso che un aumento di BUN pari a 5 mg/dL si associava ad un aumento di mortalità nei soggetti con scompenso cardiaco, del 7% e, nei pazienti con infarto del miocardio, del 3%.

La correlazione tra mortalità e GFR calcolato con formula MDRD, invece, mostrava una curva ad andamento sigmoidale: la formula MDRD non risulta sufficientemente accurata nell’identificare un aumentato rischio di mortalità nei pazienti con eGFR maggiore di 60 ml/min/1,73 m2 118; è ipotizzabile che questo sia la conseguenza di una sovrastima del GFR in una popolazione di soggetti anziani.

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5. TERAPIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO

Le principali linee guida del trattamento dello scompenso cardiaco raccomandano l'impiego di farmaci quali gli ACE-inibitori, gli antagonisti del recettore dell'angiotensina II, i beta-bloccanti, la digossina e i diuretici risparmiatori di potassio120, 121.

È difficile attuare una valutazione dell'impatto della terapia in quanto, spesso, i pazienti arruolati negli studi clinici sono più giovani e con un minor numero di comorbidità rispetto ai pazienti che invece vengono frequentemente ricoverati per scompenso cardiaco; ad esempio sono in genere esclusi dagli studi, o comunque sottorappresentati, i pazienti con disfunzione renale moderata o severa122.

Il tempestivo inquadramento di una concomitante disfunzione renale è di fondamentale importanza non solo per il suo impatto prognostico, ma anche perchè l'uso di molti presidi terapeutici comunemente utilizzati per il trattamento dello scompenso cardiaco aumenta il rischio di eventi avversi in questa tipologia di pazienti.

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5.1. ACE-inibitori

Le linee guida per il trattamento dello scompenso cardiaco raccomandano l'impiego degli ACE-inibitori in tutte le classi funzionali di pazienti con scompenso sistolico.

L'interazione tra l'uso di ACE-inibitori e insufficienza renale è ben documentata sia in termini di beneficio prognostico che per gli effetti collaterali della terapia.

Nello studio ATLAS (the Assessment of Treatment with Lisinopril and Survival) sono stati arruolati pazienti con scompenso cardiaco sistolico avanzato e sono stati sottoposti a basse ed alte dosi di lisinopril (5 e 35 mg rispettivamente). Dall'analisi dei dati emergeva che anche il gruppo di pazienti con creatininemia basale maggiore o uguale a 1,5 mg/dl tollerava bene il farmaco indipendentemente dal dosaggio utilizzato; infatti, la percentuale dei pazienti che aveva poi dovuto interrompere la terapia a sei anni per cause renali non superava il 4,7% 123.

Nello studio CONSENSUS (the Cooperative North Scandinavian Enalapril Survival Study), sono stati arruolati pazienti con insufficienza renale e scompenso cardiaco escludendo i soggetti con valori di creatininemia maggiore o uguale a 3,4 mg/dL124, 125. In media i valori di creatinina sierica si attestavano intorno a 1,4 mg/dL, mentre il GFR, stimato mediante formula Cockroft Gault, era mediamente di 45 ml/min/1,73m2 di superficie corporea: i soggetti trattati con enalapril hanno mostrato una riduzione del 31% di mortalità in modo indipendente dalla funzione renale 126, 127. Nel 35% di questo gruppo di pazienti è stato osservato un aumento dei livelli di creatinina sierica oltre il 30% rispetto al valore basale ma, nella maggioranza dei pazienti, i livelli di creatininemia si sono poi normalizzati

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durante il follow-up a sei mesi, indipendentemente dalla riduzione del dosaggio degli ACE-Inibitori124, 125.

In conclusione, data la possibilità di migliorare la sopravvivenza dei pazienti con scompenso cardiaco, è auspicabilie l'uso, seppur attento, degli ACE inibitori, anche nei soggetti con insufficienza renale moderata o severa. I pazienti con insufficienza renale però non dovrebbero essere sottoposti al trattamento senza aver prima accertato il loro stato euvolemico e dovrebbero iniziare la terapia con basse dosi di ACE inibitori per poi aumentare gradualmente il dosaggio monitorando attentamente gli indici di funzione renale e gli elettroliti128, 129. Un innalzamento della creatininemia persistente e superiore al 30% ripetto al valore basale deve far sospettare una concomitante patologia renale di origine vascolare130.

5.2. Inibitori del recettore per l'angiotensina II

Gli inibitori del recettore per l’angiotensina II sono stati paragonati agli ACE-inibitori nel migliorare la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco e nell'incidenza di iperkaliemia e/o disfunzione renale131, 132. Sono però da preferirsi agli ACE inibitori solo quando quest'ultimi diano effetti collaterali quali tosse o angioedema.

Sia gli ACE-inibitori che gli inibitori del recettore dell'angiotensina II agiscono sul sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone seppur con diversa modalità di azione; numerosi studi hanno sottolineato l'opportunità di associare le due classi di farmaci.

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