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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3

Frontiere temporali e spaziali

Le storie di conquista sono spesso accompagnate dalla imposizione da parte del colonizzatore della propria cultura, che diventa un nuovo strumento per trasmettere il proprio dominio e vincolare a sé le popolazioni sottomesse. In

Almanac of the Dead Leslie Silko mette in discussione alcune concezioni ereditate

nella colonizzazione dei bianchi, proponendo alcune alternative che affondano le loro radici nel bagaglio delle tradizioni delle culture native. In particolare, vuole rivedere i concetti di tempo e spazio assimilati dalle popolazioni conquistate; “Time and place are precisely those concepts that Silko wants to reimagine in

Almanac of the Dead by subverting Western notions of time and place and

allowing indigenous ideas to emerge from the chaos of Euro-American decadence.”1

La scrittrice occupa una posizione ideale per condurre la sua critica trovandosi nel punto di contatto tra mondi diversi, e da qui porta avanti il lungo processo di decolonizzazione servendosi di Almanac: “She also speaks from the borderland where cultures and languages meet.”2 Il presente capitolo si concentra sull’analisi di alcune frontiere che Silko supera attraverso il suo lavoro, in particolare il confine temporale che cerca di dividere nettamente passato, presente e futuro, vita e morte, e la frontiera spaziale, che si manifesta sul piano fisico e su quello psicologico.

1 Gregory Salyer, Leslie Marmon Silko, New York, Twayne Publishers, 1997, p. 100.

2 L.K. Barnett, J.L. Thorson (eds.), Leslie Marmon Silko: A Collection of Critical Essays,

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3.1 Frontiere temporali

Nella presente sezione si analizzeranno le idee a proposito del tempo contenute in Almanac of the Dead, con un riguardo particolare alla critica di Silko alla concezione occidentale di tempo lineare ereditata dal contatto con la cultura dell’uomo bianco; la scrittrice suggerisce implicitamente di tornare alla concezione tipicamente nativa del tempo ciclico, che non conosce confini netti. In

Almanac l’autrice collega questa idea al concetto maya dell’identità dei giorni,

secondo il quale i tempi a venire potevano essere predetti, riconoscendo i tratti dei giorni e delle epoche presenti, attraverso la divinazione, come approfondiremo più avanti.

3.1.1 Tempo ciclico e tempo lineare

Nel contatto e nello studio del mondo nativo americano è la particolare concezione del tempo ad essere una delle più lontane e differenti rispetto alle culture occidentali. Solitamente si ricorre alla figura del cerchio per rappresentare l’idea del tempo indiana: è una forma che rappresenta un concetto di armonia e che rifugge qualsiasi gerarchia, in cui ogni elemento del mondo (piante, paesaggio, animali, uomini) si trova equidistante rispetto al centro, e possiede dunque la stessa importanza. Il cerchio ricorda il movimento degli astri, l’andamento ciclico delle stagioni e della vita dell’uomo, che nel pensiero nativo è un percorso in cui la fine, la morte, torna a confluire nella vita, nell’inizio.

Questa concezione del tempo percepito come ciclico risulta fortemente in contrasto con quella tipicamente occidentale che vede il tempo secondo un modello lineare, costituito da una successione di eventi accaduti in momenti

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ripartiti tra passato, presente e futuro, concetto ben esposto nel seguente passaggio:

The dominant Eurocentric paradigm is a thus linear model which progresses inevitably from past to present to future. In this schema, one year follows upon another in a sequential order which can be “mapped” on an imaginary timeline. Each mark (or point in time) on the line is geographically plotted equidistant from the previous and subsequent mark. Moreover, each mark is distinct, and no point ever returns to a prior point in space.3

La concezione nativa americana che vede il tempo come ciclico è un’idea costantemente presente nel lavoro di Leslie Marmon Silko, che così sintetizza: “For the old-time people, time was not a series of ticks of a clock, one following the other. For the old-time people, time was round – like a tortilla.”4 La messa in discussione da parte di Silko della concezione occidentale di tempo si trova anche in Almanac of the Dead; infatti, “The novel highlights the resurgence and emancipation of the colonized and the oppressed by revitalizing, as it were, a pre-existing (pre-colonized) conception of time.”5

Nel romanzo si suggerisce l’idea che vede la concezione del tempo lineare come un’ulteriore imposizione da parte dei colonizzatori sulle popolazioni autoctone, e l’autrice indica la conseguente necessità di un ritorno alla concezione del tempo pre-coloniale, risalente ai tempi precedenti all’invasione del bianco. Secondo la scrittrice, “The way time is computed in Western European cultures is completely political. Colonialists always want time and history not to go back very far. […] Time is totally political.”6

3 Yvonne Reineke, “Overturning the (New World) Order: Of Space, Time, Writing, and Prophecy

in Leslie Marmon Silko’s Almanac of the Dead”, Studies in American Indian Literatures, series 2, 10, 3, 1998, p. 66.

4

Leslie Marmon Silko, “Notes on Almanac of the Dead”, in Yellow Woman and a Beauty of the

Spirit, New York, Simon & Schuster, 1996, p. 136.

5 Yvonne Reineke, op. cit., p. 71. 6 Gregory Salyer, op. cit., p.100.

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Questa affermazione contiene la critica rivolta da Silko all’idea del tempo e della storia nelle culture occidentali, concezioni che sono servite spesso per legittimare e mascherare le usurpazioni operate. Allontanare il ricordo del passato serve al conquistatore per evitare che le popolazioni conquistate si ribellino allo stato attuale delle cose: “The powers who controlled the United States didn’t want the people to know their history. If the people knew their history, they would realize they must rise up.”7 E ancora: “Ignorance of the people’s history had been the white man’s best weapon.” (742)

In Almanac of the Dead viene sottolineato il potere presente nella Storia di un popolo e di un territorio a patto che questa venga riconosciuta e valorizzata: “Within ‘history’ reside relentless forces, powerful spirits, vengeful, relentlessly seeking justice.” (316) La scrittrice sceglie di utilizzare il suo romanzo come arma per tentare di rimodellare le concezioni di tempo e di Storia nelle culture occidentali, in particolare in quella americana:

The mobile and mutable indigenous almanac within Silko's text challenges entrenched popular and academic ideas of American 'history', and the ways in which Native histories are denied and 'forgotten' in order to privilege the national narrative. Forgetting is crucial to the legitimization of European settlement. […] For the majority of Euro-American citizens of the US, history is thus discrete, a form of closure, echoing the widespread popular and popularized image of America as 'virgin land' at the time of 'discovery'. This assumption of closure acts directly to stifle alternative histories, and to deny any form of justice – moral or otherwise – to the past, or to those who have died unjustly.8

La concezione del tempo diventa politica quando viene usata per relegare le invasioni e le ingiustizie commesse ad un passato troppo lontano e ormai immodificabile. Così si esprime Silko a proposito delle sue intenzioni nello

7

Leslie Marmon Silko, Almanac of the Dead, New York, Penguin, 1992, p. 431. Tutte le citazioni fanno riferimento a questa edizione e compariranno con le pagine tra parentesi.

8 Rebecca Tillett, “‘The Indian Wars Have Never Ended in the Americas’: The Politics of Memory

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scrivere Almanac e della scelta di spaziare in un periodo lungo cinquecento anni: “I did want to destroy this idea of 1492. Because people are always saying, ‘Well, we can’t do anything about it. All that happened a long time ago. We weren’t the ones that went to Fort Grant and massacred the Apache women and children. That was a long time back’.”9

Allontanare dal tempo presente il ricordo delle illegalità sulle quali si fonda la società americana è utile per il mantenimento dello status quo, contro il quale sarebbe troppo tardi ribellarsi. Leslie Silko si oppone a questo processo e nel suo lavoro analizza e mette in discussione “The ways in which individuals and communities use narrative and the power of story/history to come to terms with the past. […] In direct contrast to Euro-American historical amnesia, both Silko and her characters exhibit 'anamnesia', a failure or a refusal to forget.”10

Come abbiamo visto, all’idea di un passato troppo lontano nel tempo e quindi da accettare come immutabile si contrappone il pensiero indiano, che non relega il passato a un momento inaccessibile. Nella cultura nativa americana tutto è relativo, passato presente e futuro non sono posti su piani diversi e, come rappresentato dalla figura del cerchio sacro, tutto è collegato: “The Pueblos and their ancestors have lived continuously in the Southwest of North America for 12000 years. So when the old-time people speak about ‘time’ or ‘a long time’, they’re not speaking about a decade, or even a single lifetime; they can mean hundreds of years.”11

9 Ray Gonzalez, “The Past Is Right Here and Now: An Interview with Leslie Marmon Silko”,

1991, in Ellen L. Arnold (ed.), Conversations with Leslie Marmon Silko, Jackson, University Press of Mississippi, 2000, p. 103.

10 Rebecca Tillett, op. cit., p. 29.

11 Leslie Marmon Silko, “Fifth World: The Return of Ma ah shra true ee, the Giant Serpent”, in

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La scrittrice sottolinea la differenza dell’atteggiamento nei confronti del proprio passato tra il mondo nativo e l’uomo bianco, ponendo l’accento sullo strettissimo rapporto tra passato e futuro: “Silko connects memory directly to action: the past must be actively remembered if we wish to secure the future.”12

For hundreds of years white men had been telling the people of the Americas to forget the past. […] The old-time people had believed […] they must reckon with the past because within it lay seeds of the present and future. They must reckon with the past because within it lay this present moment and also the future moment. […] In the Americas the white man never referred to the past but only to the future. The white man didn’t seem to understand he had no future here because he had no past, no spirits of ancestors here. (311-3)

Sull’idea che vede il passato come sempre vivo nel presente viene costruita la storia di Sterling, uno dei personaggi più positivi del romanzo. Sterling è un indiano cacciato da Laguna, suo pueblo d’origine, per aver fallito nel compito affidatogli dagli anziani del villaggio: viene incaricato di controllare che i luoghi e le opere a loro sacri (in particolare un serpente di pietra rinvenuto nelle vicinanze di una miniera di uranio) non vengano calpestati né filmati da una troupe cinematografica arrivata a Laguna per le riprese di un film.

Silko racconta la storia di Sterling in parallelo con una vicenda accaduta settanta anni prima, quella del furto di alcuni idoli di pietra che, secondo la leggenda, vennero donati alla comunità dagli spiriti Katchina, elementi importanti per quanto riguarda la cosmogonia pueblo; gli idoli (che nel racconto vengono poi ritrovati dai legittimi proprietari in un museo a Santa Fe) scomparvero da un altare di una kiva in un periodo in cui alcuni antropologi stavano offrendo denaro e ricompense per questo tipo di oggetti.

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Il narratore ci fa capire che Sterling non viene cacciato dal pueblo unicamente per la sua colpa, ma che i due episodi sono fortemente collegati; quella inflitta a Sterling è una condanna esemplare e la sua punizione è dovuta in maggior parte al crimine di settant’anni prima:

The people of Laguna are unable to separate the stories of the idols and the filming of the stone snake, even though the theft of the stone idols had occurred several decades before. The people know that time had passed, of course, and feel despair at realizing that soon there would be no one left who could remember actually seeing the stone idols laid out upon their altar. They are not, however, trapped in this one dimension of time. […] The desecration of the great stone snake by the film crew seemed like a continuation of the tragedy of the stolen idols. […] Both the theft and the filming are part of one story, a story that spans years. In the world of this story, the sacrilege is painfully present.13

Lo stesso Sterling è a conoscenza del fatto che la punizione a lui riservata non tiene conto unicamente del suo errore, ma che la sua condotta viene ricollegata al furto degli idoli in pietra: “All of that happened seventy years before, but Sterling knew that seventy years was nothing – a mere heartbeat at Laguna.” (34) Nel seguente commento di Leslie Silko a proposito della vicenda di Sterling risulta evidente il fatto che la scrittrice si sia servita di questa storia per trasmettere una riflessione sulla concezione del tempo e del rapporto tra passato e presente:

My poor character Sterling didn’t get into so much trouble just because the Hollywood movie crew went and photographed a stone snake. It was for all those other things in the past just as critical as what happened to him. Past history or the stories are critical to what happens now. The past is very much right here and now.14

Credo che Silko si sia servita della storia di Sterling per ricordare quanto sia importante mettere in discussione lo stato attuale delle cose, che non deve essere accettato come immutabile. Nel più ampio panorama di Almanac of the

13 Gregory Salyer, op. cit., pp. 105-6. (Corsivi miei.) 14 Ray Gonzalez, op. cit., p. 103.

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Dead questa riflessione deve essere applicata al discorso dell’arrivo sul territorio

americano dei colonizzatori e della successiva conquista: l’usurpazione dei territori già occupati dai nativi non è da ritenersi ormai accettata solamente perché avvenuta più di cinquecento anni fa; infatti, “For the people I grew up with, it was only yesterday that the land was taken.”15

E ancora, a proposito di Almanac of the Dead: “The novel’s insistent message is clear: the passage of time does not diminish indigenous people’s call for justice through the return of their homelands.”16 È la concezione nativa americana del tempo a venire ancora una volta in aiuto alle popolazioni native: sapere che forse non potranno vedere la riappropriazione delle terre nel corso della loro vita e che giustizia potrà essere fatta tra anni, decenni o addirittura secoli non li scoraggia. Infatti, come leggiamo in Almanac, “Whatever was coming would not necessarily appear right away; it might not arrive for twenty or even a hundred years. Because these old ones paid no attention to white man’s time.” (35)

Silko suggerisce che non è troppo tardi per mettere di nuovo in discussione l’arrivo e la conquista dei bianchi del continente americano, e che solo in questo modo è possibile contrastare e combattere lo status quo; e ancora, solo riprendendo coscienza del proprio passato (attraverso le storie e, perché no, anche attraverso un romanzo come Almanac) si possono operare dei cambiamenti sul presente e sul futuro: “In both the fictional and the real events are new ways of telling the past that will shape future possibilities.”17

15

Ivi.

16 Yvonne Reineke, op. cit., p. 71.

17 T.V. Reed, “Toxic Colonialism, Environmental Justice, and Native Resistance in Silko’s

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3.1.2 Identità dei giorni

Abbiamo già avuto modo di notare l’interesse che Leslie Marmon Silko nutre per la cultura maya, soprattutto per i codici e gli almanacchi, di cui ammira non soltanto la struttura (che prende in prestito per la composizione di Almanac of

the Dead), ma anche un’idea peculiare che riguarda la loro concezione del tempo:

l’identità dei giorni. Secondo questo pensiero, “Time was a living being that had a personality, a sort of identity”18; i giorni potevano essere fortunati o sfortunati, e ognuno era propizio per alcune attività piuttosto che altre. Queste informazioni venivano annotate nei calendari e negli almanacchi, che non erano usati solamente “For auspicious planting, but [they] would also tell you about famine and death, revolution and conquest.”19

The almanacs were literally like farmer’s almanac. They told you the identity of the days, but not only what days were good to plant on, but some days that were extremely dangerous. There were some years that were extremely unfortunate with famine and war. There were other years, even epochs, that would come that would be extremely glorious and fertile. The Mayan people were obsessed with time and knowing each day.20

La cultura maya e quelle nativa americana condividono la concezione della storia come ciclica21; per il popolo Maya, infatti, “Time was alive and might pass, but time did not die; moreover, the days and weeks eventually would return.”22 Un determinato giorno con la sua specifica identità “Might not return again for five thousand or eight thousand years, but they believed that a day exactly as it had appeared before would appear again. It’s a view that basically denied a lot of

18 Leslie Marmon Silko, “Notes on Almanac of the Dead”, op. cit., p. 136.

19 Laura Coltelli, “Leslie Marmon Silko”, 1985, in Ellen L. Arnold (ed.), op. cit., p. 66.

20 Kim Barnes, “A Leslie Marmon Silko Interview”, 1986, in Ellen L. Arnold (ed.), op. cit., p. 83. 21

Per quanto riguarda l’idea della storia come ciclica nella cultura e nei calendari maya e l’identità dei katun, si veda Norman Hammond, Il mistero dei Maya, Milano, Sperling & Kupfer, 1998, p. 223.

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western European notions about linear time, death, simultaneous planes of experience, and so on.”23

Silko prende in prestito l’idea dell’identità dei giorni destinati a ritornare ciclicamente, e su questo concetto colloca le storie di Almanac of the Dead. Così sintetizza nel suo romanzo: “An experience termed past may actually return if the influences have the same balances or proportions as before. Details may vary, but the essence does not change. The day would have the same feeling, the same character, as that day has been described having had before.” (574-5) Così ci propone un elenco di giorni e anni con la stessa identità, in questo caso nefasti, apparsi e tornati ciclicamente a partire dall’arrivo dei colonizzatori:

Four piles of skulls: Spaniards, mestizos, Indian slaves, Africans. […] Locust years. […]

Eleven Ahau is the Katun when the aliens arrived. […]

There were the very poor people who did not escape when the oppressors appeared, when the anti-Christ had come to earth. […]

Twenty-year drought. […]

1560 –The year of the plague –intense cold and fever. […]

May 1566 –between one and two in the afternoon an earthquake caused great destruction. […]

On January 3, 1590, the epidemic began: cough, chills, and fever. […]

In the sixty-eighth year after the alien invasion, the face of the moon was covered with darkness soon after the sunset. […]

1595 –The mayor was struck by lightning. Ten days later lightning struck the church and main altar. […]

1597 –September 3, […] there was an eclipse of the sun and the day became as dark as the night.[…]

1617-24 –Smallpox. […]

1621 –Five Ah, the plague began to spread. […] We all became orphans. (575-8)

Servendosi dell’idea dell’identità dei giorni, Leslie Silko non solo “Challenges Western notions of linear history by evoking recurring cycles”24, ma conferisce importanza, valore e ritrovata dignità all’insieme di testi redatti dai Maya, che ne definivano la cultura e le ideologie:

23 Kim Barnes, op. cit., p. 83. 24 T.V. Reed, op. cit., p. 27.

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By stressing that the days and years are alive, Almanac of the Dead highlights the influence of important texts of Mayan culture: mainly, the Popul Vuh, or the Council Mat, and Chilam Balam. […] In drawing upon these books and the Mayan codices, Silko not only maps out a precolonized conception of time and space by linking past and present events to the Mayan system of measuring time, but also draws our attention to Fourth World writing; that is, that this hemisphere

has its own sacred texts which tell us how to live. Silko’s novel […] stands as a

profound challenge to Western hubris regarding the destiny and history of the West and concomitant notions of “development”, “civilization”, and “progress”.25

Adottando le concezioni fondanti presenti nei testi sacri maya, la scrittrice prende distanza dall’insieme di nozioni e percezioni ereditate dai conquistatori, per sottolineare la presenza di un valido bagaglio di documenti e storie caratterizzanti l’identità precolombiana. Riconoscere il valore di questo corpus significa operare un ulteriore passo verso la reale indipendenza dal conquistatore e dalle imposizioni del suo credo e delle sue ideologie.

Un ulteriore aspetto interessante che Silko adotta dalla civiltà maya inserendolo all’interno di Almanac è la questione della divinazione: nei codici maya si afferma infatti che, partendo dall’idea dell’identità dei giorni, sia possibile leggere e prevedere il futuro, “If one understood the identities, or souls, of the days from their last appearance among humans. Certain people in touch with the spirits knew the days, weeks, months, and years intimately and could say exactly whether the days to come were peaceful, full of plenty, or menacing and on the brink of disaster.”26

A proposito della possibilità di prevedere il futuro riconoscendo nel tempo presente i tratti peculiari di alcuni giorni, credo sia interessante aprire qui una breve parentesi su un fatto che ha molto colpito i lettori di Almanac of the Dead e la sua stessa autrice. Il romanzo è ambientato in parte in Chiapas, per quanto

25 Yvonne Reineke, op. cit., p. 74. (Corsivo mio.)

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riguarda le sezioni che seguono le vicende di alcuni personaggi intenti nella preparazione della rivolta indigena che darà il via alla riconquista del continente americano da parte dei nativi. Durante la rivolta zapatista realmente scoppiata in Chiapas nel 1994, i guerriglieri dell’Ejército Zapatista de Liberación Nacional, guidati dal subcomandante Marcos, occuparono alcune città del Chiapas meridionale, battendosi per il riconoscimento del diritto delle popolazioni indigene di intervenire nel governo delle proprie terre. Ricordiamo che il romanzo fu pubblicato nel 1991, e la scrittrice fu intervistata da molti giornalisti riguardo l’insolita e sorprendente “coincidenza”:

Silko herself is delighted and amused that Almanac of the Dead seems to have predicted the unanticipated 1994 emergence of Mayan Zapatistas in Chiapas. […] When the book was published in 1991, despite the extreme inequality of land distribution and the brutality of land bosses in Chiapas (all well described by Silko), there were no indications that organized resistance would erupt there.27

L’abituale nota dell’editore che recita “This is a work of fiction. Names, characters, places, and incidents […] are the product of the author’s imagination, […] and any resemblance to actual persons, living or dead, events, or locales is entirely coincidental” appare anche in apertura ad Almanac of the Dead, ma acquista qui un nuovo valore. La stessa scrittrice si dice sopresa e meravigliata da questa coincidenza sottolineando la sua estraneità dai fatti, anche se non esita ad esprimere la sua riconoscenza agli zapatisti nel saggio “An Expression of

Profound Gratitude to the Maya Zapatistas, January 1, 1994”.28

Almanac was widely read in Chiapas in the three-year period between its publication and the outbreak of the rebellion. An endorsement from Silko appears on the cover of Subcomandante Marcos’s collection Shadows of Tender Fury. […] Did the book inspire the rebels? Certainly. Did it create the rebels? Certainly

27 Daria Donnelly, “Old and New Notebooks: Almanac of the Dead as Revolutionary

Entertainment”, in L.K. Barnett, J.L. Thorson (eds.), op. cit., p. 247.

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not. Was Silko aware of the rebels emerging in the years before they went public? Not consciously.29

Quello con l’insurrezione zapatista realmente avvenuta nel 1994 non è l’unico “Striking parallel”30 tra la finzione del romanzo e la realtà identificato dai lettori di Almanac:

A further foreshadowing, unnoticed by Silko, is the likeness between the peaceful mass march northward of indigenous peoples under the twin brothers that occurs in the last section of the novel and three unprecedented indigenous mass marches in Chiapas that occurred after the book’s publication: most especially the northward moving 1992 “Ant March” from Palenque to Mexico City in which indigenous peoples asserted their rights to land and self-government. The

prophetic tenor of Almanac and its handling of contemporary events breeches the

boundary between the world of the book and the world in which the reader lives so successfully that the novel becomes a credible means by which to interpret ongoing global events.31

Credo che quest’ultima affermazione sia interessante perché pone l’accento sulla linea sottile che separa il mondo fittizio del romanzo da quello reale in cui vive il lettore, sottolineando come questa barriera sia esile e facilmente permeabile. Non credo di esagerare nell’affermare che il rapporto così stretto tra i due mondi sia stato effettivamente voluto da Silko; il romanzo non deve solo narrare delle storie inventate, ma deve agire sul lettore e sulla sua coscienza.

Per i Maya era di fondamentale importanza conoscere e riconoscere l’identità del tempo in cui vivevano per poter essere preparati all’arrivo dei tempi futuri: “All anyone could do was recognize the traits, the spirits of the days, and take precautions.” (251)

The novel Almanac of the Dead enacts the functions of the notebooks and old manuscripts in the possession of Lecha and Zeta; that is, the novel prophetically

29 T.V. Reed, op. cit, p. 34. 30 Ivi.

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maps “the identity of days and months to come” and the identity of the present moment. Like Zeta and Lecha with their notebooks, the reader, through acts of memory, is called upon to transcribe and decode the identity of the present threaded through the novel’s multiple, shifting, and intersecting narratives.32

Se (come suggeriscono i codici maya e lo stesso Almanac) i giorni sono vivi e sono destinati a tornare ciclicamente, allora i tempi a venire possono essere previsti, “And hence people can be forewarned.”33 Come i personaggi di Almanac cercano nelle storie, nel loro passato e nel loro presente dei suggerimenti per il futuro, allo stesso modo il lettore deve decifrare i segni dell’epoca in cui vive, per riconoscerla e per prepararsi ai giorni a venire. “We, as readers, become part of the text –we, too, have been warned. Through the […] larger narrative of the

Almanac of the Dead, we become an integral part of the story by reflecting on our

responsibilities to understand our place in time and space.”34

3.2 Frontiere spaziali

Nella riflessione sul tempo e sulle diverse concezioni che lo riguardano, abbiamo avuto modo di notare come la conquista e la dominazione di determinati territori e popolazioni sia sempre accompagnata dall’imposizione delle idee e del credo del colonizzatore, con il conseguente stravolgimento dei pensieri e dei principi fondanti sui quali si sono sviluppate le culture autoctone nel tempo precedente l’occupazione.

All’interno di questo discorso occupa una posizione di rilievo un’altra concezione che è stata stravolta nel contatto tra colonizzatori bianchi e le popolazioni native americane, ovvero il rapporto con la terra e lo spazio.

32 Yvonne Reineke, op. cit., pp. 72-3. (Corsivo mio.) 33 Ibidem, p. 77.

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Nell’avvicinarsi alle questioni riguardanti le letterature americane si fa puntualmente riferimento al concetto di frontiera, tematica che sta alla base di tutte le riflessioni sulla produzione artistica e culturale di quelle culture che vengono oramai definite come ‘minoranze’.

A partire dal XVII secolo la frontiera è un concetto dinamico in perenne espansione, e rappresenta quella linea immaginaria in continuo movimento da est (dal Massachusetts, dove sbarcarono nel 1620 i padri pellegrini) verso ovest, che segue l’esplorazione e la conquista dei territori. Nella visione europea la frontiera implica sempre un confine, una separazione, ed è questa la concezione applicabile all’incontro tra i colonizzatori bianchi e le popolazioni autoctone nel continente americano, fin dai primi contatti.

Le riflessioni sulla frontiera e sulla storia coloniale sono necessarie per la comprensione dei processi che hanno portato allo situazione attuale del continente americano: “The long hi/story of colonialism is crucial because it tells of the creation of the current global division of land and labor along lines of race, ethnicity, region, and gender.”35 Per questo motivo, il concetto di frontiera e della sua evoluzione rimangono nell’interesse degli studiosi della letteratura americana, delle minoranze e non solo. Nel presente lavoro si analizzeranno brevemente le considerazioni a questo riguardo del filosofo francese Étienne Balibar e di Gloria Anzaldúa, scrittrice e studiosa chicana.

Nel saggio “World Borders, Political Borders”,36 le riflessioni di Étienne Balibar sul tema della frontiera nell’area europea possono essere applicate anche alla zona di confine tra Messico e Stati Uniti. Il filosofo sostiene che il concetto di

35 T.V. Reed, op. cit., p. 27.

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frontiera elaborato nel XVII secolo (in cui il confine serviva per dividere il territorio, costituendo un centro gerarchicamente più importante rispetto alle zone marginali) stia cambiando di significato e sia dunque oramai obsoleto; mette poi in discussione la nozione stessa di centro, affermando che non sia più corretto farlo coincidere con il centro politico e delle autorità di un territorio.

Per Balibar, la nuova nozione di centro deve considerare le persone e i territori in cui si sta formando una nuova cittadinanza e una nuova identità, e deve indicare “The sites where a people is constituted through the creation of civic consciousness and the collective resolution of the contradictions that run through it.”37 In questa concezione, la periferia e la frontiera acquistano un notevole valore, diventando le zone di maggiore interesse: “Borders areas – zones, countries, and cities – are not marginal […] but rather are at the center.”38

La frontiera smette di essere semplicemente il punto in cui due regioni si toccano (“We are dealing with ‘triple points’ or mobile ‘overlapping zones’ of contradictory civilizations rather than with juxtapositions of monolithic entities”39) e diventa lo spazio per un’identità nuova, la “Citizenship of borders.”40 In quest’ottica è necessario e obbligatorio abbandonare il sistema di esclusione tipico delle dominazioni che divide le maggioranze e le minoranze, per appropriarsi invece della zona della frontiera; in questo modo anche il concetto della frontiera come confini politici di spartizione della terra viene superato.

37

Ibidem, p. 72. (Corsivo mio.)

38 Ivi.

39 Ibidem, p. 74. 40 Ivi.

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La tematica della frontiera viene affrontata anche dalla scrittrice chicana Gloria Anzaldúa in Borderlands – La Frontera: The New Mestiza41, uno dei testi più rilevanti in questo discorso. Gloria Anzaldúa si concentra sulla frontiera che separa Stati Uniti e Messico e sulla questione dell’identità di quelle popolazioni che improvvisamente si sono trovate intrappolate, ad occupare uno spazio al di qua o al di là di una nuova linea di confine e di separazione, in questo caso tra Messico e Texas, che nel Trattato di Guadalupe Hidalgo del 1848 venne fissata sul Rio Grande. Come stabilito nell’articolo 8 del trattato, i messicani che occupavano la zona in questione prima del 1848 avrebbero potuto scegliere se diventare a tutti gli effetti cittadini statunitensi, o se mantenere la cittadinanza messicana.42

Anzaldúa si concentra su questa forzatura, sull’obbligo di schierarsi da una parte o dall’altra della linea, non solo scegliendo una lingua piuttosto che un’altra, ma rifiutando così una parte di sé, che da un momento preciso deve essere sentita come estranea e dunque respinta. La studiosa chicana divide il concetto di frontiera in due accezioni: usa il termine border per indicare la “Dividing line, a narrow strip along a steep edge”43 che separa nettamente due territori. Il termine

borderland non ha niente a che vedere con una separazione fisica precisa e

definita, trattandosi invece di un “Vague and undetermined place created by the

41 Gloria Anzaldúa, Borderlands – La Frontera: The New Mestiza, San Francisco, Aunt Lute

Books, 1987.

42 Si veda il testo dell’articolo 8: “Mexicans now established in territories previously belonging to

Mexico, and which remain for the future within the limits of the United States, as defined by the present treaty, shall be free to continue where they now reside, or to remove at any time to the Mexican Republic. […] Those who shall prefer to remain in the said territories may either retain the title and rights of Mexican citizens, or acquire those of citizens of the United States.” http://avalon.law.yale.edu/19th_century/guadhida.asp#art8 (Ultimo accesso: 11/05/2013)

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emotional residue of an unnatural boundary. It is in a constant state of transition.”44

Anzaldúa si riferisce alla frontiera tra Messico e Stati Uniti come una ferita aperta, e prima che questa possa risanarsi “It hemorrhages again, the lifeblood of two worlds merging to form a third country – a border culture.”45 Per la scrittrice chicana, la frontiera acquista un’identità propria, e passa a indicare un luogo altro: “The prohibited and forbidden are its inhabitants: […] the squint-eyed, the perverse, the queer, the troublesome, the mongrel, the mulato, the half-breed, the half-dead; in short, those who cross over, pass over, or go through the confines of the ‘normal’.”46

In questa descrizione della frontiera risulta evidente che gli unici abitanti che possono vivere in una zona di questo tipo sono coloro che non appartengono a nessuna delle categorie socialmente accettate e considerate normali; sono identità spezzate, miste, ibride, che trovano il loro posto solamente in una situazione anomala e atipica come quella di frontiera.

In questo discorso si inserisce perfettamente il romanzo protagonista della presente analisi: la zona di confine tra Messico e Stati Uniti occupa una posizione di speciale interesse in sottofondo a tutte le vicende di Almanac of the Dead. Come sottolineato nel lavoro di Gloria Anzaldúa, anche per Leslie Marmon Silko la zona di contatto tra il Messico e gli Stati Uniti acquisisce una piena identità, che non risulta semplicemente dalla somma di alcune caratteristiche prese da entrambe le aree che qui si incontrano.

44 Ivi. 45 Ivi. 46 Ivi.

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E meglio, il fatto stesso di trovarsi in un luogo così singolare ed inconsueto è il motivo che sta alla base della nascita dell’identità di una determinata e nuova tipologia di esseri umani: è questo il panorama disegnato da Leslie Silko. “Multiple identity boundaries produce non-standard knowledge. This shuttling in-between frontiers […] is a working out of and an appeal to another sensibility, another consciousness of the condition of marginality: that in which marginality is the condition of the center.”47

Come per Balibar, anche per Silko il nuovo centro da considerare protagonista è quello costituito dai luoghi dove le contraddizioni non si limitano a convivere, ma si risolvono, dando vita a una identità ibrida. “Almanac of the Dead expands the conceptual ground for borderland identity, suggesting that many forms of decentralized knowledge might function to engender hybrid identity.”48

Il ritratto dell’insieme di personaggi composto da Leslie Silko in Almanac

of the Dead ricorda molto da vicino la descrizione degli abitanti della frontiera

fatta da Anzaldúa in Borderlands – La Frontera. I personaggi di Almanac sono anime perse, a cavallo tra la vita e la morte, tra il mondo delle tradizioni e la modernità, tra il passato e il presente, immersi in culture ibride e dai valori alterati: ad esempio, il contrabbando di armi e di droga viene giustificato per la preparazione dell’insurrezione delle popolazioni native. Sono politici corrotti, contrabbandieri di merce, di organi umani e persone attraverso la frontiera, torturatori, tossicodipendenti, prostitute, pervertiti, spacciatori, aristocratici che sognano l’estinzione di ogni essere umano a loro inferiore. “Silko situates her dystopic, chaotic novel in the contested locations straddling national, ethnic,

47 Michelle Jarman, “Exploring the World of the Different in Leslie Marmon Silko’s Almanac of

the Dead”, MELUS, 31, 3, 2006, p. 162.

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corporeal, and ideological boundaries.”49 Attraverso le vicende di questi personaggi Silko porta la nostra attenzione sulla “Hybrid nature of social and individual identities as a means of investigating the liminal spaces of la

Frontera.”50

Abbiamo già avuto modo di accennare al fatto che Almanac si apre con una mappa disegnata dalla stessa autrice: la zona rappresentata è la parte di territorio in cui Messico e Stati Uniti si incontrano, eppure “It labels only Mexico, not that other place even farther from God.”51 Sono segnati i nomi di alcune città, e il centro risulta essere Tucson; da qui nascono e arrivano delle frecce, lungo le quali troviamo elenchi di nomi dei personaggi, che stanno ad indicare la direzione presa dalle loro vicende. La mappa contiene inoltre dei riferimenti a luoghi e zone non contenute nella stessa, ampliando così lo spazio di azione. In quattro riquadri vengono sintetizzate alcune tematiche importanti nel romanzo, come l’assurdità della presenza di una frontiera, il futuro predetto dalle profezie maya, il valore degli almanacchi per la divinazione e la condizione della città di Tucson.

La mappa non serve solamente come supporto e aiuto al lettore per riordinare i luoghi e le strade seguite dalle vicende dei personaggi, ma amplia le storie contenute in Almanac nel piano temporale, facendo riferimento ad avvenimenti del passato e del futuro, come ad esempio per quanto contenuto nei riquadri inerenti la divinazione degli almanacchi e il futuro delle profezie: “The map […] undoes the very idea of clear distinctions or borders between the past,

49 Ibidem, p. 147. 50 Ivi.

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present and future.”52 Anche il piano spaziale viene ampliato, non solo per mezzo delle frecce e della presenza nella mappa di nomi di luoghi lontani dalla zona delle frontiera,53 ma anche grazie al particolare indice in apertura a Almanac, in cui i capitoli vengono divisi dapprima in sezioni intitolate Books, per poi essere a loro volta ripartite in sei parti, quattro delle quali portano il nome di stati e continenti non necessariamente vicini alla frontiera tra Messico e Stati Uniti: questi sono The United States of America, Mexico, Africa, The Americas.

Nella mappa in apertura al testo risalta una linea nera che taglia orizzontalmente in due parti il territorio: la frontiera è sempre presente sullo sfondo delle vicende che costituiscono il romanzo.

The major framing devices of Almanac of the Dead, a Table of Contents and a visual map, set into motion this novel’s dismantling of the way in which the so-called Western hemisphere has been carved into nation-states with borders imagined as natural and eternal and the way in which some versions of this map attempt to naturalize a hierarchy of these nation-states and the cultural variety within them.54

La divisione dei territori e la creazione delle frontiere sono sempre stati strumenti utili al colonizzatore per l’imposizione del proprio dominio sulle terre conquistate, non solo perché disegnando delle linee di confine si delimita uno spazio sul quale poter legiferare, ma anche perché assieme alla divisione si crea automaticamente una differenza tra gli occupanti delle due diverse zone che circondano la frontiera. In questo modo si stabiliscono dei rapporti gerarchici tra i popoli, tra le culture diverse, tra i modi differenti di concepire il mondo, di

52

Virginia E. Bell, “Counter-Chronicling and Alternative Mapping in Memoria del Fuego and

Almanac of the Dead”, MELUS, 25, 3-4, 2000, p. 18.

53 Ivi: “It points to and labels other places beyond the pages’ contours.” 54 Ibidem, p. 17.

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rapportarsi con la terra: “The colonizing process […] labeled some people (and some economic practices) ‘primitive’, ‘underdeveloped’, and ‘inferior’.”55

Innalzare una frontiera implica l’accentuazione delle differenze tra i popoli, che smettono di essere considerate un valore aggiunto, per essere invece combattute e calpestate. “The very idea of there being essentially, naturally, and eternally different nations is predicated on an epistemological system based on a principle of hierarchical difference; mapping nations is akin to charting racial types.”56

In Almanac of the Dead Leslie Silko condanna l’atteggiamento di disprezzo nei confronti di tutto ciò che è diverso, poiché viene considerato inferiore. Seguiamo la vicenda di Root: conosciamo questo personaggio quando si risveglia dal coma causato da un incidente quasi fatale a bordo della sua moto. Nelle numerose analessi completive del romanzo veniamo a conoscenza del fatto che la famiglia di Root (bianchi, persone per bene) è completamente incapace di sopportare la nuova condizione del figlio, che ha subìto danni cerebrali e fisici nello scontro: “They were afraid when they looked at him. […] They would have been happier if they had buried him. What was Caucasian was perfect, and Root’s skull and brain were no longer perfect.” (621) E ancora, “White people become uneasy when they see cripples or brain damage. […] They believe another person’s bad luck is contagious.” (203)

Eppure è proprio questo incidente che permette a Root di mettere in questione tutti i valori della sua vita precedente: rigetta l’identità caucasica e tutte le implicazioni che questa comporta, prima fra tutte quella di essere

55 T.V. Reed, op. cit., p. 27.

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gerarchicamente più valida delle altre, considerate inferiori. Inizia così un percorso di esilio fisico e psicologico che porta alla distruzione e alla ricostruzione di una nuova identità e di un nuovo senso di appartenenza; Root scopre che “Being around Mexicans and Indians or black people, had not made him feel uncomfortable. Not as his own family had.” (202)

Silko collega la presenza della frontiera con quelle identità o culture considerate inferiori e anormali. Attraverso le riflessioni di Root ci rendiamo conto che sono le minoranze a subire maggiormente il peso e il vincolo della frontiera: “If you weren’t born white, you were forced to see differences; or if you weren’t born what they called normal, or if you got injured, then you were left to explore the world of the different.” (202-3)

Attraverso il personaggio di Root, l’autrice “Suggests that disability might allow one to cross into another form of consciousness, even an alternative cultural identity.”57 Le identità di confine sono quelle che meglio riescono a raggiungere livelli profondi di consapevolezza. Per Leslie Marmon Silko il punto fondamentale per coloro che si trovano in una zona di frontiera (non necessariamente fisica, al contrario, di qualunque tipo) sta nel riconoscere le differenze come valore aggiunto, creando così una nuova identità più completa e autentica.

Understanding multiple, intersecting histories and appreciating different races, sexualities, embodied experiences, and cognitive processes contribute substantially to a more life-sustaining worldview. Exploring the world of the different, to Silko, […] provide[s] the potential for identity mutation.58

57 Michelle Jarman, op. cit., p. 161. 58 Ibidem, p. 166.

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Silko avverte: “Those who can’t learn to appreciate the world’s differences won’t make it. They’ll die.” (203) E ricorda: “Survival had depended on differences.” (202)

A proposito del parallelismo della condizione della frontiera fisica piuttosto che quella psicologica, leggiamo:

Crossing national borders is a larger contextual frame for the psychological transition inherent in the borderlands of ethnicity, sexuality, and disability. For Silko, criminalizing immigration solidifies perceptions of absolute difference, and disallows the relational possibilities represented by an influx of strangers. Border crossing can be a dynamic physical, material process as well as a psychological journey.59

In Almanac sono molte le storie che si sviluppano non solo lungo la frontiera, ma soprattutto che la attraversano. “Throughout the text, storylines erase and replace borderlines”60; le vicende che seguono il contrabbando di armi, di droga e persone, il traffico d’organi, il viaggio di ricchi messicani che cercano di arrivare negli Stati Uniti per cominciare una nuova vita: sono tutte vicende che si sviluppano in apparenza liberamente da un lato all’altro della frontiera, e questo è uno dei modi che Silko utilizza per sottolineare il fatto che in quel territorio lo spazio è unico, intero, non dovrebbe e non può esistere una linea separatrice: l’atteggiamento delle divisioni delle terre è nato in seguito all’arrivo del colonizzatore bianco nel continente americano.

Il pensiero risalente ai tempi precedenti alla colonizzazione dei popoli nativi è legato al rapporto con la terra, che viene sentita come parte di sé, unica, inseparabile e non soggetta a strane leggi di divisione e spartizione, ed è così espresso in uno dei passi a mio avviso più belli di Almanac, espresso per bocca di

59 Michelle Jarman, op. cit., p. 165. 60 T.V. Reed, op. cit., p. 37.

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un vecchio nativo, curiosamente impegnato nel traffico di armi e droghe attraverso la frontiera:

We don’t believe in boundaries. Borders. Nothing like that. We are here thousands of years before the first whites. We are here before maps or quit claims. We know where we belong on this earth. We have always moved freely. North-south. East-west. We pay no attention to what isn’t real. Imaginary lines. Imaginary minutes and hours. Written law. We recognize none of that. And we carry a great many things back and forth. We don’t see any border. We have been here and this has continued thousands of years. We don’t stop. No one stops us. (216)

Questo rapporto con la terra viene rivalorizzato da Silko, che sceglie ancora una volta di utilizzare le storie per riportare ai valori e al sentire precedenti la conquista:

Through a narrative foregrounding of the histories of indigenous people who consider the US-Mexican border to be illegitimate – especially after the broken promises of Guadalupe Hidalgo – she attempts to destabilize what she calls the ‘nation-state fiction’ of cohesive national perspectives and identities.61

Riaffermando l’impossibilità e l’assurdità di tentare una divisione del territorio tramite una linea di divisione, la scrittrice ci propone di prendere ispirazione dall’insieme di storie che si sviluppano su entrambi i lati della frontiera, per resistere alla tentazione di dividere gerarchicamente tutto ciò che ci circonda. “Modern resistance stories will […] often be transnational, as they are in Almanac where stories cross many boundaries; […] tribal geo-history trumps

national borders.”62

“The white man had always been trying to ‘control’ the border when no such thing existed to control except in the white man’s mind” (592); le storie devono servire da esempio nel loro viaggiare liberamente attraverso culture diverse, passato e futuro, linee di confine immaginarie. Per la sopravvivenza del

61 Michelle Jarman, op. cit., p. 148. (Corsivo mio.) 62 T.V. Reed, op. cit., pp. 35-6. (Corsivo mio.)

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nostro mondo è necessaria l’eliminazione di rigide frontiere, spaziali e non solo. Come scrive Gloria Anzaldúa, non possiamo più trattenere “Concepts or ideas in rigid boundaries. […] Rigidity means death.”63

La scrittrice chicana e Leslie Marmon Silko ricorrono entrambe alla immagine del mare e dell’oceano per rappresentare la forza dell’autentica natura dell’uomo e l’assurdità del suo tentativo di rinchiudere, spartire e dividere il mondo e i popoli secondo imposizioni contro la sua stessa indole. “The sea cannot be fenced, / el mar does not stop at borders.”64

3.3 Superamento dei confini

Grazie alle riflessioni a proposito del rapporto con il tempo e lo spazio, abbiamo avuto modo di notare che la tematica del confine è centrale nell’interesse di Leslie Silko, occupando una posizione di rilievo nell’insieme di storie che compongono Almanac of the Dead. Si è osservato che non si tratta unicamente della frontiera concepita in senso fisico e spaziale, ma anche del confine temporale tra passato, presente e futuro, che viene reso come estremamente labile e permeabile. Addirittura, Silko suggerisce l’idea secondo la quale non sia possibile vivere pienamente il presente e il futuro (potendoli modificare avvicinandosi sempre più a una effettiva giustizia nella distribuzione dei territori e nel riconoscimento dei diritti delle popolazioni conquistate) senza prima riappropriarsi completamente del passato.

È questo il motivo che giustifica la costante presenza del passato nel racconto delle storie, che viene rievocato attraverso continui parallelismi tra eventi

63 Gloria Anzaldúa, op. cit., p. 101. 64 Ibidem, p. 25.

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passati e presenti, e attraverso le numerose analessi, in cui Silko sceglie di raccontare episodi già avvenuti collocandoli all’interno di un flashback raccontato in discorso diretto, espediente che permette al lettore di avvicinarsi al racconto e di viverlo come in diretta, attribuendo così un’accezione di tempo presente alle vicende del passato. Inoltre, abbiamo già accennato al fatto che l’almanacco in possesso delle sorelle Lecha e Zeta contiene le vicende accadute ai custodi dell’almanacco, che hanno incorporato le loro storie personali e individuali all’interno dello stesso, facendolo diventare così comunitario.

Ponendo il piano temporale del passato allo stesso livello di quello presente, si riportano all’attenzione di coloro che vivono nel presente (e che vengono considerati appartenenti a minoranze stabilite dai colonizzatori) tutti gli episodi delle ingiustizie e delle usurpazioni accadute in un tempo passato, e riprendendone coscienza diventa possibile riappropriarsi della storia e agire per riportare giustizia nel tempo futuro. Leslie Silko infatti “Depicts storykeeping as a form of political activism.”65

Silko emphasizes the remembrance of indigenous communities to highlight the political role played by memory. […] As a result, Silko's characters re-member the past, physically piecing together individual recollections to produce a more rounded and complete 'history' that recognizes all those who have been denied and excluded.66

Le minoranze, i colonizzati e coloro che sono stati esclusi dalla rappresentazione falsata della storia sono gli stessi che, attraverso il ricordo delle loro storie, chiedono che giustizia sia finalmente fatta. L’almanacco dei morti contiene la richiesta di vendetta di coloro che sono morti ingiustamente, ed

65 Mary Ellen Snodgrass, Leslie Marmon Silko: A Literary Companion, Jefferson, McFarland &

Co Inc., 2011, p. 295.

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esigono che la loro morte non venga relegata al passato, ma che continui ad agire nel presente; “The dead are consequently translated to give their lives new meaning.”67

The bones of Silko’s dead […] have resurfaced to emphasize indigenous beliefs that the past is never truly past; that past events can never be fully forgotten; that the past will be always present. Ultimately, the resurfaced bones indicate the impossibility of erasing either the past or the dead, who continue to live in communal memory.68

La scrittrice rende così la presenza dei morti e la loro richiesta di giustizia nel presente e nel futuro: “Yes, the Americas were full of furious, bitter spirits; five hundred years of slaughter had left the continents swarming with millions of spirits that never rested and would never stop until justice had been done.” (424)

Non importa quanto tempo ci vorrà per ottenere giustizia, perché secondo la concezione nativa del tempo una vita o centinaia d’anni sono un tempo comunque breve; ciò che è fondamentale è perpetrare il racconto delle storie, così da potere finalmente combattere le ingiustizie: “Generation after generation, individuals were born, then after eighty years, disappeared into dust, but in the stories, the people lived on in the imaginations and hearts of their descendants. Whenever their stories were told, the spirits of the ancestors were present and their power was alive.” (520)

Il confine tra passato, presente e futuro diventa sempre più labile e permeabile, venendo continuamente superato attraverso le storie, il ricordo del passato e il vincolo che esso mantiene con il presente e il futuro. Almanac of the

Dead si sviluppa sull’attraversamento, sul superamento e sull’annullamento di

rigidi confini e frontiere di diversi tipi:

67 Ibidem, p. 32. 68 Ibidem, p. 33.

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The whole novel is concerned with examining the nature of borders and boundaries; state borders, treaty boundaries, and boundaries between white and Native America; between European religion and Native spirituality; between dehumanization and spiritual wisdom… All these borders, and more, such as those defining prisons, reservations, states, and private property, interact with each other; they are different layers of the geographical border.69

In un interessante articolo sulle frontiere in Almanac of the Dead,70 viene sottolineato un atteggiamento spesso presente nella discussione e nello studio del mondo e della cultura nativa americana, ovvero la tendenza ad idealizzarne i valori e la cultura, riproponendo così antichi pregiudizi creati dal bianco. All’interno del discorso delle molteplici frontiere presenti in Almanac si può aggiungere il confine tra il rapporto con il mondo secondo la concezione occidentale e la spiritualità indiana,

As a discursive border marking the separation between indigenous and non-native ideas of human interaction with the natural world. While this border or “difference” may have some validity, it nonetheless runs the risk of lending credence to familiar stereotypes about the “Noble Savage” who, unlike the crass and utilitarian European, lives in some kind of spiritual and instinctual harmony with the earth.71

La tentazione di rendere la rappresentazione delle diverse culture (in questo caso la nativa e l’occidentale) attraverso dei dualismi manichei secondo semplicistiche categorie di buono/cattivo, spirituale/materiale, è spesso presente nel discorso sulle culture native. Eppure bisogna rifuggire questa tentazione perché, come Leslie Silko sottolinea, è impossibile ragionare secondo dualismi definiti come bene/male, migliore/peggiore, popolazioni native (pure)/popolazioni occidentali (corrotte).

69 Bernie Harder, “The Power of Border in Native American Literature: Leslie Marmon Silko’s

Almanac of the Dead”, American Indian Culture and Research Journal, 24, 4, 2000, p. 98.

70 John Muthyala, “Almanac of the Dead: the Dream of the Fifth World in the Borderlands”,

Literature Interpretation Theory, 14, 4, 2003, pp. 357-85.

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Le popolazioni indigene sono come tutte le altre, c’è una gamma di opinioni politiche, di sentimenti, di reazioni, conflitti, piccoli litigi e meschine gelosie in una comunità Pueblo precisamente come in una italiana o francese. Non siamo esenti da nulla. […] I governi tribali […] sono altrettanto corrotti quanto il governo americano o quello italiano o qualunque altro. […] Il capo del governo tribale Navajo prendeva tangenti dalle compagnie petrolifere. […] Perciò toglietevi dalla testa che una comunità nativa americana si comporterà in modo migliore o diverso.72

Secondo Leslie Silko non è possibile classificare intere popolazioni, culture e modi di rapportarsi con il mondo secondo rigide definizioni. La scrittrice segue questo principio anche in Almanac dove, pur criticando apertamente molti atteggiamenti europei e occidentali (contro cui propone i valori e il sentire nativo) non cede a un superficiale e semplicistico ritratto del mondo. “Almanac of the

Dead eludes Manichaean reductionism even while it resists Eurocentric models of

nation building.”73

Attraverso il suo lavoro Leslie Marmon Silko attenua e indebolisce il confine tra passato, presente e futuro, collegandoli e incatenandoli in uno strettissimo rapporto. Le sue storie si svolgono senza distinzioni da una parte all’altra della frontiera tra Messico e Stati Uniti, confine che viene incessantemente attraversato e superato, come è nella natura stessa dell’uomo. Nella frontiera nasce un’identità ibrida, condivisa da coloro che occupano una posizione anomala e che superano i confini del normale. Bene e male assoluti vengono annullati, così come il severo confine vita/morte: “In the end, the novel suggests, that which may save us is […] working towards restoring the balance of

the interacting forces.”74 Per Leslie Silko il superamento di rigide frontiere è

72

Laura Coltelli, Alessandro Portelli (eds.), “Da Laguna al Chiapas: conversazione con Leslie Marmon Silko”, Ácoma, 11, Estate-Autunno 1997, p. 71.

73 Virginia E. Bell, op. cit., p. 17.

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necessario, per dare così vita a una condizione ibrida e incrociata tra i diversi mondi.

Riferimenti

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