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LA CASA SUL MARE LA CASA SUL MARE. Serie di ANTONIO MULAS

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Academic year: 2022

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LA CASA SUL MARE

Serie di ANTONIO MULAS

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Copyright © 2021 ANTONIO MULAS

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Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non

autorizzata.

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Mi ha preso proprio per un coglione.

Finisco di bere il caffè mentre Marisa finisce di sparecchiare in silenzio. Guardo come si muove e penso che so poco di lei, anche per- ché non me ne sono mai interessato.

Lavora per noi da tanti anni, assunta subito dopo la morte della madre di Lidia.

La guardo di sottecchi e non posso far a meno di notare, anche se solo per un attimo, che è ancora una bella donna, capelli raccolti in maniera molto femminile, un bel viso bruno su un bel portamento; le si danno meno di qua- rant’anni anche se penso che si avvicini più alla mia età. Non so niente della sua vita pri- vata, so solo che è stata una fortuna averla in questa casa, anzi, le avevamo offerto di stabi- lirsi con noi, come la cuoca, con una stanza e un bagno solo per lei, ma ha preferito ritornare a casa sua ogni giorno, è instancabile; a parte la domenica, che è il suo giorno libero, arriva la mattina presto e va via la sera dopo cena; è lei che si occupa di quasi tutto, anche di ripren- dere Luca al nido nel pomeriggio e accudirlo il pomeriggio quando la mamma non c’è.

Ultimamente lo fa sempre più spesso, e a questo pensiero sento che mi sale il nervoso, mi avvicino alla credenza, mi verso un brandy

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ed esco sul terrazzo.

In un angolo, un grande ombrellone fa om- bra a un piccolo salottino in rattan di inizio

‘900 originario del Vietnam.

Guardandolo, penso che sia uno dei regali che più ho apprezzato dal padre di Lidia, l’ultimo che mi ha fatto prima di morire; con la bella stagione è uno dei miei angoli prefe- riti, mi siedo lì a bere e a fare ordine nei miei pensieri.

Osservo il giardino, ha perso smalto ed è troppo sporco, devo ricordarmi di chiamare il giardiniere.

Mi accorgo che andrebbe tutto rastrellato, anche i vialetti sono ricoperti di aghi di pino, questi alberi ormai sono diventati troppo alti, forse dovrei farli potare o abbatterne alcuni.

I fiori di ortensia azzurri, lungo il vialetto d’ingresso, adesso hanno un colore grigio marroncino, come i fiori finti dimenticati e logorati dal tempo nei cimiteri.

Anche le rose rosse e gialle, rampicanti lungo gli alti muri in fondo al giardino, andrebbero sistemate; crescono male, infoltite da una parte e rade dall’altra, con i fiori sem- pre più piccoli… è un disastro e con tutto quello che ho da fare devo pensare anche a

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questo perché Lidia non ci pensa.

Sento che la tristezza per un attimo prende il sopravvento sulla rabbia, ma dura poco, la rabbia riprende e non so se più per lei o per me stesso.

Dovrei darci un bel taglio netto.

Bugiarda, non la credevo così, come se non mi fossi accorto che ha pianto, per cosa poi!

Ha sempre avuto tutto: istruzione privata, lusso, regali importanti, è sempre stata viziata.

Da quando è morto il padre, con me ha iniziato a comportarsi da stronza, dovrebbe solo ba- ciare la terra dove cammino! Il padre... se ri- penso a lui... pover’uomo, finiti i tempi d’oro invecchiando si era rincoglionito. In quel pe- riodo quante spese esagerate aveva fatto, per di più in paesi lontani, per investire in prodotti mai più rivenduti in un mercato già di per sé in crisi e pieno di paccottiglia artefatta.

Ha fatto molti acquisti sbagliati, ma lei non lo ammetterà mai.

Per lei il padre era un dio in terra, però sono io che l’ho salvato dal fallimento, con i miei soldi!

Ma lei ha voluto rilevare il negozio, spe- rando in un rilancio… ed io stupido che l’ho assecondata! Non si rende conto che non ha

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mai avuto la competenza, l’entusiasmo, lo spi- rito imprenditoriale di suo padre, che aveva fatto diventare quel negozio di antiquariato il più importante dell’intera regione.

Lei ha sempre trovato la pappa pronta… ed io che pensavo di aver fatto un affare sposan- dola! Famiglia benestante, lei bella, giovane e intelligente... e invece sono stato usato, rigi- rato come un calzino, sono servito solo a pa- gare i debiti del padre anche se il negozio è rimasto a suo nome.

Ho tolto l’ipoteca da questa casa con i miei quattrini, caramente sudati, a cui lei sembra non dare peso, come se piovesse tutto dall’alto... penso che lei non mi abbia mai amato veramente, le ho fatto solo comodo, me ne sono reso conto solo oggi, definitivamente, quando è rientrata a casa con quella faccia stravolta.

Chissà dove è stata.

Sono stato un ingenuo... in una coppia non ci dovrebbe essere troppa differenza d’età. Una volta avevo letto che, per un matrimonio ideale, l’uomo dovrebbe avere sei anni più della donna; mi è sempre sembrata una grande stupidaggine, un retaggio ottocentesco, ma magari c’è una punta di verità! Nel nostro

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caso, comunque, diciassette sono troppi, me ne sono accorto tardi.

Dovevo pensarci prima, dovevo sapere che, in una coppia in cui la differenza d’età è così ampia, il tempo futuro e le aspettative sono di- verse; anche quando il rapporto è felice pos- sono riuscire bene solo i progetti a breve sca- denza.

Si viaggia, magari sullo stesso binario, ma sempre con due velocità diverse e se il futuro è ipoteticamente costellato di scelte condivise, sono soprattutto i ricordi, il vissuto e le espe- rienze passate che non hanno niente in co- mune, se non marginalmente.

Il passato è l’istante che precede il presente;

il nostro vivere quotidiano è sempre dettato da scelte che abbiamo fatto, da decisioni, contatti, esperienze, emozioni, sentimenti provati, poco importa se l’istante prima oppure in un tempo molto lontano, ma tutte queste sensazioni condizionano il nostro presente e, soprattutto, il nostro futuro.

Mi chiedo se è stato il suo comportamento che mi ha portato, adesso, a fare una scelta di cui, un domani, potrei pentirmi; tutti noi siamo il nostro passato, e del mio non ho mai avuto rimpianti, anzi, ne sono stato sempre fiero, ha

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alimentato e aumentato in me la volontà, la spregiudicatezza, la caparbietà con cui ho co- struito il mio successo.

Poi, nel giro di pochi mesi mi sono sentito indebolito... avrei dovuto risolvere da tempo questa situazione con Lidia, chiudere questa conflittualità lasciando da parte l’orgoglio, e invece ho aperto un’altra porta, incerta e forse pericolosa, da cui non so che cosa potrà en- trare.

Sono mesi che sopporto l’indifferenza di Lidia, il suo negarsi a letto con scuse varie...

dormire in stanze separate... ma che rapporto è il nostro?

Dice che inveisco, che urlo, quando io, in- vece, cerco solo di parlarle.

Vorrei solo capire, e invece lei si divincola con facilità e, con la sua intelligente eloquenza sofisticata, riesce a farmi sempre pesare la sua maggiore cultura.

Ribalta su di me tutti i nostri problemi, mi rinfaccia il fatto che sono sempre al lavoro e che penso solo agli affari, ai soldi, forse non sono brillante come lei, ma io mi sono co- struito un’azienda florida da solo, ho rilevato altre aziende decotte e le ho rilanciate, come

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quest’ultima che mi sta dando grosse soddisfa- zioni e, senza i suoi studi e senza soldi regalati, ma con anni di sacrificio, notti insonni e, a volte, tanti compromessi.

Un impegno costante che devo mantenere anche per pagare i suoi debiti. Ho visto le sue fatture, due ordinazioni in tre mesi, niente, praticamente niente; e lei che non me ne parla;

invece di stare in negozio, lei chiude e va a fare shopping di sabato mattina... e poi torna stravolta, ha l’influenza... bugiarda... chissà cosa ha combinato.

La rabbia mi rende nervoso e forse poco obbiettivo, argomentando senza un contraddittorio, si sa, si tende sempre a darsi ragione.

Sono già vecchio per lei, è questo il punto!

Forse mi ha sempre e solo sopportato e ha calcolato con freddezza i pro e i contro di un matrimonio di convenienza; forse adesso vor- rebbe che ci separassimo ma non ha il corag- gio di dirmelo... non so cosa pensare... forse si preoccupa davvero del cattivo andamento del negozio... forse ha un amante... un amante...

sarebbe possibile... dovrebbe parlarmene al- meno, forse lo accetterei, invece di compor- tarsi così.

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Mi sale ancora di più l’astio verso di lei e per tutta questa situazione, anche perché, grazie alla sua indifferenza, io mi sono fatto l’amante davvero.

A cinquant’anni! Ma alla mia età non si è vecchi e per questa scelta potrei trovare tante ragioni a mio favore; ma non mi sento con- tento, non l’avevo previsto e non l’avevo mai fatto, sono sempre stato preso dal lavoro.

Se ci penso, anche prima di conoscere Lidia, non ho mai avuto storie durature e importanti, non mi sembra di essere un misogino, ma le donne mi hanno sempre interessato marginal- mente, poi, a un certo punto mi sono sentito solo e mi è sembrato il momento giusto per co- struirmi una famiglia.

Sarebbe stato il giusto coronamento a un’attività imprenditoriale di successo e lei e la sua famiglia rispettata e molto nota mi sembravano l’ideale... lei bella, giovane, forse troppo... e adesso mi trovo invischiato, questa è la parola giusta, in una relazione extraconiu- gale di cui prima di qualche mese fa non ne sentivo il bisogno.

Sarebbe stato meglio se avessi cercato una puttana, una bella escort, come si dice oggi, così, perlomeno, a parità di costo, sarebbe

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stata una preoccupazione in meno.

Sì dovrei darci un bel taglio... a tutto; se non fosse per Luca, che tiene insieme questa pseudo famiglia, l’avrei già fatto; nonostante quello che pensa Lidia gli voglio molto bene e con un divorzio rischierei di perderlo e poi riconosco che è ancora piccolo e troppo attac- cato a sua madre... comunque questa soddisfa- zione adesso non gliela voglio dare.

Devo fare ancora un sopralluogo in darsena per la barca, domani pomeriggio, magari non ci vado da solo, più tardi le telefono per sentire se mi accompagna, spero che non faccia anche lei la preziosa; sono stato anche fin troppo precipitoso nel farle troppi regali, troppi fa- vori; mi pento solo del fatto che lavori in una delle mie aziende, d’altronde me la sono cer- cata... forse si è messa in testa un’idea sba- gliata... è già la seconda volta che mi chiama a casa e mi aveva promesso di non farlo. Sto cer- cando di ricordare se le ho parlato facendole promesse, magari annebbiato dal suo corpo morbido e formoso o dal rancore per mia mo- glie o dalla mia voglia arretrata.

La voglia che mi viene adesso se la penso...

riconosco che è bella, intelligente a suo modo, ma certo non credo che questo sia sufficiente

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e poi è più giovane di Lidia... se torno in darsena sarà anche un’occasione di rivedere quella casa, anche solo da fuori.

A Lidia ho parlato della barca e non della casa, tanto a lei quello che faccio non inte- ressa, invece, con la barca alla darsena e lì a due passi la villetta, potrebbe rivelarsi un buon progetto e un buon investimento: con un mi- nimo di ristrutturazione, potrei poi rivenderla a un prezzo vantaggioso o farla diventare una mia dependance per altri incontri... già mi ci immagino con lei. In settimana, con l’agenzia, la vedrò ancora meglio e dovrò decidere in fretta se la voglio acquistare.

Con questi pensieri rientro nel salone dove incrocio Marisa che sistema delle stoviglie nella credenza.

“Marisa, stasera a cena abbiamo ospiti, non so se la signora l’aveva avvisata per tempo, purtroppo non sta molto bene, le chiedo se può occuparsene lei e se ha bisogno di qualcosa...

a questa cena tengo in modo particolare”

“Certamente, la signora mi aveva avvisata e ho già dato disposizioni alla cuoca, pratica- mente è già tutto pronto”

“Grazie Marisa”

Meno male che c’è lei e mentre la guardo

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uscire mi chiedo cosa sarebbe stata la mia vita se avessi avuto al mio fianco una donna così.

*****

Sono un po’ agitato mentre suono al citofono del suo appartamento.

“Ciao, sono Luigi”

“Luigi vengo subito, dammi solo cinque mi- nuti”

Le darei tutto il tempo che vuole pur di vederla, è la prima volta che Martina accetta di uscire con me e mi sento come un ragazzino al primo appuntamento; ho pensato di portarle dei fiori ma ho rinunciato pensando, che si va a cena fuori e non saprebbe dove metterli.

Sono nervoso, è passato tanto tempo ormai dall’ultima volta che sono uscito con una donna, non è normale e mi rendo conto che se non guardo un filmato o una foto certi ricordi col tempo si stanno affievolendo e in questo momento non voglio pensarci…l’ho già fatto abbastanza.

Sono stato mezz’ora in camera da letto da- vanti allo specchio a provare diversi accosta-

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menti di giacche e pantaloni e camice e cra- vatte, sono troppo grosso e troppo alto, per di più ho la fronte alta per un lieve principio di calvizie, ho il naso lungo, la bocca troppo grande; mi guardavo e non mi sentivo soddi- sfatto.

Se ci penso, non lo sono mai stato e non lo dico solo riferendomi al mio rapporto con le donne, ma in generale, con me stesso e con la gente che non conosco abbastanza bene.

Al primo incontro, non riesco mai ad essere socievole, neanche in una conversazione ba- nale; mi chiudo a riccio, traspare subito una timidezza innata che è diventata, con la matu- rità, un senso di fastidio e, alcune volte questa mia inadeguatezza mi fa sentire diverso, non debole o goffo ma solo con la sensazione di voler essere altrove, come se fossi incompleto, nonostante un lavoro impegnativo e una car- riera professionale appagante.

Mi rendo conto che divento socievole e brillante solo con le persone con cui mi sento a mio agio, forse sono affetto da una inconsapevole e leggera misantropia.

Guido, che mi conosce da tanto tempo dice che questo mio carattere è un pregio perché mi rende meno permeabile alle avversità della

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vita e alle passioni forti, più razionale.

Su questo punto si sbaglia di grosso, tant’è che sono qui, eccitato all’idea che sto per uscire con una donna di cui mi sono innamo- rato fin dal primo momento che l’ho vista e che non conosco affatto; altro che ragione... la cravatta poi non l’ho messa, o meglio, l’ho tolta quando sono salito in macchina, l’ho piegata e messa in un angolo del sedile posteriore; è una calda serata e mi dava legger- mente fastidio oppure ero solo accaldato per l’eccitazione, spero solo di non sembrare trasandato. Sono in anticipo, cammino avanti e indietro davanti al suo ingresso guardando ogni tanto l’ora, ma lei è puntuale.

La vedo scendere pochi gradini attraverso i vetri del portone e mi sembra ancora più bella, ha un vestito molto chiaro, scollato, leggero e morbido appena sopra il ginocchio, con una cintura a catenella dorata in vita che le accen- tua i fianchi e scarpe con i tacchi altissimi.

Le vado incontro sorridendo con la mano tesa ma lei, noncurante, mi sorride, mi abbrac- cia e mi dà un leggero bacio sulla guancia, con naturalezza, quasi a volermi togliere dall’impaccio.

“Luigi, come siamo eleganti... bella la tua

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giacca, è di lino?”

“Penso di sì”, balbetto.

Mi prende a braccetto e mi dice: “Dove mi porti?”

Non l’ho mai vista così gentile con me come adesso, ne sono meravigliato e contento e le rispondo: “Sono stato in un posto incantevole qui in collina, qualche tempo fa, con dei clienti per un pranzo di lavoro, buona cucina e personale cordiale, dove pensavo di tornarci, ti ringrazio per avermene dato l’occasione, spero che piaccia anche a te... ci vorrà una mezz’ora di macchina”

Mi sorride e ci avviamo alla vettura che ho parcheggiato qui vicino.

Durante il tragitto mi parla del suo lavoro, parla anche per me perché, come al solito, sto in silenzio, un po’ per carattere e un po’ perché mi sento intimidito dalla sua sicurezza, mi limito a guardarla ogni tanto mentre guido.

Forse appaio come uno che sa ascoltare, a molti questo fa piacere, e lei continua tanto che, quando arriviamo, so tutto sul suo lavoro in amministrazione.

Lo guardo e mi dico: speriamo che la serata non sia tutta così, altrimenti era meglio se fossi

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stata a casa davanti alla tele.

In fin dei conti questo fine settimana è stato abbastanza pieno, in casa non ho combinato nulla e non è ancora finito, stasera avrei potuto riposare, ho anche un bel mucchio di panni da stirare che accatasto da una settimana...

praticamente lui non parla, guida questa bella macchina lentamente, tutto concentrato anche se non c’è traffico.

Gli ho parlato di me, di quello che faccio sperando che anche lui si sbottonasse un po’ e invece mi risponde a monosillabi.

Lo conosco da poco e non abbiamo mai par- lato a lungo e so poco di lui, a parte l’amicizia comune con Anna e Guido... penso di piacergli perché, ultimamente, mi ha chiamata diverse volte per uscire insieme... se mi vedesse Anna... non vorrei che ci fosse il suo zampino, chissà cosa gli ha detto di me o è solo una mia congettura... domattina le telefono subito. Lo guardo mentre guida, ha un viso grande, un bel profilo maschio, direi un bel naso, mi accorgo che i miei pensieri stanno prendendo un’altra piega quando lui mi avverte: “Siamo quasi arrivati”

Lei scende per prima e vedo che, mentre si

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avvia, ha qualche difficoltà a camminare su quei tacchi alti nel ghiaino steso del parcheg- gio che porta al ristorante, è buffa, sculetta tutta per tenersi in equilibrio, e io accorro per aiutarla porgendole il braccio.

“Grazie, sei gentile”

Ci viene incontro la moglie del proprietario facendoci strada.

“Buonasera Dottore, bentornato... volete che vi prepari dentro o fuori?”

Martina mi precede: “Se a te va bene preferi- rei fuori, se non ci sono zanzare”

Ci accomodiamo al tavolo che la signora ci ha apparecchiato, in un angolo un po’ appar- tato, nell’ampia terrazza esterna sorretta da quattro colonne rivestite interamente di gelso- mino.

Davanti a noi, una siepe bassa di lauro ci separa da un panorama da cartolina.

Un tramonto lungo, che stenta a tramutarsi nel buio della notte, tinge il cielo all’orizzonte di amaranto scuro, in basso si vedono le luci che iniziano ad accendersi che brillano a destra nella grande città e più vicino davanti a noi nel piccolo paese; la darsena illumina una piccola selva di profili di barche immobili, di alberi, di cavi e ormeggi.

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In fondo si scorge il mare, ormai scuro, liscio, silenzioso e in attesa della luna.

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