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1.Introduzione 6

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1. Introduzione

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1.1. I linfomi a cellule B

I linfomi sono un tipo di tumore che deriva dalla trasformazione maligna di una cellula del tessuto linfoide, sia che essa sia un linfocita T, B o un loro precursore. Queste cellule trasformate si accrescono e colonizzano linfonodi o altre parti del sistema immunitario diffuse nel corpo.

I linfomi vengono suddivisi in due categorie maggiori: Linfomi Hodgkin (HL) che prendono il nome dal medico che per primo li descrisse nel 1832, Thomas Hodgkin, e tutti gli altri tipi di linfoma, chiamati collettivamente linfomi non Hodgkin (NHL).

Il linfoma di Hodgkin è un tumore relativamente raro e colpisce prevalentemente due classi di età:quella tra i 20 e i 30 anni e la fascia al di sopra dei 70 anni.

I linfomi non Hodgkin sono un gruppo eterogeneo di tumori tipici dell’età adulta e la sua incidenza aumenta con l’avanzare degli anni (fig. 1.1).

page 8

Hodgkin Lymphoma

Age-Specific Incidence Rates (2000-2003)

Figure 3. The horizontal axis shows 5-year age intervals. The vertical axis shows the frequency of new cases of Hodgkin lymphoma each year per 100,000 people, by age-group. (Data from the National Cancer Institute Surveillance, Epidemiology, and End Results [SEER] Program, 2006.)

In ci d en ce (N o . p er 10 0, 00 0) Age (years)

Non-Hodgkin Lymphomas

Age-Specific Incidence Rates (2000-2003)

Figure 4. The horizontal axis shows 5-year age intervals. The vertical axis shows the frequency of new cases of non-Hodgkin lymphomas each year per 100,000 people, by age-group. (Data from the National Cancer Institute Surveillance, Epidemiology, and End Results [SEER] Program, 2006.) Although lymphoma occurs in individuals at virtually all ages, it is very uncommon in those under age 10 and increases significantly with age. Whereas fewer than 8 cases per 100,000 occur in people in their late 30s, the incidence increases progressively, to 108.7 cases per 100,000 persons, in 80-84 year-olds. In ci d en ce (N o . p er 10 0, 00 0) Age (years)

Figura 1.1. Incidenza dei linfomi non Hodgkin in relazione all’età. I dati derivano

dal National Cancer Institute Surveillance, Epidemiology, and End Results (SEER) Programm.

In passato erano presenti numerosi sistemi di classificazione che utilizzavano criteri differenti per l’identificazione dei vari tipi di linfoma. Tutte queste classificazioni si basavano su criteri di tipo morfologico e cioè sull’aspetto che le cellule tumorali presentano quando vengono osservate al microscopio. Negli ultimi anni, con l’avvento di metodiche d’indagine più sofisticate, come la

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immunoistochimica e la biologia molecolare, è stata proposta la classificazione REAL (Revised European American Lymphoma) e successivamente una nuova classificazione sponsorizzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità

(classificazione WHO).

In linea generale si distinguono i linfomi che derivano dai linfociti B (fino al 90% dei casi) da quelli che derivano dai linfociti T; ogni categoria si divide a sua volta in numerosi sottogruppi.

Tra questi i due tipi prevalenti sono i linfomi a grandi cellule B diffuse (DLBCL- Diffuse Large B-Cell Lymphoma) e il linfomi follicolari (FL-

Follicular Lymphoma) che insieme costituiscono circa il 50% dei casi di NHL. I linfomi DLBCL sono dei tumori molto aggressivi e sono caratterizzati dalla presenza di grandi linfociti B che compongono le masse tumorali ed un coinvolgimento anche di organi extranodali.

I linfomi follicolari invece sono così definiti per l’organizzazione che essi mostrano nelle biopsie di linfonodi: degli accumuli (i follicoli) di cellule B anormali e molto piccole. Tali follicoli sono sparsi in tutto il linfonodo/i.

Negli ultimi anni sono state identificate un numero sempre maggiore di anormalità citogenetiche e molecolari nei vari sottogruppi di NHL. Queste anormalità provocano frequentemente la sovraespressione di oncogeni o di geni anti-apoptotici. Nella tabella 1.1 sono riportati alcuni esempi di traslocazioni cromosomiche che sono correlate con specifici sottotipi di NHL.

Anormalità

citogenetica gene riarrangiato sottogruppi di NHL

t(8;14)(q24;q32) t(8;22)(q24;q11) t(2;8)(p11;q24)

c-myc Burkitt lymphoma

t(14;18)(q32;q21) bcl-2 follicle centre lymphoma

t(11;14)(q13;q32) t(3;14)(q27;q32) t(3;22)(p23;q35)

bcl-1 bcl-6

mantle cell lymphoma large celllymphoma

Tab. 1.1. Esempi di anormalità citogenetiche/molecolari in vari sottogruppi di

NHL (Cancer research UK).

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La maggior parte dei linfomi a cellule B derivano da cellule del centro germinale [1, 2], una particolare struttura che si origina quando le cellule B devono differenziare per dare origine alle plasmacellule o alle cellule della memoria.

1.2. Il differenziamento delle cellule B: il centro

germinale

Il sistema immunitario è dedicato al riconoscimento e alla discriminazione di strutture endogene o esogene che non costituiscono pericolo per l’individuo e che quindi possono o devono essere preservate (ed ognuna di queste strutture possiede antigeni di superficie definiti self) da strutture endogene o esogene che invece possono risultare nocive per l’organismo e che quindi devono essere eliminate (queste strutture sono caratterizzate dalla presenza di antigeni non-self).

I linfociti B sono degli attori molto importanti nella risposta immunitaria umorale in quanto sono le cellule deputate alla produzione di anticorpi.

Il processo di differenziamento che porta alla formazione di cellule B secernenti anticorpi inizia quando una cellula B naïve (cellule B matura ma che non è mai venuta incontro con nessun tipo di antigene non-self) fuoriesce dal midollo osseo e migra verso un organo linfatico secondario dove incontra un antigene e questo legame la stimola a proliferare e a differenziare in centroblasto.

L’alto tasso proliferativo cui le cellule sottostanno in questo stadio di differenziamento porta alla formazione di una struttura istologica caratteristica chiamata centro germinale (GC Germinal Center). Il GC fornisce l’ambiente dove le cellule B possono andare incontro a modificazioni genetiche dei loro geni per le immunoglobuline (Ig) e dove esse andranno incontro alla selezione per la loro abilità di riconoscere antigeni specifici con alta affinità.

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La struttura caratteristica del centro germinale è mostrata in figura 1.2: in esso si distinguono una zona scura in cui si ritrovano soprattutto numerose cellule B antigene-attivate e in costante proliferazione (centroblasti) e una zona chiara popolata da cellule più piccole e che non si dividono (centrociti).

Apoptosis Apoptosis FDC T cell Centrocyte Light zone Dark zone Memory B cell Plasmablast Antigen-activated B cell Antigen Germinal centre Plasma cell Immuno-globulin

Nature Reviews | Immunology CSR

Centroblast

Selection Differentiation SHM

Site of somatic hypermutation Site of class-switch recombination

Telomerase

An enzyme that is capable of extending the ends of telomeres after replication by using an RNA template that is part of the enzyme complex. Programmed cell death A common form of cell death, which is also known as apoptosis. Many physiological and developmental stimuli cause apoptosis, and this mechanism is frequently used to delete unwanted, superfluous or potentially harmful cells, such as those undergoing transformation. Apoptosis involves cell shrinkage, chromatin condensation in the periphery of the nucleus, plasma-membrane blebbing and DNA fragmentation into segments of about 180 base pairs. Eventually, the cell breaks up into many membrane-bound ‘apoptotic bodies’, which are phagocytosed by neighbouring cells.

suppressed in centroblasts17 (see later). Furthermore, centroblasts express the enzyme telomerase18, thereby ensuring that the vigorous clonal expansion of GC B cells does not result in a loss of their replicative poten-tial, which would be a direct consequence of telomere shortening.

GC B cells have long been known to be especially prone to programmed cell death (that is, apoptosis). Isolated GC B cells rapidly undergo apoptosis in vitro if they are not rescued by anti-apoptotic signals19–21. Centroblasts lack the expression of anti-apoptotic fac-tors4,15,22, including B-cell lymphoma 2 (BCL-2) and its family members, whereas they express several pro-apop-totic molecules4,15,23, which allow the rapid execution of cell death by default or in response to exogenous signals (although the involvement of the pro-apoptotic molecule CD95 (also known as FAS) in GC B-cell apoptosis is con-troversial24,25). The major benefit of this pro-apoptotic nature of GC B cells is thought to be the rapid elimina-tion of B cells with newly generated immunoglobulin mutations that produce a non-functional or non-binding antibody. This feature and the spatial concentration of proliferation, mutation and selection of antigen-activated B cells may have been the driving force for the evolution of the highly specialized GC structure.

Recent observations call for the revision of the long held assumption that the CD40–CD154 interaction, which results in the nuclear translocation of the nuclear factor-KB (NF-KB) subunits, has a role in centroblast development. Indeed, humans and mice with non-functional CD40 or CD154 do not develop GCs26,and the experimentally induced disturbance of this inter-action causes dissolution of established GCs27. Also, ex vivo, GC B cells can be rescued from cell death by CD40-stimulation19.However, centroblasts do not display NF-KB activation and, accordingly, do not express NF-KB target genes16 or CD40 responsive genes28, consistent with the fact that the dark zone is largely devoid of T cells or other accessory cells that express CD154 (REF. 4). These

observations suggest that centroblasts are not subject to active CD40-signalling. In fact, the anti-apoptotic property of NF-KB would be incompatible with the pro-apoptotic programme of the centroblast. However, the observation that established GCs can be dissolved by inhibiting the CD40–CD154 interaction27, and the fact that a subset of centrocytes in the GC shows nuclear translocation of NF-KB28, suggests that CD40-stimulation may specifically occur in the light zone, leading to the delivery of survival signals necessary for cell exit from the GC or their recirculation within the GC.

Figure 1 | The germinal centre microenvironment. Antigen-activated B cells differentiate into centroblasts that undergo clonal expansion in the dark zone of the germinal centre. During proliferation, the process of somatic hypermutation (SHM) introduces base-pair changes into the V(D)J region of the rearranged genes encoding the immunoglobulin variable region (IgV) of the heavy chain and light chain; some of these base-pair mutations lead to a change in the amino-acid sequence. Centroblasts then differentiate into centrocytes and move to the light zone, where the modified antigen receptor, with help from immune helper cells including T cells and follicular dendritic cells (FDCs), is selected for improved binding to the immunizing antigen. Newly generated centrocytes that produce an unfavourable antibody undergo apoptosis and are removed. A subset of centrocytes undergoes immunoglobulin class-switch recombination (CSR). Cycling of centroblasts and centrocytes between dark and light zones seems to be mediated by a chemokine gradient, presumably established by stromal cells in the respective zones (not shown)14. Antigen-selected

centrocytes eventually differentiate into memory B cells or plasma cells.

R E V I E W S

24 | JANUARY 2008 | VOLUME 8 www.nature.com/reviews/immunol

Figura 1.2. Struttura del centro germinale. Tratto da [3].

Allo stadio di centroblasto le cellule B subiscono il processo di ipermutazione somatica (SHM- Somatic Hypermutation) nei loci codificanti per la catena variabile delle immunoglobuline, un meccanismo chiave per la generazione di anticorpi ad alta affinità.

I centroblasti proliferanti differenziano successivamente in centrociti che vanno incontro al fenomeno di Class Switch Recombination, un meccanismo di ricombinazione somatica a carico della catena costante delle immunoglobuline che permette l’espressione di classi differenti di Ig associate a diverse funzioni effettrici (ad esempio la trasformazione di una IgM in una IgG).

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Al termine della reazione del centro germinale, le cellule B che hanno acquisito la capacità di esprimere recettori delle immunoglobuline ad alta affinità vengono selezionate positivamente e inviate verso il differenziamento in cellule B della memoria o plasmacellule. Le plasmacellule saranno le effettrici della risposta immune poiché saranno deputate alla produzione di un grande quantitativo di anticorpi. Le cellule B della memoria invece saranno le responsabili della memoria immunologica poiché diverranno immediatamente produttrici di anticorpi se l’organismo sarà di nuovo esposto in futuro allo stesso antigene [3, 4].

Ogni stadio dello sviluppo del centro germinale può essere associato ad una trasformazione maligna che può dare origine a differenti tipi di linfomi.

In effetti, la maggior parte di linfomi derivanti da cellule B mature compresi il linfoma di Burkitt, i DLBCL e i linfomi follicolari originano da trasformazioni maligne di cellule del centro germinale.

Le fisiologiche modificazioni genetiche che avvengono all’interno del GC sembrano avere un ruolo nel processo stesso di trasformazione neoplastica e ciò indica che il differenziamento delle cellule B è un processo che necessita di una stretto controllo. Proprio per queste ragioni nel corso degli ultimi anni sono stati fatti notevoli sforzi per capire il ruolo fisiologico del centro germinale nella trasformazione maligna.

1.3. La linea cellulare DoHH2

La linea cellulare DoHH2 deriva dal liquido pleurale di un uomo di 60 anni affetto da linfoma follicolare di derivazione centroblastica/centrocitica.

Questa linea cellulare appartiene quindi alla classe di linfomi di derivazione dal centro germinale e possiede una serie di caratteristiche molecolari e genetiche peculiari.Tra queste vi sono: la sovraespressione del gene BCL6, la traslocazione cromosomica t(14;18)(q32;q21) e la traslocazione t(8;14)(q24;q32). In questi ultimi due casi si assiste ad un riarrangiamento

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degli oncogeni BCL2 e c-MYC che vengono posti sotto il controllo dell’enhancer del gene della catena pesante delle immunoglobuline, costitutivamente attivo nel lineage B.

Le conseguenze di tale riarrangiamento sono due: in primo luogo gli oncogeni divengono essi stessi costitutivamente attivi; in secondo luogo viene persa l’attivazione del gene della catena pesante delle immunoglobuline per cui gli individui affetti saranno anche fortemente immunodepressi.

Verranno ora trattati in dettaglio i due geni coinvolti nei riarrangiamenti cromosomici delle DoHH2 e la proteina BCL6.

1.3.1. La proteina BCL6

Il gene BCL6 è stato identificato in origine poiché risultava traslocato in una serie di linfomi a cellule B [5].

Nel lineage B, BCL6 viene espresso specificatamente dalle cellule del centro germinale, dai centroblasti e dalla maggior parte dei centrociti. E’ stato dimostrato che BCL6 è un fattore chiave nella formazione e regolazione del GC visto che topi transgenici knockout per BCL6 non riescono a formare centri germinali né anticorpi ad alta affinità [6].

Il gene BCL6 codifica per una fosfoproteina nucleare appartenente alla famiglia dei fattori di trascrizione BTB/POZ/Zinc-finger ed è un repressore trascrizionale. La proteina è composta da tre domini: un dominio carbossi-terminale con motivo zinc-finger che si lega direttamente a specifiche sequenze del DNA nella regione del promotore dei gene target; gli altri due domini, uno BTB/POZ ammino-terminale e una regione centrale caratterizzata da motivi PEST (regioni ricche di prolina, acido glutammico, serina e treonina che sembrano funzionare come segnali peptidici per la degradazione proteica) sono implicati nell’interazione con complessi co-repressori (fig 1.3.1).

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et al., 2000), MTA3 binds in the middle portion and CTBP1 appears to interact with both the BTB and the middle domains of BCL6 (Fig. 7.1A). The recruitment of corepressors through the BTB domain or through the BCL6 middle portion appears to be associated with the regulation of different subset of targets (Parekh et al., 2007).

The C-terminal portion of BCL6 binds to DNA and recognizes specific DNA motifs. BCL6-binding motifs were initially identified based on the binding of recombinant BCL6 protein to synthetic oligonucleotides in vitro (Chang et al. 1996; Kawamata et al. 1994). More recently, the use of Chromatin Immunoprecipitation (ChIP)-on-chip technology led to the identification of promoters bound by BCL6 in vivo and allowed the redef-inition of its consensus-binding motif in normal B cells under physiologic conditions (Basso et al. 2010; Ci et al. 2009). In particular, an extensive analysis of BCL6 ChIP-on-chip data generated from GC B cells showed that motif combinations (modules) had a stronger predictive value for BCL6 binding compared to single motifs. The most significantly reported module included: (i) the M00424 motif, a consensus sequence for the

Corepressor recruitment NCOR1 NCOR2 BCOR CTBP1 MTA3 CTBP1 Ac 706 1 NH2 A B COOH PEST (activity and stability )

Zinc fingers (DNA binding) BCL6 P P DZ LZ BTB/POZ (protein–protein interaction)

FIGURE 7.1 BCL6 protein and its expression pattern. (A) Schematic representation of BCL6 protein. The main protein domains are displayed, including critical protein modifications (P, phosphorylation; Ac, acetylation). Different sets of corepressors are recruited through the BTB domain or the BCL6 middle portion. (B) BCL6 detection by immunoistochemistry is restricted to GC B cells. BCL6 expression is high in B cells located in the dark zone (DZ) and becomes dim in a subset of light zone (LZ) B cells. 196 Katia Basso and Riccardo Dalla-Favera

Figura 1.3.1. Struttura della proteina BCL6. Tratto da [4].

L’identificazione dei geni che sono direttamente regolati da BCL6 ha rinforzato l’ipotesi che questa proteina potesse avere un ruolo cruciale nella regolazione degli eventi che hanno luogo nel centro germinale. In effetti BCL6 sembra essere la proteina chiave che permette alle cellule B del GC di mantenere un alta velocità di proliferazione contemporaneamente ad una serie di rimodellamenti genetici come l’ipermutazione somatica (SHM) e la class switch recombination (CSR).

BCL6 può permettere tutto ciò grazie alla sua capacità di repressore trascrizionale di numerosi geni target tra cui Tp53. Tramite la repressione di questo gene tumor suppressor, BCL6 permette la soppressione dell’apoptosi e del blocco del ciclo cellulare [7].

Grazie all’azione svolta dalla proteina BCL6, le cellule B del centro germinale possono sostenere lo stress genotossico che deriva dalle continue rotture a doppio filamento del DNA, derivanti dai fenomeni di SHM e CSR, e contemporaneamente continuare a proliferare.

Oltre alla mancata risposta al danno al DNA mediata da p53, BCL6 sopprime anche il rilevamento dello stesso danno al DNA, reprimendo la trascrizione del gene ATR (Ataxia-Telengiactasia Mutated (ATM) Related), uno dei principali sensori del danno al DNA [8].

Il ruolo di BCL6 nel controllo del ciclo cellulare e nella risposta a stress genotossici è regolata a sua volta dal livello stesso del danno al DNA attraverso un sistema a feedback che, in seguito all’accumulo di danni al DNA, provoca la fosforilazione di BCL6 e la sua conseguente degradazione [9].

BCL6 ha anche una serie di altri ruoli nel mantenimento del fenotipo delle cellule B proprie del centro germinale (fig.1.3.2) tra cui l’inibizione dei geni

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coinvolti nell’attivazione delle cellule B e l’inibizione del differenziamento in plasmacellule e in cellule della memoria, funzioni per le quali si è evoluta una serie di meccanismi che permettono la sua fine regolazione e che permettono il suo silenziamento una volta che una cellula B deve differenziare terminalmente.

Data la sua normale espressione nelle cellule del centro germinale, praticamente tutti i tipi di linfoma che originano da cellule del GC, centroblasti o centrociti, hanno in comune un’espressione costitutiva della proteina BCL6. Ciò rende queste cellule particolarmente predisposte alla trasformazione tumorale vista la loro alta velocità di proliferazione e l’assenza del meccanismo di sorveglianza di integrità genomica normalmente garantito da p53.

Nature Reviews | Immunology

BCL-6 BCL-6 Inhibition of genes involved in B-cell activation (CD69, STAT1, CD80) Inhibition of plasma-cell differentiation (Prdm1) Repression of genes involved in negative cell-cycle regulation Inhibition of response to genotoxic stress (p53, ATR) Inhibition of memory B-cell differentiation CD40–CD154 IRF4 BLIMP1 a b Acetylation BCR NF-B Plasma-cell differentiation p53 tumour-suppressor gene.

The mutation of the p53 gene in cancer can lead to a lack of cell-cycle control and apoptosis.

the initiation event in this process by deaminating cytidines directly on DNA43–48. Then, error-prone repair that involves different DNA repair factors leads to the introduction of somatic mutations (reviewed in REF. 49).

In GCs, SHM is mostly limited to proliferating centroblasts of the dark zone, as indicated by the find-ing of intraclonal IgV gene diversity in B-cell clones isolated by microdissection of single cells from the GC dark zone50, and is consistent with the expression of AID in centroblasts51,52. However, AID can be found in the nucleus of only a few centroblasts52, suggesting the existence of mechanisms that regulate its transloca-tion to the nucleus, where it acts as a DNA-modifying enzyme. In addition, several questions remain unan-swered about AID. First, what signals regulate the expression of AID? Transcription factors that have been associated with the regulation of AID transcrip-tion include E proteins53 as well as PAX5 (paired box protein 5)54 and IRF8 (REF. 32). Second, what mecha-nisms target its activity to specific genomic loci, such as the immunoglobulin heavy- and light-chain loci? Although AID has been described to require replication protein A (RPA)55 and to be phosphorylated by protein kinase A (PKA)56–58 for its activity, it is unclear how the targeting to the immunoglobulin locus is mediated. Finally, what sequences are normally targeted by AID in addition to the immunoglobulin heavy- and light-chain loci? Increasing evidence indicates that multiple loci are targeted by SHM in normal centroblasts36,37,59, but the role of the mutations introduced outside the immunoglobulin loci, if any, is unknown.

BCL-6: the master transcriptional regulator of centro-blasts. Substantial evidence indicates that the transcrip-tion factor BCL-6, originally identified because of the involvement of the BCL6 gene in chromosomal trans-locations in B-cell lymphomas60, is a major regulator of GC B-cell development (FIG. 2). In the B-cell-lineage,

BCL-6 is specifically expressed by GC B cells61,62, by cen-troblasts, and by the majority of, but not all, centrocytes (see later). Although naive B cells contain BCL6 mRNA, they do not produce detectable amounts of protein, sug-gesting the activity of as yet unknown mechanisms of post-transcriptional or post-translational regulation. BCL-6-deficient mice have normal B-cell development, but cannot form GCs and lack affinity maturation63,64, which demonstrates the requirement of this transcrip-tion factor in the establishment and/or maintenance of GCs. Finally, dysregulated expression of BCL-6 leads to increased GC formation in transgenic mice65.

BCL-6 is a nuclear phosphoprotein that belongs to a large family of nuclear factors that contain zinc-finger motifs, which mediate specific DNA binding. It is a transcriptional repressor and acts on its target genes by recruiting two co-repressor complexes that function in distinct biological contexts: one complex composed of SMRT (silencing mediator for retinoid and thyroid receptor), NCoR (nuclear-receptor co-repressor) and BCoR (BCL-6-co-repressor) might be involved in BCL-6-mediated repression of genes involved in growth suppression and apoptosis66, whereas the Mi-2–NuRD (nucleosome remodelling and deacetylase) complex leads to the downregulation of genes involved in the differentiation of GC B cells67,68.

The identification of genes that are directly targeted for repression by BCL-6 has reinforced the notion of crucial and specialized functions for this protein in determining the GC phenotype69,70(FIG. 2). First, BCL-6 appears to be crucial for determining the ability of GC B cells to undergo their extremely high proliferation rate while performing genomic remodelling functions, such as SHM and class-switch recombination (CSR) (BOX 1).

In fact, BCL-6 has been shown to suppress apoptotic and cell-cycle arrest responses either by directly suppressing the transcription of the p53 tumour-suppressor gene17 or by binding to the transcriptional activator PIAS2 (pro-tein inhibitor of activated STAT2 (signal transducer and activator of transcription 2); also known as MIZ1)71 and thereby suppressing the activation of the cell-cycle- arrest gene p21. Therefore, BCL-6 may allow GC B cells to sus-tain the physiological genotoxic stress that is associated with high proliferation, and sustain the DNA breaks that are induced by SHM and CSR without eliciting the p53-dependent and p53-independent growth-arrest and apoptotic responses that would occur in other types of cells. This model has recently been supported by the observation that, in addition to the responses to DNA damage, BCL-6 might also suppress the sensing of DNA damage itself by direct transcriptional suppression of ATR (ataxia-telangiectasia mutated (ATM) and Rad3 related)72, one of the main sensors of DNA damage. The activity of BCL-6 in controlling the cellular responses to genotoxic stress is, in turn, regulated by the levels of

Figure 2 | Biological functions and regulating pathways: BCL-6 expression in the germinal centre. a | B-cell lymphoma 6 (BCL-6) is involved in the repression of multiple cellular processes in the hypermutating centroblasts of the dark zone of the germinal centre. b | The repression programme of BCL-6 is downregulated presumably in the light zone by several mechanisms including the transcriptional repression of the BCL6 gene by interferon-regulatory factor 4 (IRF4) following CD40-stimulation, and

post-transcriptionally by ubiquitylation-mediated degradation of BCL-6 in response to B-cell receptor (BCR) stimulation, as well as by reversible acetylation of BCL-6 in response to unknown signals. The release of positive-regulatory-domain-containing 1 (Prdm1), which encodes B-lymphocyte-induced maturation protein 1 (BLIMP1), gene repression through BCL-6 downregulation is a prerequisite for plasma-cell differentiation. Also, IRF4 is directly involved in plasma-cell differentiation. ATR, ataxia-telangiectasia mutated (ATM) and Rad3 related; NF-KB. nuclear factor-KB; STAT1, signal transducer and activator of transcription 1.

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26 | JANUARY 2008 | VOLUME 8 www.nature.com/reviews/immunol

Figura 1.3.2. Funzioni biologiche di BCL6 nel centro germinale. Tratto da [3].

1.3.2. La proteina c-MYC

c-Myc appartiene ad una famiglia comprendente altre due proteine conservate evolutivamente (N-Myc e L-Myc) che ricoprono un importante ruolo nel controllo della proliferazione cellulare, della crescita, della sopravvivenza e del differenziamento. Esse codificano per fattori di trascrizione contenenti il motivo helix-loop-helix (HLH) che possono eterodimerizzare con Max, un altra proteina con dominio HLH. Max permette lo specifico legame di MYC a regioni del DNA (gli E-box) nei promotori dei

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geni target e ciò permette il reclutamento di fattori di transattivazione che ne garantiscono l’attiva trascrizione.

Il gene c-Myc viene espresso durante tutti gli stadi del ciclo cellulare nelle cellule in divisione e viene normalmente sottoregolato durante il differenziamento. L’espressione di c-Myc è indotta e, affinché il livello cellulare della proteina sia mantenuto elevato, è necessario che la cellula sia mantenuta in attiva proliferazione, attraverso un continuo legame dei vari segnali mitogeni ai recettori di superficie. c-Myc infatti ha un’emivita molto breve, di circa 25 minuti, che permette un rapido adattamento alle modificazioni ambientali intorno alla cellula.

La deregolazione di c-Myc può dunque risultare devastante per la cellula in quanto essa può permettere lo sviluppo di un insieme di cellule in attiva proliferazione e particolarmente disponibili ad ulteriori eventi oncogenici che possono accelerare la tumorigenesi (fig.1.3.3).

Se il gene c-Myc diventa costitutivamente attivo per differenti motivi (traslocazioni, mutazioni, difetti negli elementi regolatori a monte), esso contribuisce allo sviluppo di un’ampia varietà di tumori umani tra cui leucemie, linfomi e tumori solidi come il tumore al seno o il neuroblastoma [10].

Come già accennato, c-Myc regola l’espressione di numerosi geni target, (è stato stimato che essi siano addirittura il 10-15% di tutti i geni). Negli ultimi anni c-Myc è emerso anche come un regolatore di un grande numero di microRNA che contribuiscono alle funzioni di Myc.

Tra questi c-Myc determina l’attivazione trascrizionale e la sovraespressione di un gruppo di microRNA chiamati collettivamente cluster miR-17-92 (vedi paragrafo 1.4.3) la cui espressione accelera significativamente la crescita di linfomi in vivo [11] e la repressione trascrizionale di vari microRNA con funzione tumor suppressor come miR-15a/16-1, miR-34a e i membri della famiglia let-7 [12].

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M. Vita, M. Henriksson / Seminars in Cancer Biology 16 (2006) 318–330 319

Fig. 1. Cellular processes controlled by Myc during normal conditions and during tumorigenesis. Myc is a key regulator of many biological activities including cell growth and division (regulation of chromatin modification and components of the biosynthetic machinery); cell-cycle progression (modulation of cyclins, cyclin-dependent kinases, cyclin-cyclin-dependent kinase inhibitors and phosphatases); apoptosis (p53 cyclin-dependent or incyclin-dependent mechanisms); cell differentiation (downregulation of growth arrest genes); cell metabolism (glycolysis, amino acid biosynthesis and transport, synthesis of macromolecules and DNA metabolism); angiogenesis (upregulation of VEGF); cell adhesion and motility (control of expression of integrins). Deregulation of Myc may result in apoptosis, genomic instability, uncontrolled cell proliferation, escape from immune surveillance, growth factor independence, and immortalization.

conserved domain, MBIII, implicated in transcriptional repres-sion, apoptosis, transformation, and lymphomagenesis[6], and the recently described MBIV, that in addition to functions in apoptosis and transformation also modulates DNA-binding[7]. The CTD encompasses a basic region required for binding to the consensus CACGTG E-box and a helix-loop-helix leucine zipper (HLHZip) domain, necessary for dimerization with Max. The role of Myc in transcriptional activation is discussed by Cowling and Cole elsewhere in this issue[8].

2. Myc activation in human neoplasia

Myc expression is strictly regulated by external signals, such as growth factors and extracellular matrix contacts, and through internal cell cycle control. In quiescent cells, Myc levels are low while they rapidly increase upon entry into the cell cycle and then decline to remain at a basal level in cycling cells[9–12]. Inac-tivation of the stringent regulation of Myc expression results in uncontrolled cell proliferation upon alterations in the apoptotic pathway. The pool of proliferating cells has an increased risk of acquiring secondary mutations contributing to tumor devel-opment. Myc family genes are activated in a wide variety of human hematological malignancies and solid tumors (reviewed in[13–15]). Oncogenic alterations of Myc are induced by events such as point mutations, gene amplification, translocation, over-expression, enhanced translation, and increased protein stability.

Table 1summarizes the frequency of the most common Myc alterations observed in human tumors.

Burkitt’s lymphoma (BL) is characterized by chromoso-mal translocations that place c-Myc in the proximity of an immunoglobulin (Ig) enhancer, which promotes constitutive high levels of c-Myc mRNA and protein (reviewed in[16]). Myc rearrangements are also found in diffuse large cell lymphoma (DLCL), acute lymphocytic leukemia (ALL), multiple myeloma (MM), and primary plasma cell leukemia (PCL) [13,17–20]. Rare cases of T-cell leukemia, in which the Myc gene is translo-cated to the T-cell receptor have also been reported[21].

In contrast, the most common Myc aberration in solid tumors is gene amplification (Table 1). All three transforming members of the Myc family have been shown to be amplified in small cell lung carcinoma (SCLC), with a frequency of 10% (MYCN), 13% (L-Myc), and 20% (c-Myc)[13,22,23]. Interestingly, in glioblas-toma, either one, two or all three Myc genes have been found to be overexpressed at different frequencies[24].

Cutaneous malignant melanoma is the most aggressive form of skin cancer. Treszl et al. detected c-Myc amplification in melanoma patients using fluorescence in situ hybridization. Extra c-Myc copies were found in 61% of nodular melanomas, in 28% of superficially spreading melanomas, and in 30% of metastatic tumors. Alteration in expression levels was associ-ated with advanced stages of the disease, but the observation that c-Myc was less frequently amplified in metastatic lesions may indicate that c-Myc is important for promoting an invasive potential rather than in the process of metastasis[25]. Myc is also activated in uveal melanoma, the most common intraocular tumor in adults. One study showed loss of c-Myc in 5% and extra copies of the oncogene in 70% of the tumors analyzed[26].

Figura 1.3.3. Funzioni biologiche di c-MYC in condizioni normali e durante la

tumorigenesi. Tratto da [10].

1.3.3. L’apoptosi e la proteina BCL2

L'apoptosi, o morte cellulare programmata, può essere iniziata da due pathway alternativi e convergenti: il pathway estrinseco e il pathway intrinseco.

Il pathway estrinseco coinvolge recettori della morte cellulare come il recettore per il fattore di necrosi tumorale (TNF), oppure FAS, il cui legame ai propri ligandi provoca l'attivazione della caspasi-8.

La via intrinseca o mitocondriale viene attivata dalla traslocazione nei mitocondri di proteine facenti parte della famiglia BCL2 le quali causano alterazioni nella permeabilità della membrana mitocondriale con conseguente rilascio del citocromo c.

Il citocromo c, in associazione con il fattore che attiva le proteasi apoptotiche (APAF1), attiva la caspasi-9, che insieme alla caspasi-8 (caspasi iniziatrici), permette l'attivazione delle caspasi-3,-6 e -7 (caspasi esecutrici).

Le caspasi esecutrici promuovono la degradazione di substrati implicati nella regolazione della morte cellulare (fig 1.3.4).

(12)

Alterazioni nelle proteine coinvolte in questi pathways possono provocare l'inizio di un processo tumorale; inoltre la soppressione dell'apoptosi facilita l'accumulo di ulteriori mutazioni oncogeniche che possono condurre ad una proliferazione cellulare incontrollata.

Il gene BCL2 codifica per una proteina di 26 kDa che inibisce l'induzione dell'apoptosi attraverso la via mitocondriale. La famiglia di proteine che prende il nome da BCL2 comprende molecole regolatrici dell'apoptosi sia con funzione pro-apoptotica (BAX, BAK, BID, BIK) che antiapoptotica ( BCL2, BCL-XL, MCL1).

La tipica alterazione genetica dei linfomi follicolari consiste in una traslocazione cromosomica che coinvolge il gene BCL2.

La traslocazione t(14;18)(q32;q21) è presente nella maggior parte dei linfomi follicolari (70-90%)[13, 14] e pone BCL2 sotto il controllo dell'enhancer per la catena pesante delle immunoglobuline provocando un'espressione costitutiva della proteina.

Nature Reviews | Molecular Cell Biology Growth-factor deprivation,

stress, UV, viruses

Inactive BH3-only BCL-2 BAX/BAK Cytochrome c release, mitochondrial fragmentation APAF1 assembly into apoptosome FAS Caspase-8 TNFR1 APAF1 Cytochrome c BID cleavage

Intrinsic pathway Extrinsic pathway

Active BH3-only Caspase-3 Apoptosis Mitochondrial outer membrane permeabilization

The process by which the outer membrane of mitochondria leaks certain soluble intermembrane space proteins, such as cytochrome c, into the cytoplasm.

Apoptosome

The caspase-9 activation complex that is composed of APAF1 heptamers and that is assembled on binding of APAF1 monomers to cytochrome c.

BAX and BAK promote caspase activation by their effects on mitochondria. Either directly or indirectly, these two pro-apoptotic BCL-2 family members induce the release of proteins from the space between the inner and outer mitochondrial membranes17. This process of

mitochondrial outer membrane permeabilization (MOMP) results in the release of cytochrome c and other soluble proteins into the cytosol. Although it is commonly thought that BAX and BAK form pores in membranes, the biochemical nature of such pores and how anti-apoptotic BCL-2 family proteins might regulate them remains a key and controversial issue in the field of cell death18. At

the same time as cytochrome c release (or immediately before), BAX and BAK induce mitochondria to fragment

into more numerous and smaller units, which suggests connections between mitochondrial division processes and the functions of the BCL-2 family19.

Once the OMM has been permeabilized, soluble proteins diffuse from the intermembrane space into the cytosol, where they promote caspase activation. The best studied of these proteins is cytochrome c, which binds to APAF1 and leads to the assembly of a heptameric protein ring called an apoptosome, which can bind pro-caspase-9 and induce its activation through a conformational change20,21. Cytochrome c–APAF1-dependent

activa-tion of caspase-9 is absolutely required for neuronal and fibroblast cell-death processes22. However, in addition to

this process, lymphocytes can probably use alternative APAF1-, caspase-9- and cytochrome c-independent, but pro-apoptotic BCL-2-family-member-dependent, pathways for caspase activation and cell killing12,22.

Intriguingly, caspase activation in lymphocytes can be amplified by APAF1 even when APAF1 has not been incorporated into the apoptosome22.

One APAF1-independent pathway of caspase activation is the relief of caspase inhibition by inhibitor of apoptosis proteins (IAPs), such as XIAP, which bind and neutralize certain caspases (such as caspase-9 and caspase-3). This inhibitory action of IAPs can be antago-nized by the binding of DIABLO, which is released from mitochondria after the activation of BAX and/or BAK. However, DIABLO-deficient mice23, as well as

XIAP-deficient mice24, do not display significant

apop-totic phenotypes, which suggests that novel processes of caspase activation remain to be discovered. Several APAF1 related proteins, called NOD-like receptors, regulate alternative pathways of caspase activation that occur in non-apoptotic host defence processes that are associated with innate immunity and serve as examples of pathways that can also have roles during apoptosis25. One of these

NOD-like receptors, NALP1, can be regulated by BCL-2 and BCL-XL26 in manner that is reminiscent of caspase

activation in the worm (BOX 1).

BCL-2 and BCL-XL appear to control cell survival beyond the APAF1–caspase-9 axis. If caspase activation is inhibited by loss of APAF1 or caspase-9, or even by the combined loss of caspase-9 and caspase-2, the rate of acqui-sition of apoptotic morphology of myeloid progenitors and mast cells induced by growth-factor withdrawal or DNA damage can be significantly delayed. However, although the onset of apoptotic morphology can be delayed, the cells still lose clonogenic potential and thus effectively die, unlike cells that overexpress BCL-2 or BCL-XL27,28. Thus, the step of apoptosis regulation that is

controlled by the BCL-2 family appears to be the most gen-eral final commitment step for the decision between cell life and death. The disruption of mitochondria by BAX and BAK may be one cause of eventual clonogenic cell death in the absence of apoptosome activation. Normally, caspase activation rapidly and efficiently mediates cell demoli-tion and removal. When caspases are blocked, certain features of apoptosis can be lost (or delayed), which causes the cells to die more slowly by BCL-2-family-mediated mitochondrial disruption or by novel caspase-activation pathways that have yet to be characterized.

Figure 2 | Scheme depicting intrinsic and extrinsic pathways of apoptosis. Apoptosis can be induced by cell surface receptors, such as Fas and tumour necrosis factor receptor-1 (TNFR1) (extrinsic pathway, right), or by various genotoxic agents, metabolic insults or transcriptional cues (intrinsic pathway, left). The intrinsic pathway starts with BH3-only protein induction or post-translational activation, which results in the inactivation of some BCL-2 family members. This relieves inhibition of BAX and BAK activation, which in turn promotes apoptosis. Some BH3-only proteins, such as BIM and PUMA, may also be able to activate BAX and/or BAK (as shown by the dotted line). Once activated, BAX and BAK promote cytochrome c release and mitochondrial fission, which leads to the activation of APAF1 into an apoptosome and activates caspase-9 to activate caspase-3. Caspases in turn cleave a series of substrates, activate DNases and orchestrate the demolition of the cell. The extrinsic pathway can bypass the mitochondrial step and activate caspase-8 directly, which leads to caspase-3 activation and cell demolition. The BCL-2 family regulates the intrinsic pathway and can modulate the extrinsic pathway when cleavage of BID communicates between the two pathways.

R E V I E W S

Figura 1.3.4. Pathway intrinseco ed estrinseco dell’apoptosi. Tratto da [54].

(13)

1.4. microRNA: origine e biosintesi

I microRNA (miRNA) sono dei piccoli RNA a singolo filamento, lunghi circa 22 nucleotidi (nt), che sono in grado di reprimere l’espressione genica a livello post-trascrizionale. La scoperta dei miRNA e della loro capacità di regolare l’espressione genica risale al 1993 quando Victor Ambros e i suoi colleghi, studiando lo sviluppo larvale di Caenorhabditis elegans, scoprirono che il gene dello sviluppo LIN-4 non codificava per una proteina, ma per un piccolo trascritto di 22 nt. Questo trascritto era in grado di reprimere l’espressione di un altro gene dello sviluppo (LIN-14) legandosi al suo mRNA e impedendone la traduzione.

Da allora la ricerca nel campo dei miRNA è aumentata in maniera esponenziale e fino ad ora sono stati identificati circa 100 miRNA negli invertebrati e 500-1000 miRNA nei vertebrati e nelle piante, coinvolti in numerosi processi fisiologici e patologici. Considerando che è stato stimato che ogni miRNA possa regolare centinaia di diversi RNA messaggeri, si può dedurre che una larga porzione del trascrittoma sia regolata da una complessa rete di miRNA (si stima che circa un terzo dei geni umani siano putativamente sotto il controllo diretto dei miRNA). Inoltre circa il 55% dei miRNA trovati in Caenorhabditis elegans hanno un omologo nell’uomo ed il fatto che si siano conservati durante l’evoluzione sottolinea l’importanza del loro ruolo.

La maggior parte dei miRNA sono localizzati all’interno di unità geniche, e quindi si definiscono intragenici, mentre una percentuale minore si trova invece in regioni al di fuori dei geni e vengono quindi definit intergenici.

Alcuni miRNA sono localizzati l’uno vicino all’altro a formare un cluster e spesso i miRNA di un cluster sono coinvolti nella regolazione di uno stesso processo biologico.

La trascrizione dei miRNA intragenici è generalmente legata alla trascrizione del gene che li ospita. Al contrario i miRNA intergenici si esprimono autonomamente sotto il controllo di un proprio promotore.

(14)

La trascrizione dei miRNA è a carico dell’RNA polimerasi II, sia per i miRNA intragenici che per quelli intergenici. Esistono comunque evidenze che alcuni miRNA vengano trascritti anche dalla polimerasi III [15].

Il trascritto primario (che è policistronico nel caso dei miRNA organizzati in cluster) si chiama pri-miRNA ed ha una tipica struttura stem-loop in cui i due filamenti che costituiscono lo stem presentano un appaiamento imperfetto. Il pri-miRNA subisce una serie di processamenti che complessivamente portano alla formazione del miRNA maturo. La maturazione del miRNA a partire dal suo precursore avviene mediante due step:

-il primo step avviene nel nucleo ad opera del microprocessor complex (costituito dagli enzimi Drosha e DGCR8) che effettua un primo taglio alla base della struttura stem-loop generando il pre-miRNA;

-il pre-miRNA viene trasportato nel citoplasma (attraverso l’esportina-5) dove subisce un secondo taglio che elimina il loop ad opera di un complesso che contiene l’enzima Dicer e che rilascia il miRNA maturo;

-Il miRNA maturo viene incorporato nel complesso riboproteico RISC (RNAi Silencing Complex), e indirizzerà questo complesso verso l’RNA messaggero target. Il tipo di legame che si instaura col target ne determina il destino: se il miRNA si lega in modo perfetto e la complementarietà è totale l’mRNA andrà incontro a degradazione; se il miRNA si lega in modo imperfetto e vi sono piccole regioni di non complementarietà, ne verrà inibita la traduzione in proteina. Una visione generale della biosintesi e del meccanismo d’azione dei miRNA è rappresentata in figura 1.4.1.

(15)

Figura1.4.1: Biogenesi e meccanismo d’azione dei miRNA e siRNA.

Tratto da [53].

1.4.1. microRNA: meccanismo d’azione

Come accennato, in base al grado di complementarietà che il miRNA presenta per il proprio mRNA target quest’ultimo può essere degradato (appaiamento perfetto) oppure può esserne impedita la traduzione (appaiamento imperfetto).

I siti target per i miRNA sono localizzati nella regione del 3’ UTR del mRNA (la regione a valle della sequenza codificante). Nei metazoi il 3’UTR dei mRNA può presentare più siti per lo stesso miRNA o siti per diversi miRNA. Quando l’appaiamento è perfetto, basta il legame di un solo miRNA per determinare la degradazione del target mentre se l’appaiamento è imperfetto è spesso necessaria la presenza di più siti per una efficiente repressione. Quando i siti target sono molto vicini ( tra i 10 e i 40 nucleotidi) i miRNA implicati tendono ad agire cooperativamente.

(16)

La maggior parte dei miRNA nei metazoi non presentano un appaiamento perfetto con il target, per cui agiscono impedendo la traduzione. Al contrario, nel regno vegetale il meccanismo più comune sembra la degradazione del mRNA dovuta ad un appaiamento perfetto.

1.4.2. Differenze miRNA-siRNA

Il pathway degradativo miRNA-dipendente condivide alcuni passaggi con il pathway dell’ RNA interference (RNAi). Il fenomeno dell’RNAi è stato scoperto nel 1998, ed è valso il nobel a Fire e Mello. La scoperta è partita dall’osservazione che iniettando un dsRNA (double strand RNA) in una cellula, questo era in grado di silenziare il gene corrispondente. dsRNA esogeni (introdotti artificialmente o derivanti da intermedi della replicazione virale) o derivanti da sequenze genomiche possono essere processati dall’enzima Dicer e dare origine a piccoli RNA a doppio filamento (siRNA duplex). I siRNA vengono incorporati da RISC allo stesso modo dei miRNA e, visto che presentano un appaiamento perfetto con il proprio target, danno il via al meccanismo degradativo del messaggero (fig.1.4.1).

siRNA e miRNA condividono dunque alcuni stadi della biosintesi ed alcuni meccanismi di funzionamento, ma mostrano anche alcune differenze basate principalmente sulla loro origine, sulla loro evoluzione e sul tipo di geni che silenziano:

-i miRNA originano da sequenze endogene che vengono trascritte a dare strutture a forcina mentre i siRNA derivano sia da sequenze endogene che da RNA a doppio filamento esogeni. Nel caso dei trascritti endogeni essi danno origine a lunghe strutture a doppio filamento che non assumono nessuna specifica struttura secondaria;

-Le sequenze dei miRNA sono altamente conservate negli organismi evolutivamente vicini mentre quelle dei siRNA lo sono raramente;

-I miRNA silenziano loci diversi da quello che li ha originati (eterosilenziamento) mentre i siRNA silenziano il loro stesso locus

(17)

(autosilenziamento). Ciò spiega l’alta conservazione di sequenza dei miRNA: una mutazione in un miRNA sarà difficilmente accompagnata da una mutazione compensatoria in tutti i suoi target (e viceversa), cosa che accade invece con i siRNA.

1.4.3. microRNA e cancro

Il coinvolgimento dei miRNA nella tumorigenesi è uno degli aspetti dell’attività dei miRNA che vengono maggiormente studiati.

Un’espressione alterata di miRNA è stata ad oggi documentata in numerosi tipi di tumore, in particolare nella leucemia linfocitaria cronica (CLL) [16, 17], nei linfomi non-Hodgkin [18, 19] e nei DLBCL [20].

Alcuni miRNA si comportano come veri e propri oncogeni (oncomirRNA), nel senso che, reprimendo direttamente o indirettamente geni tumor suppressor, contribuiscono alla trasformazione tumorale quando sono sovrespressi nei tumori. Altri si comportano invece come oncosoppressori (miRNA tumor suppressor) reprimendo direttamente o indirettamente oncogeni: questi sono generalmente sottoespressi nei tumori (fig.1.4.2).

Tra gli oncomiRNA un esempio significativo è dato dal cluster miR-17-92 che comprende sei microRNA: miR-17-5p, -18, -19a, -19b, -20, e –92. Si trova sul cromosoma 13 nell’uomo, nella regione 13q31 che è spesso amplificata in molte forme di mielomi e tumori solidi [21].

Recentemente è stato osservato che i microRNA appartenenti al cluster miR-17-92 sono sovraespressi in campioni di linfomi a cellule B [11].

In un lavoro del 2005, O’Donnel e colleghi [22] hanno dimostrato che c-Myc regola direttamente la trascrizione del cluster miR-17-92 legandosi al locus che lo contiene. Nel lavoro viene inoltre dimostrato che il miR-17-5p e il miR-20 regolano l’espressione del fattore pro-proliferativo/pro-apoptotico E2F1. Questi dati mettono in luce l’esistenza di un meccanismo attraverso il quale c-Myc contemporaneamente attiva trascrizionalmente E2F1 mentre limita la sua traduzione attivando l’espressione dei miRNA 17-5p e -20.

(18)

Figura 1.4.2. oncomiRNA e miRNA tumor suppressor e loro

deregolazione nel processo tumorigenico.

Tra i miRNA tumor suppressor un tipico esempio è quello della famiglia let-7, un gruppo di miRNA conservati in D. melanogaster, C.elegans e in molti vertebrati. Nel genoma umano vi sono 12 omologhi di let-7 organizzati in otto cluster distinti: almeno quattro di questi cluster sono associati a regioni frequentemente delete in vari tumori umani [23]. Nell’uomo let-7 controlla tre potenti oncogeni RAS (HRAS, KRAS e NRAS). La perdita di let-7 impedisce la regolazione di RAS promuovendo la sua sovraespressione e facilitando l’acquisizione del fenotipo tumorale.

Anche i microRNA 15a e 16-1 hanno proprietà oncosoppressive; essi si trovano sul cromosoma 13 in una regione frequentemente deleta nella leucemia linfocitaria cronica a cellule B (B-CCL). Nel 2005 [18] sono stati individuati i siti target per i due miRNA nel 3’UTR del gene BCL2. Nelle cellule in cui questi due miRNA sono sottoespressi, l’espressione della proteina BCL2 non viene repressa e le cellule non riescono a procedere verso il pathway apoptotico. La perdita dei miR-15a-16-1 correla con la sovraespressione della proteina BCL2 mentre la loro espressione eterologa induce un abbassamento nei livelli di questa proteina [18]. In linea con questa funzionalità, è stato

(19)

dimostrato che la sovraespressione di questi miRNA induce apoptosi in una linea cellulare di leucemia umana.

1.5. La proteina p53 e la sua regolazione sui miRNA

Il fattore di trascrizione codificato dal gene tumor suppressor Tp53 è conosciuto come il guardiano del genoma e gioca un ruolo centrale nel regolare la risposta cellulare al danno al DNA. La proteina p53 è al centro di una complessa rete di interazioni biologiche che traducono segnali di stress (come agenti o radiazioni in grado di danneggiare il DNA, stress ossidativi o attivazione di oncogeni) in blocco del ciclo cellulare transiente o permanente (senescenza), o apoptosi nel caso in cui il danno riportato sia troppo severo.

Circa il 50% dei tumori umani sono caratterizzati da una mutazione nel gene TP53 che altera l’attività della proteina e ciò conferma l’estrema importanza che questo fattore di trascrizione ricopre nel controllo del ciclo cellulare.

Quando a monte di p53 giunge la segnalazione di stress, il livello e l’attività di questa proteina aumentano in modo che essa possa agire come fattore di trascrizione per una serie di geni. Questi componenti a valle saranno gli effettori dell’appropriata risposta cellulare.

I sensori principali sembrano essere MDM2 e MDMX :in condizioni normali queste proteine legano p53 e la ubiquitinano (vi legano cioè copie multiple di ubiquitina, la molecola segnale per la degradazione mediata dal proteasoma) in modo che i livelli di p53 rimangano bassi nella cellula.

Quando sopraggiungono segnali di stress la funzionalità del complesso MDM2 MDM4 viene bloccata dalla fosforilazione o dal legame con altre proteine e ciò permette l’accumulo di p53 e la sua funzionalità come attivatore trascrizionale di una serie di geni implicati in numerosi processi cellulari (fig 1.5.1).

(20)

p53

Nature Reviews | Cancer

ATM ATR ARF

MDM2 MDM4 Proteasome Apoptosis Growth arrest Translation DNA repair Prevention of angiogenesis p21 GADD45 14-3-3 RPRM Scotin KILLER or DR FAS BBC3 TP53I3 PERP PMAIP1 53BP1 BAX LRDD THBS1 Maspin BAI1

Downstream signalling: target gene transcription Mitochondrial-associated role in inducing apoptosis Maturation of growth-suppressive miRNAs

DNA repair pathway Non-transcriptional activities

p53

DNA breaks UV irradiation, stress Oncogenes

Sestrin 1 Sestrin 2 RRM2B ST13 Differential scanning calorimetry

Measures the heat changes that occur in biomolecules during controlled increases or decreases in temperature. It measures the enthalpy of unfolding and the change in heat capacity owing to heat denaturation: the higher the thermal transition (melting point) the more stable the molecule.

two common properties: the PAb240 (REF. 66) continuous

epitope, which is normally inaccessible in correctly folded p53, is exposed, and the PAb1620 epitope67, which is sensi-tive to the loss of the correct p53 tertiary structure, is lost (reviewed in REF. 68).

Another approach using structural data and taking advantage of computational techniques to isolate a refined library of probable p53 stabilizers has yielded exciting data69. The determination of the crystal structure of a series of tumour-associated mutant p53 proteins showed that the Y220C mutation creates a binding pocket in the core domain of the mutant protein (FIG. 3) on the opposite

face to the DNA-binding domain47. This in turn allowed in silico screening and the identification of small molecules that could bind to this pocket and, owing to their inter-action, stabilize the mutant Y220C core domain in the wild-type conformation. Differential scanning calorimetry

confirmed that binding of the compound PhiKan083

raised the melting temperature by 2 nC. An increase in the melting temperature reflects the higher enthalpy required to denature the protein and the extra stabilizing interactions made by the ligand. A high resolution X-ray structure of the p53-Y220C–PhiKan083 complex demon-strated the occupancy of the drug in the predicted binding pocket. This work presents the possibility of developing mutant-specific reactivating drugs. Although it can be argued that such drugs would be difficult to develop as not all mutations in the p53 DNA-binding domain generate a cleft that is ideal for small-molecule binding, precedent suggests that highly active and specific drugs for cancer can find substantial markets. Indeed, tumours with this p53 mutation occur at a similar frequency worldwide to tumours with the BCR-ABL1 translocation, which is the target of imatinib4.

The therapeutic approaches discussed above have focused strongly on traditional high-throughput and computational design strategies (BOX 2). Another

attrac-tive approach is to use cell-based screens for identifying p53 pathway-selective drugs. This FCG approach has several advantages and challenges over more traditional screens70. ‘Hit’ compounds from a cell-based screen are generally not cytotoxic, as they are selected for their abil-ity to increase a synthetic event — that is, the accumula-tion of a reporter gene product. Searching for compounds that activate the transcriptional activity of mutant p53 in cells should lead to the discovery of compounds that directly interact with p53 or compounds that affect the folding and processing of proteins. The most advanced of these molecules, which is now in clinical trials (APREA, Sweden), is the compound PRIMA-1. It was discovered following a cell-based screen in which Bykov and col-leagues49 established a Saos-2 (TP53-null) osteosarcoma cell line with a tetracycline-inducible mutant TP53 gene. They screened a small library of diverse compounds obtained from the US National Cancer Institute (NCI) in a simple 48 hour cell growth assay (using WST-1, a tetrazolium salt that is cleaved to formazan by cellular enzymes) and looked for molecules that reduced growth in a p53 mutant-selective manner. PRIMA-1 was iden-tified and shown to protect several p53 mutants from unfolding in vitro and to restore p53-dependent tran-scription in various cell-based systems expressing the p53 mutants H273 and H175, such as the SKOV, H1299 and SW80 cell lines. However, the exact determination of the mechanism of action of this fascinating molecule has proved elusive. Recent papers have demonstrated that although it has activity in p53-independent cell-based phenotypic assays it can nevertheless form adducts with p53 through a mechanism that involves the covalent modification of cysteine residues71. This is a provocative result as several natural products that target particular cellular proteins with high specificity have been shown to use this Michael acceptor-based mechanism. For example,

leptomycin B — a known activator of wild-type p53 — binds to the nuclear export protein CRM1 (also known as XPO1) by forming a covalent bond at Cys528 (REF. 72).

The genetic concept of synthetic lethality also provides

an alternative framework for identifying genotype-selective anticancer agents. In this approach, changes

Figure 1 | The p53 pathway. p53 is at the centre of a complex web of biological interactions that translates stress signals into cell cycle arrest or apoptosis26. Upstream signalling to p53 increases its level and activates its function as a transcription factor in response to a wide variety of stresses, whereas downstream components execute the appropriate cellular response. The principal sensors seem to be MDM2 and MDM4 and their interaction with p53. In non-stressed conditions these proteins bind p53, ubiquitylate it and target it for degradation by the proteasome. In stressed conditions the function of the MDM2–MDM4 complex is blocked by phosphorylation, protein-binding events and/or enhanced degradation141. Hence, phosphorylation of MDM4 is essential for the p53 response to ionizing radiation, and the response to oncogene activation depends on the binding of ARF to MDM2. Many p53-activating small molecules function by causing the release of ribosomal proteins from the nucleolus to the nucleoplasm, where they bind to MDM2 and MDM4 and inhibit their function. Molecules that activate wild-type p53 in tumours by disrupting MDM2 activity can compensate for any missing upstream components of the p53 pathway, for example the loss of ARF expression that is frequent in cancer cells142. However, defective downstream p53 signalling might substantially decrease their effectiveness. Therefore, the ability to identify tumours in which downstream p53 signalling is unaffected is important. The development of strategies to ensure that the desired p53 response is initiated when it is reactivated might be necessary and could require the judicious use of drug combinations. 53BP1, p53 binding protein 1; ATM, ataxia telangiectasia mutated; ATR, ataxia telangiectasia and Rad3 related; BAI1, brain-specific angiogenesis inhibitor 1; BAX, BCL2-associated X protein; BBC3, BCL2 binding component 3 (also known as PUMA); DR, death receptor; GADD45, growth arrest and DNA-damage-inducible 45; KILLER, p53-regulated DNA damage-inducible cell death receptor (also known as TNFRSF10B); LRDD, leucine-rich repeats and death domain containing; miRNA, microRNA; PMAIP1, phorbol-12-myristate-13-acetate-induced protein 1 (also known as NOXA); RPRM, reprimo; RRM2B, ribonucleotide reductase M2 B; ST13, suppression of tumorigenicity 13 (also known as p48); TP53I3, tumour protein p53 inducible protein 3; THBS1, thrombospondin 1; UV, ultraviolet.

R E V I E W S

NATURE REVIEWS | CANCER VOLUME 9 | DECEMBER 2009 | 865

Ÿ)''0DXZd`ccXeGlYc`j_\ijC`d`k\[%8cci`^_kji\j\im\[

MDM2 MDMX

Hypoxia DNA damage Oncogenes Developmental Others

p21, 14-3-3! GADD45", etc. Transient cell-cycle arrest RB, p57, Nanog, etc. Differentiation BTG2, PAII, etc. Senescence Puma, NOXa, Bax, Apaf1 etc.

Apoptosis

Figura 1.5.1. Visione generale del pathway di p53. Modificato da

[52].

Tradizionalmente gli effetti cellulari mediati da p53 sono sempre stati attribuiti alla sua attività di attivatore trascrizionale. In realtà una serie di lavori riportano dati sulla sottoregolazione di specifiche proteine indotta da p53: due esempi sono la diminuzione della chinasi ciclina dipendente CDK4 e della ciclina E2 [24], due proteine che potrebbero contribuire al blocco del ciclo cellulare mediato da p53.

Gli effetti di una repressione indotta da p53 in maniera diretta sono mediati dal suo legame a sequenze del DNA che normalmente dovrebbero legare transattivatori per cui si ha una competizione per la stessa sequenza di legame al DNA, oppure dal reclutamento di modificatori epigenetici come le istone deacetilasi [25].

La scoperta dei microRNA ha suggerito che parte dei fenomeni repressionali che si verificano in seguito all’attivazione di p53 potessero venir mediati proprio da questi piccoli RNA ed una serie di gruppi hanno iniziato ad indagare se esistessero relazioni tra la proteina p53 e la trascrizione di specifici miRNA.

Nel 2006, Xi e colleghi [26] hanno comparato i pattern di espressione di miRNA tra una linea cellulare di tumore al colon umana con la proteina p53

(21)

normale ed un’altra linea identica ma con la proteina p53 deleta. Con questa analisi 11 microRNA sono risultati sovraespressi nella linea con la p53 normale ( tra cui: miR-30a-5p, miR-181b, miR-372, let-7g, miR-26a, let-7b,

miR-296 e miR30a-miR-34a) mentre 43 miRNA sono risultati sottoregolati nelle cellule con p53 deleta (tra cui: miR-15b, miR-27a, miR200c, miR-191, miR-30c, miR-25, miR-107, miR-339, miR-125, miR-27b, miR-23a e miR-10a).

Soltanto nel 2007 si è però avuta l’evidenza che la proteina p53 può regolare direttamente la trascrizione di miRNA.

I lavori di Bommer ,Chang, He, Raver-Shapira e Tarasov [27-31] hanno mostrato il legame che intercorre tra p53 e la famiglia dei miR-34.

Il repertorio di microRNA regolati da p53 è andato aumentando nel corso degli anni e nel 2009 uno studio di Sachdeva e colleghi [32] ha dimostrato che anche il miR-145 viene espresso in risposta allo stress in maniera p53-dipendente. Entrambi questi due miRNA sono dunque dei membri del network regolatorio mediato da p53 e su di loro sono iniziati una serie di studi per definire il loro potenziale oncosoppressivo.

1.5.1. miR-34

Come già accennato, nel 2007 è stato possibile identificare la famiglia miR-34 come un target diretto di p53.

Nei mammiferi la famiglia miR-34 è composta da tre miRNA che sono codificati da due geni diversi: il miR-34a è codificato dal suo proprio trascritto mentre il miR-34b e miR-34c condividono un trascritto primario comune (fig 1.5.2).

Figura

Figure 3. The horizontal axis shows 5-year age intervals. The vertical axis shows the frequency of new cases of Hodgkin lymphoma each year per 100,000 people, by age-group
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FIGURE 7.1 BCL6 protein and its expression pattern. (A) Schematic representation of BCL6 protein
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