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LA CASA SUL MARE LA CASA SUL MARE. Serie di ANTONIO MULAS

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Academic year: 2022

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LA CASA SUL MARE

Serie di ANTONIO MULAS

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Copyright © 2021 ANTONIO MULAS

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Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non

autorizzata.

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Lo vedo e lo saluto da lontano, lui è seduto a un tavolino esterno del bar dove ci siamo dati appuntamento, vedendomi si alza per farmi un cenno, mi avvicino e prende la mia mano tesa tra le sue.

“Paolo scusa il ritardo”

“Ma figurati, non me ne sono neanche ac- corto e poi, dieci minuti di ritardo per una donna sono fisiologici”

È vestito elegante, ha un bel sorriso e due begli occhi scuri, avrà la mia età, non è molto aitante, anzi, è piuttosto magro per i miei gusti.

Appena l’ho conosciuto ho notato il suo modo di parlare sciolto e accattivante, un modo diretto di guardarmi che mi ha messa subito a mio agio e poi… è molto carino.

In quella circostanza, quando siamo rimasti soli mi ha sorpreso il suo invito, ma la sua simpatia è stata il motivo per cui ho accettato...

è solo un aperitivo, mi sono detta, potrebbe essere divertente... chissà.

“Martina come stai, prego siediti; ho aspet- tato te per ordinare, cosa prendi?”

“Grazie Paolo per me un analcolico... sì sto bene e poi hai visto che giornata e che caldo per essere fine settembre, si sta proprio bene anche qui all’aperto”

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“Beata te che puoi goderti questa giornata, io purtroppo tra poco più di un’ora, ho un appuntamento con un cliente; avrei preferito stare con te un po’ di più, se non altro per conoscerti meglio... non ti nascondo che men- tre ero seduto ad aspettarti mi sono ritrovato a pensare che non venissi perché, forse, sono stato troppo frettoloso nel chiederti di uscire...

e poi non me l’aspettavo in quella circostanza;

onestamente non mi era mai capitata una cosa del genere proprio al lavoro... se ci pensi il destino è strano”

Ci penso sì, e lui lo chiama destino! Un attimo di silenzio mentre il cameriere ci porta da bere, ed io lo rivedo in quella casa sul mare che abbiamo visitato con Anna quando non mi levava gli occhi di dosso.

“Scusa se te lo chiedo Martina, non vorrei annoiarti con il mio lavoro... ma alla tua amica, la signora che accompagnavi... Anna se non ricordo male, è piaciuta quella casa, ti ha più detto qualche cosa?”

Fingo una faccia contrariata, in effetti non mi aspettavo un inizio conversazione del ge- nere e gli dico: “Spero tu non mi abbia fatta venire qui solo per questo, o hai l’abitudine di offrire da bere a tutte le tue clienti? Fa parte

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del contratto o cos’altro?”

Sorseggio l’aperitivo e lo guardo mentre cambia colore in viso, mi piacciono gli uomini che sanno arrossire.

“Perdonami, è stata solo deformazione professionale, non volevo”

“Se ti fa piacere, ti posso dire solo che la mia amica era entusiasta, soprattutto del giardino...

ti ricordi?, non ne usciva più... però mi ha detto che il prezzo è troppo alto”

“Beh, è una casa grande, in una posizione incantevole; prima te l’ho chiesto solamente perché ho molti clienti interessati e, in questi giorni, per quella casa ho diversi appuntamenti in agenda... comunque grazie per la tua confi- denza, chiamerò la tua amica in settimana; ma basta parlare del mio lavoro, parlami di te, cosa fai nella vita?”

È gentile e ha proprio un bel viso.

“Non faccio niente di particolare, lavoro in amministrazione in una piccola industria, bolle, fatture, archivio... le solite cose e le solite facce di tutti i giorni, niente di eccitante;

chissà tu invece, con tutte le persone diverse che incontri, credo che il tuo sia un lavoro più interessante del mio”

“Sì, in effetti non mi dispiace, ho parecchi

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anni di esperienza e lo faccio volentieri, ma credimi, è un po’ stancante. Spuntano agenzie immobiliari un po’ dappertutto anche se poi, quelle che non hanno una storia come la nostra, chiudono subito e poi non abbiamo orari; ci capita di prendere appuntamenti a tutte le ore... no, non ridere, non pensavo a te come a un appuntamento di lavoro”

Lo guardo, sempre sorridendo, e gli chiedo:

“Allora, perché questo incontro?”

“Perché mi piaci, non ti offendere per questa franchezza, ma l’ho capito subito, mi piace la tua figura, come ti muovi, come mi guardi...

anche adesso mentre ti parlo... hai gli occhi che ridono anche quando stai seria e non è comune, beh, poi volevo conoscere anche il tuo carattere, cosa ti piace, cosa ti appas- siona... se hai un amico”

Mentre mi parla, ha allungato un braccio e mi sfiora delicatamente una mano, lo lascio fare senza ricambiare e penso, per un attimo, al fisioterapista che mi guardava come mi sta guardando Paolo; la cosa mi lusinga, ma mi chiedo che cos’ho, forse il trucco o il mio modo di vestire, perché un giovane appena conosciuto si senta in diritto di toccarmi, di farmi dei complimenti, anche se discreti...

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sono indecisa perché è così carino... non vorrei essere brusca e fargli perdere l’interesse che sente di provare nei miei confronti.

Abbasso gli occhi sulla sua mano che acca- rezza la mia, sto un po’ in silenzio e poi lo guardo fisso: “Amici ne ho parecchi...”

“Li stavi contando?”, mi interrompe ridendo di gusto.

Il suo sorriso è contagioso e mentre ridiamo continuo: “Ma niente di serio... vivo da sola, e tu?”

“Sì, anch’io. Mi sono trasferito da poco in un appartamento più grande. Prima abitavo in un buco vicino alla stazione, adesso ho trovato un bilocale, con un buon affitto, che sto finendo di arredare ed è vicino al centro... cosa fai nel tempo libero, hai qualche hobby?”

“Mi piace il cinema, mi piace cucinare e mangiare bene; sono brava in cucina sai?, per il resto non ho molti interessi. La sera, dopo il lavoro, ho provato a frequentare qualche corso tipo pilates, ma sono capitata in una palestra dove erano tutte esaltate; ho iniziato il de- coupage e mi sono trovata a rivestire scatolette di cartone ascoltando i discorsi di quattro casalinghe anzianotte e pettegole; ho provato yoga, ma per poco non mi faccio male... devo

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ammettere che sono incostante, mi stanco subito”

Come con gli uomini, penso fra me.

“C’è una cosa di cui ti sei pentita di non aver continuato o qualcosa di nuovo che vorresti fare?”

“Non finire l’università... ho fatto appena un anno di Economia, ma poi mi sono voluta rendere indipendente dalla famiglia, ho cer- cato un lavoro e quando l’ho trovato ho smesso di studiare; così come l’inglese, mi piacerebbe approfondirlo ma non riesco a finire un corso intero, anche se penso di riprenderlo il prossimo anno... sai mi piacerebbe tanto fare di più qualche viaggio all’estero; e a te piace viaggiare?”

“Molto, parlo inglese e francese fluente, ho la necessità di farlo anche per lavoro, la nostra società, come hai potuto vedere, tratta immo- bili di un certo prestigio, principalmente sul mare, e ha anche delle sedi sia a nord della Corsica sia vicino a Mentone, sulla costa Az- zurra; così mi capita spesso di dovermi trasfe- rire là, anche se per brevi periodi”

Per quasi mezz’ora mi parla di sé, della sua famiglia, della madre francese e dei suoi ricordi d’infanzia in Francia, dei suoi viaggi,

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soprattutto nel Mediterraneo, rispondendo volentieri alle mie curiosità con competenza, direi quasi con un certo trasporto, tanto da pensare che lo faccia apposta per suscitare in me un maggiore interesse verso di lui; ma non ce n’è bisogno, perché già mi vedo abbracciata a lui dentro una tenda beduina sotto le stelle in qualche deserto magrebino.

Mi dice di aver visitato quasi tutte le capitali europee, lo ascolto volentieri e mi immagino di essere a braccetto con lui per un boulevard di Parigi, ma ritorno subito con i piedi per terra quando mi dice: “Martina scusami spero di non averti annoiato con le mie chiacchiere, ma devo proprio andare... sai l’appuntamento che ti dicevo, mi dispiace, ho parlato solo io e di te non so niente; è un motivo valido se ti chiedo di rivederci?”

Per quanto sia carino a questo non pensavo proprio, però, mio malgrado, gli rispondo:

“Volentieri Paolo, è stato un piacere ascoltarti, ci sentiamo presto”

“Visto che sono ancora belle giornate e a te piace la cucina, perché domani non pranziamo insieme, conosco un ristorantino qui vicino proprio sul mare dove ho mangiato bene, cosa ne dici?”

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Ci alziamo insieme e, mentre mi abbraccia, il suo viso indugia un po’ sul mio, sento il suo odore piacevole, ma non so perché prendo tempo.

“Se non ti dispiace ti chiamo oggi pomerig- gio, non so se posso disdire l’impegno che avevo già preso per domani, eventualmente ci mettiamo d’accordo”

“Martina guarda che ci conto”

“Va bene, ciao Paolo”

“Ciao”

Ritorno a sedermi un momento mentre lo guardo andar via.

Guardo distratta il cameriere che, in silenzio, sparecchia e penso a questo giovane... forse è più giovane di me.

Non c’è dubbio, è attraente, colto... sorrido se penso all’enfasi e la spontaneità nel raccon- tarmi le sue esperienze di viaggio ed è stato chiaro sul suo interesse per me.

Se faccio una carrellata mentale degli uo- mini che ho conosciuto ultimamente, ricono- sco che lui è come una ventata fresca, simpa- tico, giovane, forse troppo; ho intenzione di rivederlo, ma non subito.

Mi conosco troppo bene, per me sarebbe una facile aggiunta al mio già vasto e variegato

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carnet, e anche se l’idea non mi dispiacerebbe proprio, voglio capire se lui vuole solo scopare come l’ultimo che ho conosciuto. Certo, que- sto è decisamente più giovane.

Mi alzo incamminandomi verso il posteggio dove ho lasciato la macchina.

L’aperitivo mi ha messo fame e voglio arri- vare a casa al più presto, sto aprendo la por- tiera quando sento il cellulare che squilla nella borsetta. Seduta in macchina traffico un po’

infastidita per trovarlo, guardo il display della chiamata insistente: Luigi; accidenti, mi sono dimenticata che dovevo chiamarlo stamattina, se non lo faccio subito continua a chiamarmi, magari mentre guido, e non lo sopporto.

“Luigi ciao, dimmi”

“Scusa Martina, ti disturbo? Aspettavo una tua telefonata”

“Hai ragione, sono stata così presa che mi è andato fuori di mente, sono andata dal fisioterapista per una visita e ho perso tutta la mattina”

“Mi dispiace, capisco...scusa ma, per stasera hai deciso? Pensavo si potrebbe cenare in- sieme, se non hai impegni.”

Mi dispiace dirgli di no, in fin dei conti mi è sembrato una brava persona fin dal primo

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momento che l’ho conosciuto a casa di Anna e Guido, anzi, se non ricordo male, è stata lei quella sera a invitarlo per non farmi sentire sola; e poi stasera non ho niente da fare se non i mestieri in casa che trascuro da un po’.

“Va bene Luigi, passi tu a prendermi?”

“Certo, alle otto”

“Ciao, a stasera”

*****

Colpa del traffico eccessivo che non avevo previsto, ho fatto tardi, me ne accorgo solo adesso guardando il display dell’orologio sul cruscotto mentre aspetto che la porta del garage si apra del tutto, vedo con disappunto che c’è anche la macchina di Lorenzo che mi aveva detto sarebbe stato via tutto il giorno.

Mi guardo nello specchietto e vedo una fac- cia stanca e con gli occhi arrossati, cerco di sistemarmi i capelli e mi soffio il naso spe- rando che non si veda che ho pianto.

Penso a Luca, dovrebbe aver già mangiato, e il cuore mi si stringe un po’, ho un senso di colpa verso di lui per il ritardo.

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Risalgo veloce il vialetto che attraversa il giardino e porta verso la nostra villa, la porta si apre prima che io possa entrare, sull’ingresso vedo la nostra governante che mi viene incontro un po’ allarmata tenendo per mano Luca.

Appena mi vede, mio figlio mi corre incon- tro, lo prendo in braccio e lui mi stringe forte in silenzio, sento che è molto caldo.

“Signora, il bimbo ha la febbre, non ha man- giato quasi niente”

“A quanto c’è l’ha?”

“Un’ora fa l’aveva a trentotto, adesso mi sembra più caldo, non gli ho dato niente, aspettavo lei... ho cercato di chiamarla più volte”

“Grazie Marisa, adesso ci penso io”

“Il pranzo è pronto, mi dica quando devo portare in tavola.”

“Non ti preoccupare, mio marito ha pran- zato?

“Non ancora, è in sala che l’aspetta”

Attraverso lentamente il disimpegno con il bimbo al collo con cui parlotto e, mentre lo coccolo, gli sussurro: “Adesso la mamma ti misura la febbre e poi andiamo a fare la nanna, hai fame?”

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“No mamma, ho sete”

Mi dirigo verso la cucina e, mentre la cuoca spadella, le chiedo:

“Me lo guarda un attimo che saluto mio ma- rito? Torno subito, intanto gli dia un po’

d’acqua”

“Ma certo, signora”

È un bimbo bravo che non fa capricci, però lo tranquillizzo lo stesso quando mi accorgo che sta per piangere mentre mi distacco da lui.

Entro in sala da pranzo, Lorenzo è girato verso la portafinestra che dà sull’ampio terrazzo che guarda il giardino, le imposte sono semiaperte e una brezza leggera fa scivolare avanti e indietro le tende.

Non c’è niente che sia disordine, la tavola è apparecchiata con cura, i mobili sono antichi e di pregio - tutti scelti da mio padre -, mentre nella stanza attigua, che fa da salotto, l’arredo è moderno e di lusso; ma entrando, per un attimo, mi sento smarrita, un’estranea in casa mia, fuori posto, lui sta parlando al telefono e sembra, o fa finta, di non avermi vista, sento che dice: “Guardi, mercoledì mattina sarebbe l’ideale... diciamo in tarda mattinata... sì, va bene, va bene... conosco il posto... a presto, arrivederci”

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Chiude la conversazione, si mette in tasca il cellulare e, con calma e senza voltarsi, mi dice: “Non paghiamo Marisa per farci anche da babysitter a tempo pieno, ma lo sai che ore sono? Dove sei stata?”

Il disagio e l’ansia non mi permettono di dar- gli una scusa plausibile sicura e balbetto: “Mi dispiace, con i saldi ho perso tempo in centro e non mi sono accorta dell’ora... guardo come sta Luca, lo metto a letto e vengo subito a pranzo”

Non gli do il tempo di rispondere che sono subito con mio figlio nella sua cameretta, gli misuro la febbre che, fortunatamente, non è molto alta come temevo, lo cambio e lo cullo un po’, fortunatamente si addormenta subito.

Lo guardo, è così bello, ha i capelli biondi come i miei ma è alto e forte come suo padre, con gli stessi lineamenti del viso, spero solo che non ne abbia preso il carattere.

Torno in sala, mio marito è già seduto mentre Marisa si avvicina per servirci il pranzo.

Mangiamo in silenzio per un po’, poi Lo- renzo mi guarda serio e mi chiede: “Hai chia- mato la Dottoressa?”

“No, non ha la febbre alta, la chiamo stasera se aumenta”

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“Non ti sei accorta stamani che il bimbo non stava bene? Marisa mi ha detto che si è lamen- tato tutta la mattina; non puoi approfittare di lei, ne abbiamo già parlato, ti ricordi? Non ci sei mai, e ora sei così impegnata anche nei fine settimana... dimmelo se dobbiamo prendere una bambinaia perché la madre è impegnata nello shopping o cos’altro!”

Sento il suo sarcasmo crescere mentre parla, ma non me la sento di rispondergli e tanto meno di litigare, sono stanca, mi sento uno straccio e lui continua, continua su quel tasto, ma non l’ascolto più; solo quando sbatte con forza il cucchiaio contro la fondina mi risve- glio da questo stato e gli rispondo pacata- mente: “Stai dicendo sciocchezze, ho sempre seguito Luca senza problemi e, se non ricordo male, senza un tuo grande contributo; il bimbo non ha niente di grave, adesso sono qui, come sempre, e se ti sembro poco presente ti ram- mento che lavoro anch’io!”

“Adesso sono anche stupido... il tuo lavoro...

mi viene da ridere! È solo una perdita di tempo e di soldi per quel cazzo di negozio! E non mi riparlare di un discorso affettivo perché anche tuo padre, da quel negozio, non ha mai rica- vato un granché ed era molto più esperto di te

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nell’antiquariato... vorrei che almeno questo lo riconoscessi e vorrei che ti rammentassi che è solo grazie ai miei soldi se vi ho evitato il fallimento! Sono io che tutt’ora pago le spese del negozio!”

Continua rancoroso, rinfacciandomi vecchi episodi, facendomi così ricordare mio padre.

Non voglio più ascoltarlo e per un attimo penso solo a mio padre, colto, curioso e gentile, ma mi riscuoto subito quando sento Lorenzo chiedermi: “Cosa ti sta succedendo?

È da un po’ che ti osservo e non mi sembri più la stessa. Che cosa hai, oggi sei bianca come un cadavere e non hai mangiato quasi niente”

Rimango basita da questo suo inusuale inte- resse per me e mi accorgo, senza guardarmi, di essere impallidita; solo l’idea che sospetti qualcosa mi fa star male e, in effetti, sento il vomito.

Mi prende all’improvviso, inaspettato e acido, faccio in tempo a scusarmi e corro in bagno per scaricare un unico conato violento.

Mi pulisco, mi lavo la faccia e torno a tavola dove lui ha smesso di mangiare e mi guarda fisso: “Allora?”

“Niente, penso che sia solo un po’ di influenza”

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“Influenza? Altro che influenza, ho telefonato al tuo commercialista e gli ho chiesto un bilan- cio dell’ultimo trimestre... dovevo farlo prima perché è un disastro. Ti rendi conto? Perché non me ne parli invece di stare sempre zitta?

Non me la sento più di ripagare i tuoi debiti”

Mi sembrava strano che si interessasse della mia persona, sono solo i soldi il suo maggiore interesse, ma gli rispondo: “Sto trattando una credenza doppia in radica di noce fine ‘800, dovrei riuscire a venderla a breve, ma questo non vuole essere una giustificazione, sai benissimo che è un mercato particolare, di nic- chia, si può guadagnare molto in un dato mo- mento e poi stare fermi per un po’; se senti ancora il commercialista digli, da parte mia, che i bilanci si fanno a fine anno, come si è sempre fatto; e comunque non mancherò di sentirlo in merito, anche se lo paghi tu, lui ha il dovere di informarmi per tempo se rileva dei disastri, come tu dici”

Quest’ultimo battibecco mi ha ridato un po’

di tono, ci tengo troppo al mio lavoro, ho stu- diato, mi sono impegnata e ho la giusta espe- rienza per questo, ma lui incalza: “Vedremo, vedremo, ma se continua a non andare si chiude... te lo dico già da adesso, così magari

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avrai più tempo da dedicare a tuo figlio” Sto per arrabbiarmi seriamente anche se mi rendo conto che starei ancora più male, quando Ma- risa mi si avvicina per sparecchiare e mi dice preoccupata: “Signora, non ha mangiato quasi niente, le porto qualcos’altro?”

“No grazie, semmai più tardi prendo una ti- sana, porta pure il caffè a mio marito”

Nel frattempo, lui si è alzato per rispondere al telefono, si è avvicinato al terrazzo e mi dà le spalle, lo vedo un po’ concitato nella conversazione che tiene a bassa voce, faccio appena in tempo a sentire: “... va bene, non importa... sì, lo so che eravamo d’accordo...

pazienza... ti richiamo io perché è l’ultima volta che te lo dico: non mi devi più chiamare a questo numero, capito?”

Chiude il telefono di scatto, sbuffando lo butta sul tavolo, lo vedo, è nervoso, si risiede e io, nel frattempo, mi alzo e gli dico: “Scusa ma devo andare a distendermi un po’, così vedo anche come sta Luca”

“Aspetta, siediti, devo dirti una cosa”

Sono già in agitazione, invece lui si rilassa, si distende, si accende con calma una sigaretta e continua: “Senti, pensavo alla tua barca”

“La barca?”

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“Ho fatto due conti, mantenerla così, adesso ci costa una bella cifra”

“Vuoi venderla?”

“No, so quanto ci tieni... era la barca di tuo padre, ma tu non la usi quasi più e, negli ultimi tempi, praticamente ci sono uscito solo io, pensavo di spostarla nella darsena, qui nel paese vicino. La marina, anche se più piccola e meno di moda, si è sviluppata bene, con nuovi servizi, hanno anche alaggio e officine di manutenzione, e il posto barca costerebbe quasi la metà di adesso; la zona mi piace, non l’avevo mai presa in considerazione, penso anche che si potrebbero fare dei buoni investi- menti immobiliari”

Vedo, dalla sua espressione, che con i pen- sieri è già altrove, mi sento in parte sollevata perché avevo immaginato il peggio e gli dico:

“Va bene, se ti sembra conveniente, fallo”

Mi rialzo e mi avvio verso la camera da letto, mi sento veramente spossata, sento i suoi oc- chi che mi seguono ma faccio appena in tempo a sentire che mi dice un po’ ad alta voce:

“Ricordati che questa sera ci sono i Bianchini a cena”

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