• Non ci sono risultati.

LA MEDICINA DI GENERE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LA MEDICINA DI GENERE"

Copied!
69
0
0

Testo completo

(1)

L L E E GG G G E E 1 1 9 9 4 4 E E L L A A V V IO I OL L EN E N ZA Z A D DI I G GE E N N E E RE R E

P P RO R OF F . . SS S SA A R R AF A F F F AE A EL L LA L A P P UN U NZ Z O O

(2)

Indice

1 LA MEDICINA DI GENERE --- 3 2 VIOLENZA DI GENERE --- 10 3 LEGGE 194 – TUTELA DEI MINORI --- 25 4 L’OBIEZIONE DI COSCIENZA NELLE SUE DIVERSE APPLICAZIONI IN AMBITO SANITARIO - 36 5 LA TUTELA DELLA DONNA E GLI ASPETTI PSICOLOGICI --- 44 BIBLIOGRAFIA --- 66

(3)

1 La Medicina di genere

La medicina, fin dalle sue origini, ha avuto un’impostazione androcentrica relegando gli interessi per la salute femminile ai soli aspetti specifici correlati alla riproduzione. Dagli anni Novanta in poi, invece, la medicina tradizionale ha subito una profonda evoluzione attraverso un approccio innovativo mirato a studiare l’impatto del genere e di tutte le variabili che lo caratterizzano (biologiche, ambientali, culturali e socio-economiche), sulla fisiologia, sulla fisiopatologia e sulle caratteristiche cliniche delle malattie. In medicina, nella sperimentazione farmacologica e nella ricerca scientifica, il tema delle “differenze di genere” è storia recentissima.

Fu nel 1991, che per la prima volta La dottoressa Bernardine Healy, cardiologa americana e Direttrice del National Institute of Health, menzionò in un articolo scientifico la “questione femminile”. (Healy, 1991) nel quale evidenziava la differente gestione della patologia coronarica nei due generi, con un numero ridotto di interventi diagnostici e terapeutici effettuati sulle donne rispetto agli uomini, a parità di condizioni e, dunque, un approccio clinico-terapeutico discriminatorio e insufficiente se confrontato con quello praticato nei confronti degli uomini.

Qualche anno dopo a Pechino , grazie all’impegno della società civile e dei gruppi femministi e femminili che venne firmata una Dichiarazione coraggiosa e progressista per la promozione dell’eguaglianza di genere e dei diritti umani di donne e ragazze e venne approvata per consenso una Piattaforma d’azione molto puntuale e completa che indicava 12 aree critiche su cui impegnarsi. (O.N.U., IV Conferenza mondiale dell’ONU sulla donna,, 1995).

Nella Conferenza mondiale emerse l’esigenza di inserire una prospettiva di genere in ogni scelta politica, particolarmente in materia di salute fisica e mentale, partendo dalla constatazione che la “ricerca medica era basata prevalentemente sugli uomini” (Piattaforma d’azione della

(4)

conferenza). In tale occasione, si stabilì che tutte le azioni programmatiche di governo dovessero avviare politiche indirizzate a uno sviluppo sociale tendente a promuovere eguaglianza ed equità tra donne e uomini anche in materia di salute. La medicina di genere vuole, infatti, descrivere le differenze nella prevenzione, nella diagnostica e nella terapia di tutte le malattie, e non necessariamente quelle che prevalgono in un sesso o nell’altro o le patologie dell’apparato riproduttivo. I bisogni sanitari delle donne sono peraltro crescenti, differenti e di particolare complessità. Riuscire a definirli e a sviluppare risposte adeguate è interesse dell’intero Paese.

Il concetto di “salute e medicina di genere” nasce dall’idea che le differenze tra i sessi in termini di salute non sono legate esclusivamente alle peculiarità derivanti dalla caratterizzazione biologica dell’individuo e dalla sua funzione riproduttiva. Prima di definire la Medicina di Genere, dobbiamo anzitutto differenziare bene due concetti: SESSO è ciò che è dato dalle caratteristiche biologiche (genetiche, anatomiche, endocrine) GENERE è un riferimento sociale, di comportamenti, di attività, di attributi che una società considera specifici per gli uomini e per le donne. Essere biologicamente maschi o femmine non significa essere automaticamente considerati uomini o donne. Bisogna quindi distinguere il sesso, categoria legata alla biologia, dal genere, categoria simbolica, prodotto di una costruzione culturale, che porta con sé delle implicazioni sociali.

Con il termine “genere” si intende infatti un’accezione più ampia della “differenza”

che include fattori ambientali, sociali, culturali e relazionali. La medicina di genere si pone pertanto come obiettivo quello di realizzare una condizione di “salute” ponendo attenzione non solo alla malattia in quanto tale, ma anche ai determinanti di salute a partire dagli stili di vita quali alcol, fumo, attività fisica, alimentazione e peso corporeo. I determinanti, infatti, contribuiscono a

“determinare” la salute di donne e uomini e a condizionare l’incidenza di alcune malattie croniche:

malattie cardiovascolari e respiratorie, tumori e diabete. Si tratta per lo più di scelte individuali,

(5)

dove però il contesto socioeconomico e ambientale e fortemente limitante la liberta di scelta.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha preso atto delle differenze di genere nel 1998 e già dal 2002 ha chiesto che l’integrazione delle considerazioni di genere nelle politiche sanitarie diventi pratica standard in tutti i suoi programmi. (Signani)

L’attenzione al genere in sanità pubblica è, infatti, una scelta strategica di politica sanitaria che ha come finalità l’appropriatezza sia nella prevenzione che nella diagnosi, sia nella cura che nella riabilitazione ed è indirizzata ad affrontare tutte quelle malattie comuni a uomini e donne, come le malattie cardiovascolari, neurodegenerative, autoimmuni, respiratorie e i tumori, che presentano importanti differenze tra i due sessi non solo nell’incidenza, ma anche nella sintomatologia, nella prognosi e nella risposta ai trattamenti.

Più recentemente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2015), in un documento che illustra le politiche sanitarie europee in questo decennio, indica il genere come elemento portante per la promozione della salute finalizzata a sviluppare approcci terapeutici diversificati per le donne e per gli uomini. Per arrivare a questa maggiore appropriatezza è però necessario orientare gli interventi sanitari, costruire percorsi specifici, organizzare processi formativi e indirizzare la ricerca in questo campo. Va naturalmente sottolineato che le differenze tra uomini e donne non sono solo biologiche, cioè legate al sesso, ma anche relative alla dimensione sociale e culturale, cioè alla dimensione di genere, e le strette interconnessioni tra queste due dimensioni rendono ancor più complesso delineare programmi e azioni, organizzare i servizi, informare e comunicare in maniera corretta e completa con l’utenza.

La mancanza o l’insufficienza di dati scientifici in alcuni campi di intervento medico o la mancanza della dimensione di genere in alcune analisi statistiche dei dati rende ancora più difficile la costruzione di una medicina più a misura dell’individuo, vale a dire personalizzata, quindi

(6)

genere-specifica. La dimensione di genere nella salute è pertanto una necessità di metodo e analisi che può anche divenire strumento di governo e di programmazione sanitaria. Per arrivare a questo obiettivo è però necessario:

• promuovere un’attività scientifica e di ricerca con un’ottica di genere;

• sviluppare attività di prevenzione e individuare fattori di rischio genere-specifici in tutte le aree della medicina;

• includere uomini e donne nei trials clinici;

• sviluppare percorsi di diagnosi e cura definiti e orientati al genere;

• formare e informare il personale sanitario;

• includere gli aspetti di genere nella raccolta e nell’elaborazione dei flussi informativi e nella formulazione dei budget sanitari.

Per garantire sia agli uomini sia alle donne la tutela del proprio benessere e il migliore approccio clinico, diagnostico e terapeutico, quindi, non si puo prescindere dal considerare il

“genere” come determinante. ((ARS), 2013)

Nasce cosi la medicina di genere, il cui obiettivo è comprendere , attraverso la ricerca, i meccanismi attraverso i quali le differenze legate al genere agiscono sullo stato di salute e sull’insorgenza e il decorso di molte malattie, nonché sugli outcomes delle terapie. Gli uomini e le donne, infatti, pur essendo soggetti alle medesime patologie, presentano sintomi, progressione di malattie e risposta ai trattamenti molto diversi tra loro.

(7)

Attualmente, a livello sia nazionale sia internazionale, le pubblicazioni di studi clinici

“Gender oriented” sono molteplici e di alto valore scientifico ma, nonostante le consolidate evidenze, le linee guida disponibili nelle varie discipline ancora non inseriscono nei percorsi gestionali delle

patologie il determinante “genere”. Anche nell’ambito della formazione sanitaria questa innovativa disciplina medica non e stata finora inserita nei programmi dei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia e nelle Scuole di specializzazione, ad eccezione, in Italia, della Facoltà di Padova e, in Europa, delle facoltà di Helsinki, Berlino e Parigi, che hanno istituito la Cattedra

in Medicina di Genere.

Per la programmazione sanitaria, in prospettiva dell’applicazione della medicina di genere, il Ministero della salute coordina i rapporti con tutti i soggetti coinvolti e promuove le iniziative di ricerca scientifica, regionali e/o locali, per l’elaborazione di raccomandazioni e linee guida sulla tematica. Elementi di rilievo sono anche la progettazione dei piani sanitari e di prevenzione nazionali e regionali che tengano conto delle diversità e l’individuazione di specifici indicatori atti a valutare la qualità clinico-organizzativa dell’assistenza sanitaria “di genere” (ISTAT, 2015), nonché la promozione di azioni informative e di divulgazione scientifica. (Ministero della Salute, http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2218_allegato.pdf., 2014)

L’Italia con l’ Accordo del 22 novembre 2012 (Rep. Att. 227/CSR) è stata definita una linea progettuale dal titolo “Misure dirette alla promozione dell’approccio di genere in sanità” per la quale sono state stanziate risorse vincolate per un totale di 10 milioni di euro ripartite tra le Regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. L’obiettivo della linea

(8)

progettuale è far elaborare e realizzare progetti sperimentali e innovativi che favoriscano l’approccio di genere nella valutazione e programmazione dei servizi sanitari regionali, nel rispetto delle esigenze specifiche di ogni singola realtà. La dimensione di genere e stata intesa non solo come differenze biologiche e sessuali, ma anche come diversità sociale, culturale e comportamentale, al fine di ridurre le dis-equità esistenti. (Ministero della Salute, “Misure dirette alla promozione dell'approccio di genere in sanità”, 2012)

Alle Regioni e stato richiesto di adottare programmi che promuovessero stili di vita salutari correlati al genere e di prevedere un’organizzazione dei servizi basata sull’equità di accesso e di fruizione alle cure, per rispondere in maniera appropriata alla domanda di salute differente per genere. La linea progettuale ha previsto anche, in particolare, l’adozione di programmi per la prevenzione attiva dell’infertilita, soprattutto nelle adolescenti e negli adolescenti, e la facilitazione all’accesso e alla presa in carico per la prevenzione, cura e riabilitazione della sindrome metabolica e dell’’osteopenia/osteoporosi post-menopausa e delle patologie correlate.

Il genere femminile, infatti, per i propri ritmi biologici, per la gravidanza, per la menopausa e per la maggiore longevità, ricorre più frequentemente alle cure sanitarie con conseguente maggiore impegno economico da affrontare. L’auspicio e che la medicina di genere raggiunga l’obiettivo di promozione di un approccio mirato e differenziato, in modo da ottimizzare le cure in un’ottica di equità. Le specifiche analisi di genere in tutti i campi (clinico, delle scienze di base e sociali,

dell’epidemiologia, dei servizi sanitari e della ricerca), la valutazione delle eventuali disparità di genere nelle prestazioni cliniche, nonché l’individuazione dei meccanismi alla base di esse, costituiscono le principali strategie di intervento per un’organizzazione e programmazione

(9)

sanitaria ad hoc. Inoltre La medicina di genere indaga inoltre sulle relazioni tra l'appartenenza al genere sessuale e l'efficacia delle terapie nel trattamento di determinate patologie.

Questa innovativa branca della ricerca biomedica, relativamente inedita per l'Italia, rappresenta una nuova prospettiva per il futuro della salute. L'obiettivo è quello di giungere a garantire a ogni individuo, maschio o femmina, l'appropriatezza terapeutica.

Infine, sempre nell’ottica della medicina di genere , ma in relazione alla violenza di genere, le Regioni sono state incoraggiate ad attivare percorsi di sensibilizzazione degli operatori di pronto soccorso, di medicina generale, di pediatria di libera scelta e di continuità assistenziale e a elaborare specifici progetti inerenti la prevenzione della violenza secondo le buone pratiche ghia adottate da alcune Regioni, l’individuazione di segni e sintomi ascrivibili alla violenza sessuale, fisica e psicologica, anche mediante schede di rilevazione che valutassero l’entità e l’impatto della violenza subita.

(10)

2 Violenza di genere

La violenza fondata sul genere o gender–based violence, secondo la denominazione anglo- americana, non è forse mai stata così visibile come oggi, sia a livello nazionale che internazionale:

termini come wife abuse, wife beating, domestic violence e sexual harassment sono riferimenti chiave nella letteratura scientifica internazionale, in quanto la violenza di genere è divenuta un problema di livello mondiale.

L’antropologa francese François Héritier definisce il termine “violenza”:

“[…] ogni costrizione di natura fisica, o psichica, che porti con sé il terrore, la fuga, la disgrazia, la sofferenza o la morte di un essere animato; o ancora, qualunque atto intrusivo che abbia come effetto volontario o involontario l’espropriazione dell’altro, il danno o la distruzione di oggetti inanimati”. (Héritier, 1999)

Con l'espressione violenza di genere si indicano tutte quelle forme di violenza da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking , allo stupro, fino al femminicidio1, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.

E' "violenza contro le donne" ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà. Così recita l'art 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della

1 Femmicidio e femminicidio sono due parole entrate da poco nel dibattito pubblico italiano. Spesso utilizzate come sinonimi, in realtà, hanno significato leggermente diversi, anche se entrambi i termini derivano dalla parola inglese femicide. Mentre con il termine “femminicidio” si intende tutto l’insieme delle violenze e delle discriminazioni operate contro il genere femminile (quindi riguarda anche la limitazione della loro libertà sul piano della partecipazione alla vita pubblica, della socialità, eccetera) e che possono sfociare anche nel tragico epilogo della morte, la parola “femmicidio”

sta a significare proprio l’omicidio di una donna fondato su motivazioni di genere, come visto poco sopra.

(11)

violenza contro le donne. (O.N.U., Convenzione sull’Eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW)., 2013)

Come sostiene l’Organizzazione Mondiale della Sanità è un grave problema di salute pubblica, che incide direttamente sul benessere fisico e psichico delle donne e indirettamente sul benessere sociale e culturale di tutta la popolazione. La violenza verso le donne riguarda, dunque, una duplice dimensione: la prima che attiene le relazioni tra i sessi, la seconda il piano sociale su cui queste si strutturano.

Quindi, la violenza di genere è un fenomeno assai difficile da contrastare, perché si annida negli interstizi della società, spesso sfuggenti e insospettabili, manifestandosi per lo più silenziosamente nella vita quotidiana e riuscendo a rappresentarsi come un evento accidentale persino nella percezione delle stesse vittime. Le violenze di genere determinano, dunque, un costo sociale che frena lo sviluppo economico delle società, a cominciare dal mancato guadagno economico

da parte delle vittime – che dopo avere subito una violenza hanno grandi difficoltà a condurre una vita lavorativa equilibrata - fino ad arrivare ai costi finanziari che il sistema deve sostenere per arginare gli effetti negativi dei maltrattamenti contro le donne. Le violenze generano spese pubbliche più elevate per i servizi medici, per il sistema giudiziario, per la sicurezza e, soprattutto, per il prezzo pagato dalle future generazioni in termini di disagio e sviluppo.

Tipologie della violenza di genere

La violenza sulle donne assume molteplici forme e modalità, sebbene la violenza fisica sia la più facile da riconoscere.

• Maltrattamento fisico

(12)

Ogni forma d’ intimidazione o azione in cui venga esercitata una violenza fisica sulla donna.

Vi sono compresi comportamenti quali: spintonare, costringere nei movimenti, sovrastare fisicamente, rompere oggetti come forma di intimidazione, sputare contro, dare pizzicotti, mordere, tirare i capelli, gettare dalle scale, cazzottare, calciare, picchiare, schiaffeggiare, bruciare con le sigarette, privare di cure mediche, privare del sonno, sequestrare, impedire di uscire o di fuggire, strangolare, pugnalare, uccidere.

• Maltrattamento economico

Ogni forma di privazione e controllo che limiti l’ accesso all’ indipendenza economica della donna. Vi sono inclusi comportamenti quali: privare delle informazioni relative al conto corrente, al reddito e alla situazione patrimoniale del partner, non condividere le decisioni relative al bilancio familiare, costringere la donna a spendere il suo stipendio esclusivamente nelle spese domestiche, costringerla a fare debiti, tenerla in una situazione di privazione economica continua, rifiutarsi di pagare un congruo assegno di mantenimento o costringerla a umilianti trattative per averlo, licenziarsi per non pagare gli alimenti, impedirle di lavorare, sminuire il suo lavoro, obbligarla a licenziarsi o a cambiare tipo di lavoro oppure a versare lo stipendio sul conto dell’ uomo.

• Violenza sessuale

Ogni imposizione di pratiche sessuali non desiderate. Vi sono compresi comportamenti quali: coercizione alla sessualità, essere insultata, umiliata o brutalizzata durante un rapporto sessuale, essere presa con la forza, essere obbligata a ripetere delle scene pornografiche, essere

“prestata” ad un amico per un rapporto sessuale.

• Maltrattamento psicologico

(13)

La violenza psicologica accompagna sempre le altre forme di violenza. E’ ogni forma di abuso e mancanza di rispetto che lede l’ identità della donna. Si “convince” chi ne è oggetto che è una persona priva di valore determinando in chi la subisce l’ accettazione di altri comportamenti violenti. Si tratta spesso di atteggiamenti che si insinuano gradualmente nella relazione e spesso, a lungo andare, la donna non riesce più a vedere quanto siano lesivi della sua persona. Il maltrattamento psicologico procura una grande sofferenza e si manifesta con molteplici tipologie e modalità: convincere la donna che non vale niente, sminuirla nella sua femminilità e sessualità, offenderla, dirle che è stupida e brutta, dirle che è una pessima madre, fare leva sulle debolezze per farla sentire inadeguata e per farla sentire in colpa, farle delle critiche continue, distruggere la rete amicale, trattare come un oggetto, richiedere di cambiare il proprio aspetto fisico per compiacere il partner, manipolare lo stato psichico della donna e farle assumere comportamenti diversi da quelli che lei vorrebbe, gelosia eccessiva, maniacale possessività, continuo controllo di cosa fa e dove va, privazione di rapporti con la famiglia di origine, impedirle di avere contatti autonomi con il mondo esterno, considerarla come una proprietà, attribuzione di un sovraccarico di responsabilità nell’

organizzazione del menage familiare, negare le risorse necessarie al soddisfacimento dei diritti umani fondamentali, distorsione della realtà oggettiva e critica continua alla visione del mondo della donna, messa in dubbio delle cose che da lei vengono provate e viste, negazione dei suoi sentimenti, far passare per normali gravi maltrattamenti o abusi, dirle sempre che è pazza, minacciarla continuamente ed indurre uno stato costante di paura.

• Stalking

Si tratta di una forma di vera e propria persecuzione che si protrae nel tempo (può durare mesi o anni) che si compone di una serie di comportamenti tesi a far sentire la vittima continuamente controllata ed in uno stato di pericolo e tensione costante. Ad esempio: seguire la

(14)

donna nei suoi spostamenti, aspettarla sotto casa, fare incursioni sul posto di lavoro al fine di provocare il suo licenziamento, fare continue telefonate in tutte le ore del giorno e della notte, danneggiare la macchina o lasciare scritte infamanti nei luoghi frequentati dalla donna, minacciare di morte. (Bourdieu Pierre, 1998)

Il “ciclo” della violenza e le conseguenze sulla vittima

La violenza contro le donne è spesso un ciclo di vessazione che si manifesta in molte forme nel corso della loro vita (vedi Tabella 1). Persino all’inizio della sua vita, una bambina può essere oggetto di un aborto selettivo del sesso del nascituro, o infanticidio femminile, in quelle culture dove prevale la preferenza per un figlio maschio. (Barletta R., 2008)

(15)

Ciò che viene denominato come “ciclo della violenza” è la rappresentazione di un circuito che si sviluppa nel corso del tempo in modo graduale, a partire da violenze verbali o atteggiamenti svalorizzanti. Gli episodi violenti si scatenano spesso per motivi banali e sono seguiti da scuse e pentimento da parte del partner/aggressore, alternando così la crisi violenta con la cosiddetta “luna di miele”, periodo in cui il rapporto, apparentemente più saldo, riprende come se niente fosse accaduto. La donna, nella speranza che il domani sarà diverso, che il pentimento sortisca in un cambiamento strutturale, si trova a minimizzare le tensioni e a nascondere all’ esterno e a se stessa il proprio disagio e la pericolosità della situazione.

L’innesco del cosiddetto “ciclo della violenza” è preceduto da un comportamento strategico dell’uomo mirante a isolare la donna e farle rompere ogni legame significativo di tipo familiare,

(16)

amicale e con il lavoro, in quanto si basa su un’ asimmetria di potere tra i sessi rafforzata dagli stereotipi che relegano la donna quasi esclusivamente ad un ruolo tradizionale di cura e di sostegno per le diverse figure maschili (padri, fratelli, partner e figli)

1. Fase di crescita della tensione: In questa fase la donna inizia ad avvertire la crescente tensione e cerca di prevenire l’escalation di violenza concentrando tutta la sua attenzione e le sue energie sull’uomo. Spera in tal modo di calmare le acque, diminuire la tensione e controllare l’agire violento del partner. L’uomo non agisce direttamente la violenza ma questa trapela dalla mimica, dal silenzio ostile e dagli atteggiamenti scontrosi.

2. Fase di maltrattamento: In questa fase l’uomo perde il controllo di sé e si verifica l’episodio violento. Prima di aggredire fisicamente la compagna, il maltrattante può insultarla, minacciarla e rompere oggetti. Generalmente la violenza fisica è graduale: i primi episodi sono caratterizzati da spintoni, braccia torte, per poi arrivare a schiaffi, pugni e calci o e all’uso di oggetti contundenti ed armi. In questo stadio, per sottolineare il proprio potere, l’uomo può agire violenza sessuale. La donna non reagisce perché grazie a piccoli e perfidi attacchi il terreno è stato preparato e lei ha paura. L’aggressione da parte del partner le provoca un senso di tristezza e di impotenza, può protestare ma non si difende.

3. Fase di luna di miele: Questa fase si suddivide in due diversi momenti. Nella prima sottofase (A), denominata “delle scuse e delle attenzioni amorevoli”, l’uomo chiede scusa e si dimostra “dolce, attento e premuroso” per farsi perdonare. E’ frequente che l’uomo faccia regali, promesse di andare in terapia e di “fare tutto il possibile per cambiare” affinché la donna non lo lasci e si separi da lui. Sono usuali, anche, le minacce di suicidio. La donna si trova di fronte l’uomo affascinante e amorevole dei primi periodi della relazione. La donna accoglie il partner e le sue false richieste d’aiuto per cambiare pensando di essere l’unica in grado di poterlo aiutare e salvare.

(17)

Nella seconda sottofase (B) detta di “scarico della responsabilità” l’uomo attribuisce la colpa del suo comportamento a cause esterne, come il lavoro stressante, la situazione economica etc. , e soprattutto alla donna che lo ha provocato o ha fatto qualcosa che giustifica la sua aggressione.

Nella donna prevale il senso di colpa per non essere stata come l’uomo voleva o si aspettava. Tutto ciò consolida all’interno della coppia lo squilibrio relazionale tra l’uomo che abusa e la fiducia in lui riposta dalla compagna.

Quando la violenza è radicata i cicli si ripetono e come una spirale con il tempo accelerano di crescente intensità. Con il passare del tempo, la fase di luna di miele si riduce e le prime due fasi diventano più frequenti, e con conseguenze più gravi per la donna. Se il processo ciclico non viene interrotto la vita della donna può essere in pericolo.

E’ fondamentale ricordare che, all’inizio della relazione violenta, la donna è convinta di poter tenere sotto controllo la situazione e chiede aiuto per problemi sanitari legati all’episodio violento, per sostegno alla coppia, per contenere o cambiare lui. Solo dopo il ripetersi di vari episodi di maltrattamento, la donna prende consapevolezza che non può né controllare, né cambiare lui e sviluppa una motivazione più forte ad uscire dalla relazione violenta.

Subire violenza è un’ esperienza traumatica, che produce effetti diversi a seconda del tipo di violenza subita e della persona che ne è vittima.

La violenza di genere ha effetti devastanti sulle donne sia a livello fisico che psichico;

inoltre, può avere conseguenze sia di tipo acuto/temporaneo sia di tipo cronico/permanente10:

CONSEGUENZE FISICHE:

 Lesioni addominali

(18)

 Lividi e frustate

 Sindromi da dolore cronico

 Disabilità Fibromialgie Fratture

 Disturbi gastrointestinali. Sindrome dell’intestino irritabile. Lacerazioni e abrasioni

 Danni oculari

 Funzione fisica ridotta

SESSUALI E RIPRODUTTIVE

 Disturbi ginecologici Sterilità

 Malattia infiammatoria pelvica

 Complicazioni della gravidanza/aborto spontaneo

 Disfunzioni sessuali

 Malattie a trasmissione sessuale, compreso HIV/AIDS

 Aborto in condizioni di rischio

 Gravidanze indesiderate

PSICOLOGICHE E COMPORTAMENTALI

 Abuso di alcool e droghe Depressione e ansia

 Disturbi dell’alimentazione e del sonno

 Sensi di vergogna e di colpa Fobie e attacchi di panico Inattività fisica

(19)

 Scarsa autostima

 Disturbo da stress post-traumatico

 Disturbi psicosomatici

 Fumo

 Comportamento suicida e autolesionista

 Comportamenti sessuali a rischio

CONSEGUENZE MORTALI

 Mortalità legata all’AIDS

 Mortalità materna

 Omicidio

 Suicidio (Casarosa M., novembre 2011)

Quanto elencato ci permette di confermare come la violenza subita da una donna comprometta seriamente la sua salute, quest’ ultima intesa non più come mera assenza di una malattia ma come completo benessere fisico, psicologico e sociale secondo la definizione dell’

Organizzazione Mondiale della Sanità - OMS. Le conseguenze possono essere molto gravi ed è necessario considerare che la degenerazione di alcune situazioni dipende, spesso, dal tipo di risposta che una donna riceve nel momento in cui chiede aiuto all’ esterno, dal sostegno o dal mancato sostegno che ha trovato nei familiari non abusanti, nelle amiche o nei professionisti. Il percorso di ricerca di aiuto può essere lungo e difficile. Ogni donna è diversa, ciascuna ha una propria soglia di tolleranza della violenza e si trova ad agire in contesti differenti. Alcune pongono fine alla relazione

(20)

dopo il primo episodio, altre cercano per mesi e per anni di fare in modo che “lui cambi” e si decidono a lasciare il partner violento soltanto quando ogni strada è stata percorsa. Il fatto stesso di ammettere che c’è un problema e che non può risolverlo da sola produce sofferenza. Inizialmente, la donna - mantenendo la relazione con il partner - cerca in tutti i modi di fermare la violenza, senza ricorrere all’ aiuto esterno, facendo leva sulle sue risorse personali. Successivamente, cerca l’

appoggio di familiari e parenti e, infine, nel caso in cui non si sia verificato alcun cambiamento, ricorre a soggetti istituzionali come Servizi sociali e Forze dell’Ordine (Armeni, 2011).

La normativa sulla violenza

Il processo di riconoscimento della violenza di genere si impone in Italia, dal punto di vista legislativo, solo nel 1975, con l’approvazione del nuovo diritto di famiglia e, a partire dalle pressioni esercitate dal movimento femminista, è stata abolita l’autorità maritale cioè la liceità, da parte del coniuge di far uso di “mezzi di correzione” e disciplina nei confronti della propria moglie;

e ancora, solo nel 1981 scompare dal nostro codice il “delitto d’onore” e il “matrimonio riparatore”, il primo che permetteva ai mariti di godere di sensibili sconti di pena nel caso in cui avessero ucciso la propria moglie per infedeltà, il secondo che consentiva, a chi avesse commesso uno stupro, di vedere estinto il proprio reato qualora avesse contratto matrimonio con la propria vittima., tutte questa normativa, ha dato visibilità alla violenza facendo emergere nella sua drammaticità l’entità della sua incidenza, rompendo quel patto d’ innominabilità che per tanto tempo l’ ha relegata nel regno del silenzio e del non detto. Ma la prima significativa innovazione legislativa in materia di violenza sessuale, in Italia, si è avuta con l’approvazione della Legge 15 febbraio 1996, n. 66,2 che ha iniziato a considerare la violenza contro le donne come un delitto contro la libertà personale, innovando la precedente normativa, che la collocava fra i delitti contro la moralità pubblica ed il

2 http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_1557_allegato.pdf

(21)

buon costume. Con la Legge 4 aprile 2001, n. 1543 vengono introdotte nuove misure volte a contrastare i casi di violenza all’interno delle mura domestiche con l'allontanamento del familiare violento. Nello stesso anno vengono approvate anche le Leggi n. 60 e la Legge 29 marzo 2001, n.

1344 sul patrocinio a spese dello Stato per le donne, senza mezzi economici, violentate e/o maltrattate, uno strumento fondamentale per difenderle e far valere i loro diritti, in collaborazione con i centri anti violenza e i tribunali.

Con la Legge 23 aprile 2009, n. 385 sono state inasprite le pene per la violenza sessuale e viene introdotto il reato di atti persecutori ovvero lo stalking.

Ma il vero passo storico al contrasto della violenza di genere, il nostro Paese lo ha compiuto con la legge 27 giugno 2013 n. 77,6 approvando la ratifica della Convenzione di Istanbul,7 redatta l'11 maggio 2011. Le linee guida tracciate dalla Convenzione costituiscono infatti il binario e il faro per varare efficaci provvedimenti, a livello nazionale, e per prevenire e contrastare questo fenomeno. (Marco Zupi Hassan Sara, Dicembre 2013)

La Legge 15 ottobre 2013, n. 119 8(in vigore dal 16 ottobre 2013) “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”, ma l’ultimo provvedimento in materia di sicurezza e contrasto alla violenza di genere è il D. lgs. 15 giugno 2015, n. 80, Art. 24 "Congedo per le donne vittime di violenza di genere"9

3 http://www.camera.it/parlam/leggi/01154l.htm

4 http://www.parlamento.it/parlam/leggi/01134l.htm

5 http://www.camera.it/parlam/leggi/09038l.htm

6 http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/07/01/13G00122/sg

7 http://www.conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?CL=ITA&NT=210

8 http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/10/15/13G00163/sg

9 http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/06/24/15G00094/sg

(22)

La legge contro la violenza di genere persegue tre obiettivi principali: prevenire i reati, punire i colpevoli, proteggere le vittime. Con l'introduzione nel 2009 del reato di atti persecutori- stalking, che si configurano in ogni atteggiamento violento e persecutorio e che costringono la vittima a cambiare la propria condotta di vita, fino alla legge sulle 'Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere', risultano infatti rafforzati la tutela giudiziaria e il sostegno alle vittime, una serie di aggravanti e la possibilità di permessi di soggiorno per motivi umanitari per le vittime straniere di violenza, per questo motivo è necessario conoscere gli articoli del Codice Penale riferiti alla violenza di genere .10

La Violenza Assistita E la Violenza domestica

L’affermarsi del riconoscimento pubblico della violenza assistita è alquanto recente nel nostro Paese ed è cresciuto parallelamente al diffondersi delle iniziative delle associazioni femminili nella tutela delle donne che subiscono violenza domestica, prima ancora che delle istituzioni. Anche il fenomeno dell’abuso sull’infanzia, sul quale si è notevolmente alzata la soglia della pubblica attenzione, ha contribuito a mettere a fuoco la problematica, in quanto gli studi ed il senso comune hanno riconosciuto che la violenza non soltanto produce danni quando viene agita, ma anche quando i bambini ne diventano testimoni. La “scoperta” della violenza assistita si deve sia alla letteratura scientifica internazionale, che ha riconosciuto e definito il fenomeno, sia

10 Codice penale:

art. 572 (Maltrattamenti contro familiari e conviventi)

art. 609-bis (Violenza sessuale)

art. 609-ter (Circostanze aggravanti)

art. 609-quater (Atti sessuali con minorenne)

art. 609-quinquies (Corruzione di minorenne)

art. 609-sexies (Ignoranza dell'età della persona offesa)

art. 609-septies (Querela di parte)

art. 609-octies (Violenza sessuale di gruppo)

art. 609-nonies (Pene accessorie ed altri effetti penali)

art. 609-decies (Comunicazione al tribunale per i minorenni)

art. 612 bis - (Atti persecutori)

(23)

all’osservazione costante degli operatori più attenti, i quali adottando strumenti di registrazione e valutazione dei casi, hanno riscontrato la presenza significativa di questa forma di violenza anche nel nostro Paese. La sensibilità per la problematica risale agli anni ’90 e si è sviluppata grazie all’incontro dei saperi e delle istanze degli operatori pubblici e privati, tra chi tutela le donne e chi interviene sui minori. É emersa così la consapevolezza della stretta interrelazione tra violenza domestica e violenza assistita. (Luberti R., 2002)

“Per violenza assistita da minori in ambito familiare si intende il fare esperienza da parte del/lla bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori. Si includono le violenze messe in atto da minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia, e gli abbandoni e i maltrattamenti ai danni degli animali domestici. Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando avvengono nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore ne è a conoscenza), e/o percependone gli effetti”.

Si tratta di una definizione non clinica né giuridica ma descrittiva, che ha il merito di delimitare il contesto, i soggetti e le esperienze che possono essere ricondotti al problema della violenza assistita. (Saulini., 2011)

Il “Documento sui requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri”, approvato dall’assemblea dei soci nel 2005, parte dalla definizione assunta dal Coordinamento, indicando poi i requisiti minimi degli interventi da realizzare a favore di bambini vittime di violenza assistita e dettagliando le fasi di rilevazione, protezione, valutazione e trattamento. Si segnala inoltre la necessità di specifici programmi di sensibilizzazione sulla violenza domestica e assistita rivolti all’opinione pubblica e di programmi di formazione per gli operatori di area medica e paramedica, psicologica, sociale, educativa e giuridica.

(24)
(25)

3 Legge 194 – Tutela dei minori

11

L’aborto è qualsiasi interruzione della gravidanza prima del suo termine fisiologico (nove mesi) cioè prima che l’embrione sia in grado di condurre una vita extrauterina sia che essa avvenga spontaneamente sia volontariamente.

Occorre, innanzitutto, distinguere:

1. ABORTO SPONTANEO: si ha quando l’interruzione della gravidanza non dipende dal fatto umano, ma è accidentale ed incolpevole;

2. ABORTO PROVOCATO: si intende l’interruzione della gravidanza indotta con tecniche mediche (viene effettuata principalmente per scopi terapeutici o motivazioni mediche) ma, in molti casi, per semplice interruzione volontaria da parte della donna. L’aborto volontario o provocato è stato introdotto, tutelato e disciplinato dalla legge n. 194/1978 che individua due momenti in cui vi è la possibilità per la futura madre di interrompere la gravidanza:

nei primi 90 giorni L’aborto entro i primi 90 giorni dal concepimento è rimesso alla libera determinazione della donna: la futura madre, infatti, se ritiene che la gravidanza stessa, il parto e la maternità possano comportare un serio pericolo per la sua salute fisica e psichica tenendo conto del suo stato di salute, delle sue condizioni economiche, sociali o famigliari o delle circostanze in cui è avvenuto il concepimento (ad esempio a seguito di una violenza sessuale) si può rivolgere a un consultorio pubblico, alle strutture sanitarie o al medico di fiducia. Questi operatori, se ravvisano l’esistenza di condizioni che giustificano l’intervento, rilasciano alla donna un certificato che attesti l’urgenza e con il quale la donna può

11 La legge 194 del 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza,

(26)

interrompere la gravidanza in una delle sedi autorizzate. Viceversa, se non viene ravvisata l’urgenza, la futura madre viene invitata a soprassedere per sette giorni per riflettere, al termine dei quali può decidere ugualmente di interrompere la gravidanza.

dopo i primi 90 giorni (solo in casi tassativamente indicati dalla legge), viene definito Aborto per fini terapeutici . Questo tipo di interruzione della gravidanza viene adottata quando il medico individua la presenza di patologie e potenziali malattie che possono colpire la madre o il feto. Le cause più note che possono mettere in pericolo la vita della donna sono, per esempio, gravi malattie cardiache, malattie renali croniche, tubercolosi polmonare, forme tumorali che colpiscono la mammella. L’embrione può essere, invece, affetto da sindrome di Down (che si individua con ecografia) o da anomalie che pregiudicano lo sviluppo dello stesso. Anche per le donne affette da AIDS è possibile abortire essendo questo virus potenzialmente trasmissibile al figlio.

La procedura di aborto

La futura madre, dopo essersi rivolta al consultorio12, ai servizi socio-assistenziali o al medico di fiducia, si presenta con il certificato che le è rilasciato e che attesta l’urgenza o con il documento in cui le si chiede di soprassedere sette giorni presso una delle sedi autorizzate a praticare l’aborto: ospedali pubblici specializzati, istituti ed enti che ne abbiano fatto richiesta.

Nei primi 90 giorni l’intervento può essere effettuato in case di cura autorizzate o presso poliambulatori con un limite di operazioni stabilite in maniera percentuale dal Ministro della Sanità.

Il medico che esegue l’interruzione deve fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite e sulle tecniche dei procedimenti abortivi.

12 La legge introduttiva dell’aborto ha attribuito ai consultori familiari un ruolo centrale per assistere la donna in stato di gravidanza. Essi devono: informarla circa i suoi diritti in base alla legislazione statale e regionale e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali; promuovere l’intervento di assistenza; sostenerla nel superare le cause che la inducono a interrompere la gravidanza.

(27)

La donna gode della tutela del segreto: è, infatti, punito penalmente chi rivela l’identità o diffonda notizie che permettano di identificare le donne che hanno interrotto la gravidanza.

L’aborto della minorenne o della donna interdetta

Se la donna è minore di 18 anni per l’interruzione della gravidanza è richiesto il consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela (vale a dire l’attribuzione, da parte dell’ordinamento, di un potere ad un soggetto allo scopo di tutelare un interesse altrui).

Se vi sono seri motivi che sconsigliano di consultare i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela, il consultorio, il medico o i servizi socio-assistenziali redigono una relazione esprimendo un parere e la trasmettono al giudice tutelare (è un magistrato che ha il compito di sovrintendere alle tutele (vedi scheda sull'interdizione), alle curatele (vedi scheda sull'inabilitazione) e alle amministrazioni di sostegno.

Il giudice tutelare, dopo cinque giorni e sentita la donna, può autorizzarla, se vi sono validi motivi, a interrompere la gravidanza.

Se vi è urgenza e pericolo di vita per la madre il medico può effettuare l’intervento senza l’assenso degli esercenti la responsabilità genitoriale e senza l’autorizzazione del giudice tutelare, certificando la necessità.

Se la donna è sottoposta alla misura dell’interdizione (vale a dire lo strumento di protezione volto a privare della capacità di agire soggetti in condizioni di abituale infermità di mente) la richiesta di interruzione può essere presentata dal tutore o dal marito e valutata dal giudice tutelare sulla base della relazione del medico.

(28)

Analisi della legge 194/1978

La legge 194 del 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, è spesso, e inevitabilmente, implicata nei dibattiti che riguardano lo statuto dell’embrione e i temi affini. Può essere utile analizzare alcuni articoli più da vicino toccano la valutazione dell’embrione e la possibilità o il diritto della donna di interrompere la gravidanza.

Secondo l’articolo 1 “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”.

L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite. Che l’aborto non sia un mezzo di controllo delle nascite è una premessa importante. Sia nel significato che nelle conseguenze. Per far sì che non lo sia mai è necessario potenziare informazione, divulgazione e contraccezione.13

13 Anche se in questo primo articolo è necessario capire cosa si intende per cosciente e responsabile. A ‘cosciente’

appare più semplice attribuire un significato non ambiguo, ‘responsabile’ lascia adito a molti significati. Spesso la procreazione responsabile è stata attribuita alle scelte di salute e di vita della gestante; alla cura della gravidanza e così via. Ma si è parlato di procreazione responsabile anche in circostanze molo diverse. Per il ricorso alle indagini prenatali, e addirittura per la diagnosi genetica di preimpianto. In questi ultimi casi, la procreazione responsabile spesso può condurre a nessuna procreazione. Responsabilità significa non mettere al mondo un individuo la cui esistenza

giudichiamo insoddisfacente, O anche non metterlo al mondo perché noi non vogliamo metterlo al mondo. Abbracciare la sacralità della vita o la qualità della vita?

E poi c’è la questione della “tutela della vita umana dal suo inizio”. Che significa tutela? Giuridica, o morale? Le discussioni su questo punto costituiscono il cuore di tutte le controversie su aborto, PMA, e sperimentazione embrionale. E la vita umana deve essere distinta dalla vita personale: le teorie estreme pongono da un lato la

coincidenza di concepimento e vita personale, dall’altro l’acquisizione del carattere ‘persona’ in un tempo successivo al concepimento. L’inizio della vita umana (come vita personale) secondo la 194 è da intendere come coincidente con la nascita, oppure il concepimento? Se l’inizio corrispondesse con il concepimento, l’esercizio funambolico si

complicherebbe fino a diventare impossibile da eseguire in un testo di legge per l’interruzione di gravidanza, ovvero per l’interruzione di quella nuova vita che si intende tutelare.

(29)

Gli articoli 2 e 3 riguardano i consultori familiari. “I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza:

a. Informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;

b. Informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;

c. Attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi, per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);

d. Contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.

I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.

Con l’articolo 4 entriamo nella zona calda: “Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del

(30)

concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia”. La libertà di scelta non è una delle ragioni elencate come motivazione dell’interruzione di una gravidanza. Le possibilità previste comprendono il pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Vaghi e ampi contenitori, però, delle motivazione più eterogenee.

Almeno esplicitamente, si esclude l’ipotesi che un aborto si decida perché non si desidera quel figlio o nessun figlio. Intenzione impossibile da verificare, e tuttavia ritenuto moralmente sbagliato negli intenti. E allora danni psichici o fisici, questi sono i possibili motivi per abortire. Per ampliare lo spettro si aggiunge: in relazione a o allo stato di salute della donna, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.

Proprio quest’articolo è il cardine della discussione tra laici e cattolici che sta interessando tutta la legge. In nome di quella assoluta protezione del concepito che anche la legge 40 ha sancito, si rischierebbe di tornare agli aborti clandestini.

L’articolo 5, come anticipato, definisce i compiti dei consultori familiari riguardo all’interruzione di gravidanza. Il consultorio ha il compito di “esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, (nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito), le possibili soluzioni dei problemi proposti. Ha inoltre il compito di aiutare la donna a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

(31)

Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni.

Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate.

Quindi in assenza di urgenza medica si affaccia nuovamente una componente di eccessiva prudenza, Si invita infatti la donna a pensarci altri sette giorni, il testo normativo intende rafforzare l’aspetto di figlio (seppure non nato), proprio come nel caso di uborn child. “The only acceptable experiments are those whose objective is to protect the health of either the unborn child or the mother or both, without prejudice to the woman's right to decide.”

In quanto cristiani non possiamo schierarci contro la vita perché un nascituro è altrettanto vivo di un bambino già nato. La legge, ha l’ obiettivo la salute o del nascituro o della madre o di entrambi, fermo restando il diritto di autodeterminazione della donna.

L’articolo 6 riguarda il cosiddetto aborto terapeutico. “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:

A. quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna

(32)

B. quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Seguono le procedure mediche da seguire nell’articolo seguente, che si chiude: “Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”.

La 194 prevede l’obiezione di coscienza (articolo 9), chiarendo che “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.

Inoltre: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.

L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.

Nel caso di minorenni (articolo 12) è richiesto l’assenso di chi ne esercita la potestà o la tutela. In caso di inopportunità nel consultarli o di discordi pareri si ricorre al giudice tutelare.

Nel caso di infermità mentale (articolo 13), la richiesta di interruzione può essere presentata, “oltre che da lei personalmente, anche dal tutore o dal marito non tutore, che non sia legalmente separato.

Nel caso di richiesta presentata dall’interdetta o dal marito, deve essere sentito il parere del tutore.

(33)

La richiesta presentata dal tutore o dal marito deve essere confermata dalla donna. Il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, trasmette al giudice tutelare, entro il termine di sette giorni dalla presentazione della richiesta, una relazione contenente ragguagli sulla domanda e sulla sua provenienza, sull’atteggiamento comunque assunto dalla donna e sulla gravidanza e specie dell’infermità mentale di essa nonché il parere del tutore, se espresso. Il giudice tutelare, sentiti se lo ritiene opportuno gli interessati, decide entro cinque giorni dal ricevimento della relazione, con atto non soggetto a reclamo”.

L’articolo 15 è di grande aiuto nel dirimere le feroci polemiche nate intorno alla RU486, la pillola che causa un aborto farmacologico.14

“Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza. Le regioni promuovono inoltre corsi ed incontri ai quali possono partecipare sia il personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sia le persone interessate ad approfondire le questioni relative all’educazione sessuale, al decorso della gravidanza, al parto, ai metodi anticoncezionali e alle tecniche per l’interruzione della gravidanza.

Al fine di garantire quanto disposto dagli articoli 2 e 5, le regioni redigono un programma annuale d’aggiornamento e di informazione sulla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali esistenti nel territorio regionale” .

14 È un farmaco abortivo: ha il grande vantaggio di impedire l’ospedalizzazione della donna e il conseguente intervento chirurgico. Più indolore, quindi, e causa di minori traumi e, anche, di minori costi per il Servizio Sanitario. In Italia è stata autorizzata soltanto nel luglio 2009, quando ormai era l’ultimo paese europeo, insieme all’Irlanda, a non permetterne l’uso. Persino in Tunisia era già stata utilizzata da anni senza problemi.

La somministrazione è prevista soltanto negli ospedali. Nel 2014 la Regione Toscana ha però autorizzato la pratica anche negli ambulatori.

(34)

L’articolo 17 è interessante ai fini della risoluzione dell’intricato dilemma dello statuto dell’embrione. “Chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni”. Una pena ben lontana da quella prevista nel caso di omicidio.

“Una conferma indiretta del fatto che l’embrione non sia trattata davvero come una persona?”

Ipotesi confermata dall’articolo 18: “Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni”. La pena qui è maggiore verosimilmente in seguito alla violazione della volontà della donna, ovvero alla violazione di un diritto fondamentale della donna (e non in seguito alla violazione di un diritto dell’embrione).

“La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna. Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l’acceleramento del parto”. La gravità delle lesioni (fino alla morte) e la minore età incidono sull’aumento della pena. Così come la dichiarazione di obiezione di coscienza da parte del responsabile dell’aborto (articolo 20).

Articolo 19: “Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni.

La donna è punita con la multa fino a lire centomila”. Pene simili a quelle comminate a reati amministrativi che a quelle per reati contro la persona (l’embrione). Ad essere punito è il mancato rispetto delle regole, piuttosto che l’uccisione dell’embrione. Ancora una volta: se davvero l’embrione fosse considerato individuo da tutelare non ci si potrebbe allontanare dalla punizione

(35)

prevista per l’uccisione di una persona e la violazione di alcune regole potrebbe rappresentare soltanto un aggravante (come nel caso delle aggravanti che si sommano al reato di omicidio).

(36)

4 L’obiezione di coscienza nelle sue diverse applicazioni in ambito sanitario

L'obiezione di coscienza è il rifiuto di assolvere una prescrizione di legge, gli effetti del cui espletamento si ritengono contrari alle proprie convinzioni ideologiche, morali o religiose. Colui che pratica tale opzione si chiama "obiettore di coscienza" (odc). L’obiettore non mette in discussione la validità della legge in quanto tale o dell’ordinamento giuridico nel suo complesso e neppure la legittimità dell’autorità statale, ma chiede di poter non obbedire alla legge per poter agire in modo coerente rispetto ai propri valori morali. Di qui il carattere personale dell'odc, frutto del contrasto tra comando legale e obbligo morale, carattere che non è riscontrabile in quella che è stata definita obiezione di struttura (o istituzionale) .

In sintesi, punti minimi e fondamentali che caratterizzano l’odc in esame sono:

1) il rifiuto di obbedire a una legge rilevante in campo bioetico

2) il fatto che questo rifiuto è dovuto alla volontà di non violare le proprie convinzioni morali o principi religiosi

3) il desiderio di testimoniare con il proprio comportamento l’adesione ad una certa visione del mondo

4) la richiesta (rivolta all’ordinamento giuridico) di legittimare il comportamento di disobbedienza in modo da non essere sottoposti a sanzione e quindi la necessità di ancorare l’odc a valori costituzionali che la rendano compatibile con l’obbligo di fedeltà alla Repubblica e di osservarne la legge e la Costituzione (art. 54 Cost.).

(37)

Per comprendere adeguatamente il significato dell’obiezione di coscienza, conviene preliminarmente soffermarsi sul valore e sul significato della coscienza, che appunto obietta, si oppone a un ordine o a una legge vigente in nome di un riferimento morale o religioso considerato come superiore e obbligante in senso stretto.

L’etimologia del termine (cum-scientia) può in tal senso aiutare a cogliere alcuni aspetti rilevanti. Innanzitutto la coscienza ha a che vedere con un conoscere, un sapere (scientia); il momento della conoscenza e ancor prima della consapevolezza personale, ben esemplificata da espressioni quali “essere coscienti di” o “avere coscienza di”, qualifica l’esperienza della coscienza, anche quando questa si esplichi, come nel caso dell’odc, in senso strettamente morale.

L’elemento conoscitivo è quindi agganciato alla dimensione prettamente morale. Tale legame risulta essere fondante: l’appello a un’istanza etica ulteriore a rigore non si basa su una mera opinione soggettiva o su un qualche parere estemporaneo. Il giudizio morale sulla bontà o meno dell’atto e la conseguente attivazione della componente volitiva del soggetto che poi sfocia nella scelta, poggiano su un sapere, che tra l’altro dovrebbe essere riconoscibile e comunicabile (si parla di una cum-scientia).

In sanità l’obiezione di coscienza è disciplinata oltre che da alcune leggi specifiche 15, anche dai codici deontologici, dei vari professionisti sanitari, a cui debbono obbligatoriamente aderire

15 Fanno riferimento direttamente o indirettamente all'obiezione di coscienza i seguenti documenti: Problemi della raccolta e trattamento di liquido seminale umano per finalità diagnostiche (5 maggio 1991); I comitati etici (27 febbraio 1992); Diagnosi prenatali (18 luglio 1992); Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana (14 luglio 1995); Le vaccinazioni (22 settembre 1995); Identità e statuto dell'embrione umano (22 giugno 1996); Parere su "Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e la biomedicina (21 febbraio 1997); Sperimentazione sugli animali e salute dei viventi (8 luglio 1997); La gravidanza e il parto sotto il profilo bioetico (17 aprile 1998); Dichiarazioni anticipate di trattamento (18 dicembre 2003); Nota sulla contraccezione d’emergenza (28 maggio 2004); Le medicine alternative e il problema del consenso informato (18 marzo 2005); Bioetica in odontoiatria (24 giugno 2005); Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum (16 dicembre 2005); Alimentazione differenziata ed interculturalità (17 marzo 2006); Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico (24 ottobre 2008);

Metodologie alternative, comitati etici e l’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale (18 dicembre 2009);

(38)

coloro che scelgono di svolgere compiti di così grande impatto sociale quali il medico, l’ostetrica, l’infermiere, l’operatore socio sanitario, a cui si affiancano le figure di tutti quei professionisti indispensabili al funzionamento di ospedali, centri di ricerca, laboratori, farmacie e quant’altro. Le tecniche di intervento sui pazienti, le scienze farmaceutiche, le biotecnologie e tutto ciò che si può comprendere sotto il concetto di “medicina”, o funzionale ad esso, hanno conosciuto, negli ultimi decenni, un incredibile sviluppo: si può parlare, al giorno d’oggi, di manipolazioni genetiche, di fecondazione artificiale, oltre che di trapianti, di aborto, di eutanasia. Tutte queste cose esistono, nel senso che l’uomo è in grado di metterle in atto, con le sempre maggiori conoscenze di cui ora dispone; ma è giusto che tutto quello che è nella sfera delle nostre possibilità venga anche concretamente attuato?

Tra i professionisti sembra crescere, al progredire della scienza, il numero di coloro che scelgono di essere obiettori. Scrive Dalla Torre: “…il moltiplicarsi delle fattispecie di obiezione di coscienza nell’ambito sanitario è riconducibile alle stesse ragioni che sono all’origine dell’odierna

“questione bioetica”, e cioè: da un lato le enormi potenzialità manipolative della vita umana proprie della scienza e della tecnica, dall’altro il pluralismo di “etiche” che caratterizza sempre più la società occidentale. C’è la necessità di delimitare un ambito di legittimità entro il quale devono essere contenute le diverse modalità d’intervento sulla vita in tutta la lunghezza del segmento che si estende dal concepimento alla morte”. (G. DALLA TORRE, Bioetica e diritto.

Saggi, Torino, 1993., 1993.)

Questa considerazione comporta che l’obiezione di coscienza, in ogni contesto, si caratterizza per l’appello ad un diritto universale, che, benché non venga riconosciuto da tutti gli ordinamenti giuridici, non può essere però negato data la sua portata di valore. Di fronte a situazioni

Nota in merito all'obiezione di coscienza del farmacista alla vendita di prodotti contraccettivi di emergenza (25 febbraio 2011).

Riferimenti

Documenti correlati

(2) La decisione 2004/432/CE della Commissione, del 29 aprile 2004, relativa all'approvazione dei piani di sorveglianza dei residui presentati da paesi terzi confor- memente

La prima regula iuris rinvenibile nella massima sopra riportata («il comportamento processuale dell’imputato che comunque si difende dall’accusa […] può valere

Alle condizioni stabilite nella presente decisione, è concessa la deroga richiesta dal Belgio, con lettera del 5 ottobre 2007, relativamente alla regione delle Fiandre, finalizzata

Quando i rifiuti sono stati giudicati ammissibili a una determinata categoria di discarica sulla base della caratterizzazione di base di cui alla sezione 1, essi

Il valore che il pensiero eco-femminista e questi romanzi hanno per i dibattiti sociali più diversi è immenso, perché nel descrivere quel processo circolare di

I l Programma strategico nazionale La medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna mira

esimente della responsabilità della Banca, potesse essere integrato dal furto, e ciò perchè trattasi di un evento sicuramente prevedibile in considerazione della stessa natura

14 E quindi, secondo la tendenza futura, sempre. Civitarese Matteucci, “Umano troppo umano”. Decisioni amministrative automatizzate e principio di legalità, in Dir. 23,