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Mobilitazioni contro il degrado a Magliana

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Academic year: 2022

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Mobilitazioni contro il degrado a Magliana

Corteo presso Via Pasquale Baffi

“Tradizione e dignità basta degrado in questa città” citava oggi lo striscione dei manifestanti, in Piazza De Andrè, nel quartiere Magliana.

I protagonisti: il Comitato di Quartiere Magliana e un’ampia fascia di cittadini, del quartiere, e non; commercianti, passanti, amici di amici.

Tutti per dire “basta al degrado, basta all’abusivismo rom”.

Piazza De Andrè

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Un presidio statico, quello autorizzato. Il corteo, partito spontaneamente, che ha visto la partecipazione di 400 persone, quello non autorizzato.

Cittadini comuni, ragazze con i fidanzati, esponenti politici del Municipio ma anche persone anziane, bambini. Tutti con l’unico scopo di voler gridare in piazza che “Magliana non è un quartiere di serie B” e che “non ne possiamo più di mondezza e disagio”.

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La tensione è salita quando il gruppo ha deciso di muoversi.

Obiettivo: arrivare al Municipio, a Villa Bonelli attraverso il percorso che, da via dell’Impruneta ha visto bloccate la viabilità di via della Magliana e fermo il passaggioa Via Pasquale Baffi.

T a f f e r u g l i p r e s s o V i a dell’Impruneta

Una signora mi ferma “E’ della televisione? Lei deve dire in giro che non sopportiamo più questa intransigenza, che detestiamo questo su e giù di mondezza, carrelli e roulotte parcheggiate”

A partecipare anche l’esponente de La Destra Augusto Santori, il senatore Domenico Gramazio, il consigliere municipale del Popolo della Libertà Daniele Calzetta.

Eccezion fatta per i precedenti nomi indicati si è registrata la totale assenza delle altre forze politiche quali SEL, PD, e Movimento 5 Stelle.

Sarà un caso che, finito il corteo, a via della Magliana, non c’erano più camper stanziati a produrre diossina?

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Montaggio Video

Ecco la tangenziale verde:

giardini, vigneti, mercati e anche una pista per lo skate

Il piano per la sopraelevata da Batteria Nomentana a Tiburtina. L’area lunga due chilometri e larga 20 metri sarà attraversata da una pista ciclabile

Una lunga “spiga verde” fra i palazzi e la ferrovia. Una lingua d’asfalto trasformata in un giardino agronomico di nuova generazione, con coltivazioni autoctone, giardini didattici e familiari, campi sportivi, uno skate park e persino un mercato a chilometro zero. Così immagina il futuro del tratto di Tangenziale dismesso fra Batteria Nomentana e la stazione Tiburtina, oggi sostituito dal percorso interrato, il progetto realizzato dall’architetto Nathalie Grenon, partner dello studio Sartogo Architetti Associati. Presentato ieri alla libreria “Assaggi” di San Lorenzo, il progetto pilota

“Coltiviamo la città” è nato nel II Municipio dalla proposta

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di due associazioni, Res e Coltiviamo, sulla base del principio dell’Agenda 21 per le città sostenibili, con un processo partecipativo che coinvolge cittadini e realtà del t e r r i t o r i o . E d o p o p i ù d i t r e a n n i d i l a v o r o è o r a praticamente ultimato.

“Si tratta di un innovativo progetto di riqualificazione urbana attraverso la rigenerazione ambientale” spiega Grenon.

Ma, a differenza di esperienze simili, come quella dell’High Line di New York (ieri ricordata dall’architetto paesaggista Elizabeth Fain La Bombard, ospite del dibattito), “sarà un giardino agronomico, quindi produttivo, che prediligerà le coltivazioni autoctone, anche perché il Lazio è la regione italiana più ricca di biodiversità”. Spazio, quindi, a un giardino di meli, di 16 tipologie diverse, e a un vigneto autoctono. Ma anche a orti urbani per le scuole, giardini per le famiglie e per “nonni e nipoti” e a un mercato a chilometro zero, con una grande copertura a pannelli solari di nuova generazione. Non solo. Nell’area verde lunga due chilometri e larga 20 metri, attraversata da una pista ciclabile con stazioni di bike sharing e da vari percorsi pedonali, sorgerebbero anche campi sportivi e di bocce, una sala conferenze, un’area per cani, uno skate park e un giardino in cui piantare un albero per ogni neonato, come la legge prevederebbe dal ’92.

“Grazie a grandi cisterne poste sotto l’attuale tangenziale si recupererà l’acqua piovana, mentre l’organico di tutto il quartiere potrà essere raccolto qui nelle compostiere e riutilizzato” sottolinea Grenon. “Il giardino sarà sostenibile e autosufficiente anche perché saranno le associazioni, le famiglie e i cittadini a prendersene cura, gestendo i segmenti loro affidati”. Ma potrebbe diventare anche un laboratorio di sperimentazione innovativa sul monitoraggio ambientale e l’utilizzo di fonti rinnovabili, grazie al coinvolgimento in sinergia degli istituti di ricerca della zona, dall’Enea al Cnr. Presentato in Campidoglio e finito sul tavolo della commissione Politiche comunitarie, il progetto da 9 milioni di

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euro potrebbe essere finanziato in parte con fondi europei.

“Il sogno – conclude Grenon – sarebbe di poter aprire la prima parte nel 2015, in concomitanza con l’Expo di Milano”.

di SARA GRATTOGGI link all’articolo

Speciale agenda urbana europea, l’Europa riparte dalle città

Aperta, inclusiva, partecipata: la nuova Agenda urbana europea che si inizia a delineare in questi mesi è il risultato di un cambio di paradigma che vede la Commissione europea impegnata a recuperare un dialogo stretto con quei contesti urbani che rappresentano la principale speranza di ripresa per l’economia Ue.

La due giorni di Cities – Cities of Tomorrow: Investing in Europe, la conferenza organizzata a Bruxelles dalla DG Politiche regionali e urbane della Commissione europea, ha fatto il punto sullo stato di salute delle città europee e

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sugli strumenti necessari per rilanciare una politica urbana europea che aggiorni approcci come quelli della Carta di Lipsia e della ville durable che hanno tenuto banco nell’ultimo decennio.

Perché un’agenda urbana europea?

Rafforzare la dimensione urbana europea rappresenta l’unico modo per affrontare efficacemente le sfide che le città si trovano ad affrontare soprattutto col perdurare della crisi economica che manifesta proprio sui contesti urbani i suoi effetti più significativi. A problemi come la scarsità di housing sociale, la mancanza di trasporti pubblici di qualità e la lentezza dei meccanismi di governance sono però proprio le città di tutta Europa a sperimentare dal basso soluzioni che ristabiliscono la cooperazione tra diversi livelli istituzionali e rimettono di nuovo le persone al centro delle politiche.

A tali costatazioni, scontate per gli osservatori più attenti del dibattito visto dal fronte urbano, è seguita una progressiva presa di coscienza del tema da parte delle istituzioni europee, dall’approvazione della risoluzione del Parlamento europeo nel 2011 che invitava la Commissione a migliorare il coinvolgimento dei livelli urbani fino al rafforzamento della cooperazione tra le presidenze di turno del Consiglio (Grecia in testa) sul tema della povertà urbana.

Con l’avvio del nuovo periodo di programmazione, che aumenta la dotazione finanziaria delle città assegnandogli una quota minima del 5% del Fesr, la necessità di un approccio trasversale dei vari dicasteri della Commissione europea ai temi urbani è diventata una necessità invocata da sempre più parti: Stati membri, amministrazioni locali e stakeholders chiedono alla Commissione europea di mettere in comune risorse e strategie per concentrare in maniera interdipendente politiche e azioni, esattamente come dovrebbero fare le città fra loro.

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Un’Europa come network di grandi centri urbani più che come insieme di Stati è la visione condivisa da chi già fa rete nei confini europei, come Eurocities, e da chi guarda all’Europa urbana come ad un modello unico per il resto del mondo.

Tra questi ultimi, Jon Clos di UN Habitat e Raymond Barber (If mayors ruled the world) sono i sostenitori più accesi di un’Europa ambasciatrice dell’urbanità, capace di mettere la sua storia e il protagonismo decisionale dei suoi sindaci al centro di un confronto sul futuro dell’urbanizzazione mondiale.

Politiche integrate di qualità per attirare investimenti e, dall’altro versante, sostegno all’uscita dalla povertà delle periferie urbane sono i pilastri di un’azione declinata con strategie e approcci diversi da città di tutta Europa.

La definizione di un’Agenda urbana attraverso un confronto attivo tra quanto realizzato dai diversi contesti urbani servirà proprio a stabilire obiettivi specifici con target misurabili ma sarà anche al contempo un quadro di riferimento in cui inserire politiche e strumenti già esistenti o in divenire.

A colpire l’osservatore esterno è l’apertura di un dibattito che vede la Commissione europea ancora incerta su forme e sistemi di monitoraggio di tale Agenda ma decisa ad insistere sulle esperienze di maggiore successo degli ultimi anni (come il Programma Urbact) e a basare su tali modelli operativi (basati sulla partecipazione degli stakeholders e la condivisione delle scelte in vista di un piano d’azione) anche l’implementazione di strumenti finora non ancora decollati come il Reference Framework for Sustainable Cities.

Le città europee e l’Agenda urbana

Intervista al sindaco di Goteborg Anneli Hulthén

In che modo Goteborg sta affrontando le sfide dell’Agenda

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urbana europea?

L’intero budget dell’amministrazione di Goteborg è basato sulla sostenibilità sulle tre prospettive e cerchiamo di tradurre tali prospettive in tre obiettivi concreti: problemi sociali, questioni ambientali e sfide economici. Cerchiamo di affrontare tutte queste sfide assieme Quali sono le sfide che state affrontando in termini di inclusione sociale?

Stiamo fronteggiando grandi sfide sul fronte dell’integrazione sociale in quanto a Goteborg il 20% della popolazione provengono da paesi diversi dalla Svezia. Ciò significa che abbiamo circa 120 diverse lingue e ciò mette fortemente sotto pressione il sistema educativo poiché è difficile fornire una buona istruzione a tutti quando abbiamo così tanti gruppi linguistici e differenze culturali. Addirittura a volte ci sono alunni che arrivano nel nostro paese a 12-13 anni e non sono abituati al sistema educativo svedese. Proviamo a vincere l e s f i d e d e l l ’ i n t e g r a z i o n e a l m a s s i m o a t t r a v e r s o l’insegnamento della lingua svedese o insegnando nella loro lingua specialmente matematica o inglese. Senza dubbio la sfida educativa è quella più importante per noi

Le città svedesi sono viste spesso a livello europeo come un modello di gestione positiva di servizi sociali: in che modo la crisi economica sta colpendo il livello di servizi sociali?

State notando conseguenze particolari rispetto al passato?

L’economia dei comuni svedesi si è mantenuta abbastanza buona anche durante la crisi economica ma ciò non significa che abbiamo la possibilità di fare tutto ciò che vorremmo sul fronte delle questioni sociali. Il tasso di disoccupazione in Svezia e nelle sue città è particolarmente alto in Svezia,

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soprattutto fra i giovani: oltre il 25 per cento dei giovani non hanno un lavoro e questa è una cifra decisamente elevata.

La forte disoccupazione mette una certa pressione sui comuni perché siamo quelli a cui tocca erogare un sostegno economico a coloro che non hanno lavoro. Quindi anche se l’economia ha tenuto bene, soprattutto in confronto a molte altre città europee, gestire il sistema di sicurezza sociale è una sfida continua.

In modo l’innovazione urbana può contribuire a restituire fiducia ai giovani nei confronti dello sviluppo economico futuro?

Penso che si debba dare fiducia ai giovani perché credo che molte persone, soprattutto fra i giovani della mia città, hanno perso speranza nel futuro. Dobbiamo cominciare a ridargli di nuovo questa fiducia. E’ possibile riuscirci ma c’è bisogno che la politica sia migliore di quanto lo sia oggi e di quanto lo sia stata prima. Anche se c’è la crisi, quello che abbiamo imparato è che bisogna guardare avanti

Cosa può fare l’Unione europea per questo?

L’Unione europea dovrebbe rivolgersi in maniera più diretta ai suoi cittadini e ai contesti locali. A volte abbiamo bisogno di rivolgerci ai livelli nazionali, altre volte invece di rivolgerci direttamente proprio al livello europeo. Devono conoscere le sfide e i problemi che stiamo vivendo nelle città e questo non viene sempre comunicato dagli Stati membri alle istituzioni Ue

Intervista al sindaco di Lisbona Antonio Costa

In che modo Lisbona si è preparata sul fronte delle politiche urbane al nuovo periodo economico

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europeo appena iniziato?

Abbiamo iniziato ad aprile 2012 organizzando una piattaforma con tutti gli stakeholders urbani, a partire dall’università, dalle associazioni imprenditoriali e di cittadini, con l’obiettivo di definire come articolare i grandi obiettivi di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva sul fronte locale con gli obiettivi di sviluppo europeo. Abbiamo identificato un nucleo di progetti che abbiamo sviluppato e che intendiamo proseguire nel nuovo periodo di programmazione economica 2014-2020.

La partecipazione dei cittadini è molto importante per quello che state facendo a livello di politiche urbane?

Sì, credo che questo nuovo ciclo esige un rafforzamento del partenariato e il modo più intelligente di articolare gli obiettivi è senza dubbio la mobilitazione di tutti:

dell’università per l’innovazione, delle imprese per lo sviluppo di queste innovazioni generando crescita e lavoro e dell’amministrazione locale, il partner che può meglio sviluppare e applicare queste innovazioni nell’edilizia, nell’illuminazione pubblica, nella mobilità urbana, nell’inclusione delle fasce più svantaggiate.

Il vostro piano d’azione punta a migliorare la qualità della vita delle persone in tutti i quartieri della città: su cosa si sta concentrando l’amministrazione locale per realizzare questo obiettivo?

Ci siamo focalizzati su una parte della città perché se vogliamo fare tutto ciò che servirebbe in tutti i quartieri della città non arriveremo mai ad una realizzazione davvero concreta. Abbiamo selezionato, in funzione della nostra strategia di sviluppo della città, le aree principali di intervento. Si tratta soprattutto di zone nel centro storico, perché è la parte più importante per migliorare la competitività della città, ma ci stiamo concentrando anche sulle strategie di base per il coinvolgimento delle comunità nei quartieri della corona esterna della città per i quali è

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importante la mobilizzazione popolare e una nuova forma di sviluppo locale

Per quello che riguarda l’innovazione urbana e la smart city, che tipo di approccio state prediligendo?

La smart city dipende soprattutto da un concentrato di buone idee sulla città: la tecnologia non cambia da sola la città.

E’ piuttosto uno strumento al servizio delle idee che abbiamo per migliorare la città

Queste risposte che state dando alla crisi, sul piano culturale e ambientale, possono essere dei modell utili anche per ‘Europa e per realizzare delle politiche diverse per le città?

Le politiche urbane offrono a tutti delle diverse soluzioni che possiamo conoscere e adattare alle nostre città. Quello che è importante è la diversità delle nostre politiche che diversifica gli strumenti che abbiamo per fare politica.

Intervista al sindaco di Gent Daniël Termont

Cosa si aspetta Gent dalla nuova agenda urbana europea?

Penso che se ne parli ancora troppo in generale ma è il momento di dare delle risposte concrete, vale a dire come è possibile realizzarla o quali sono i contatti da sviluppare tra Commissione europea e città. In Belgio il governo federale ha sempre costituito un tramite tra questi due livelli e molte città anche in altri paesi europei hanno testimoniato di aver riscontrato lo stesso problema nei loro contesti nazionali, con punti di vista diversi tra governi centrali e livelli urbani. E’ per questo che abbiamo proposto lo stabilimento di contatti diretti fra la Commissione europea e le grandi città

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europee, come anche con quelle più piccole che sono interessate, con l’obiettivo di realizzare accordi diretti tra Commissione e città per arrivare a risultati concreti e non limitarsi solo a discussioni teoriche.

Partecipazione civica, innovazione: quali sono gli elementi che vanno inseriti in questa Agenda urbana europea per condividere davvero delle esperienze positive?

Per Gand è molto importante lavorare con gli abitanti della città. Li chiamiamo in inglese smart citizens ed è il tema attorno a cui abbiamo organizzato l’assemblea generale di Eurocities a novembre scorso. C’erano circa 450 sindaci e amministratori locali provenienti da tutta Europa e a loro abbiamo proposto differenti esempi realizzati in città di collaborazione diretta con i residenti urbani, coinvolgendoli in quest’azione. Penso che lo stesso sistema di lavoro possa essere utilizzato anche nel rapporto con la Commissione europea, promuovendo un lavoro diretto con le città e favorendo un incontro costante con i commissari che non devono rimanere fermi a Bruxelles o a leggere i dossier nei propri uffici ma vengano ad incontrare le città e i cittadini per rendersi conto dei tanti progetti che vengono realizzati nei contesti urbani. In quel momento potranno avere degli indicatori concreti e delle cifre con le quali sarà possibile valutare l’azione urbana nell’ambito dell’Agenda europea.

Ciò si lega al discorso della qualità della vita, come i progetti Urbact sull’alimentazione sostenibile e la famosa iniziativa del giovedì vegetariano. Pensa che queste iniziative concrete che incidono sulla vita quotidiana dei cittadini, possano essere inserite in un quadro europeo che promuova la qualità della vita in maniera innovativa?

Certamente, ne sono convinto,. Ci sono molti esempi che possono migliorare la qualità della vita delle persone. Un solo esempio: Abbiamo un’Abbazia medievale ma non avevamo fondi per poterla tenere aperta in chiave turistica. Sono i residenti che abitano attorno all’Abbazia che mi hanno chiesto

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di prenderla in gestione e adesso hanno messo su un comitato di un centinaio di persone impegnato a tenere viva l’Abbazia, aprendola quotidianamente, organizzando concerti e attività socio-culturali. Sono convinto che possiamo migliorare la vita nella città grazie a tutti questi progetti ed è molto importante stabilire come scopo dell’azione pubblica il miglioramento della vita delle persone.

Non esiste Agenda urbana senza cittadini, insomma

Senza dubbio è impossibile che esista. E’ decisivo avere anche un piano politico per tutta la città. Le do un altro esempio.

Come organizzare la partecipazione civica nella città: si può organizzare una riunione con duecento o trecento persone ma sono sempre gli stessi che prendono la parola mentre ci sono tanti altri che hanno buone idee ma non osano dirle. A Gent abbiamo diviso la città in 25 diversi quartieri e abbiamo lavorato in piccole zone, organizzando una serie di attività per favorire l’incontro tra le persone e fargli esprimere la loro opinione sul futuro della città. Anche questo è molto importante per migliorare il contesto urbano e per rafforzare quel sentimento di legame con la città, facendo sì che possano esprimere la propria opinione non solo ogni cinque anni quando ci sono le elezioni comunali.

Simone d’Antonio (da www.cittalia.it)

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Uk, in arrivo il primo standard per le smart city

Il Dipartimento dell’Innovazione in collaborazione con il British Standard Institute sta elaborando un modello condiviso e applicabile sul territorio britannico per progettare città smart

Parlare di smartness significa, in un’ottica urbana, mettere al primo posto innovazione tecnologica ed interconnessione. Ma per far “dialogare” efficacemente sistemi e servizi è necessario che questi “parlino la stessa lingua”, ovvero che vengano progettati e realizzati secondo un modello uniforme e condiviso. I primi passi in questo senso li sta muovendo il Regno Unito, che ha dichiarato di star lavorando alla realizzazione di uno standard per le smart city che possa essere applicato a livello nazionale.

PAS 180 e PAS 181

L’impegno, portato avanti dal Dipartimento per l’Innovazione (BIS – Business, Innovation & Skills) in collaborazione con il British Standards Institute (BSI), è quello di redigere una sorta di vademecum che possa essere adottato nei vari ambiti progettuali, primo fra tutti quello delle infrastrutture strategiche digitali del paese. La Guida rientrerà nelle pubblicazioni PAS (Publicly Available Specification), programma di specifiche generali che definiscono i requisiti da verificare nell’analisi degli standard. In questo momento il team è impegnato, anche grazie al supporto di diversi partner governativi ( fra cui: Cambridge University e

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l’Università di Westminster, il Birmingham City Council, BRE, Fujitsu, Future Cities Catapult, IBM, Leeds City Council, il Royal Borough of Greenwich e il Technology Strategy Board) nello sviluppo del PAS 180, ma molto probabilmente sarà il documento successivo, già in previsione, il PAS 181, quello che segnerà effettivamente la nascita di un modello strategico condivisibile per la progettazione di smart city all’interno del territorio britannico.

Le smart city di tutto il mondo – ha dichiarato Scott Steedman, direttore divisione Standards di BSI – hanno bisogno di standard chiari ed efficaci. Il lavoro del dipartimento è tutto rivolto alla determinazione delle linee guida per la nascita delle smart city, dal loro concepimento alle infrastrutture tecnologiche e le norme di settore.

Vogliamo essere i primi al mondo a lanciare degli standard per smart city, non solo per dare il via alla trasformazione dei nostri centri urbani, ma per favorire anche le nostre aziende nella competizione globale

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Roma: a piedi alla scoperta della storia di Testaccio

Il 2 marzo 2014 è domenica. La sveglia “presto” la domenica

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mattina è valida solo per gite ed escursioni come in questo caso, altrimenti non nego che adoro rimanermene tra le coperte. Oggi mi aspetta una bella passeggiata alla scoperta della storia di Testaccio, storico quartiere popolare di Roma Capitale.

Ad accompagnarci in questo giro ci sarà Irene, testaccina doc e sociologa esperta di fenomeni di rigenerazione urbana e gentrification. Andare alla scoperta di un quartiere la cui storia è estremamente contemporanea accompagnati da una persona così esperta come lei è davvero un piacere. Non per niente le abbiamo chiesto di mettere in palio per il gioco della community di Gente in viaggio una sua passeggiata in questi luoghi. Ci sembra il modo migliore per scoprire delle aree urbane così affascinanti.

Unica pecca della passeggiata è la pioggia battente che talvolta impedisce al gruppetto di soffermarsi ad approfondire dei particolari dando sfogo alla curiosità di tutti i presenti.

“Quella di testaccio è la storia di un sogno interrotto“.

Esordisce così Irene all’inizio del percorso che parte dall’ingresso del museo MACRO Testaccio. Questo ai tempi dell’unità d’Italia doveva diventare il quartiere industriale della capitale. Una campagna, all’interno delle mura aureliane, che poteva accogliere tutto il disagio della trasformazione industriale della città e i suoi operai.

E’ per questo che la narrazione della storia di Testaccio parte proprio dal MACRO, un museo installato all’interno del vecchio mattatoio. Una struttura immensa che generò un’indotto enorme quando venne costruito e attivato negli ultimi decenni del 1800.

Neanche partiamo che dobbiamo fermarci a ricordare una vecchia locanda dove i lavoratori del mattatoio si consumavano a scommesse. Ben più romantica è invece la storia della “cabina

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dei ragionieri”. Ovvero quella piccola struttura circolare all’interno del campo boario ormai devastata dal degrado. Lì dentro i ragionieri del mattatoio decidevano i prezzi delle merci. Nel pomeriggio e la sera diventava ritrovo dei giovani del quartiere che bevevano vino e si innamoravano.

Molto particolare è la storia del Monte Testaccio. A detta della nostra accompagnatrice è possibile visitare la collina – che è anche un incredibile documento a cielo aperto per la storia del commercio dell’antica Roma – pochissimi giorni l’anno. Il Monte dei Cocci è formata dai pezzi delle anfore di terracotta attraverso le quali venivano trasportati olio e vino provenienti dall’Etiopia e dall’Andalusia. Ogni anno da settembre a novembre team di archeologi spagnoli studiano questi resti.

La passeggiata storica prosegue uscendo dal rione testaccio, passando per gli archi delle mura aureliane in direzione di via del porto fluviale. Peccato non poter visitare il Cimitero Monumentale Acattolico dove sono sepolti alcuni dei più grandi scrittori e artisti europei protestanti che morirono a Roma, ma anche personalità del calibro di Gramsci.

In via del porto fluviale entriamo nell’edificio occupato da numerosi nuclei familiari la cui enorme facciata è interamente dipinta dallo street artist Blu. La struttura anche al suo interno conserva il suo fascino. Infatti è proprio da qui che inizia il percorso di archeologia industriale del quartiere.

Ed è qui, nei paraggi, che l’ex sindaco di Roma Ernesto Nathan (1907-1913) ha lasciato alcuni dei più importanti

“prodotti” della sua amministrazione: la Centrale elettrica Montemartini (adesso adibita a museo, ma ancora attivabile in caso di emergenze democratiche visto che le sue turbine hanno il compito di illuminare Palazzo Madama e Montecitorio), i Mercati e i Magazzini generali. Nathan viene ricordato soprattutto perché fu il sindaco che indisse il referendum che portò i romani a imporre la municipalizzazione i servizi essenziali e alla diffusione dei mercati rionali che fino ad

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allora erano abusivi. Viene un po’ di tristezza pensare a come siano ridotti adesso e di come, in alcuni casi, il degrado causato dalle ultime amministrazioni comunali sia così ben evidente anche in una passeggiata piacevole come questa. Mi riferisco, per esempio al ponte della Scienza o al Teatro India. Due strutture realizzate e abbandonate all’ombra del Gazometro diventato famoso per le notti bianche veltroniane.

La passeggiata continua sul lungotevere Gassman nel “retro”

del quartiere Marconi fino ad arrivare al famoso“Ponte di Ferro” che congiunge l’area di Testaccio-Ostiense con Marconi appunto. Nascostissima in un angolino è possibile vedere una lapide che ricorda l’omicidio di dieci donne testaccine durante il fascismo. In questa zona ai tempi insistevano numerosi mulini e granai e il pane era razionato per il popolo. A volte gruppi di donne di Testaccio saccheggiavano questi granai per poter soddisfare la propria fame e quella dei propri figli. La lapide ricorda l’omicidio di dieci di loro tradite da un uomo che che lavorava in uno di questi granai e che doveva essere loro complice ma che invece si vendette la soffiata ai tedeschi.

Brutti ricordi della storia di Testaccio e di tutta Roma ma assolutamente affascinanti se osservati dal punto di vista della caparbietà della popolazione del primo vero quartiere operaio della città.

Alessio Genteinviaggio link all’articolo

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Esce un libro su Torre David, spazio occupato diventato monumento urbano

In uscita il libro Torre David: Informal vertical communities, nato dal lavoro del collettivo Urban- think tank e del fotografo Iean Baan. Il testo di socio- architettura tratta del progetto del grattacielo occupato nel centro di Caracas che vinse nel 2012 il Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Voluta da David Brillemboug, la torre doveva essere un centro finanziario. Dopo la crisi e con la morte del magnate, l’edificio rimase incompiuto e nel 2007 è stato occupato da 750 famiglie. Si stimano 2.500 persone oggi all’interno dell’edificio, in un progetto di co-housing autogestito. Quello in cui si è trasformato è diventato monumento esemplare di architettura urbana, uno specchio della società, un modello di spazio comune e un esempio di abitare in collettività.

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Oasi, labirinti e canyon: a

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Milano cadono i veli sui padiglioni dell’Expo

I l p a d i g l i o n e d e l l a Thailandia

Via ai lavori, ecco i progetti degli archistar. Tutti i Paesi puntano a realizzare edifici innovativi e sorprendenti. Si passa dai cappelli dei contadini thailandesi al deserto fiorito degli Emirati Arabi. Per la Cina investimenti record, lo spazio più grande alla Germania

È il mondo visto dalla cittadella di Expo. Un primo tour virtuale del sito così come apparirà il 1° maggio del 2015, quando si apriranno i cancelli. E che, adesso, alla vigilia dell’ingresso delle ruspe degli Stati che costruiranno i propri padiglioni, si può percorrere sulla carta dei progetti.

È un’altra gara, quella che è iniziata. I Paesi sono i protagonisti dell’Esposizione universale e saranno le architetture dei loro edifici a tratteggiare l’orizzonte:

tutti sono in corsa per realizzare il padiglione più innovativo e sorprendente. Eppure, dice il commissario unico Giuseppe Sala, “la cosa che più stupisce è come le Nazioni

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abbiano colto in pieno la sfida che avevamo lanciato: non costruzioni monumentali, ma progetti in grado di sviluppare il tema dell’alimentazione”. Disegni tecnologici, con grandi spazi aperti, molti richiami alla natura e materiali sostenibili da smontare al termine dell’evento.

Ad aprire le danze è stata l’Italia, che ha già iniziato a costruire il proprio palazzo ispirato a un albero. La Germania, nei prossimi giorni, farà partire i lavori dei Paesi stranieri. Quello tedesco sarà il padiglione più grande (quasi 5mila metri quadrati e 48 milioni di budget): uno spazio hi- tech con una terrazza verde. Quella che disegnerà Expo, però, è anche una nuova geopolitica. Diplomazia del cibo e potenze economiche che si intrecciano e si fondono. Con due continenti che avranno un peso particolare, Africa e Asia, con i loro giganti. Come la Cina che, con 60 milioni di euro, sarà lo Stato che investirà di più: oltre al padiglione ufficiale, ne sorgeranno altri due di aziende (uno porterà la firma di Daniel Libeskind). Una “sorpresa” è il Nepal. Non è una superpotenza, ma grazie ai privati ha prenotato 2.710 metri quadrati, con un tempio ricoperto da decorazioni in legno ispirate al cibo che trenta famiglie artigiane hanno già iniziato a scolpire.

Chi vuole stupire sono gli Emirati Arabi: il loro padiglione è stato creato da Foster, che ha reinventato un’oasi. Tre piani tra palme e acqua che si raggiungeranno percorrendo un canyon dalle pareti ondulate come le dune del deserto mosse dal vento. Alla fine, la struttura sarà rimontata a Abu Dhabi.

Quello che accadrà all’edificio dell’Azerbaijan, tre grandi sfere che seguono i dettami della bioarchitettura. E il paesaggio tipico del deserto è anche quello che riprodurrà l’Oman. Per il “sì” ufficiale degli Usa si attende la visita in Italia di Barack Obama. Ma il progetto c’è già: un grande

“granaio” dove gli Stati Uniti mostreranno il loro cibo 2.0.

ALESSIA GALLIONE

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I love Torpigna: come amare il verde ed il proprio quartiere

I cittadini di Torpignattara stanno facendo letteralmente rifiorire gli spazi verdi del quartiere, intervenendo nelle aree degradate, aiutando i gatti abbandonati e segnalando i rifiuti ingombranti lasciati per strada

Far fiorire un’aiuola a via della Marranella, pulire il parco Sangalli, riqualificare via di Torpignattara con gesti semplici e quotidiani: è questo che fanno le associazioni e il Comitato di Quartiere di Torpignattara, gruppi di persone stanche del degrado che hanno deciso di rimboccarsi le maniche e dare dignità e valore ai luoghi in cui vivono. “Da luglio siamo partiti con il progetto Adotta un’aiuola per far splendere le aiuole del quartiere ormai secche, piene di erbacce e rifiuti: tanta gente è scesa in strada per donare una pianta, annaffiare, sistemare”, ci racconta Luciana Angelini, Presidente del CdQ. “Da quel momento abbiamo notato un miglioramento, più attenzione da parte dei cittadini e anche di alcuni commercianti che tutti i giorni si occupano di

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tenere pulita l’aiuola davanti al loro negozio. Questo tipo di eventi, che cerchiamo di replicare almeno una volta al mese – continua Luciana – ha creato aggregazione, senso di identità nel quartiere e collaborazione”. Addirittura, ad agosto i cittadini hanno fatto a turni per innaffiare l’aiuola di Via della Marranella per non far appassire le belle piante. A Natale grandi e piccini hanno addobbato l’ulivo della stessa aiuola mentre in via Laparelli si festeggiava allestendo un artistico presepe. “Abbiamo cominciato sostituendoci al Servizio Giardini e intervenendo in prima persona”, aggiunge Donatella Collura dell’Associazione Amici del Parco Acquedotto Alessandrino, spiegando che ora con il Servizio Giardini collaborano e si confrontano per non vanificare il lavoro fatto fino ad oggi a via della Marranella, a via di Torpignattara, all’acquedotto Alessandrino e a via Laparelli.

Purtroppo non si smette mai di intervenire: il Parco Sangalli, di rilevanza archeologica, è stato ripulito, neanche completamente, solo dopo tante richieste e mail inviate dai cittadini all’Ama.

MATERASSI ABBANDONATI? ARRIVA TORPIGNAFLEX

Il CdQ e le associazioni si stanno muovendo anche contro il f e n o m e n o d e i m a t e r a s s i e d e i r i f i u t i i n g o m b r a n t i abbandonati in strada e proliferati negli ultimi mesi: è nata cosìTorpignaflex, una casella mail (torpignaflex@gmail.com) cui inviare segnalazioni per costruire una mappa dei materassi nel Municipio Roma V. La segnalazione ovviamente andrà fatta anche alla Centrale Operativa Ama, che a sua volta smisterà le segnalazioni alla società che si occupa della rimozione. “Ci siamo fatti un’idea di chi sia ad abbandonare per strada tutti questi rifiuti ingombranti”, spiega Luciana Angelini. “Si tratta di negozianti che ritirano i vecchi materassi quando consegnano i nuovi e che, invece di pagare per il corretto smaltimento, li abbandonano per strada costringendo l’Ama a intervenire localmente a spese della comunità tutta”.

RIFIUTI, GATTI E INTEGRAZIONE

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Per quanto riguarda i rifiuti, a Torpignattara la raccolta volontaria dell’umido stenta a decollare: lo mostrano i dati diffusi sul mese di dicembre 2013 secondo cui il quartiere avrebbe raccolto soltanto 808 kg di umido, e lo confermano i ragazzi del CdQ. La comunicazione dell’Ama su questo progetto è stata quasi invisibile e bisogna tenere conto che a Torpignattara vivono anche tante comunità straniere con cui spesso non è facile rapportarsi o comunicare su queste tematiche. “È necessario pensare ad unacomunicazione più capillare e soprattutto multilingue oltre a diffondere più volantini”, dice Donatella Collura. Anche per questo i classici cartelli del rispetto del verde posti nelle aiuole sono stati tradotti in più lingue e ora grazie ad un bando vinto dal CdQ si stanno formando 15 facilitatori culturali, di 13 nazionalità diverse, che diventeranno poi volontari del Comitato per cercare di superare i problemi legati ai rapporti con le comunità straniere. Ma non finisce qui: i cittadini del quartiere oltre a pensare alla flora, si occupano anche della fauna e con la colonia felina “I Gatti di Torpignattara”

curano e aiutano i tanti micetti abbandonati per le strade.

“Ogni giorno ci occupiamo di loro e cerchiamo di trovargli una casa”, afferma Luciana e noi raccogliamo il suo appello di diffondere indirizzo e numero di telefono per eventuali a d o z i o n i e i n f o r m a z i o n i ( 3 3 3 4 2 8 3 8 2 1 – cdqtorpignattara@email.it)

Insomma, c’è ancora tanto da fare nel quartiere e per il quartiere. Ma per trovare la forza e la voglia di impegnarsi basta guardare la scritta “I <3 Torpigna” nell’aiuola di via Laparelli realizzata da Alessio Marazzi, l’artista del Comitato, con i tappi di bottiglia recuperatiproprio ripulendo l’aiuola. Dal letame nascono i fior.

di Giorgia Fanari link all’articolo

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