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“L’uomo di qualità” di Lamberto Pignotti

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Academic year: 2021

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“L’uomo di qualità”

di Lamberto Pignotti

L’uomo di qualità, secondo ciclo poetico pubblicato sul quarto numero del

“Menabò”, è una raccolta di trentuno componimenti in versi di Lamberto Pignotti, riconducibile al filone della poesia tecnologica che, insieme a quella verbo-visiva, rappresenta l‟esperienza letteraria peculiare e distintiva dello scrittore-pittore. La produzione poetica di Pignotti può essere infatti associata a due movimenti: quello della Neoavanguardia, o Gruppo 63 (in cui il suo ruolo rimarrà marginale1 soprattutto per la connotazione “tecnologica” impressa alla sua poesia), e quello del Gruppo 70, che lo vede tra i fondatori, vetrina di promozione per la cosiddetta poesia visiva, nata dall‟unione di parole ed immagini. In particolare la seconda esperienza avrà un proficuo successo: il Pignotti successivo agli anni Sessanta e attivissimo fino ai nostri giorni è un convinto promotore della sinestesia nelle arti, esperto di semiotica, artista ibrido tra pittura e poesia, incapace di separare i vari settori della cultura e le loro realizzazioni. Le sua carriera procede rapportando segni e codici di diversa provenienza (linguistici, visivi, uditivi, del comportamento, dello spettacolo); dall‟ attività multimediale e sinestetica nascono le “cine-poesie”, i libri oggetto di plastica, i “drink-poems” e, appunto, le celebri poesie visive, con le quali, attraverso la tecnica del collage, Pignotti rielabora con effetti parodici la dimensione patinata delle riviste di moda e della pubblicità.

L’uomo di qualità può essere invece accostato al genere della poesia

tecnologica, che si inserisce come corrente minoritaria nell‟ambito del Gruppo 63 ed interpreta in modo proprio le istanze di rinnovamento e aggiornamento della lirica promosse dai vari Sanguineti, Giuliani, Pagliarani, Balestrini. Pignotti va infatti oltre la teorizzazione neoavanguardistica dell‟arte “di comunicazione” e “di massa”, dell‟opera aperta, della rottura con i messaggi privilegiati dello scrittore aristocratico ( dove più che ad una democratizzazione della cultura- sostiene Ferretti2- siamo in presenza di “una più o meno consapevole integrazione nella civiltà dei consumi”): egli utilizza l‟arma letteraria della tecnologia- intesa come massificazione della tecnica- contro il mondo tecnologico stesso, ovvero per esprimere l‟assuefazione dell‟uomo ad una

1 Pignotti non è infatti annoverato nell‟antologia fondamentale e fondante del movimento, I Novissimi, edita nel 1961. 2 FERRETTI, La letteratura del rifiuto, p.277

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dimensione massificata ed alienante. Per usare un‟espressione propria dell‟autore, “la poesia tecnologica è la merce rispedita al mittente”3

. Niente a che vedere, quindi, con l‟affermazione con cui Fausto Curi apriva il numero del “Verri” dedicato all‟impegno: “La società neocapitalistica ha accettato l‟arte di avanguardia e l‟arte di avanguardia ha accettato la società neocapitalistica.”4

, che legittimava definitivamente la destinazione commerciale della cultura. Secondo Ferretti, da una simile presa di posizione non poteva che derivare il fatto che le varie istanze “moderniste” del gruppo, non ponendosi come alternative al sistema ma subordinate ad esso, tendevano ad esaurirsi all‟interno delle strutture tradizionali; in sostanza, “quanto più si teorizzava un rifiuto programmatico e totale del vecchio mondo, tanto più se ne restava in realtà prigionieri.”5

Diversa la posizione di Pignotti, che partecipa al Gruppo 63 da outsider6, ovvero ai margini di quello che egli considera un “movimento endoletterario”. Lungi dal configurarsi come un umanista attardato, come dimostrano soprattutto le fasi della poesia visiva e quella pittorica in generale, il nostro autore dedica al problema della letteratura in epoca industriale e a quello del linguaggio poetico molteplici interventi, pubblicati a cavallo tra gli ultimi anni Cinquanta e i primissimi anni Sessanta sulle riviste Quartiere, Nuova Corrente, Letteratura.

Secondo Pignotti, la nozione7 di letteratura tende da sempre a rinnovarsi più per l‟incalzare di processi extraletterari che per l‟effetto diretto di movimenti letterari, ma negli anni del miracolo economico il fenomeno si fa più evidente ed incisivo. La richiesta di cultura e in particolare di letteratura è ridotta a zero in una dimensione massificata dove l‟uomo medio è volto ad appagare solamente i suoi bisogni immediati o quelli superflui che gli permettono di imitare un modello a lungo vagheggiato. Quindi affonda la lama il poeta:

3

Cfr la mia Conversazione con Lamberto Pignotti in Appendice

4 CURI, Il Verri, giugno 1963, pp.12-4 5 FERRETTI, ivi, p.277

6 “Contemporanea a quella dei frequentatori della neoavanguardia formalista […] si è svolta l‟attività di diversi poeti

[…]. Questi poeti mostrano, seppur con incertezze, di considerare la poesia una forma di fruizione – come di una realtà organica- della grande massa di dati cronachistici generici e di dati autobiografici specifici. Nell‟”accadimento” c‟è, per essi, una grande forza di smitizzazione: vi si ancorano, come i sociologi, per vincere i moralismi e le tentazioni irrazionali. La vita privata che descrivono non subisce, se non raramente, le prevaricazioni dei sentimenti; vedono la “storia” non più come una prospettiva di finalità e di ideali, ma come la somma di varie ipotesi di comportamento, di varie “informazioni”; riscoprono nel paesaggio una semplice configurazione ambientale. Constatato il venir meno della rivoluzione, non la definiscono, tuttavia, impossibile. Non idolatrano la tecnologia, ma non ne rifiutano la funzionalità progressiva. L‟attivismo è, per essi, una opzione pacifista sul futuro. Qualche nome? Pagliarani, Pignotti.” CROVI,

Dialogo con la poesia, p.98

7 “Nozione” è termine caro all‟autore, poiché esprime al meglio la parcellizzazione del sapere in epoca industriale. Si

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La colpa di questa situazione va senza dubbio addebitata a coloro che, come suol dirsi, reggono politicamente ed economicamente il destino dell‟umanità (essi hanno del resto tutto l‟interesse a sviare dalla cultura, a favorire l‟ignoranza, a confondere i valori solo in questo stato di cose è possibile la sopravvivenza dei loro privilegi) ma una larga dose di responsabilità va attribuita anche all‟acquiescenza degli uomini che “lasciano fare”, disdegnando nella sostanza ogni questione sociale.8

Le parole di Pignotti testimoniano l’empasse vissuta dallo scrittore in una società che quando non lo osteggia o umilia, lo ignora, e nella quale egli “non può di punto in bianco mettersi a parlare alla massa, a chi ha una morale imparata sui fumetti, una sapienza fatta sui rotocalchi, un‟ideologia acquistata in blocco.” 9

L‟intellettuale dovrà allora limitarsi a parlare ad un circolo ristretto di persone colte, capaci di avere altri interessi oltre a quelli imposti dalla quotidianità, che a loro volta agiranno sulla massa.

Ogni società richiede un diverso modo di fruizione. La società tecnologica, di massa, richiede che la poesia lasci i suoi nascondigli (che possono anche essere adorabili) per scendere in piazza. Dicono i soliti obiettori: ma la massa la capirà? La domanda sottintende altezzosamente che sull‟altro piatto della bilancia sta invece un‟elite dai sensi privilegiati che comprende ad esempio tutto Dante o tutto Montale. Va risposto allora: la fruizione avviene per gradi successivi, e presuppone un‟abitudine (che va coltivata, naturalmente). Siccome l‟abitudine alla lettura di poesia non c‟è, essa va in qualche modo imposta. Insomma: mettetegliela sotto gli occhi oggi. La leggeranno domani. La capiranno domani l’altro.10

Anche se per imposizione o per interposta persona, per Pignotti l‟imperativo è quello di ristabilire un “rapporto vivo tra letteratura e società”, che potrà realizzarsi solo dopo una revisione del modo di guardare e sentire.

Colui che legge oggi una poesia o un romanzo vuole in qualche modo ritrovarsi in essi, vuol riconoscervi il mondo che ha sott‟occhio, attende risposta ai suoi interrogativi. […] Per avere delle probabilità di farsi leggere ancora, occorre […] proporre elementi tematici e stilistici in modo da suscitare nel lettore una reazione prima di interesse e poi di rispetto. Occorre parallelamente agire sul complesso delle convenzioni e dei gusti di chi legge: far della letteratura significherà anche, fuori da ogni accezione paternalistica, insegnare, educare […].11

L‟esigenza di una più stretta funzionalità sociale e di una maggiore apertura comunicativa da parte della letteratura si traduce per il poeta-pittore fiorentino in una

8 PIGNOTTI, Letteratura e società oggi in Istruzioni per l’uso degli ultimi modelli di poesia, op. cit., pp 8-13 9

PIGNOTTI, ivi, p.10

10 PIGNOTTI, Inchiesta sulla letteratura d’avanguardia, p.52

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riflessione essenzialmente formale12, che mira a rivoluzionare –andando quindi al di là delle istanze ammodernatrici del Gruppo 63- il linguaggio poetico (ed è qui che si creano le premesse per una poesia “tecnologica”). Per l‟autore esiste in poesia un problema di rinnovamento puramente linguistico, indipendente cioè dai contenuti: il linguaggio poetico, eretto con successive e ormai innumerevoli stratificazioni sul linguaggio comune, rischia ad un certo punto di perdere il contatto con le basi di quest‟ultimo e di determinare un deleterio anacronismo ed una frattura fra chi scrive e chi legge. “Si avverte […] l‟esigenza di passare un‟altra volta dal latino al volgare. Quando lo stile dello scrittore non si limita ad essere uno stile da élites, per iniziati, di specialisti, per iniziati, di specialisti per specialisti; quando questo stile può assumere il metodo e le caratteristiche delle comunicazioni di massa, allora è possibile, al limite, che questo stile incida anche su tempi brevi”13.

Il recupero da parte della letteratura delle funzioni di socialità e comunicabilità si lega quindi, per Pignotti, alla convertibilità dei linguaggi tecnici, tra cui quello poetico, in linguaggio comune, al fine di spezzare quella separatezza tra mondi che aveva come controparte l‟autoisolamento del poeta dal mondo. Abolite le tendenze “autonomistiche” del linguaggio poetico, che associavano l‟oscurità della comprensione alla profondità (allusioni, evasioni, equivocità, virtuosismi), le nuove esigenze sintattiche privilegiano l‟agilità e l‟immediatezza delle proposizioni. Alla ridondanza dell‟ipotassi si sostituisce la semplicità della paratassi, prevale l‟impiego dei modi indicativo ed infinito, il quale, partecipando alla categoria dei sostantivi, contribuisce ad una generale deverbalizzazione del linguaggio poetico e, per contro, ad una prevalenza delle frasi nominali, da cui consegue una maggiore concretezza semantica. Il periodo viene ad assomigliare ad una linea spezzata che cela pleonasmi e omissioni di parti del discorso; un verso può corrispondere ad una frase come ad una parola.

Ed ecco il punto focale: sintatticamente il linguaggio poetico va ricalcando- con la dovuta cautela e i debiti adattamenti- la struttura di altri linguaggi tecnici (commerciale, giornalistico, telegrafico), più pragmatici e quindi più vicini al nuovo target di lettori. Non solo, ma riducendo al minimo l‟azione del verbo e la presenza dell‟aggettivo, delle subordinate, delle figure retoriche, la frase tende ad assumere

12

Gli obiettivi pragmatici della poesia tecnologica sono i soliti della poesia visiva, che mira a trasformare il fruitore passivo in fruitore attivo e consapevole. Il bersaglio dei poeti visivi è il linguaggio-cosa, il linguaggio ridotto a feticcio, a strumento di persuasione ed obbedienza, a fonte di profitto per la classe borghese capitalista, ad oggetto di consumo, alienato ed alienante, in quanto prodotto sociale reificato. Si stabilisce in questo modo l‟equazione “lotta poetica=lotta politica”. Cfr PICCHIONE, Le metamorfosi della poesia: gli esperimenti visivi del Gruppo 70, pp 43-44

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quella forma condensata ed essenziale tipica di forme sub-letterarie come la sentenza, l‟epigrafe, il motto, il proverbio, l‟intitolazione, lo slogan (politico o pubblicitario). Ne sono la riprova il totale disinteresse per la metrica e il trionfo del verso libero, anzi liberissimo, oscillante tra forme molto brevi ed altre eccedenti l‟endecasillabo, come in Sereni. L‟innovazione formale di Pignotti vede quindi la scomparsa della linea di demarcazione tra linguaggi tecnologici e linguaggio poetico; per l‟autore, infatti, le regole che sottostanno alla formazione di un messaggio pubblicitario piuttosto che letterario sono identiche, identiche le finalità persuasive, differente soltanto il medium attraverso cui si diffondono. Se il linguaggio vuole uscire dalla condizione di astrazione metafisica in cui la poesia proveniente dalla torre d‟avorio (Vittorini direbbe “la bella letteratura”) lo ha relegato, e farsi “realizzazione di una società in una determinata situazione storica”, dovrà essere “più aderente alle condizioni concrete che definiscono la conoscenza umana”.14

Che si tratti di un compromesso non v‟è dubbio; tuttavia lo strumento linguistico riformato e tecnologizzato viene poi utilizzato dall‟autore in polemica con lo stesso mondo evoluto a cui il poeta deve adeguarsi. Già da questa scelta capiamo che Pignotti non può aderire al neoscientismo del tardo Vittorini: se la forma è rinnovata, lontana dai limiti pre-industriali tanto aborriti, è unicamente in funzione parodica verso quella società che permette ad un poeta di sopravvivere solo restaurando se stesso e la sua funzione, ovvero diventando paroliere e pubblicitario, grafico e compositore di collage.

Variati quindi i parametri che definiscono il linguaggio poetico, resta da chiedersi cosa renda una poesia tecnologica “realista”, e se L’uomo di qualità possa definirsi tale. Sereni rifiutava l‟attributo di “elegiaco” per il suo poemetto, ponendo l‟accento sul carattere mimetico: Una visita in fabbrica veniva dunque ad essere la trasposizione in versi di un‟esperienza personale realmente accaduta e ad essa l‟autore riservava un posto in piedi nel contesto del “realismo”. Ma secondo Pignotti, mutatis

mutandis, si può

[…] cominciare a parlare di realismo in poesia quando ci si trova di fronte a un testo fondato su un rapporto di intersoggettività. Intendo dire che non si può veramente parlare di realismo finchè il poeta non scrive per comunicare; il poeta realista non si limita all‟operazione di produrre versi ma si pone anche dalla parte del consumatore [sic! Non “lettore”] chiedendosi se i versi che sta facendo possano stimolare l‟altrui interesse.

14 PIGNOTTI, Aspetti e tendenze dell’attuale linguaggio poetico, in Istruzioni per l’uso degli ultimi modelli di poesia,

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Fatta questa preliminare osservazione appariranno sufficientemente motivati i due coefficienti ideologio-estetici che sinteticamente a parer mio possono fornirci gli estremi del poeta realista: a) un impegno prima culturale e secondariamente estetico, che si traduce in un procedimento poetico teso non a carezzare l‟orecchio ma a educare e far conoscere […] b) un interesse fattivo per i problemi d‟ordine linguistico, che comporta il rifiuto di ogni mero virtuosismo lessicale-sintattico ma non di uno stile personale e l‟inserimento attivo dell‟opera nell‟istituto linguistico nel senso della comunicazione.15

La teoria fondamentale del poeta fiorentino sul realismo in poesia annulla la distinzione tra linguaggio poetico e linguaggio comune (si ricordi come il netto rifiuto dello stile alto e l‟assunzione indiscriminata del gergo quotidiano abbia costituito uno dei motivi di debolezza del Neorealismo), promuovendo quindi la “soppressione di quel particolare privilegio per cui, ad esempio, il sostantivo rosa ha più probabilità di entrare in un contesto poetico del sostantivo frigorifero”. La poesia che adotta il linguaggio comune (che – specifica Pignotti- non è un‟entità omogenea e ben catalogabile) deve però, in secondo luogo, rinnovare anche i propri contenuti, inglobando gli eventi presenti nel mondo, nei libri, nei giornali, ovvero i temi che emergono dalla quotidianità, non tanto per questioni estetiche, quanto per finalità pragmatiche. Il nuovo contenuto “risulterà più proficuo quando non sarà preso di per se stesso, ma tenderà a rappresentare un invito all‟azione, un‟ipotesi di lavoro, una propensione verso i problemi posti dalle reali condizioni del tempo”.16

Tale concezione della poesia è ben condensata da Raffaele Crovi nella Notizia su

Lamberto Pignotti, che segue L’uomo di qualità nel quarto numero del “Menabò”,

mutuandone temi e implicazioni extraletterarie. La storia della letteratura- scrive Crovi- “non rispecchia solo il cambiare del gusto degli scrittori, ma è data anche da una serie di ragioni storico-ideologiche, e appunto la convinzione che le ragioni letterarie vivano in simbiosi con quelle extraletterarie porta Pignotti a considerare la poesia elemento

costitutivo di una futura cultura democratica. Le finalità della poesia sono, per lui,

prima di ordine socio-culturale che estetico: la sua opera tende ad essere non tanto poesia-poesia, quanto poesia-saggio, poesia documento. Per ottenere questa realizzazione […] si serve del costrutto di frasi popolari, di annunci pubblicitari, di slogan e di titoli giornalistici, di definizioni tecnico-scientifiche, etc. Il risultato è una poesia discorsiva, concettuale, assiomatica: ogni sua lirica è un profilo mentale tendente ad oggettivare, in una sintesi definitoria, un giudizio storico-politico, o social-politico, o

15 PIGNOTTI, Realtà e tradizione formale nella poesia del Dopoguerra, in Istruzioni per l’uso degli ultimi modelli di

poesia, pp.30-37

16 PIGNOTTI, Contenuti nuovi e contenuti rinnovati ovvero il “frigorifero” e la “rosa” in Istruzioni per l’uso degli

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semplicemente ideologico o, infine, esistenzialistico.”17

In altri termini, l‟autore prende in prestito frammenti di enunciati usati dai media e poi ne sabota il messaggio originale, giustapponendoli in sequenze incoerenti o provocatorie.

La parola logorata dall‟uso del linguaggio comune, la frase fatta, il luogo comune, la proposizione di un gergo o di un linguaggio specializzato opportunamente dislocati in un componimento poetico tendono a perdere le loro originali attribuzioni e si caricano di implicazioni polivalenti18.

La poesia tecnologica è quindi il risultato di un processo di estrazione-astrazione per il quale il poeta ricalca i moduli e preleva il materiale linguistico da un universo di discorso che usualmente non è di sua pertinenza e che egli utilizza in modo demistificante. Ne deriva una letteratura che ha la sua ragione d‟essere solo in funzione polemica: per usare le parole di Aldo Rossi, “come i comico-realisti del „300 esistono in funzione antistilnovistica, Pignotti esiste contro una tradizione di poesia (da parte sua direbbe: “universo di discorso”) che non trova corrispondenze adeguate nel mondo d‟oggi.”19

Il metodo-guida della poesia tecnologica, che mira ad una critica della società capitalistica e dei suoi effetti di spersonalizzazione, omogeneizzazione e artificialità, opera su almeno due livelli. Per quanto riguarda il testo poetico in sé, la discontinuità degli enunciati e dei frammenti lascia perplesso il lettore, e al tempo stessa vale come metafora per la confusione di messaggi che intasano i canali della comunicazione. A livello del rapporto tra testo e titolo, l‟autore crea un sottoinsieme di connotazioni inventando nomi per i suoi collage di frasi.20 Eccone un illuminante esempio, dal valore anche metapoetico, facente parte della raccolta L’industria poetica del 1961-61:

Prima di decidere quale via prendere provate ad interpellare la Poesia.

Diecine di imponenti gruppi industriali. Centinaia di stabilimenti di produzione. Migliaia di tecnici e specialisti. Milioni di prodotti.

Miliardi spesi per le ricerche. Questa è la Poesia.

17 CROVI, Notizia su Lamberto Pignotti in “Menabò” n.4, 1961, p.152 18 PIGNOTTI, Istruzioni per l’uso degli ultimi modelli di poesia, .p.28 19

ROSSI, Letteratura e civiltà industriale, in “Paragone” a. XII, n.144, 1961, pp. 118-119

20 FEDERICI, The Technological Poetry of Lamberto Pignotti, in CAPOZZI, Scrittori, tendenze letterarie e conflitto

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La Poesia ve lo dice prima. La Poesia ve lo dice meglio21.

A questo ambito appartiene anche L’uomo di qualità, che si distingue dal poemetto di Sereni per il fatto di deviare apparentemente dalla condizione contingente alla fabbrica a quella che nasce sì dallo sviluppo economico “all‟italiana”, ma arrivando poi a coinvolgere tutti gli aspetti della vita, la percezione dell‟amore, della natura, dei valori. La raccolta non calca alla lettera il tema impostato da Vittorini, ovvero evita, riuscendovi, di contenere le parole fabbrica o industria; l‟approccio è di tipo sociologico-culturale, con parti fortemente icastiche (complice la vena pittorica di Pignotti) ed altre altrettanto oscure. La raccolta si fa piuttosto portavoce di alcune esigenze esistenziali dell‟individuo smarrito nella civiltà capitalistica degli anni Sessanta, come il senso dell‟esserci, la riassunzione del cielo e della natura in un orizzonte esclusivamente umano, la fuga dalla sbrigatività e dalla intercambiabilità implicite nell‟uso dell‟indeterminato cosa. Ferretti nota infatti come le trentuno poesie siano ordinate secondo un “ideale curriculum”: “dalla lucida satira delle mistificazioni capitalistiche alla contemplazione disperata del supersfruttamento e dell‟alienazione; dal senso di vuoto della religione della tecnica ai complessi di colpa dell‟intellettuale verso gli sfruttati e verso la realtà non posseduta” fino, aggiunge chi scrive, al possesso di una consapevolezza solida e fiera.

Tuttavia, sempre secondo Ferretti, “questo approdo all‟impegno, alla volontà di essere storia, di calarsi nel mondo per modificarlo, ha qualcosa di astratto, di programmatico, e non si fa indicazione di ricerca, anche se è indubbio che rappresenti una tappa interessante nella maturazione morale e poetica di Pignotti, come preludio ad una presa di coscienza più intima e concreta.”22 Il critico non è l‟unico a notare un‟aporia di fondo in questa raccolta: anche Giovanni Raboni, pur riconoscendone la “rischiosa attualità”, evidenzia come in realtà si tratti “di un‟attualità enunciata e non applicata, di un rapporto in qualche modo preliminare, astrattamente e accanitamente preparatorio (o sostitutivo?) di un qualche rapporto più sostanziale del quale, a un certo punto del libro23, si comincia a sentire quasi fisicamente la mancanza”24

21 PIGNOTTI, Nozione di uomo, p.137 22

FERRETTI, Industria e letteratura, p.937

23 Il riferimento è a Nozione di uomo, nel quale confluiscono i componimenti del meno noto L’uomo di qualità. 24 RABONI, Un’esperienza di confine, p.63

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Chi scrive sente di poter condividere con entrambi quell‟impressione di irrisolto, quasi di vacuo che lascia la lettura delle trentuno poesie di Pignotti, come se la tensione polemica non fosse ben mirata e non raggiungesse quindi il suo scopo. I versi si susseguono come slogan e frasi fatte accostati l‟uno all‟altro, quasi ripetitivi e mai del tutto esplicativi, limitati ad una generale indefinitezza da cui il lettore si salva solo ( e in parte) grazie all‟interpretazione fornita dai titoli. “Naturalmente – continua Raboni – non è che Pignotti, dopo aver instaurato un rapporto di attualità con certi aspetti formali del suo tempo, non riesca a instaurare un rapporto analogo con la realtà sostanziale che sta dietro a quegli aspetti, li produce e li supera continuamente; la verità è che non vuole farlo […]”25

. Questo perché, da antineorealista qual è, è convinto che gli aspetti formali della realtà tecnologica esauriscano la realtà stessa, o che ne siano gli unici aspetti concretamente e utilmente aggredibili da uno scrittore. D‟altro canto, pesa su Pignotti l‟accusa di aver scambiato la poesia per la poetica, ovvero di aver identificato la prima con “la propria forma, il proprio programma tecnico, la figura espressiva concretamente risalente dall‟insieme delle scelte linguistiche, metriche, di orizzonte figurativo etc. in essa operanti”26. Ne deriva, secondo l‟interpretazione di Raboni, che una volta espresso

con funzionale chiarezza questo programma, per il poeta non vi sia altro di possibile e comunque di serio da fare.”27

In assenza di una critica e di interventi specifici dello stesso autore su L’uomo di

qualità, recuperato senza modifiche al testo ma allo stesso tempo scorporato dalla sua

originale struttura in Nozione di uomo (1964), l‟analisi e l‟interpretazione dei componimenti che seguiranno trovano conforto nelle numerose opere saggistiche scritte da Pignotti, non tutte vertenti però specificamente sulla letteratura. Si è trattato quindi di applicare le teorie massmediatiche e semiotiche dell‟autore ad un contesto, anche se non lirico, pur sempre poetico, e di provare a trarne le possibili chiavi di lettura. L‟oscura astrattezza di molti passi e il metodo di designificazione non assistita del linguaggio tradizionale, assieme ad una non raggiunta profondità, non hanno certo giovato alla fortuna della raccolta, dimenticata una prima volta dopo il 1961, e una seconda, con più garbo da parte della critica28, dopo il 1964.

Innovativo ed interessante da scoprire è invece il rapporto quasi di controcanto che si attua tra il titolo generale della poesia, quello della singola poesia e il contenuto

25 RABONI, ivi, p.63 26 Ivi, p.63

27

Ivi, p.63

28 È tuttavia esiguo il numero degli studiosi che si sono occupati, anche solo di passaggio, di Nozione di uomo: si

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di essa. I titoli delle varie poesie si inseriscono nel dibattito socio-culturale di quegli anni con effetti volutamente antifrastici ed ironici, come vedremo nelle singole analisi, mentre il nome della raccolta richiama, trasponendolo in forma positiva, quello del romanzo dello scrittore austriaco Robert Musil, L’uomo senza qualità29. Inutile cercare

un collegamento più profondo tra i due testi30: l‟espressione scelta da Pignotti ha una sua ragion d‟essere nella tendenza all‟usufrutto, comprensiva di rovesciamento, di parole e frasi entrate nell‟uso comune, anche se, come vedremo, alla fine del ciclo poetico L’uomo di qualità si mostrerà veramente tale.

Le trentuno poesie pubblicate sul “Menabò” confluiscono poi in un‟altra raccolta di Pignotti del 1964, Nozione di uomo, dove vengono spartite nelle diverse sezioni che compongono il libro, secondo un percorso formativo che vede costante ed ossessiva la ripetizione della parola “uomo”. Il libro prende avvio dall‟inconsapevolezza acritica de

L’uomo di massa, comune sia a L’uomo di fatica che a L’uomo di lettere, passa poi per

una prima presa di coscienza teorica de L’uomo sensibile che sfocia nella partecipazione attiva de L’uomo in lotta, segue passo per passo L’uomo in costruzione – verso una formazione critica, attiva, informata- fino al raggiungimento di un‟identità ideale, quella de L’uomo di qualità. In un contesto alienato ed alienante, che subordina l‟individuo ai ritmi della macchina e ai voleri dei media, la poesia di Pignotti recupera il senso dell‟esserci e dell‟essere uomo, investendo sulle sue possibilità di riscatto. Il ciclo di poesie pubblicate su “Il Menabò” si sviluppa quindi secondo un iter di progressiva fiducia del genere umano e nelle sue facoltà: l‟arrendevole pessimismo del primo componimento, Il presente passato, si risolve, a fine raccolta, in un‟inedita e solare spinta verso l‟avvenire e le sue possibilità di cambiamento (“C‟è una vita davanti a te,/ riguadagnerai terreno , tornerai subito/ a rovesciar leggende, a modificare il mondo”, Il

presente futuro).

Tuttavia continua a pesare su tutto il ciclo quell‟ipoteca di oscurità e di sostanziale vacuità, palese nella logora ripetizione di temi e vocaboli, che impedisce di apparentare fino in fondo la raccolta di Pignotti con l‟esperienza che Vittorini aveva in mente. Il contributo del poeta-pittore è un contributo sui generis, che non si propone di aderire all‟intento programmatico fissato per il quarto numero de “Il Menabò”, anzi, si

29

Il testo, risalente agli anni Trenta del Novecento narra la storia, pressoché autobiografica ed ambientata in Austria tra 1913 e 1914, di Ulrich, un matematico di professione che abbandona la carriera scientifica dopo essersi reso conto che la modernità, con la sua caoticità, la sua superficialità e la sua lotta tra ideologie spesso contraddittorie, non è il contesto ideale dove può maturare la ricerca del vero. La struttura stessa del romanzo, che segue Ulrich nella vita privata e nella sua velleitaria esperienza nel Comitato organizzatore dell‟Azione Parallela, manca di un filo conduttore e di nessi logici di tipo causale e temporale.

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risolve in una mera giustapposizione della poetica pignottiana al tema sull‟industria. Soprattutto, non è una partecipazione cercata: è Romano Bilenchi, grande estimatore di Pignotti e suo collega a “La Nazione”, ad inviare L’uomo di qualità a Vittorini, il quale –solito a “macellare e rifare tutto”31

-propone dei cambiamenti al testo, che l‟autore rifiuta di accettare.

L‟assenza di operai e fabbriche nell‟opera di Pignotti non rappresenta una contraddizione rispetto al tema monografico su Letteratura e industria, poiché da una parte la battaglia contro il contenutismo unisce autore e direttore in un‟ideale solidarietà, dall‟altra la principale teoria linguistica del poeta, espressa in La rosa e il

frigorifero, rigetta la necessità di usare solamente parola derivate dal mondo

tecnologico, in quanto- sostiene l‟autore- nel capitalismo avanzato tutto assume un carattere artificiale32. Se poi, secondo Pignotti, il mondo industriale non è che un sottoinsieme di quello tecnologico, da lui assunto ad argomento principe ne L’uomo di

qualità, ecco che viene dissolta ogni possibile obiezione sulla compatibilità tra

“ospitante” e “ospitato”. Piuttosto, L’uomo di qualità partecipa egregiamente, anche se senza intenzionalità, al magro risultato di far parlare l‟intellettuale di industria: se per Sereni l‟impossibilità di comunicazione e di penetrazione, unita a certe remore borghesi, aveva rappresentato il deficit di Una visita in fabbrica, Pignotti fallisce lo scopo vittoriniano- che egli non ha mai fatto suo- perché sostanzialmente disinteressato ad esso, o meglio, perché interessato ad altro (al linguaggio tecnologico, massmediatico, pubblicitario, che solo in minima parte coincide con quello “industriale”). Sarebbe da chiedersi: senza Bilenchi, si sarebbe mai realizzata una simile collaborazione? La mia risposta, e anche quella di Pignotti, è no.

Il presente passato

1 Il cielo è basso il sole non prorompe il vento non imperversa

il mondo è nascosto o indifferente 5 ad affacciarsi.

Uomini spenti e cose vuote.

31 Ivi 32 Ivi

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Bisogna chiudere la finestra per non odiare più.

Passi che non portano avanti,

realtà che si fa condurre dalla corrente: 10 è sempre andata così.

Quel che si stringe nelle mani non è vero.

Anche in questi sogni c‟è poco di bello da vedere. La vita è in passivo,

dunque tutto può finire, finire male.

Il presente passato apre la raccolta con un pessimismo opaco e svogliato che si

evolverà e dissolverà progressivamente verso la fine del ciclo. Secondo la suddivisione dei componimenti in sezioni tematiche nella successiva Nozione di uomo, protagonista è l‟uomo di massa33, immerso in una natura artificiosa ed immobile, incapace anch‟essa di

suscitare quelle vive e vere emozioni di un tempo e ormai relegata a correlativo-oggettivo di una dimensione esistenziale vuota, che non prorompe, che non imperversa. Il lessico basico –cielo, sole, vento, mondo- ripetuto in tutta la raccolta, scarno, designificato, è posto di seguito come un elenco senza personalità (vv.1-4) ad indicare una realtà indifferente, a cui fanno riscontro uomini spenti e cose vuote (v.6). Si noti, qui come negli altri componimenti, l‟uso massiccio del sostantivo cosa/e , che viene impiegato insistentemente: ne deriva un‟idea di sbrigatività ed intercambiabilità che tende ad omogeneizzare la realtà attraverso significanti indeterminati. La sintassi, spesso nominale, è calcata sul linguaggio essenziale e memorizzabile dei media, che procede per slogan ed espressioni fatte, secondo i principi della poesia tecnologica (definita dal suo demiurgo “merce rispedita al mittente”34

).

Se da sempre, dal mito platonico della caverna al periodo illuministico, la luce è

stata sinonimo di ragione, ecco che il sonno, il torpore di quest‟ultima, oltre che generare mostri annega tutto in un‟opaca inconsapevolezza (uomini spenti). E mentre Sereni in Una visita in fabbrica associava l‟ignavia degli operai ad uno stato vegetativo e soporifero della coscienza, che la sirena di fabbrica aveva il compito di risvegliare, in questa poesia di Pignotti l‟elemento di riscossa manca del tutto, e lascia spazio ad

33 È nell‟omonima sezione, infatti, che Pignotti inserirà questa poesia in Nozione di uomo, 1964 34 Cfr Conversazione con Pignotti, in Appendice

(13)

un‟arrendevolezza totale, espressa attraverso generiche frasi fatte e qualunquiste (è

sempre andata così, v.10). Prevale una concezione del presente condizionata dalle

dinamiche del passato (il presente passato, appunto), dinamiche che non permettono evoluzioni, cambi di marcia, ribellioni o deviazioni al corso prestabilito degli eventi. L‟attenzione alle scansioni temporali e al loro significato per l‟uomo è del resto molto viva in Pignotti:

La frazione temporale chiamata presente non è che un transitorio confluire di processi diversissimi tra loro ma intersecantisi, una parte dei quali sta giungendo alla sua conclusione e un‟altra si sta trovando in fase iniziale o avanzata di sviluppo. Si hanno in tal modo due aspetti del presente, il primo rappresentato dai processi conclusi e che chiamerei presente attuale, il secondo che è l‟espressione dei processi in via di svolgimento e che chiamerei presente potenziale.35

Il presente passato si identificherà allora, secondo la definizione dell‟autore, con il presente attuale, già concluso e determinato, dove la vita è in passivo e le aspettative dell‟uomo di massa, abbattuto ma non abbastanza “di qualità” per essere attivo, virano verso un pessimismo cronico e non reagente.

Mondi incomunicanti

Ci sono altri mondi ma ci fa fatica

viverci, identificarsi in altri uomini. E poi, rivelati dalle statistiche, 5 gli altri sono come noi.

Se non arrivano grandi notizie,

(14)

se il meglio

se il più grande non si fa vedere, si sta bene lo stesso. Basterebbe uscire per vedere cos‟è amore,

10 per sapere che tutto parla di noi. Ma ci fa fatica.

Tanto c‟è chi vede e sa per noi.

L‟incomunicabilità come mancanza di tensione verso l‟altro, come afasia non curata per disinteresse è conseguenza diretta dell‟atomizzazione della civiltà tecnologica degli anni Sessanta. Appagato dal suo televisore, nuovo amico e al tempo stesso status

symbol, schiacciato dai ritmi lavorativi, resi ancora più frenetici per inseguire il tanto

vagheggiato benessere, l‟uomo massa rinuncia a superare il muro individualista che lo circonda “per fatica” (ci fa fatica/ viverci,identificarsi in altri uomini) . La non-volontà trova una misera giustificazione nella comoda convinzione di un‟uguaglianza di fondo, di una comune mediocritas che sommerge e livella tutto e tutti. Spia linguistica di questa tendenza alla massificazione è l‟uso ossessivo dei pronomi di prima persona plurale (ci, viverci, noi per ben tre volte) e, ancora più probante, il ricorso

all‟impersonalissimo quanto sciatto si ( si sta bene lo stesso).

L‟uomo massa sopravvive anche senza il meglio, senza il più grande, tanta è l‟assuefazione ad una mediocrità che è tanto più rassicurante quanto più democratica, comune a tutti, come dimostrano le statistiche (parola impoetica, prettamente

“tecnologica” nel senso pignottiano del termine). Si noti la triplice anafora di se , variato con si (vv. 6-9), e la ripetizione di grandi/grande, entrambe giustificabili non in virtù di qualche effetto poetico, ma a seguito del principio di economicità che regola le nuove comunicazioni: brevi, dirette, incisive, pochi vocaboli, ma che rimangano impressi. Per Corrado Federici, Mondi incomunicanti “è un riferimento ironico alla nozione di

comunicazione istantanea nel villaggio globale di Mc Luhan”36, del quale in effetti parla anche lo stesso Pignotti nel capitolo “Medium e messaggio” di Nuovi segni:

Si fa largo una nuova sorta di dilettantismo. L‟uomo d‟oggi è interessato a tutto. Le notizie lo sommergono. […] Eccolo allora reagire, in questo mondo che le comunicazioni di massa hanno trasformato in un grosso villaggio, divenendo un “dilettante di professione, un “tuttologo”. Questo è il

36 FEDERICI, The technological poetry of Lamberto Pignotti, in CAPOZZI, Scrittori, tendenze letterarie e conflitto

(15)

processo che in sostanza mette in luce McLuhan37, ed è naturale che considerando le varie manifestazioni della presente società come vasi comunicanti gli interessi più il livello che il liquido dei vasi stessi. “Il medium è il messaggio”. Vale a dire, forzando quanto basta: il come è la cosa, la struttura è l‟oggetto, il linguaggio è il discorso.38

Ma ecco che l‟amore, come già in Sereni e come vedremo in Giudici, che potrebbe configurarsi come estrema possibilità di riscatto (Basterebbe uscire per vedere

cos’è amore,/ per sapere che tutto parla di noi), è in realtà sprecata e resa vana

dall‟uomo di massa. Nella civiltà tecnologico-industriale anche l‟amore diventa clichè, parola d‟effetto per pubblicità, significante senza significato, come inequivocabilmente mostra anche un‟altra poesia, La tasca e il cuore, contenuta in Nozione di uomo (“Più qua il sole e la luna amore./ Insolazioni e pleniluni per noi […] Dalle delusioni la noia. Niente/ farinacei, qualche massaggio, amore. […] Saltar dalla gioia, ma vuota, senza peso, / e lasciare sempre più indeterminato/ l‟aggettivo del nostro amore.39

). Secondo una composizione ad anello il testo riprende al v. 11 l‟espressione iniziale Ma ci fa fatica, seguita ancora da una giustificazione, quella eternamente valida per i qualunquisti di tutte le epoche, tanto c’è chi vede e sa per noi. È la sempreverde argomentazione di chi lamenta il suo scarso peso nella società e poi finisce per

crogiolarsi nel principio di rappresentanza, e nel suo comodo risvolto, il diritto di non-responsabilità.

Gli interessi del capitale

Io no, tu no, egli no. Intorno quel che non c‟è, in tinta unita, e la miseria nera, creano

una nota di piacevole contrasto.

37 Il riferimento è in particolare a due concetti elaborati da Marshall McLuhan: quello di “villaggo globale”, ossimoro

che indica come, con l‟evoluzione dei mezzi di comunicazione che hanno dato la possibilità di comunicare in tempo reale e a grande distanza, il mondo sia diventato piccolo, simile ad una comunità, e quello dell‟identità tra medium e messaggio (Il medium è il messaggio, 1967), per cui è la particolare struttura comunicativa di un mezzo a renderlo non neutrale, perché essa suscita negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di pensare, influenzandone la

forma mentis (ad esempio la televisione è un mezzo che conforta, consola, conferma e inchioda lo spettatore in una stasi

fisica e mentale).

38 PIGNOTTI, Medium e messaggio, in Nuovi segni, p.89 39 PIGNOTTI, La tasca e il cuore, in Nozione di uomo, pp.16-17

(16)

5 Mai niente, ma molto ammobiliato. Si vive male. Il mondo

lo abbiamo sentito dire, non ci tocca.

Si mangia in piedi, si sogna in massa e in orario. Ondata di preoccupazioni

10 e tutta la vita al solito posto. Vigliaccheria

quarti di luna ombre vicoli ciechi 15 banche

e non immense distanze, non colori indescrivibili. Tutto andrà per il meglio, alla fine

senza fatica senza pensare

20 si risolverà ogni cosa.

L‟omologia di ispirazione che informa tutta la raccolta (e che ha fatto anche parlare di “sciatta angolosità”40

) conduce ad un ripetersi di temi ed espressioni che certo non ha giovato alla fortuna de L’uomo di qualità. Protagonista è ancora l‟uomo di massa, o meglio, la massa stessa e il si impersonale che la rappresenta, vera voce narrante e ripetente di frasi fatte e sentite da altri.

In questa sostanziale ciclicità di argomenti che girano su se stessi senza approdare- almeno per il momento- ad un‟evoluzione, unico spunto di originalità è il rapporto mai scontato tra il titolo e la poesia. In questo caso, capitale rappresenta uno dei pochi trait

d’union con il linguaggio espressamente riferito all‟industria che Pignotti non usa quasi

mai. Certo, per usare le parole di Vittorini, anche lo scrittore che “cita di continuo oggetti che sono della realtà industriale” difficilmente riesce a restituire integralmente quel mondo, poiché “nessuno degli oggetti o gesti che cita ha mai in lui un significato d‟un ordine finalmente diverso da quello degli oggetti naturali”41, e senz‟altro i versi del

poeta-pittore fiorentino centrano il proposito di raccontare la sensazione di smarrimento e alienazione dell‟italiano degli anni Sessanta. La sua si configura quindi come una precisa scelta lessicale, che sostituisce il settario linguaggio industriale con quello più

40 ROSSI, Letteratura e civiltà industriale, p.118 41 VITTORINI, Industria e letteratura, p.16

(17)

genericamente tecnologico, tanto vasto da includere anche il primo.42, e al tempo stesso come volontario rifiuto di un‟esperienza ideologica come quella neorealistica che, con i suoi epigonali residui e le sue figurazioni tipiche (“l‟operaio, la fabbrica, la bicicletta”43) appare al poeta “un piccolo mondo chiuso”44

.

Spiegata quindi l‟assenza di un linguaggio industriale in una raccolta ospitata in una rivista monografica dedicata ai rapporti tra letteratura e mondo della fabbrica, il v.1 (Io

no, tu no, egli no), simile all‟inizio di una declinazione, sembra rispondere

implicitamente al titolo: gli interessi del capitale non siamo noi. La poesia è dominata dai temi dell‟assenza e della mancanza (quel che non c’è, v.2; mai niente v.5; l‟anafora di senza al vv.18-19), che regolano la vita dell‟uomo di massa. Si infittiscono le espressioni tecnologiche, tratte dal linguaggio dei mass media, da in tinta unita (v.2) e

molto ammobiliato (v.5) che ricordano pubblicità di vestiario e di immobili, e i modi di

dire popolari come miseria nera (v.3): tutti dittici ben costruiti, quasi artificiosi, nella loro composizione standard. Per averlo sentito dire e non per elaborazione personale, l‟uomo di massa sa che il mondo non è per lui, succube della ripetitività di una vita al

solito posto, senza la speranza di un miglioramento. Prendendo in prestito un titolo di

Ottieri, nella civiltà tecnologica i tempi sono così stretti che si mangia in piedi e si

sogna in massa e in orario (si noti ancora l‟uso dell‟impersonale), secondo un‟agenda

dettata da altri.

Anche il paesaggio- ed è una costante in tutta la raccolta- risente del grigiore inespressivo che opprime l‟uomo massa: alla luna piena, da sempre motivo di ispirazione poetica nonché interlocutrice lirica privilegiata45, si sostituiscono quarti di

luna, porzioni, sezioni tagliate col coltello46; non vi sono luci, ma ombre; non strade aperte e protese in avanti, ma vicoli ciechi, barriere che smorzano ogni volontà di superare la realtà esistente; non natura incontaminata ma banche, simboli del capitalismo.

Verso la fine la poesia assume i connotati di un anti Infinito leopardiano: l‟orizzonte, che qui può essere inteso come futuro o, per dirlo con Pignotti, come “presente potenziale”, è precluso allo sguardo dell‟uomo; le immense distanze negate

42

Cfr CAMON, Il mestiere di poeta, p.212

43

Cfr Conversazione con Pignotti in Appendice

44 Ivi

45 Un esempio per tutti è Alla luna di Giacomo Leopardi. 46

La parcellizzazione dell‟intero, dell‟organico nella civiltà industriale colpisce l‟uomo (e il titolo Nozione di uomo esprime proprio l‟impossibilità di considerare l‟individuo completo di tutte le sue attitudini e qualità) come la natura: in questo caso è la luna a non essere concepita nella sua pienezza e nella sua bellezza.

(18)

(v.16) richiamano gli interminati spazi47oltre la siepe. L‟espressione non colori

indescrivibili, infine, rimanda al monocromatismo iniziale di tinta unita e miseria nera

e spinge il componimento verso il congedo, che ancora una volta presenta un surrogato di morale, consolatoria ma passiva. In Pignotti l‟intento didascalico si risolve quindi in un anti-insegnamento, nell‟ennesimo atto di arrendevolezza e di non responsabilità di una vita di massa che procede senza fatica (come già in Mondi incomunicanti) e senza

pensare.

Ambientazione moderna

Prima sole abbondantemente, poi un tramonto su vasta scala. Il cielo, meno solenne e più bizzarro,

(19)

può andare; la sera leggerissima.

5 Quando tutto mostra solo il suo lato delizioso lasciatevi prendere dalle cose

e le cose si lasceranno prendere da voi, con anarchia e indifferenza.

Basta evitare gli urti, manovrare bene. 10 Gioie e dolori

montagne e pianure né dentro né fuori. Sogni da passeggio,

mondo portatile pieghevole tascabile. 15 Sarà un continuo viaggio di piacere

e sempre il giorno più bello dell‟anno.

Una simpatica sistemazione

Buone maniere e cielo sereno ma più inerzia che cielo.

Giornata spensierata, piccoli doni. È un tempo senza peso,

5 è una primavera di cui nessuno si rende conto. Importante è trovare un posto, pareggiare. Si prende quanto si lascia.

Poco possiamo essere uomini.

Case addossate al cielo d‟un paesaggio grossolano, 10 né il sole si presenta bene.

Su questa base tutti felici.

Analogo è il tema ispiratore di queste due poesie, nelle quali, nonostante la designificazione e la depauperazione ad un orizzonte “plastificato”, la natura riveste un ruolo fondamentale. Ma che natura è quella che presenta un tramonto su vasta scala (espressione che unisce sacro e profano, la valenza romantica del primo e la connotazione tecnologica del secondo), un cielo bizzarro, una sera leggerissima? Dove

(20)

l’inerzia è più del cielo, il tempo è senza peso e nessuno si rende conto della primavera?

Cosa distingue, nell‟era tecnologica, il naturale dall‟artificiale?

Ecco il punto sul quale occorre tenere bene aperti gli occhi: la falsa natura, l‟imitazione del vero, la spontaneità prefabbricata. Occhio dunque al marchio: credi di assistere a una presa diretta ed è un evento truccato e omogeneizzato dalla televisione, sei convinto di scrivere qualche verso sulle rose e le rose son di plastica, pensi di abitare un regno vegetale lontano dalla città e hai intorno edilizia residenziale a raggruppamenti con inserimento di verde. In buona fede ci si abitua a questa labilità di confini tra naturale e artificiale, e senza accorgersene si cade nei più primordiali (e ancora innocui) tranelli.48

Senza porsi scrupoli sulla veridicità di ciò che lo circonda, che in fin dei conti risulterebbe esigua (“Anche una rosa oggi fa parte del mondo tecnologico. Paradossalmente: se si guarda una rosa da lontano, non si sa se è vera o di plastica.”49

), l‟uomo di massa godrà del lato delizioso delle cose –si noti ancora una volta la generale reificazione dei significanti, sostituiti da questo termine passpartout- senza inutili pensieri, con anarchia e indifferenza, evitando contrasti (urti), galleggiando in una consolatoria superficialità. Terrà sempre presenti le buone maniere (v.1, Una simpatica

sistemazione), imperativo morale della borghesia benpensante, fondamentali in una

società improntata all‟ostentazione dei consumi e all‟imitazione del modello americano, e si accontenterà mediocremente di pareggiare (v.6, Una simpatica sistemazione).

Il riferimento alla primavera (v.5, Una simpatica sistemazione) e al mese di aprile ricorre in tutta la raccolta come un leit-motiv mai decifrato, che ha però dei punti di contatto50 con l‟uso che ne fa T. S. Eliot ne La sepoltura dei morti, la prima sezione di The waste land, dove il risveglio della natura mette in risalto, per opposizione, il torpore, la sterilità e il grigiore dell‟uomo moderno:

Aprile è il più crudele dei mesi, genera Lillà da terra morta, confondendo Memoria e desiderio, risvegliando

Le radici sopite con la pioggia della primavera. L‟inverno ci mantenne al caldo, ottuse

Con immemore neve la terra, nutrì Con secchi tuberi una vita misera.51

48 PIGNOTTI, Architettura e natura in Nuovi segni, pp. 23-24 49

Intervista a Pignotti in CAMON, Il mestiere di poeta, p.212

50 Per stessa ammissione dell‟autore, il riferimento ad Eliot non è voluto. 51 The waste land, T.S. Eliot

(21)

Se i sogni sono da passeggio come un paio di scarpe e il mondo è portatile

pieghevole tascabile (si noti la mancanza di interpunzione, quasi a restituire la velocità e

l‟efficacia di uno slogan pubblicitario) come un Oscar Mondadori, rivoluzionaria idea editoriale risalente proprio a questi anni, allora poco possiamo essere uomini. Di sicuro non potremo essere uomini di qualità, espressione che pure rimanda al mondo della produzione e della merce, della merce di qualità. La vita dell‟uomo di massa si configura allora come un monotono alternarsi di gioie e dolori (la banalità fatta dittico) , di non-scelte, ovvero di scelte di non stare né dentro né fuori, senza prendere posizione. Con il trionfo del luogo comune, del piacere ottenuto a poco prezzo e per questo solo apparente, tutti sono felici, superficialmente felici.

Adamo secondo

Altrui questo cielo fresco, altrove quest‟autunno giovanile.

(22)

Ogni settore del mondo, elettrico, sfavillante: 5 grigio più che altro.

Ogni cosa sempre più verificata e sempre meno possibile. Roba per chi non può uscire, per chi non sa esplodere.

10 Nascerà la primavera?

Il sole di dentro si indebolisce, scompare: come dimostrare di aver sangue?

Sibillino il titolo di questo componimento, che potrebbe far riferimento ad un nuovo, ad un secondo tipo di uomo (Adamo sarebbe allora l‟essere umano per antonomasia), quello che vive nella civiltà tecnologica, quello a cui non appartiene

questo cielo fresco, questo autunno giovanile. Altre- come abbiamo visto- sono le

connotazioni della natura nella civiltà tecnologica: artificiali, degradate, finte. Nelle sue opere saggistiche Pignotti mette in guardia il lettore non dall‟”artificio che si presenta apertamente come tale”, ma da “quello che si presenta come sedicente natura”. E aggiunge:

E‟ un artificio, subdolamente prospettato da quanti sono interessati ai consumi rapidi e di massa, che va individuato, demistificato, ricondotto alla sua vera origine. L‟arte attuale può partecipare, e di fatto partecipa, a una simile presa di coscienza: fra l‟altro parodiando, estremizzando e anticipando dove e quando è possibile il processo di mistificazione. Se l‟artificio imita la natura, l‟arte imita l‟artificio che imita la natura.52

La poesia è immersa nella solita atmosfera di grigiore (Ogni settore del mondo,

elettrico, sfavillante/ grigio più che altro, vv.4-5), che rappresenta la dimensione

peculiare della civiltà tecnologica, comunemente identificata come “qualcosa con rotelle e congegni, o immediatamente associabile a cervelli elettronici, astronauti, eccetera: questo è l‟aspetto più plateale, e quindi più superficiale.”53

52 PIGNOTTI, Architettura e natura, in Nuovi segni, p.24 53 Intervista a Pignotti in CAMON, Il mestiere di poeta

(23)

In questo contesto di artificiosità la domanda, isolata graficamente e dunque posta in posizione enfatica Nascerà la primavera? allude alla possibilità di un risveglio della natura e, transitivamente, dell‟uomo. Ecco allora che questa stagione, anche se solo potenzialmente, si carica di una valenza positiva, di speranza: ricopre, cioè, quel ruolo di fattore salvifico che in Sereni era rappresentato dall‟amore. E tuttavia la primavera ha bisogno di condizioni favorevoli per “nascere”, non di un

sole (si noti il ricorrere dei vari elementi della natura, dopo cielo del v.1) che di dentro si indebolisce, scompare (v.11), che è, ancora una volta, artificio. La

riduzione della natura ad oggetto tecnologico è motivo costante anche in altre raccolte, come quella, dal titolo polemico e programmatico, L’industria poetica, da cui riprendo questi versi particolarmente significativi:

Prendere un prato

aggiungere qualche albero cospargere di fiori mescere pioggia serale guarnire di tristezza servire.

Non era difficile allora

procurarsi gli ingredienti.54

[…]

Da un punto di vista linguistico si noti la ripetizione di ogni ai vv. 4 e 6, sempre in virtù del principio di economicità delle parole che regola la comunicazione tecnologica, e la variazione di cosa in roba, diverso significante per un altrettanto generico ed abbozzato significato.

Ma ecco che nell‟uomo di massa si affaccia uno spiraglio di iniziativa: come

dimostrare di aver sangue?, di aver coraggio –si chiede. Il quesito non risolto, vera

eccezione allo stato di torpore critico e preludio ad un percorso di maieutica della coscienza, è il trait d’union tra l‟uomo di massa e la sua successiva evoluzione in

Nozione di uomo, l‟uomo di fatica.

(24)

Il supersfruttamento

Le nostre cose sono le peggiori. Manca il tempo per sorridere, non vengono in mente

(25)

5 Lacrime e sudore e nulla in cambio. Ci occorre stomaco per vivere e si vive non per noi,

si vive neanche con rabbia.

Che c‟importa se fiumi e farfalle sono decorativi?

10 Andiamo in rovina,

i pensieri si muovono alla cieca, e c‟è chi sta peggio.

Con Il supersfruttamento si attua il passaggio dall‟uomo di massa all‟uomo di fatica, come suggerisce anche il titolo, in questo caso illuminante chiave di lettura. Il prefisso super, mutuato dal linguaggio mediatico e pubblicitario (superofferta,

supersconto etc.) è qui applicato ad un tema delicato ed impegnato, con evidenti effetti

oscillanti tra l‟ironico e il polemico. Scrive Pignotti:

Quando voi mangiate, bevete, vestite, consumate, respirate è sempre qualcosa di “super”, di “ultra”, di “extra”, di “issimo” che mangiate, bevete, vestite, consumate, respirate. La dimostrazione sta poi nel fatto che tutto è abbinato a un premio e dà diritto a “punti-qualità”.55

D‟altronde- continua l‟autore- “nessun linguaggio (neanche quello poetico) si sviluppa nell‟autarchia assoluta, avendo bisogno […] di scambi, ricalchi, travasi, rapporti. I linguaggi vivono di parassitismo reciproco, almeno per buona parte.”56

A conferma di ciò, questa poesia mescola prefissi pubblicitari e prestiti dalla propaganda politica: l‟uomo di fatica non ha tempo per sorridere ( i già citati Tempi stretti di Ottieri), non può permettersi sogni o avventure (l‟uomo di massa portava i suoi sogni a passeggio ed era incoscientemente felice; l‟uomo di fatica avverte invece tutta la precarietà e la difficoltà della sua condizione), dà lacrime e sudore senza avere nulla in cambio. L‟uomo di fatica è come il cittadino inglese chiamato alle armi nel 1940 da Winston Churchill, ed è proprio dal celeberrimo discorso alla Camera dei Comuni del Capo di Stato che Pignotti potrebbe aver tratto questo dittico:

55

PIGNOTTI, Pubblicità e poesia in Nuovi segni, p.117. Si noti l‟accezione merceologica del sostantivo qualità: dai punti-qualità all‟uomo di qualità.

(26)

[…] Dico al Parlamento come ho detto ai ministri di questo governo, che non ho nulla da offrire [nulla

in cambio, Il supersfruttamento] se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo di fronte a noi la più

terribile delle ordalie. Abbiamo davanti a noi molti, molti mesi di lotta e sofferenza.57

I vv. 6-8 vedono la triplice ripetizione del verbo vivere, di nuovo in forma impersonale (l‟uso del si è variato con quello, altrettanto generico, della prima persona plurale), ripetizione che sottolinea la fatica, la difficoltà. L‟uomo di fatica, l‟uomo sfruttato perde il diritto di proprietà sulla propria vita (si vive non per noi), sottomesso a ricatti e talmente rassegnato da non provare neanche rabbia.

Al v.9, isolata dal corpo del testo, una domanda apparentemente priva di senso, in cui riemerge la solita soggettività collettiva ed indefinita, Che c’importa se fiumi e

farfalle sono decorativi?, riporta l‟attenzione sul tema della natura e del mondo. Nel

capitolo “Natura e cultura” in Nuovi segni, infatti, Pignotti replica alle affermazioni di Rosario Assunto58, secondo il quale l‟uomo dovrebbe “godere il mondo come oggetto di contemplazione, e non soltanto consumarlo come oggetto di sfruttamento”. Il poeta sostiene invece che “

[…]è un invito che dovrebbe risultare quanto mai ovvio, ma che rischia purtroppo di apparire utopistico nell‟odierno contesto sociale, dove concetti come natura e cultura vengono progressivamente spodestati dal concetto di alienazione. Sempre più i luoghi si svuotano, i panorami perdono di sostanza. Che c’importa se fiumi e farfalle sono decorativi? [ovvero se la natura è ridotta a mero artificio, a soprammobile?]”59.

Il che c’importa lascia trasparire una dimensione non ancora consapevole dell‟uomo di fatica, ma il fatto che egli abbia dei pensieri –qualità inaudita per l‟uomo di massa- , pur confusi, che si muovono alla cieca , senza obiettivi, conferma quella progressiva formazione ed evoluzione che culminerà con l‟uomo di qualità. Con l‟anti-morale finale il lato ancora qualunquista dell‟uomo di fatica prevale e si consola in un proverbiale c’è chi sta peggio.

57

Tratto dal discorso alla Camera dei Comuni di Winston Churchill, 13 maggio 1940.

58 Cfr Il paesaggio come oggetto estetico, in “Il Verri”, 29 59 PIGNOTTI, Natura e cultura, in Nuovi segni, p.95

(27)

La tentazione della metafisica

Purchè cominci qualcos‟altro

ora che è venuta meno la vita delle quattro stagioni. Finiti le rondini, il grano, le foglie morte, la neve. Nulla di quel che c‟era valeva la pena.

(28)

5 Io disarmo,

non ho i tuoi occhi da amare né li vorrei.

Sconfino al di là dei sentimenti. Che almeno venga il peggio.

La tentazione della metafisica è quella che alletta l‟uomo di lettere, nuovo

protagonista delle poesia e, più che superamento, alter ego intellettuale dell‟uomo di fatica. L‟idea di rifugiarsi in principi primi e in aspetti teorici, prescindendo dall‟esperienza diretta e dalla conoscenza sensibile, si fa più attraente e cogente poiché è

venuta meno la vita delle quattro stagioni. Ovvero, di fronte al morto artificio degli

elementi della natura e delle stagioni, designati attraverso una serie di metonimie ( le

rondini per la primavera, il grano per l‟estate, le foglie morte per l‟autunno, la neve

l‟inverno), all‟uomo di lettere, che mostra già una consapevolezza maggiore rispetto a quello di massa, non resta che rifugiarsi nel mondo dei massimi sistemi.

Neanche l‟amore costituisce un rifugio nella civiltà tecnologica: l‟uomo di lettere non ha né, sterilmente, desidera qualcuno da amare (non ho i tuoi occhi da

amare/né li vorrei), e soprattutto vuole oltrepassare la lirica dei sentimenti (sconfino al di là), inadatti a restituirgli la vita. Si noti, infine, come il lento e travagliato percorso

verso la costituzione di un uomo di qualità passi anche attraverso l‟esplicitazione del soggetto, che da plurale (noi) si fa qui per la prima volta singolare (Io disarmo..non

ho..vorrei..sconfino), ad indicare il progressivo recupero di un‟identità individuale e il

superamento della voce indistinta della massa.

La personalità impersonale

Uno sguardo qualsiasi per questa strada; l‟universo non c‟entra, ma io sì:

quasi sempre non vedo nulla, quasi sempre non sono nessuno:

(29)

5 annullarsi è un successo.

Questi impulsi condizionati e questi sogni estranei:

ho soltanto sonno e tutto con me ha sonno.

In città s‟inoltra la primavera 10 e il pomeriggio porta novità.

Come tutti privo di tutto lontano da tutto

e mi credo superiore credo ogni cosa sorpassata:

15 le ombre chiare dietro i rami degli alberi per esempio.

Il titolo di questo componimento –scrive Federici- “è un ossimoro che traduce la percezione del poeta dell‟assenza di vera personalità o di forza morale in un‟epoca dominata da superficialità, messaggi contraddittori e iperbole”60

. Dominante è in effetti l‟area semantica della mancanza di identità e dell‟inerzia che conduce all‟annullamento, come veicolano i vari nulla, nessuno, privo. In apertura della poesia, l‟attenzione si focalizza sul senso della vista: l‟impossibilità fisica di vedere (uno sguardo qualsiasi, non attento, quasi sempre non vedo nulla) diventa qui, a differenza della tradizione letteraria che da Omero a D‟Annunzio61

associa cecità e visionarietà, metafora di una ristrettezza di vedute e di un orizzonte personale circoscritto .

Ai vv. 3-4 l‟anafora di quasi sempre conferma la tendenza alla ripetizione insita nella poesia di Pignotti, che deriva dalla volontà di mimare i vari linguaggi tecnologici. È l‟autore stesso a richiamare in uno dei suoi saggi sulle comunicazioni di massa un‟affermazione di Roland Barthes sulla ragioni della ripetitività:

Il linguaggio che si produce e si diffonde sotto la protezione del potere è statutariamente un linguaggio di ripetizione; tutte le istituzioni ufficiali di linguaggio sono macchine per ripetere: la scuola, lo sport, la pubblicità, l‟opera di massa, la canzone, l‟informazione, ridicono sempre la stessa struttura, lo

60

FEDERICI, The technological poetry of Lamberto Pignotti, in CAPOZZI, Scrittori, tendenze letterarie e conflitto

delle poetiche in Italia (1960-1990), p. 78 (originale in inglese)

(30)

stesso senso, spesso perfino le stesse parole: lo stereotipo è un fatto politico, la figura principale dell‟ideologia.62

Lo stampo linguistico pubblicitario è evidente anche nell‟espressione annullarsi

è un successo (v. 5): il poeta utilizza e contamina un messaggio positivo, addirittura

vincente, ma sostituisce l‟infinito sostantivato (ci aspetteremmo qualcosa del tipo

Comprare è un successo) , così da alterarne completamente il significato e creare un

effetto di straniamento. Gli impulsi sono condizionati, quasi guidati nel mondo tecnologico, e i sogni da avere sono decisi da altri (si ricordi l‟espressione si sogna in

massa e in orario in Gli interessi del capitale), quindi estranei . Tornano l‟elemento del sonno, ripetuto ben due volte al v.8, a ribadire quella sensazione di torpore e

svogliatezza che informava anche le precedenti poesie, e quello della primavera con la solita, positiva accezione di cambiamento (il pomeriggio –qui in una sorta di personificazione- porta novità).

L‟uomo di lettere è come tutti privo di tutto e lontano da tutto – si noti la ripetizione che enfatizza l‟idea di uguaglianza nella mancanza-, ma si sente superiore nel suo pessimismo cronico, tanto da non notare quei pochi, nascosti residui di vera natura, che la tecnologia non ha ancora contraffatto, come le ombre chiare dietro i rami

dell’albero.

La religione della tecnica

I sogni prescritti, le gioie adottate, non fanno né bene né male. Inutile

(31)

spostare un monte 5 fermare un fiume

aguzzare gli angoli

moltiplicare il punto di vista ingigantire se stesso:

è sempre il grigio ciò che le scene esibiscono.

10 Allenati adattati condizionati rettificati fino ad essere altro

godiamo e soffriamo a vuoto.

È tutto e ci appartiene ma bisogna cercare tutto.

È ancora un ossimoro il titolo della poesia, che unisce sacro e profano, divino e umano; il termine tecnica è infatti inteso da Pignotti come “la maniera di modificare e umanizzare la natura. Quando poi la tecnica permea tutto, quando diventa fatto di massa, si entra nel mondo della tecnologia.”63

Analogamente a quanto è già stato osservato, non vi è autonomia nei desideri né nelle gioie dell‟uomo della civiltà industriale (questi sono prescritti, quelle adottate), ma solo indifferenza. Neanche l‟impresa più titanica ( e i vv.4-8 propongono dei veri e propri adynata) potrebbe far dissolvere il grigio (già in Adamo secondo) che rende incolore la vita, alla quale gli uomini sono allenati adattati condizionati rettificati. La concitata climax ascendente del v.10, priva di interpunzione, culmina con un‟allusione etimologica all‟alienazione ( essere altro), condizione che vanifica qualsiasi sensazione di piacere e di dolore (godiamo e soffriamo a vuoto), come se oltre alle idee fossero banditi anche i sentimenti.

La rassegnata consapevolezza che tutto ci appartiene ma che bisogna cercarlo (vv.13-14) si rovescerà nel Vogliamo tutto64 (e subito) di fine decennio (slogan usato

come titolo per un romanzo di Nanni Balestrini ambientato nella Fiat del 1969 agitata dalle lotte operaie), secondo un percorso circolare che dall‟acquiescenza passa alla rivendicazione, per poi tornare, con gli anni Ottanta, di nuovo al silenzio.

63

CAMON, Il mestiere di poeta, p.212

64 Vogliamo tutto è un romanzo del 1971 di Nanni Balestrini, che racconta le lotte operaie del 1969 alla Fiat, viste e

(32)

Larghezza di vedute

Stelle enumerate e descritte alla leggera, poi anarchia di neri e di verdi

dove sta bene anche un tono errato, non una notte particolare,

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