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Academic year: 2021

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SULLA (S)FORTUNA DEL CORPUS: PASSATO E FUTURO DELLE DÉCIMAS

Nel primo tomo del manoscritto Chacón, subito dopo le Soledades, sono raccolti sessantadue componimenti, poco più di mille e duecento versi, di varia estensione e tonalità, catalogati sotto l’etichetta di décimas. La ricezione di questa porzione dell’opera di Góngora si contraddistingue, lungo i secoli, per un disinteresse costante. Alle décimas i commentatori dell’epoca riservarono il trattamento destinato a tutta la poesia ottosillabica. Alla stregua delle letrillas e dei romances, García de Salcedo Coronel le escluse dal suo prezioso commento dell’opera del cordovese con la sola eccezione, quasi casuale, di «Tan ciruelo a San Fulano» (XIX), décima che Salcedo Coronel cita per intero all'interno del commento di un sonetto oscuro («Lugar te da sublime el vulgo ciego») con il quale condivide molto probabilmente sia il destinatario che l’intenzionalità satirica1. D’altronde, come affermò García Lorca in un momento della celebre conferenza sull’immaginario poetico di Góngora,

las intrusiones de la realidad – muchas veces en forma festiva o burlesca – corresponden a un rasgo de su personalidad que sus contemporáneoas admitieron difícilmente. 2

Affermazione tanto più vera se si pensa che Pedro Díaz de Rivas, José Pellicer e Andrés Cuesta, per citare solo i più illustri tra i primi esegeti dell’opera di Góngora, non si interessarono mai al corpus delle décimas. Baltasar Gracián che, com’è noto,

1

Segundo tomo de las obras de don Luis de Góngora comentadas, por D. Garcia de Salcedo Coronel, caballero de la orden de Santiago. Primera Parte, Madrid, a costa de Pedro Laso, mercader de Libros, 1644, p. 591.

2

García Lorca, «La imagen poética de Luis de Góngora» in Obras Completas, Madrid, Aguilar, 1955, p. 68.

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nell’Agudeza mostra una spiccata predilezione per la poesia gongorina, si riferisce a queste in due soli momenti, quando cita tra gli esempi di «ponderaciones misteriosas» le pointes di «Tropezó un día Dantea» e di «Caballo que despediste» (nn. 53 e 39)3. Del resto, degli ottantuno componimenti tra certi ed attribuiti che compongono il corpus di cui mi occupo, solo quattro videro le stampe in vita del poeta: i due epitaffi composti in occasione della morte di Margherita d’Austria (nn. 24 e 25, 1612); i versi che elogiano le qualità di un amico cerusico che nel 1618 li inserì nei preliminari del suo trattato medico, «Vences en talento cano» (XII) e quelli di tonalità satirica con incipit «¡Cuán venerables que son!», pubblicati in un pliego suelto del 1620 (n. 30). Questo atteggiamento di generale disinteresse ha condizionato il destino di questa parte per niente esigua dell'opera del cordovese; basta pensare che le décimas equivalgono, per numero di versi, alla metà delle letrillas o ad un atto de Las Firmezas de Isabela.

Nella prima metà del Novecento, con la riscoperta dopo i secoli d’oblio della poesia del cordovese, l'atteggiamento nei confronti di esse non mutò di segno. Benché le décimas in molti casi condensino il meglio del concettismo e dell'acutezza gongorini è pur vero che la maggior parte di esse si distanziano dal Góngora aulico e sublime, il prediletto anche dagli interpreti più moderni. Cito il giudizio che Jorge Guillén formulò sulle décimas:

El Góngora más próximo a la singularidad de la circunstancia histórica: el Góngora menos gongorino: el Góngora de más difícil lectura: en la jerarquía poética, el peor Góngora. 4

3

B. Gracián, Agudeza y arte de ingenio, ed. de C. Peralta, J. M. Ayala, J. M., Andreu, Zaragoza, Larumbe, 2004, pp. 200 e 229.

4

J. Guillén, Notas para una edición comentada de Góngora, edición, notas y acotaciones A. Piedra y J. Bravo, prólogo J. M. Micó, Valladolid, Fundación Jorge Guillén, Universidad de Castilla - La Mancha, 2002, p. 34.

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A ben vedere, la condanna di Guillén non fa altro che perpetuare le gerarchie che già all’epoca di don Luis pesavano tanto sulla poesia d’occasione alla quale si devono ascrivere quasi tutti i componimenti della sezione, quanto sullo stile satirico-burlesco della maggior parte delle décimas. Dámaso Alonso non le prese in considerazione neppure nelle pagine che dedica alle «composiciones humorísticas», dove la sua analisi si concentra esclusivamente sui «romances, letrillas, sonetos». Due soltanto le volte in cui il critico si interessa alle décimas: una prima volta quando, poco prima di commentare la canzone con la quale il poeta celebra l’impresa di Larache («En roscas de cristal serpiente breve»), si sofferma su due delle tre décimas che restituiscono in tono burlesco i retroscena poco eroici della conquista di quella fortezza («Larache aquel africano» n. 20); una seconda volta, molto più dettagliatamente, quando si sofferma sugli iperbati, i periodi avversativi e i cultismi della décima in lode al Fetonte di Villamediana («Cristales el Po desata» n. 38), décima che peraltro inserisce nella sua antologia come esempio di «gongorismo químicamente puro»5.

Negli anni Trenta anche i fratelli Millé, nella loro meritoria edizione dell’opera gongorina, penalizzarono le décimas, decidendo di accorparle alle letrillas, quintillas e redondillas nell’ampio contenitore che chiamarono «letrillas y otras composiciones de arte menor». Questa scelta, non tenendo conto delle differenze metriche e tematiche tra décimas e letrillas, da un lato offuscava la distinzione tra le due sezioni, distinzione che verrà ribadita soltanto con l’edizione critica delle letrillas di Robert Jammes (1980); dall’altro, mettendo l’accento sullo statuto gregario del corpus, contribuì a rallentarne la ricezione.

5

D. Alonso, Góngora y el Polifemo, in Obras Completas, Madrid, Gredos, 1984, vol. VII, p. 119 e p. 396.

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Alla fine degli anni ’80, José María Micó si apprestò a colmare le importanti lacune ecdotiche ed interpretative che continuavano a pesare sull’opera gongorina. Il progetto era quello di prepapare un’edizione critica che contemplasse sia i metri italiani diversi dalla forma del sonetto e catalogati dai Millé sotto il nome di «Otras composiciones de arte mayor» (canzoni, ottave, terzine, madrigali e selve), sia quelli ottosillabici, diversi dalle letrillas (décimas, quintillas e redondillas). Micó pubblica nel 1990 l’edizione critica, commentata ed annotata, delle Canciones y otros poemas de arte mayor; e tre anni dopo quella delle Redondillas y quintillas6. Sebbene anche in quell’occasione le décimas finissero per giocare il ruolo delle escluse, la scelta di porre l’accento sulla specificità metrica dei corpora per così dire minori ebbe il merito, non solo di riaffermare la loro indipendenza ma anche l’esigenza di studiarle come sezione a sé, ma pur sempre organica, all’interno dell’opera gongorina.

Se già nella monografia di Robert Jammes (1967) non mancano allusioni e rimandi in nota a questi componimenti, un altro passo decisivo è stato compiuto dal lavoro di ricognizione dei testi attribuiti pubblicato da Antonio Carreira nel 19947. La focalizzazione di problemi relativi ad alcuni singoli componimenti, a cui sono stati dedicati pochi ma autorevoli contributi, così come lo spazio riservato alle décimas nelle ultime antologie gongorine – una a cura di Pérez Lasheras-Micó, l’altra di Carreira – denotano una recente inversione di tendenza nella storia della ricezione critica delle décimas. Inversione di tendenza che arriva fino al novembre 2011, quando il gruppo di ricerca Góngora II, diretto da José María Micó, convoca a Barcellona i maggiori

6

L. de Góngora, Canciones y otros poemas de arte mayor, ed. crítica de J. M. Micó, Madrid, Espasa Calpe, 1990 e «Redondillas y quintillas de Luis de Góngora», ed. de J. M. Micó, in Edad de Oro, XII, 1993, pp. 177-190.

7

R. Jammes, Études sur l'œuvre poétique de Don Luis de Góngora, Bordeaux, Institut d'Études Ibériques et Ibéroamericaines de l’Université, 1967 (La obra poética de don Luis de Góngora y Argote, trad. de M. Moya, Castalia 1987); A. Carreira, Nuevos poemas atribuidos a Góngora, prólogo de R. Jammes, Barcelona, Sirmio Quaderns Crema, 1994.

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specialisti del poeta con l’obiettivo di concentrarsi sulla parte più trascurata della sua opera. Il volume, Góngora y el epigrama, ancora in corso di stampa, che raccoglie gli atti delle due giornate di Barcellona, costituirà il primo studio monografico dedicato alle décimas. In quell’occasione non solo si è affermata la necessità di riconsiderare una parte di questo repertorio tanto trascurato, ma si è anche mostrato come una lettura approfondita permetta di scoprire, al di là della natura aneddotica di questi testi, «joyas de primer orden, sobre todo en cuanto a la concentración de la materia poética» (Carreira)8.

La presente proposta di edizione critica delle décimas si inserisce dunque nel progetto già avviato da José María Micó e che mira alla definizione di un corpus di «composiciones de arte menor». Infatti, a differenza delle altre opere contenute nel primo tomo del manoscritto Chacón (sonetti, Polifemo, Soledades, Panegírico al duque de Lerma), le décimas, che pure costituiscono la parte più cospicua di quel corpus, non hanno ancora ricevuto la dovuta attenzione ecdotica e interpretativa.

8

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ORIGINE, CRONOLOGIA ED EVOLUZIONE DELLE DÉCIMAS

La décima espinela, secondo il giudizio di Millé, è una delle strofe «más apta para que dentro de ella alcance el verso octosilábico su máxima sonoridad»9. È composta da dieci versi con rima invariabile secondo lo schema abbaa:ccddc. Studi recenti e lontani hanno indagato le origini, la simmetria interna e l’attualità di una delle combinazioni metriche più amate dalla poesia folclorica e d’improvvisazione e, più in generale, tra le «más características y feraces de la literatura en español»10.

La tradizione attribuisce a Vicente Espinel (Ronda 1550 o 1551 – Madrid 1624) l’invenzione della décima. Il poeta di Ronda, stabilitosi a Madrid nel 1599, si guadagnò un grande prestigio negli ambienti accademici cortigiani che gli valse ben due «tópicos elogiosos»: fu incoronato inventore della sesta corda della chitarra e padre della strofa cui fu dato il suo nome. Lope de Vega in molti luoghi della sua opera non solo attribuì all’autore del Marcos de Obregón la paternità della décima ma addirittura ne prescrisse

9

J. Millé y Giménez, «Sobre la fecha de la invención de la décima o espinela», Hispanic Review, 1937, p. 40.

10

J. M. Micó «En los orígines de la espinela. Vida y muerte de una estrofa olvidada: la novena» in Las razones del poeta. Forma poética e historia literaria de Dante a Borges, Madrid, Gredos, 2008, p. 73. Secondo la definizione di Baher «los elementos de composición son dos redondillas con rimas abrazadas (abba, cddc) con dos versos de enlace en el interior (ac), el primero de los cuales repite la última rima de la primera redondilla, mientras el segundo anticipa la primera de la redondilla siguiente» (R. Baher, Manual de versificación española, Madrid, Gredos, 1970, p. 299). In uno studio fondativo sull’espinela, Clarke distingue tra la décima o docena che può presentarsi sotto forma di copla real o espinela; e la copla real, doble quintilla o falsa décima composta da due quintillas che rimano in abbab:ccddc e una pausa dopo il quinto verso (cfr. D. C. Clarke, «Sobre la espinela», Revista de Filología Española, XX, pp. 296 e 338). Possiamo altresì definire la espinela, in parole di Garrote Bernal, come una «variante diacronica della décima» (Introduzione a Vicente Espinel, Obras Completas, Málaga, Diputación Provincial de Málaga, vol. II, p. 11). Nello studio già citato, José María Micó dimostra che le due varianti ottosillabiche della décima derivano da un unico prototipo, la novena.

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l’uso nel suo Arte Nuevo11. E studi recenti hanno confermato i tópicos elogiosos riconoscendo a Espinel il merito sia di aver individuato il metro, sia di avergli dato quella popolarità rimasta pressoché invariata durante i secoli12.

L’interesse di Góngora per l’espinela coincide con il momento in cui questa viene promossa, tanto nel repertorio del teatro come in quello della lirica, a metro indipendente. Gli esordi gongorini risultano pertanto emblematici del carattere ancora sperimentale che la décima, almeno al di fuori del genere drammatico, mostra agli inizi del seicento.

Il primo componimento, datato da Chacón al 1600 (“No os diremos como al Cid”, n. 1), si compone di sedici espinelas che elogiano, attraverso epiteti e iperboli galanti, le damas de palacio ammirate, secondo le indicazioni contenute nelle epigrafi, con gli occhi del marchese di Guadalcázar. Benché la finalità encomiastica, la tonalità mondana e l’ambientazione cortigiana preannunciano quelli che saranno gli elementi tematici caratteristici del corpus, il componimento che lo inaugura coincide anche con il più esteso.

11

In particolare nel Laurel de Apolo (“Pues de Espinel es justo que se llame/y que su nombre eternamente aclame”) e in un passo de La Circe (“No parecía novedad llamar espinelas a las décimas, que éste es su verdadero nombre, derivado del maestro Espinel, su primer inventor, como los versos sáficos de Safo”). Per gli esempi di espinela ante litteram, presenti già in alcuni cancioneros medievali, cfr. F. Sáchez y Escribano, «Un ejemplo de espinela anterior a 1571», Hispanic Review, VIII, 1940, pp. 349-51 e J. M. de Cossío, «La décima antes de Espinel», Revista de Filología española, XXVIII, 1944, pp. 428-54.

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All’esempio di Espinel si deve la pausa fissa al quarto verso e la suddivisione tematica tra i primi quattro versi e gli ultimi sei della strofa (cfr. Clarke, cit., p. 295). Sono solo tre i componimenti in décimas espinelas composti dal poeta che, tuttavia, continuò a chiamarli redondillas. Tutti e tre polistrofici, uno di questi è incluso nelle Diversas Rimas (“No hay bien que del mal me guarde”, cfr. Espinel, cit., p. 639). Per gli altri due cfr. Espinel, Poesías sueltas, ed. de Lara Garrido, Málaga, Diputación Provincial, 1985, nn. 99 e 100). Nell’esaustiva introduzione alle Diversas Rimas, Garrote Bernal riordina cronologicamente le dinamiche storiche e biografiche che portarono Espinel, a partire dalla pubblicazione della raccolta poetica fino al suo definitivo trasferimento a Madrid, a guadagnarsi numerosi attributi elogiativi riconducibili, secondo il critico, più «a la amistad de algunos contemporáneos del autor – y sobretodo Lope – que a la realidad artística y literaria» (Garrote Bernal, Introduzione a Vicente Espinel, cit., pp. 11-20 e pp. 298-305, cito da p. 11).

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Al lungo decalogo cortigiano del 1600 seguono, tre anni più tardi, le décimas liriche con incipit “De un monte en los senos donde” (n. 2). Le quattro espinelas sono intercalate da un estribillo polimetrico la cui presenza costituisce la seconda eccezione nella storia della décima gongorina.

L’estensione del primo componimento e l’uso dell’estribillo del secondo, confermano il carattere ancora poco formalizzato dell’espinela. Infatti se i primi esempi ne affermano l’autonomia, al tempo stesso attingono alla struttura e ai contenuti tipici dei metri ottosillabici tradizionali e in particolar modo della letrilla. Su questa stessa linea si collocano le dieci décimas satiriche datate al 1606 (“Musas, si la pluma mía”, n. 6) che, oltre ad essere polistrofiche, formulano un elenco dei vizi secondo il procedimento, tipico delle letrillas di stesso tono ed intenzione, della sátira de estados.

Lo statuto ancora poco formalizzato delle prime décimas gongorine, che ricordano in particolare le letrillas di combinazione rimica abbaaccdde, indusse in errore anche i primi lettori tanto che l’estensore del manoscritto Chacón, seguito da molti altri copisti, finì per includere nella sezione delle décimas, la letrilla “Ya de mi dulce instrumento”, fra le satiriche, e, fra le burlesche, la letrilla “Una moza de Alcobendas”13.

Il carattere polistrofico rimarrà, almeno fino al 1608, quello dominante. Tuttavia già nei componimenti risalenti agli anni 1603-1604 (nn. 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10) si assite ad una

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Si deve a Jammes la messa a fuoco dei caratteri formali che distinguono una letrilla da un romance o da un componimento in décimas. Nell’introduzione alle letrillas gongorine, egli prende in analisi le tre possibili combinazioni con cui la forma della letrilla si presenta in Góngora: come sequenza identica al villancico tradizionale (strofa di sei versi, con cabeza ed estribillo di estensione e versificazione variabili); come strofa di otto versi con rima abbaaccd; e, infine, come strofa di dieci versi con schema ritmico abbaaccdde. Quest’ultime, in tutto cinque, si differenziano dalla décima per la rima del decimo verso che nell’espinela è identica a quella del settimo e dell’ottavo. La distinzione tra i principali metri ottosillabici, come spiega Jammes, non è un dato scontato né per gli editori antichi né per quelli moderni dell’opera gongorina che spesso utilizzano l’etichetta letrilla per riferirsi più ad una tradizione poetica che a una definizione metrica precisa: «nada impediría adoptar la misma actitud, si los autores de esas clasificaciones coincidieran siempre; pero hay entre ellos frecuentes divergencias y si, para resolverlas, el editor moderno trata de analizar la tradición y ver qué concepto de la letrilla se puede deducir de ella, entonces aparece toda complejidad del problema» (Introduzione a L. de Góngora, Letrillas, Madrid, Castalia, 1980, p. 7).

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progressiva diminuzione del numero dei versi che condurrà la forma ad un assestamento sul tipo monostrofico o suelto14. Al tempo stesso queste décimas, che segnano una fase intermedia nell’evoluzione del metro, sono interessate anche da un suo graduale adeguadarsi al tono medio, giocoso e familiare che lo connoterà in maniera definitiva. Su questa linea si situa il componimento n. 3 con incipit «Qué cantaremos ahora». Catalogate dalla maggior parte dei copisti come burlescas, le cinque décimas raccolgono le impressioni del poeta di passaggio nella temporanea capitale del regno. Secondo una convenzione tipica della poesia dell’epoca, i versi trasfigurano i galanes e le dame della corte in personaggi della letteratura cavalleresca. Tuttavia il loro interesse si deve soprattuto al fatto che in esse si dà voce a quel connubio tra la forma della décima e la poesia cortigiana, leggera e d’intrattenimento, che costituirà la cifra del metro. I vv. 21-24, assumibili come una sorta di manifesto delle décimas gongorine, lo indicano in maniera esplicita:

Cada décima sea un pliego de casos nuevos, que es bien, cuando más casos se ven, hurtalle el estilo a un ciego.

Nel loro insieme, infatti, i componimenti che formano la sezione sono riducibili a una lista di casos. Le due décimas dedicate all’impresa taurina del famoso nano Bonamí, alla quale il poeta assisté durante un altro dei suoi passaggi alla corte (“Pensé señor que un rejón”, 1605, n. 5), sono tra le prime che sottostanno a questo patto implicito. Così anche nella prima décima suelta del corpus, databile, seguendo Chacón, al 1604 (“De

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Dei cinquanta componimenti scritti dopo il 1608 solo dieci sono polistrofici (nn. 18, 20, 28, 30, 32, 34, 50, 51). Di questi, tre (nn. 18, 30 e 50) si compongono di cinque o di quatto strofe, mentre i restanti non superano le due (nn. 20, 32) o le tre décimas (28, 34, 51).

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puños de hierro ayer”), i giochi linguistici, condensati per la prima volta nello spazio di dieci versi, sono finalizzati a commentare un prestito in denaro che il poeta restituisce. Un fatto personale senza grande importanza, ma ricostruibile grazie alla generosa epigrafe di Chacón, viene così a coincidere con la stretta misura offerta dal metro. Già da ora emergono alcune costanti che caratterizzeranno la décima gongorina in maniera definitiva. Si tratta di un metro assunto per la trasposizione sia di eventi mondani o situazioni galanti, spesso ma non sempre di piccola entità, sia di aneddoti che attingono alla quotidianità, quasi sempre attinente allo scambio di favori ricevuti o solo attesi. Entrambe anteriori al 1608, anno di svolta nella storia gongorina del metro, le due décimas ne segnano un’ulteriore evoluzione.

Il microciclo di décimas, composte tra il 1608 e il 1611, e inviate ad anonime monache, marca il passaggio ad una prima fase matura in cui la décima diventa una forma del tutto autonoma (nn. 13, 14, 15, 21, 22, 27). Questi componimenti, tutti monostrofici, sono battute chistosas che reiterano la formula del ringraziamento per un dono, quasi sempre di tipo alimentare. Sia che si tratti di conigli o di frattaglie di vitello, di castagne o di ciliege, i doni si configurano, più in generale, come il pretesto per intessere arditi giochi di parole culminanti in una pointe dal risvolto osceno, malizioso o scatologico. La sfera del contingente alla quale appaiono profondamente vincolati è scandita dalla presenza di deittici volti a stabilire un legame forte, ma non sempre indissolubile, con l’oggetto o con il momento al quale si riferiscono (“Dos conejos”, “por dos cosas”, “ambas a dos”, “ese cuarto de ternera”, “este día”, “este frío”, “este verano”). Allo stesso periodo risalgano altri due componimenti partecipi di questo medesimo clima conventuale. Il primo, “En trescientas santas claras” (n. 11), è una décima suelta in cui il poeta si prende gioco dell’insistenza e dell’ostinazione dei

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corteggiatori di monache. Il secondo è formato da due espinelas che ironizzano sul noviziato di una religiosa avanti con l’età (“Esa palma es niña bella” n. 8). Entrambi, caratterizzati ancora da una tonalità spiccatamente burlesca e da una pointe spiritosa, sono testimonanza insieme ai precedenti di un singolare galanteo de monjas e di rapporti di misteriosa cordialità intrattenuti negli ambienti religiosi di cui il poeta faceva parte. A ben vedere la tematica del dono accomuna le prime décimas di carattere epigrammatico a due sonetti, anch’essi inviati a personaggi del clero minore: «Gracias os quiero dar sin cumplimento» e «Mis albarcoques sean de Toledo», il primo dei quali fu composto nello stesso anno delle décimas (1608). Il dato suscita interesse non solo perché in quest’ultime, a differenza dei sonetti, il motivo si specializza curiosamente in chiave femminile ma anche perché la connessione tra le due forme, tutt’altro che casuale, rivestirà un ruolo decisivo nell’evoluzione della décima gongorina.

In effetti, se guardiamo agli anni della loro maggiore fioritura, i punti di contatto coi sonetti risultano ancora più evidenti. Le tre décimas che commentano la conquista militare della roccaforte di Larache (“Esta bayeta forrada” e “Larache aquel africano” nn. 19 e 20), l’impresa militare in cui l’esercito spagnolo non si distinse in campo militare ma piuttosto nell’ambito delle trattative diplomatiche; i due epitaffi al sepolcro di Margherita d’Austria (“La perla que esplendor fue”; “Ociosa toda virtud” nn. 24 e 25); i dieci versi che commentano la tragica esecuzione di Rodrigo Calderón (“Cuanto el acero fatal” n. 45) e quelli che si riferiscono, con sottilissima ironia, al fallimento del progetto di matrimonio tra Carlo I d’Inghilterra e l’infanta Maria Anna (“Atrevida confianza” XVII). Siamo di fronte a una serie di motivi, occasionati da eventi pubblici, che il poeta utilizza in altri metri – penso alla canzone alla toma de Larache o all’ottava per la morte di Margherita – e che trovano sempre un loro corrispondente nel sonetto

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(due per la morte di Rodrigo Calderón, due per Margherita, due per Larache, uno per il principe inglese). In altre parole l’evoluzione e la maturazione della décima è legata ai suoi rapporti sia formali che tematici con il metro di ascendenza italiana: in particolare, la distribuzione simmetrica dell’argomento, la condensazione semantica, la pointe. La décima, che Carreira a ragione ha definito una «hermana menor» del sonetto15, non solo si presta a ritrarre l’occasione comune anche a molti sonetti di vario registro, ma come questo mantiene una struttura articolata, logica e rigorosa ancor più esaltata dalla brevità che la caratterizza. In alcuni casi Góngora utilizza la décima come controcanto ironico di un argomento trattato in tono serio con la forma del sonetto (è il caso delle décimas intorno a Larache); in altri si mostra interessato piuttosto a duplicare idee o immagini simili in forme differenti (nel caso delle décimas in morte di Margherita o di quella a Rodrigo Calderón). D’altronde, sia il sonetto sia la décima rientrano in quel ventaglio di metri che, ancor più di altre forme brevi (come il madrigale e l’ottava), si prestarono ad accogliere, durante i secoli d’oro, il genere dell’epigramma classico: al quale si richiamano sia per motivi tematici, ascrivibili in generale alla poética de la contingencia, sia per la loro forma breve16.

15

Carreira, cit., p. 26. Anche Millé aveva alluso al parallelismo tra i due metri: «La décima representa, respecto del metro popular, lo mismo que el soneto e italianizante endecasílabo para el erudito» (cit., p. 40).

16

«la rigueur, la souplesse et la fermature du sonnet le rendent préférable à toute autre forme quand il s'agit de transposer le modèle de l'épigramme» (M. Blanco, «L'epitaphe baroque dans l'oeuvre de Góngora y Quevedo» in Les formes breves, B. Pelegrin (ed.), Actes du colloque international de la Baume-les-Aix (26-27-28 novembre 1982), Marseille, Publications Université de Provence, 1984, p. 179). Sullo spazio dell’epigramma classico nella traiettoria poetica dei secoli d’oro si concentrano anche alcune riflessioni puntuali di López Poza, intente a ricollocare la forma epigrammatica nel variegato repertorio metrico offerto dalla poesia castigliana (López Poza, «El epigrama en la literatura emblématica española», Analecta Malacitana, Universidad de Málaga, XXII, 1999, pp. 27-55 e anche «Luis de Góngora en la trayectoria aureosecular del epigrama» in Góngora y el epigrama, Estudios sobre las décimas, J. M. Caballero, J. M. Micó, J. Ponce Cárdenas eds., Biblioteca Áurea Hispánica, Editorial hispano-germánica Iberoamericana-Vervuert, in corso di stampa). Mercedes Blanco, evidenzia l’impronta dell’epigramma di Marziale nella produzione breve (in particolare sonetti e décimas) del poeta di Cordova («Bajo el signo de la agudeza: el arte

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Come nella struttura bipartita di gran parte dei sonetti del repertorio satirico-burlesco, anche nella décima espinela si distinguono due segmenti: nel primo di questi, che coincide con i primi quattro versi della strofa, si espone un tema che il secondo segmento riprende per spiegare, amplificare o, a seconda dei casi, solo svolgere. Le due décimas dedicate alla morte di Simón Bonamí (1614), il nano fiammingo la cui proverbiale piccolezza attirò l’attenzione di molti poeti del suo tempo, sono esemplari non solo di un’ulteriore evoluzione del metro in coincidenza con l’intensificarsi della materia concettosa, ma anche di due delle combinazioni possibili che la caratterizzano in una fase del tutto matura:

Yace Bonamí, mejor Murió Simón, en efecto su piedra sabrá decillo, que una piedra lo mató, pequeña aun para el anillo que otro instrumento no halló de su homicida doctor. la muerte para un discreto. + =

De Átropos aun no el rigor Si este es enano concepto, 5 en tierra lo postró ajena, otro va más gentilhombre:

que un gusano tan sin pena debió de la muerte al nombre se lo tragó, que al enano más que al privilegio humano, le sobra más del gusano pues viviendo como enano,

que a Jonás de la ballena. vino a morir como hombre. 10

Sia il primo epitaffio (“Yace Bonamí, mejor”, n. 35) sia il secondo (“Murió Simón, en efecto”, VII) condensano nella misura di dieci versi due concetti legati tra loro da rapporti differenti. Nel primo caso, infatti, la correlazione tra la minutezza del nano e quella dell’anello del dottore che ne ha favorito la morte, si somma, in un crescendo iperbolico (+), al secondo concetto ingegnoso secondo il quale, se a Giona servì la

epigramático de las décimas de Góngora», in Góngora y el epigrama. Estudios sobre las décimas, cit., in corso di stampa).

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balena per essere salvato, al nano può bastare un gusano. Nell’altra décima, invece, gli ultimi sei versi intervengono piuttosto a chiarire il concetto esposto nei primi (=), come sottolinea anche la loro ripresa ai vv. 5-6.

La décima n. 47 (“Este de mimbres vestido”) fornisce un’ulteriore esemplificazione delle possibilità correlative offerte dal metro. Ringraziando l’amico Antonio Chacón per la ricotta che gli ha inviato da Colmenar Viejo, il poeta, nei primi quattro versi, accenna alla bisemia offerta dal luogo di provenienza del dono (requesón de Colmenar= panal de suero cocido); il motivo della mescolanza tra gli ingredienti trova, negli ultimi sei, un suo ulteriore svolgimento in chiave burlesca (decidme en otro papel) che culmina con l’ingegnoso scambio di attributi proferito dalla pointe (lanuda abeja/alada oveja). Quest’ultima décima è esemplare anche di un ulteriore tendenza che accomuna alcuni componimenti maturi del corpus: ossia la ripresa di motivi utilizzati in precedenza e calati, più tardi, non solo in contesti differenti ma anche secondo una retorica spostata verso la mondanità. Il motivo del dono alimentare, già utilizzato nel microciclo delle décimas inviate alle monache, ricompare sia nella décima dedicata a Chacón, sia in quella che commenta una empanada de jabalí ucciso dal marchese del Carpio (“En vez de acero bruñido”, n. 33). I destinatari illustri dei due componimenti fanno sì che le associazioni giocose coniate a partire dalla materia prima oggetto di scambio, la ricotta nel primo caso, l’empanada nel secondo, si declinino secondo un repertorio raffinato e cortese, modulato secondo il lessico e le strutture sintattiche del Góngora alto, in particolare l’iperbato, la metafora ardita, il trueque de atributos, i cultismi e i riferimenti mitologici. D’altronde la ricollocazione di elementi sintattici e metaforici tipici dello stile culto in contesti scherzosi, familiari e mondani non solo marca gran parte delle décimas composte in coincidenza o successivamente alla stesura del Polifemo e delle

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Soledades, ma costituisce anche uno degli aspetti più emblematici della versalità della lingua gongorina. Se si osserva il componimento n. 34, datato al 1614, si nota come il tema giocoso – la burla organizzata a spese di un buffone che faceva poco ridere – si modula attraverso una sintassi complessa e articolata delle quale l’iperbato dei vv. 15-20 rappresenta il momento più alto:

¿Qué mucho, si hacéis temblar en marzo, y Andalucía,

la que os hace compañía, cuando todo el mundo os niega la que en deciembre, y Noruega, pudiera ser noche fría?

Una caratteristica della décima gongorina, osservabile fin dai suoi esordi, è la presenza di corrispondenze semantiche tra la prima e la seconda parte della strofa, corrispondenze che oltre a intensificare il messaggio in essa contenuto, contribuiscono alla compattezza della strofa. Un esempio esplicativo è fornito da alcune décimas che compongono la già citata serie di incipit “Musas si la pluma mía”. Per ciascuna delle sue strofe centrali (quarta, quinta, sesta décimas) i giochi di parole, soprattutto di tipo bisemico, sono riconducibili ad un unico campo semantico: il gusto, la vista o il tatto. Se pensiamo ai vv. 31-40 del componimento:

Ya los melindres están tan fuertes, que Flordelís

se come entero un anís como si fuera un gañán;

Brandimarte, su galán, lo diga, cuyos aceros

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o a figones se los debe, porque ya tanto se bebe,

que el más armado anda en cueros.

è evidente che in essi confluiscono due movimenti opposti: il primo separa la décima in due momenti, uno dedicato a Flordeligi, l’altro a Brandimarte; il secondo, al contrario, fa confluire i due racconti verso uno stesso significato.

Lo stesso meccanismo si osserva anche, più tardi, nei componimenti monostrofici. Si noti, ad esempio, la perfetta simmetria tra lienzo e holanda che, in questo caso, è sinonimo di fazzoletto, nella décima n. 14 (“El lienzo que me habéis dado”): il primo apre il v.1, il secondo è all’inizio del v. 5.

Durante gli anni che precedono il suo definitivo trasferimento alla corte, Góngora, come è noto, attinse sempre più spesso al repertorio encomiastico. Anche la produzione di décimas risente di questa tendenza. Tuttavia se i componimenti lirici “Flechando vi con rigor” e “Pintado he visto el amor” (nn. 9 e 10), che rientrano nel ciclo di poesie scritte alla famiglia di Ayamonte, così come la décima che commenta la caduta da cavallo del conte de la Oliva (“Caballo que despediste”, n. 39) testimoniano, sulla scia dei sonetti della stessa epoca, l’intensificarsi del metro nella sua variante d’elogio, è anche vero che, al tempo stesso, identificano un microciclo indipendente giacché sono dedicate non ai signori stessi (il marchese nel primo caso, Rodrigo Calderón nel secondo) bensì ai loro familiari (rispettivamente, figlia, moglie e figlio).

La décima gongorina si configura, dunque, come un metro che, in misura più significativa rispetto al sonetto, si presta a ritrarre un’occasione, sia essa tragica, burlesca o mondana. La duttilità stilistica di cui è dotata la strofa, tuttavia, appare legata

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sia al destinatario che all’occasione a cui si riferisce non solo perché formula un messaggio di tipo contingente ma anche perché sceglie una forma elocutiva che coinvolge in maniera esplicita il destinatario dei versi al quale può alludere sia all’inizio, come mostrano gli incipit di alcuni componimenti (“Pensé, señor, que un rejón”, “Señor pues sois mi remedio”, “Ya que al de Béjar le agrada”, “Señor marqués trinitario” nn. 5, 51, 37, I), sia durante il suo enunciato (tra i molti esempi: “Señor don Diego, venid”, “vivid, señora, engañada”, “estáis, señores, penados”, “mudéis, señora, de estilo”, “señor licenciado”, “me remite a vos, señor”, nn. 1, 7, 11, 22, 31, 60).

Benché tale caratteristica si ritrovi spesso anche in molti sonetti satirico-burleschi (basti pensare agli incipit di «El conde mi señor se fue a Cherela», «El conde mi señor se fue a Napoles») la forma dell’ottosillabo, ancor più di quella dell’endecasillabo, calcano la vicinanza tra l’io lirico e il destinatario dei versi.

La spontaneità favorita dal metro fa si che il poeta gli affidi anche molti episodi, di solito di piccole dimensioni, riconducibili alla quotidianità cordovese. In alcuni versi, infatti, lo si intravede pregustare la diversione del gioco carte (“Marco de plata excelente” n. 16); in altri prendere accordi per l’esecuzione musicale di alcuni versi (“Pastor que en la vega llana” n. 17); oppure dispiacersi per la morte del cavallo di un amico (“Murió Frontalete y hallo” n. 29). Anche l’ambiente della Cattedrale di Cordova appare ben rappresentato nella sezione delle décimas. Oltre alle tre che danno voce a un giovane studente estromesso da un dialogo rappresentato davanti al vescovo («Don Juan de Castillejo»n. 32), in esse, per lo più, il contenuto burlesco o satirico dei versi è al

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servizio di giochi di parola dallo sfondo scatologico sulla scia di quelli inviati alle monache («Truena el cielo y al momento», «Cierto opositor, si no», nn. 12 e X)17. Tuttavia, una volta stabilitosi a Madrid, Góngora attinge con più frequenza al metro. Al periodo compreso tra il 1617 e il 1625, anno in cui Chacón data l’ultima décima, risalgono ben venticinque componimenti, corrispondenti a poco meno della metà dell’intero corpus (40%), frequenza alla quale si adegua anche la sezione delle attribuzioni18.

Calibrate sul tipo suelto, le décimas di questo periodo sono interessate da un’atmosfera cortigiana declinata però secondo differenti toni e finalità. Alcune si rivolgono ad alcuni notabili, non più, tuttavia, con il tono galante ed encomiastico dei versi precedenti ma piuttosto con un tono scherzoso, quasi confidenziale, che mette in luce un rapporto quasi familiare con il potere. Si pensi ad esempio alle ultissime décimas («Un conde prometedor» e «Al cardinal mi señor», nn. 60 e 62) dove il poeta gioca con l’inadempienza prima del conte di Villaflor, protagonista del sonetto «El conde mi señor se fue a Cherela» di tono e occasione simile, e poi con quella del camarero dell’infante cardinale. Altre fanno eco a situazioni mondane a cui il poeta prese parte, come nella décima «No hay que agradeceros nada» (n. 44), décima che si occasiona dalla prodezza mostrata da un alguacil de corte durante i tori. In questi casi, come sottolinea Blanco, «el comentario epigramático se hace o finge hacerse a raíz del suceso y para quienes lo presenciaron, lo que explica que las circunstancias sean solo aludidas, no mencionadas y menos descritas»19.

17

Come suggerisce Jammes, questi versi «nos permiten sacar la conclusión [...] que estas bromas “de canónigo” eran, en tanto que tales, las más de las veces, sucias» (cit., p. 151).

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Almeno dieci, dei diciotto componimenti attribuiti, si possono ascrivere al periodo che Góngora trascorse alla corte.

19

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Agli ultimi anni della vita di corte risalgono anche una serie di componimenti che, anche su indicazione di Chacón, Góngora scrisse su commissione (“en persona de” recitano molte delle epigrafi che li accompagnano). Queste décimas, di argomento amoroso, galanti e convenzionali, risentono di un certo manierismo: pur non essendo particolarmente interessanti dal punto di vista lirico, sono comunque testimonianza di un ulteriore impiego cortigiano del metro.

La serie di décimas satirico-burlesche, scritte tra il 1622 e il 1624, definiscono un ultimo microciclo di componimenti accomunati dallo di Un discorso a parte merita la serie décimas satirico-burlesche scritte tra il 1622 e il 1624 dove tutti gli elementi, sia tematici sia formali, riscontrati nel corpus appaiono sublimati Alcune, svolte su motivi tradizionali della sátira de oficios (medici incapaci, mariti cornuti, letrados impreparati) esse si realizza al massimo grado il connubio tra brevità,

Di tutt’altro tono e tessitura ingegnosa sono alcune décimas che Góngora compose tra il 1622 e il 1624. Alcune di queste svolgono motivi tradizionali della sátira de oficios (“Casado el otro se halla” “Oh jurisprudencia cual” “Oh tu de los bachilleres”, nn. 56…); altre ancora (“Yace aquí Flor un perrillo” e “Con Marfisa en la estacada”, nn. 52 e 59) sono accumanate dalla stessa tonalità burlesca e caratterizzati da due elementi in apparente contraddizione tra loro: «un mensaje acentuadamente obsceno por un lado, y por otro su enunciación a través de un estilo refinado, por no decir culto»20.

La brevità e l’incisività tipiche della forma metrica si prestarono anche al tono sferzante, a volte feroce, tipico della satira personale. Quasi tutti i componimenti che formano la sezione delle décimas attribuite rientrano in questa categoria (cfr. Tabella 1). Da sottolineare, in particolar modo, la presenza di un sottogenere molto rappresentato

20 Poggi, G., «Entre eros y botánica (la décima Yace aquí Flor, un perrillo)», in Góngora y el epigrama, cit., in corso di stampa.

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nell’opera di Góngora: quello della satira letteraria. Le due décimas in cui il poeta, prendendo di mira l’eccessiva facilità di scrittura di Lope de Vega o la sua fama di amatore, gioca con il nome parlante dell’antagonista («En vuestras manos ya creo» e «Dicho me han por una carta» IX e XI), rinviano al repertorio dei sonetti satirico-burleschi. E ancora su un gioco onomastico è costruita la décima suelta che critica la parzialità mostrata da Alonso Lobo durante un concorso canoro («Los edictos con imperio»). Nel caso delle décimas «Musa que sopla y no inspira» (IV), catalogate come satiriche da tutti i testimoni e tra le più conosciute del corpus, si formula un attacco violento contro un poeta vallisoletano, dietro il quale la critica ha voluto riconoscere, senza troppo fondamento, Francisco de Quevedo. Molto chiaro, invece, il bersaglio satirico delle décimas «Por la estafeta he sabido», tra le più conosciute del corpus, il cui tono pungente fa eco alla polemica letteraria e alle prime reazioni avverse ai maggiori poemi gongorini. Ma il tono della satira in décima può farsi anche più cupo e sprezzante come nel caso del componimento di incipit “El más insigne varón” (n. XVIII). Formulata attraverso un dosaggio di ironia e esplicitazione tanto raffinato quanto calibrato il poeta deride la falsità e il doppio giochismo di Gregorio de Pedrosa che negò conforto a Rodrigo Calderón durante le fasi del processo ma non rinunciò a mostrarsi pietoso e affranto sulla piazza patibolare. Grazie all’impiego di una lingua tanto più contratta quanto più compromettente risulti il messaggio satirico sottinteso dai versi, il poeta non solo immortala un comportamento disonesto ma, più in generale, fa cenno a un altro aspetto della vita della corte, quello accenna ad uno scenario cortigiano popolato dal calcolo, dalle invidie e falsità.

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1) «Musa que sopla y no inspira» Satiriche 2) «En vuestras manos ya creo» Satirica 3) «Tan ciruelo a san Fulano» Satirica 4) «¿Quién pudo a tanto tormento?» Dedicatoria 5) «Los edictos con imperio» Satirica 6) «Cierto opositor, si no» Satirica 7) «Por la estafeta he sabido» Satiriche 8) «Detente buen mensajero» Satirica

9) «El más insigne varón» Satirica

10) «Cantemos a la jineta» Satiriche 11) «Vences en talento cano» Dedicatoria 12) «Dicho me han por una carta» Satirica 13) «Señor marqués trinitario» Satirica 14) «Pare en este marmol frio» Epitaffio 15) «Muriò Simòn en efeto» Epitaffio 16) «Ya de las fiestas reales» Satirica 17) «Aquí yace aunque a su costa» Epitaffio 18) «Yace en perpetua quietud» Epitaffio

19) «Atrevida confianza» Dedicatoria

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NOTA ALL’EDIZIONE CRITICA

Nella sezione intitolata Décimas sono raccolti i sessantadue componimenti trascritti da Antonio Chacón nel primo tomo del codice che porta il suo nome (Ch). A partire dal ritrovamento del manoscritto da parte di Foulché-Delbosc agli inizi del Novecento e in mancanza di una copia autografa della poesia di Góngora, assenza peraltro segnalata già dai contemporanei del poeta («nunca guardó originales», afferma Vicuña nei preliminari della sua edizione, «en su poder jamás conservó alguna», dice lo stesso Chacón), esso si presenta come il codice-base al quale si sono attenuti tutti gli editori dell’opera di don Luis.

L’indubbia autorità del manoscritto si fonda su alcune caratteristiche, ben note allo specialista della poesia di Góngora, che ne fanno un’eccezione non solo nell’ambito della trasmissione dell’opera del cordovese ma, più in generale, di quella di tutta la poesia dei secoli d’oro. Nei preliminari del lussuoso codice, completato un anno dopo la morte del poeta e dedicato infine al conte duca di Olivares, il compilatore afferma che l’autore non solo revisionó le poesie in esso contenute ma addirittura lo informò sui «casos» e «sujetos» di ciascuna, così come sulla data della loro composizione. In effetti, a partire dal 1623, messo da parte l’aristocratico disprezzo nei confronti della stampa e per far fronte ad una situazione finanziaria sempre più precaria, il poeta si impegnò nel progetto di pubblicazione della sua opera, progetto che la morte gli fece lasciare in sospeso21. Tuttavia, durante la rilettura del manoscritto, Góngora si limitò a segnalare o emendare le lezioni chiaramente errate e, in qualche caso, tralasciò le eventuali lacune presenti nel testo. È pure ben noto agli editori dei suoi versi che in alcune occasioni il poeta accettò di buon grado i suggerimenti rivolti da lettori o

21 Per la trasmissione dei testi nei secoli d’oro e, in particolare, sul caso gongorino cfr. Carreira 1991, pp. ix-xxi, Carreira 1998a e Micó 2008, pp. 135-144.

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ammiratori. Pur rimanendo un codice di indiscussa autorità, quindi, l’esistenza di varianti d’autore o equipollenti non è da escludere a priori.

Al fine di verificarne la presenza nel corpus delle décimas ho confrontato il testo di Ch con i più importanti testimoni antichi: Alba (A), Barcelona (B), Estrada (E), Faría (F), Iriarte (I), Pérez de Ribas (R). Compilati presumibilmente durante i primi tre decenni del Seicento, sono da considerare precedenti alla stesura del codex optimus. Mi sono avvalsa inoltre di alcuni testimoni di interesse strettamente legato al corpus. Il Canzoniere compilato da Menéndez de Britto (Br), uno dei pochi ad includere la décima “Murió Simón, en efeto” (n. VII); i mss. Pm e Pe che testimoniano peraltro una delle prime versioni della décima “Yace Bonamí, mejor” (n. 35). Ho consultato anche un buon numero di manoscritti integri (AC, L, J, K, O, P RM¹, RM²), ovvero «sólo de Góngora o que intentan recoger lo más posible de su obra»22. Dislocati in biblioteche spagnole, italiane e americane, questi codici sembrano appartenere ad «un taller especializado, como han hecho suponer la similitud de su caligrafía, su frecuente corrispondencia a plana y renglón, la adscripción genérica de los poemas, y la orden que siguen dentro de cada grupo»23. Codici che, in mancanza di edizioni a stampa, supplirono durante la vita del poeta alla diffusa richiesta dei suoi testi. Grazie alla cortesia del Prof. Antonio Carreira e del Prof. José María Micó, che hanno messo a mia disposizione le versioni microfilmate o fotocopiate in loro possesso, ho consultato i manoscritti più interessanti della Hispanic Society of America (H e T), alcuni codici conservati in biblioteche nordamericane e argentine (GI RE FD¹ FD²) e un manoscritto perduto appartenuto alla Biblioteca del marchese di Valdeterrazo (W).

Oltre alle prime edizioni a stampa dell’opera di Góngora: Vicuña (1627: Vi), Hoces (1633: Ho, 1654: Ho²) e le Delicias del Parnaso (Del), antologia di poesia

22 Carreira 1998a, p. 99. 23 Carreira 1991, p. vii.

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gongorina stampata a Barcellona nel 1634, mi sono servita di quelle che testimoniano precedenti uscite a stampa di singole décimas (Cop, Pro, Sal, Rel). Dal confronto dei codici (trenta in tutto) e delle stampe con il testo di Ch sono emersi un folto numero di banalizzazioni ed errori, molti dissensi ortografici e alcune, poche, varianti relazionabili, in alcuni casi, con la volontà dell’autore sebbene quasi sempre di scarso interesse interpretativo. Nelle introduzioni ai testi, oltre a commentare quelle più significative, ho anche giustificato quei casi in cui ho ritenuto necessario emendare il testo di Ch.

In definitiva se si prescinde dalla grafia frettolosa e dall’intenzionale o automatico processo di banalizzazione operati durante le numerose trascrizioni, il testo delle décimas, rispetto a quello di altri repertori dell’opera gongorina (mi riferisco soprattutto ai romances e alle letrillas oltre che ai poemi maggiori) non risulta particolarmente interessato né a variazioni né a corruzioni. Senza contare i numerosi leísmos e laísmos caratteristici del parlato del signor di Polvoranca e che ho sempre corretto, i casi in cui la tradizione diverge da Ch sono esemplari della superiorità di quest’ultimo.

Tenuto conto dell’avanzato stato della critica testuale e degli studi sui singoli testimoni dell’opera non ho ritenuto necessario recensirli. Per la descrizione e lo studio di questi rinvio alle voci raccolte in bibliografia e, in particolare, alla rassegna di Carreira nell’Introduzione ai Romances.

La tradizione manoscritta e le edizioni attribuiscono a Góngora un numero elevato di testi apocrifi che supera complessivamente quello autorizzato dal ms. Ch. Nella sezione Décimas attribuite ho raccolto quelli che, con maggiore probabilità, uscirono dalla penna di don Luis. Si tratta per lo più di componimenti di tonalità satirica dove il destinatario è quasi sempre riconoscibile se non addirittura nominato. Motivazione che indusse Chacón a escluderli secondo quanto egli stesso dichiarò in una nota preliminare:

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Que se han dejado de poner entre estas obras todas las satíricas, que en materia grave, o ligera con rebozo, o sin él, han ofendido a personas determinadas, o sean de poca, o mucha calidad, por no renovar a la memoria de don Luis el justo sentimiento que el tenía de la publicidad con que han andado hasta ahora (Ms. Chacón, Advertencias Preliminares, t. 1).

Almeno quindici dei componimenti attribuibili sono riconducibili alla categoria della satira personale (cfr. tabella 1). Gli altri quattro furono esclusi per motivi diversi (in genere dimenticanza o sconvenienza del messaggio in essi contenuto) così come diverso è il grado di approssimazione a sostegno della paternità gongorina di tutta la sezione.

Nell’apparato delle varianti mi sono servita delle seguenti abbreviazioni: add. (per le aggiunte), err. (per gli errori più lampanti, soprattutto quelli contenuti nelle stampe), marg. (per le varianto aggiunte al margine del manoscritto senza scartare o coprire la lezione del testo), om. (per le omissioni) e s. l. (nei casi in cui il copista omette una parola e la restituisce copiandola sopra la riga). Quando la sigla si trova tra parentesi tonde significa che la variante del manoscritto fu sostituita posteriormente con quella corretta o definitiva; le parentesi quadre, invece, racchiudono la sigla del manoscritto la cui variante sostituì quella comune. A tal proposito due esempi presi dalle décimas satiriche datate al 1612 (“¡Cuán venerables que son!”, n. 30):

1 Cuán: Cuál (N)

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Nel primo caso il copista di N trascrisse erroneamente il testo poi si rese conto dell’errore e lo corresse. Il secondo esempio indica che il ms. FD² scrisse inizialmente entenderéislo, lo corresse in una revisione posteriore e finì per condividere il leísmo di Ch.

La datazione e le epigrafi dei testi sono in genere quelli trascritti da Chacón. Nel caso in cui un testo sia sprovvisto dell’epigrafe riporto dove possibile quella trascritta da altri testimoni (cfr. n. 26). Le eventuali note del manoscritto sono incorporate nelle introduzioni o nelle note ai testi dove si giustificano anche alcuni emendamenti apportati alla datazione del manoscritto.

I testi seguono l’ordine cronologico che ho preferito a quello per genere scelto da Ch. Per le décimas datate allo stesso anno ho mantenuto l’ordine di apparizione nel manoscritto (fúnebres, amorosas, satíricas, burlescas e varias). Fa eccezione il componimento n. 20 (“Larache aquel Africano”): datate al 1611 e classificate come varias, le due décimas avrebbero dovuto seguire le nn. 21, 22, 23 (datate sempre al 1610 e classificate come burlescas). Tuttavia ho preferito farle succedere alla décima n. 19 (“Esta bayeta forrada”, datata al 1610 e classificata come amorosa) dedicata alla stessa occasione (la toma de Larache).

Ho modernizzato la grafia e la punteggiatura, risolto i rari compendi, le crasi e le agglutinazioni. Ho normalizzato anche l’uso della maiuscola, limitata all’interno del periodo sintattico alle pochi voci indispensabili. Ho conservato alcune peculiarità grafiche quando queste si adattavano alle abitudini fonetiche dell’epoca o dell’autore (es. aceta > acepta, recebiros > recibiros, splendor > esplendor). L’uso degli accenti segue le ultime norme stabilite dalla R. A. E. Nell’Appendice raccolgo alcune informazioni testuali escluse dall’apparato critico. Per ciascun componimento ho trascritto: la numerazione di Ch e quella delle tre edizioni moderne dell’opera completa di Góngora; rispettivamente Foulché-Delbosc (=F-D), Millé (=M) e Carreira (=C). La localizzazione dei versi

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all’interno di ciascun Manoscritto o Stampa. Quando il numero non è seguito dall’indicazione r.(ecto) o v.(erso) significa che la numerazione procede foglio per foglio (è il caso dei mss. Ch E P RE). Sotto il titolo Classificazione riporto l’etichetta attribuita alle décimas nei manoscritti e nelle stampe (líricas, amorosas, burlescas ecc..), utile al fine di stabilire le parentele fra testimoni. I manoscritti AC B G, insieme ai codici che non raccolgono esclusivamente poesie di Góngora (Br Pe Pl Pm¹ Pm² Tg) non classificano i versi, mentre S raccoglie soltanto quelli considerati satirici. Il ms. ML, solo per questa sezione dell’opera di don Luis, abolisce le etichette di burlescas e fúnebres. Le décimas satíricas vanno quindi dal f. 113r. fino alla fine (f. 126r.) e comprendono anche le nn. 28 e 29, di indubbia tonalità funebre. Il ms. FD², invece, presenta quasi sempre una classificazione doppia; la seconda delle due mostra evidenti contatti con Ch o con un manoscritto ad esso vicino. La sigla del ms. tra parentesi indica la classificazione più recente.

La sezione Particolarità grafiche raccoglie varianti ortografiche poco comuni, eventuali bizzarrie di copisti ed editori e, soprattutto, errori dovuti alla stampa. Sotto Epigrafi raccolgo i titoli, a volte vere e proprie introduzioni esplicative del testo, o brevi note che accompagnano le décimas in molti manoscritti e stampe, dato più frequente rispetto a quello che succede per altre sezioni dell’opera. Quando la lettera del manoscritto è tra parentesi quadra significa che la nota o l’epigrafe o qualsiasi altra aggiunta testuale è stata apportata in un momento diverso, per lo più successivo, alla trascrizione dei versi. Il caso del ms. RE è eccezionale non solo perché l’epigrafe è dislocata nell’Indice dei primi versi all’inizio del manoscritto ma anche perché il copista fu particolarmente generoso di particolari e i suoi interventi risultano più micro commenti che epigrafi in senso stretto. Benché non sempre autorizzate, le informazioni hanno un notevole

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interesse testuale. Tra parentesi quadra, ho inserito eventuali dettagli, o dati paratestuali, che ho ritenuto di qualche eccezionalità.

In questa edizione ciascun componimento è preceduto da un’introduzione. In essa, oltre a contestualizzare il testo all’interno dell’opera e della biografia gongorina, ho raccolto gli studi riguardanti la singola poesia; ho avanzato proposte d’interpretazione testuale e discusso eventuali problemi ecdotici; nel caso dei testi attribuibili, ho esposto le motivazioni o per lo meno le congetture che portano a presupporne la paternità gongorina, con margini di esattezza molto variabili a seconda dei singoli casi. Nelle note, non potendo riferirmi a nessun commento dell’epoca vista la disattenzione dei contemporanei di Góngora nei confronti del corpus, ho spiegato il testo là dove questo risultasse di difficile comprensione.

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