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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO PRIMA CIVILE

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ssa Anna Giorgia Carbone ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 53299/2014 promossa da:

S. C. (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. Manuela Colonna; elettivamente domiciliata in (omissis) presso il difensore avv. Manuela Colonna come da procura a margine dell’atto di citazione

ATTRICE contro

A. SERVIZI S..r.l. (C.F. …), in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Alberto Massirone, rappresentato e difeso dall’avv. Federica Lerro del Foro di (omissis) e dall’avv.

Donatella Vicari del Foro di (omissis) ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in (omissis) come da procura in calce alla comparsa di costituzione

CONVENUTA contro

A. ASSICURAZIONI S.p.a. (C.F. …), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Sergio Cagnes del Foro di (omissis) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in (omissis) come da procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione

TERZA CHIAMATA responsabilità medica , risarcimento del danno.

Conclusioni: rassegnate come da verbale di udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione regolarmente notificato alla controparte in data 7.10.2014, S. C. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano la A. Servizi S.r.l., deducendo:

a 7.3.2008, volendo sottoporsi ad un intervento di chirurgia plastica al seno, contattava il dott. B. I. al quale comunicava di volere rimodellare il seno in quanto la professione di ballerina le imponeva comunque un seno di piccole dimensioni;

19.3.2008 il dott. I. eseguiva un intervento di “mastoplastica additiva” presso il centro medico A. sito in (omissis);

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anestesia locale con sedazione” con accesso al solco mammario senza posizionamento di drenaggi aspirativi con protesi di tipo, marca e volume sconosciuti, posizionati retroghiandolarmente;

e l’intervento con febbre alta, dolori e sensazione di gonfiore mammario;

I. che le forniva un consulto telefonico;

le veniva eseguita alcuna medicazione;

fuoriuscita di materiale sieroso, di essere stata costretta a tornare dal medico e a sottoporsi ad una

“spremitura” della parte operata con fuoriuscita di altro liquido sieroso e sangue a cui seguì rialzo della temperatura a 39°;

violaceo;

riva la ferita dalla quale fuoriuscì in abbondanza siero purulento;

si riapriva con fuoriuscita di siero;

19.4.2008 e di essersi recata presso l’Ospedale N. dove il dott. N. cercava di salvare le protesi ricorrendo a lavaggi della tasca ed immissione di antibiotici topici;

plastica dell’Ospedale N.

per “infezione di protesi mammarie” che le venivano rimosse;

Monza per l’accertamento di profili di responsabilità del medico e per la quantificazione dei danni conclusosi con l’elaborato peritale depositato dal dott. L. in data 5.11.2008;

I. il quale veniva condannato con sentenza n. 1285/10 del 26.4.2010, passata in giudicato, al pagamento della somma di € 51.488,00 oltre interessi dal 28.5.2008 e oltre alle spese legali e di ATP e CTP;

I., ma senza esito;

ad intervento di “mastopessi e mastoplastica additiva bilaterale” affrontando la spesa di € 12.802,00;

erano derivate da “infezione protesica prima mono e successivamente bilaterale”;

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nulla in quanto vessatoria la clausola contenuta nella “dichiarazione integrativa” con la quale la casa di cura si esonerava da responsabilità per fatti e danni derivanti alla paziente per effetto dell’attività dei medici che materialmente eseguono la prestazione.

Tanto premesso, chiedeva, previa dichiarazione di risoluzione del contratto stipulato con il Centro medico, che la convenuta fosse condannata in solido con il dott. I. al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito, complessivamente quantificato in euro 51.488,50 oltre interessi legali dal 28.5.2008 al saldo effettivo ; la condanna altresì del convenuto al pagamento delle spese legali relative al procedimento conclusosi innanzi al Tribunale di Monza, oltre alle spese per ATP e CTP, alle spese mediche per € 3.038,25; il tutto con vittoria delle spese di giudizio.

Il Centro medico A. si costituiva con comparsa depositata in data 11.2.2015 con la quale contestando la pretesa attorea sia nell’“an” che nel “quantum” ne chiedeva il rigetto o in via subordinata chiedeva accertarsi la responsabilità esclusiva del medico dott. I. ed in via ulteriormente subordinata chiedeva di condannare in via di rivalsa il dott. I. e, previo accertamento della validità della polizza n. (omissis) chiedeva la condanna della compagnia a titolo di manleva e a tal fine chiedeva di essere autorizzata alla chiamata del terzo compagnia Assicuratrice A. S.p.a. e del dott.

I..

In via preliminare sollevava eccezione di giudicato esterno per essere intervenuta sentenza di accertamento dell’esclusiva responsabilità del dott. I.; sempre in via preliminare veniva sollevata eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno attesa la natura extracontrattuale della responsabilità della struttura a seguito della novella legge Balduzzi. Nel merito, deduceva: la attrice aveva instaurato un rapporto professionale unicamente con il dott. I. al quale si era rivolta dichiarando, peraltro, di manlevare il centro medico A. da qualsiasi richiesta di danni ; la scelta del medico, libero professionista, effettuata dalla paziente non consente l’applicazione dell’art. 1228 c.c.; la pronuncia passata in giudicato ha accertato la responsabilità esclusiva del medico senza fare emergere alcuna responsabilità della struttura sanitaria che ha adempiuto alle proprie obbligazioni;

dalla documentazione in atti non emerge alcuna infezione insorta successivamente all’intervento chirurgico; la paziente era stata informata del rischio di insorgenza di complicanze; la richiesta risarcitoria aveva ad oggetto un danno emendabile completamente con un nuovo intervento chirurgico.

Il centro medico A. ha, pertanto, concluso chiedendo il rigetto delle domande attoree in quanto infondate; in via subordinata, in caso di accoglimento delle avverse pretese, ha chiesto di dichiarare l’esclusiva responsabilità di I. con conseguente condanna al risarcimento del danno; in via ulteriormente subordinata la condanna del I. a tenere indenne la struttura sanitaria delle conseguenze negative derivanti dall’eventuale accoglimento della domanda di parte attrice, con vittoria di spese; la condanna della compagnia di assicurazioni A. a tenere indenne il centro A. delle conseguenze negative derivanti dall’eventuale accoglimento della domanda di parte attrice.

Il giudice autorizzava la chiamata della terza compagnia assicurativa da parte del Centro medico A.

e rigettava la richiesta di autorizzazione alla chiamata del dott. I..

La terza chiamata, A. Assicurazioni S.p.A., si costituiva eccependo l’inammissibilità delle domande attoree in quanto coperte da giudicato, la carenza di agire dell’attrice e contestava la quantificazione dei danni come effettuata nella sentenza del Tribunale di Monza. Chiedeva, altresì, di essere autorizzata a chiamare in causa il dott. I. nei cui confronti proponeva domanda di rivalsa.

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Acquisiti i documenti prodotti, le parti precisavano le conclusioni ed il giudice procedeva a trattazione mista della causa e, previa concessione del termine di 50 giorni per il deposito delle comparse conclusionali fissava, ai sensi dell’art. 281 quinquies II comma c.p.c. l’udienza del 4.7.2017 di discussione orale e all’esito tratteneva la causa in decisione.

1. Eccezione di giudicato

In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione di giudicato sollevata da A. e dalla terza chiamata A. Assicurazioni.

Conformemente all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, il vincolo del giudicato opera solo in presenza di una sentenza, divenuta irrevocabile, che sia intercorsa tra le medesime parti (Cass., n. 2786/2006; Cass., n. 14417/2005; Cass., n. 5796/2005; Cass., n.

5381/2005; Cass., n. 1372/2003, cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19492 del 21/09/2007 “Il principio secondo cui, qualora due giudizi abbiano riferimento ad uno stesso rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, preclude il riesame dello stesso punto, non trova applicazione allorché tra i due giudizi non vi sia identità di parti, essendo l'efficacia soggettiva del giudicato circoscritta, ai sensi dell'art. 2909 cod. civ., ai soggetti che siano posti in grado di intervenire nel processo”), ed abbia avuto il medesimo oggetto.

L'identità dell'oggetto della causa si determina in base sia al petitum sia alla causa petendi.

Ancora, in via generale, si osserva che per i diritti eterodeterminati (quei diritti, come quello avente ad oggetto il risarcimento dei danni, che possono sussistere simultaneamente più volte con lo stesso contenuto fra gli stessi soggetti), il mutamento del fatto costitutivo comporta mutamento del diritto e, pertanto, la domanda giudiziale con cui si faccia valere in un secondo processo un diritto dello stesso contenuto di quello fatto valere nel primo giudizio, ma basato su un fatto costitutivo diverso, costituirà una domanda con cui si fa valere un diritto diverso. Di conseguenza non potrà operare il primo giudicato che aveva un diverso ambito oggettivo.

Con particolare riferimento alle azioni promosse dall’odierna attrice, si osserva quanto segue.

Il giudizio introdotto dalla sig. S. C. innanzi al Tribunale di Monza ed iscritto al n. R.G. 5604/2009 non ha visto la partecipazione del Centro servizi A. né dell’A. Assicurazioni essendo stato celebrato tra parte attrice e il dott. B. I., peraltro rimasto contumace.

Le domande promosse dall’attrice nel primo giudizio nonché quelle promosse nella causa odierna devono ritenersi fondate, le prime sulla responsabilità contrattuale del solo medico convenuto, mentre le seconde sono fondate sulla violazione degli obblighi scaturenti a carico della casa di cura dal contratto di natura atipica (c.d "di spedalità") che si instaura tra la paziente e la struttura ospedaliera al momento dell'accettazione della domanda di ricovero (sulla nozione e gli effetti del contratto atipico di spedalità, cfr. Cass. 8826/07).

La sentenza n. 1285/10 emessa all’esito del giudizio svoltosi innanzi al Tribunale di Monza ha riconosciuto, infatti, la responsabilità del dott. I. per l’errata ed imperita scelta della tipologia dell’intervento e lo ha condannato al risarcimento del danno in favore di parte attrice.

Il presente giudizio è stato instaurato nei confronti della struttura dove era stato eseguito dal dott. I.

l’intervento e parte attrice, deducendo la responsabilità contrattuale del Centro A. per fatto dell’ausiliario ex art. 1228 c.c., chiede la condanna in via solidale della struttura che ha chiamato in regresso la compagnia di assicurazioni.

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Ne consegue che la sentenza n. 1285/10 pronunciata fra soggetti diversi e riferita ad un rapporto contrattuale intercorso fra il medico e il paziente non fa stato fra le parti del presente giudizio che ha ad oggetto il diverso rapporto contrattuale che si è instaurato fra la struttura A. e la paziente.

Inoltre, con riferimento al caso in esame in cui parte attrice agisce in giudizio nei confronti della casa di cura coobbligata solidale del medico, nei cui confronti ha già ottenuto una pronuncia di responsabilità coperta da giudicato, appare opportuno richiamare il principio consolidato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità relativo all’operatività del giudicato fra i condebitori solidali in forza del quale : “ai sensi dell'art. 1306 cod. civ., comma 1, i condebitori solidali, i quali non abbiano partecipato al giudizio conclusosi con la condanna di uno di essi, hanno, di fronte al giudicato, veste di terzi rispetto al creditore, non meno che nei confronti del coobbligato che agisca in via di regresso, e, come terzi, sia nel primo che nel secondo caso, non subiscono gli effetti propri della cosa giudicata (Cass., n. 5591/82), a meno che non sia intervenuta l'accettazione da parte di tutti i condebitori in solido del giudicato intervenuto tra uno di loro e il creditore, nel qual caso non è applicabile, nel giudizio di regresso instaurato dal condebitore soccombente, il principio di cui alla suddetta norma dell'inapplicabilità del giudicato.” ( Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 19492 del 21/09/2007).

Al caso in esame può essere applicato, altresì, il principio giurisprudenziale consolidato in forza del quale: “esclusa l'efficacia diretta del giudicato per le ragioni innanzi esposte, rispetto ai terzi la sentenza passata in giudicato può, tuttavia, avere la diversa efficacia riflessa di prova o di elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell'accertamento giudiziale e tale efficacia indiretta, che può essere invocata da chiunque vi abbia interesse, è utilizzabile anche nella fattispecie in oggetto, spettando, poi, al giudice di merito di esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e valutarne liberamente il contenuto, anche in relazione agli altri elementi di giudizio rinvenibili negli atti di causa.” ( Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 19492 del 21/09/2007).

2. eccezione di prescrizione

Quanto all’eccezione di prescrizione quinquiennale sollevata da A. sul presupposto che la responsabilità in capo alla struttura sia di natura extracontrattuale si osserva quanto segue.

In via generale, è opportuno richiamare il consolidato orientamento della Corte di Cassazione – orientamento che merita condivisione pur alla luce delle disposizioni introdotte dalla l. 189/2012, relative all’“esercente la professione sanitaria”, persona fisica e non alla struttura sanitaria - secondo il quale "in tema di responsabilità civile nell'attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del "più probabile che non", restando a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinali da un evento imprevisto e imprevedibile" (Cass.

Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/0 1/2009).

La responsabilità risarcitoria da inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria va imputata alla struttura sanitaria convenuta a titolo contrattuale, conseguendone l'applicazione della prescrizione decennale.

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3. Responsabilità professionale

La domanda spiegata dall’attrice nei confronti dell’A. Servizi S.r.l. può trovare accoglimento nei limiti che seguono.

L’esistenza di un contratto tra attrice e convenuta (avente ad oggetto la prestazione sanitaria per cui è causa) è stata contestata da parte convenuta e di terza chiamata.

Sebbene nella dichiarazione predisposta unilateralmente dal Centro Medico A. (doc. 1 del fascicolo di parte attrice allegata alla cartella clinica), la legittimità delle cui clausole sarà esaminata nel prosieguo, si escluda espressamente l’esistenza di alcun rapporto contrattuale tra la sig. C. e il Centro medico A.1, si deve ritenere che tale rapporto in fatto sussista.

In particolare dalla cartella clinica intestata al Centro Medico A. emerge che la sig. C. nella fase preparatoria all’intervento e durante lo stesso è stata assistita oltre che dal chirurgo dott. I., anche dall’anestesista e dallo strumentista del Centro Medico al quale ha espresso il proprio consenso al trattamento dei dati personali per fini di prevenzione diagnosi e cura autorizzando al trattamento i medici operanti nella struttura, il personale infermieristico, para-infermieristico di segreteria e di amministrazione.

Inoltre dalla “dichiarazione integrativa alla cartella clinica” (documento n. 1 prodotto da parte attrice) sottoscritta dal dott. I. e dalla paziente C. emerge che l’intervento di chirurgia plastica al seno è stato eseguito presso l’ambulatorio chirurgico gestito dalla A. Servizi2.

Il Centro Medico A., quindi, ha eseguito a favore dell’attrice una serie di prestazioni strettamente sanitarie, quali l’uso della sala chirurgica, l’assistenza e la cura pre- e post- operatoria mediante personale specializzato (vedi anestesista) senza le quali non sarebbe stato possibile l’intervento chirurgico.

Tali prestazioni delineano quel “contatto sociale” a cui fa riferimento la giurisprudenza di legittimità per ravvisare un rapporto contrattuale fra struttura e paziente.

Come noto, secondo l’insegnamento costante della C.S. (sent. 1/7/2002 n. 9556 e sent. 11/1/2008 n.

577), il rapporto che lega la struttura sanitaria, pubblica o privata, al paziente ha fonte in un contratto obbligatorio atipico -cd contratto di “spedalità” o di “assistenza sanitaria”- a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, che si perfeziona anche sulla base di fatti concludenti con la sola accettazione del malato presso la struttura (Cass.n. 8826/2007) e da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di Cura obblighi di messa a disposizione di personale, medico e paramedico, dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze, farmaci e tutto quanto possa essere necessario all’esecuzione della prestazione concordata, accanto a obblighi latu sensu alberghieri ( vedi Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 18610 del 22/09/2015).

1 “la sig. C. dichiara di acconsentire a che il dott. I. esegua l’intervento chirurgico programmato utilizzando l’ambulatorio chirurgico gestito da A. Servizi S.r.l., con la quale società dichiara di non avere alcun rapporto contrattuale di nessun genere, sussistendo un rapporto contrattuale unicamente fra il medico operante e la medesima struttura ambulatoriale chirurgica……la sig. C. dichiara di essere paziente in regime privatistico in tutte le fasi sia diagnostiche che preparatorie e postoperatorie;…”.

2 “A. Servizi S.r.l. è una società che gestisce la struttura poliambulatoriale Centro Medico A. con annesso ambulatorio chirurgico 1 e 2 che fornisce in uso a professionisti e specialisti i quali utilizzano gli ambulatori chirurgici esclusivamente in regime privatistico di chirurgia ambulatoriale…. Che il dott. I. ha programmato un intervento chirurgico, mediante richiesta e prenotazione dell’utilizzo dell’ambulatorio chirurgico al fine di eseguire un intervento chirurgico in favore della sig. C. S. ….tra A. Servizi S.r.l. ed il dott. I. non sussiste alcun rapporto di lavoro subordinato e/o di collaborazione, esistendo unicamente il rapporto contrattuale di natura occasionale, avente ad oggetto l’utilizzo dell’ambulatorio chirurgico per l’intervento chirurgico da parte del dott. I. da eseguirsi in favore della sig. C.….

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Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all’inadempimento dell’obbligazione assunta direttamente a proprio carico, nonché ai sensi dell’art. 1228 c.c. all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto”, come avvenuto nel caso in esame in cui la sig. C. per l’intervento di chirurgia plastica al seno ha contattato e scelto il dott. I. che seppure non sia legato da un rapporto di lavoro dipendente con la struttura è un ausiliario che esercita la propria attività professionale avvalendosi della struttura A. (cfr. Cass. n. Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 18610 del 22/09/2015; 6945/2007).

La responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, per l’inadempimento e/o per l’inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, va inquadrata nella responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. e nessun rilievo a tal fine assume il fatto che la struttura (sia essa un ente pubblico o un soggetto di diritto privato) per adempiere le sue prestazioni si avvalga dell’opera di suoi dipendenti o di suoi collaboratori esterni -esercenti professioni sanitarie e personale ausiliario- e che la condotta dannosa sia materialmente tenuta da uno di questi soggetti. Infatti, a norma dell’art. 1228 c.c., il debitore che per adempiere si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di eventuali ausiliari ( vedi Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 1620 del 03/02/2012; “Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., SSUU 11 gennaio 2008 n. 577) hanno precisato che la responsabilità della struttura ospedaliera, fondata sul "contatto sociale", ha natura contrattuale. Ne consegue che, in virtù del contratto, la struttura deve fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di "assistenza sanitaria", che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori. Così ricondotta la responsabilità della struttura ad un autonomo contratto (di spedalità), la sua responsabilità per inadempimento si muove sulle linee tracciate dall'art. 1218 cod. civ., e, per quanto concerne le prestazioni mediche che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari l'individuazione del fondamento di responsabilità dell'ente nell'inadempimento di obblighi propri della struttura consente quindi di abbandonare il richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del contratto d'opera professionale e di fondare semmai la responsabilità dell'ente per fatto dei dipendente sulla base dell'art. 1228 cod. civ.).

Non ha pertanto alcun rilievo la circostanza che il medico fosse stato scelto dal paziente in contesto esterno alla casa di cura: l'esecuzione della prestazione attraverso l'organizzazione sanitaria della Casa di Cura e l'inserimento dell'operatore nella azienda e nello svolgimento della attività di impresa della società comportano la responsabilità di quest'ultima a norma dell'art. 1228 c.c..

Tanto premesso, osserva il Tribunale che nel caso in esame può ritenersi provato in forza delle evidenze documentali offerte che parte attrice aveva concluso un autonomo accordo con la casa di cura A. perfezionatosi sulla base di fatti concludenti con la sola accettazione della paziente presso la struttura.

La struttura convenuta adduce a sua discolpa, oltre all’inesistenza del rapporto contrattuale con la sig. C., circostanza che è infondata alla luce di quanto sopra esposto, altresì il comportamento colpevole del dott. I. che avendo eseguito l’intervento chirurgico è l’unico responsabile dei danni subiti da parte attrice.

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Ma l'inadempimento del terzo del quale il contraente si avvalga per svolgere l'incarico non costituisce di per sé giusta causa di esonero da responsabilità del contraente stesso, in quanto questi è responsabile della scelta compiuta e risponde anche del fatto doloso o colposo dei suoi ausiliari (art. 1228 cod. civ.), salvo che possa dimostrare il caso fortuito o la forza maggiore, anche con riguardo al comportamento dell'ausiliario.

La colpa di quest'ultimo potrà fondare un'azione di regresso del contraente responsabile nei confronti di lui, ma non infirma la responsabilità nei confronti della controparte contrattuale.

Nel caso in esame, atteso che la A. Servizi S.r.l. non ha neanche allegato la presenza dei requisiti del caso fortuito o della forza maggiore – elementi che, peraltro non si rinvengono nel caso di specie – non vi è esonero dalla responsabilità per l’ente convenuto.

Quanto alla condotta del sanitario va osservato che l’accertamento tecnico preventivo utilizzato nella sentenza n. 1285/2010 le cui determinazioni, supportate da motivazioni logicamente stringenti ed adeguatamente motivate, si condividono integralmente e debbono intendersi qui trascritte in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta, ha consentito al giudice del Tribunale di Monza di accertare la responsabilità del sanitario. Da questo accertamento emerge che:

fisica della paziente e per la tipologia delle richieste estetiche avanzate doveva essere preferito un intervento di mastopessi con o senza impianto di protesi mammarie in quanto la necessità anatomica e chirurgica era quella di compattare la mammella, ridurne la quantità cutanea e riposizionarla nella sua sede più corretta;

avrebbe corretto il difetto iniziale ma lo avrebbe fortemente accentuato senza addurre alcun beneficio;

mammelle ptosiche per evitare l’impegno tecnico e di reliquati cicatriziali maggiori che la mastopessi inevitabilmente richiede;

puntualmente presentatisi;

-operatoria delle complicanze (medicazioni dilazionatissime ed incomplete, omessa prescrizione delle corrette terapie antibiotiche) nonché tardivo ricorso a specialista competente.

La rilevata malpractice chirurgica non lascia spazio a dubbi in ordine alla sussistenza dell’inadempimento lamentato.

Non vi sono dubbi in merito all’utilizzabilità della consulenza tecnica espletata in altro procedimento, atteso che l’orientamento giurisprudenziale costante della Corte di Cassazione al quale la giudicante ritiene uniformarsi ( Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 12091 del 20/12/1990) ha affermato il principio in forza del quale: “Il giudice di merito è libero, in difetto di particolari divieti normativi, di formare il proprio convincimento sulla base delle prove raccolte in altro

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giudizio tra le stesse parti o anche tra altre parti, utilizzando le risultanze quali semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio. Pertanto allo stesso modo può essere utilizzata pure una consulenza tecnica, espletata in altro procedimento”, principio ribadito anche dalla sentenza n. 10972 del 20/12/1994 in forza del quale: “Il giudice di merito, in difetto di particolari divieti normativi, può utilizzare, per la formazione del proprio convincimento, anche prove e, più in genere, risultanze istruttorie (tra cui in particolare la consulenza tecnica), formate in un diverso giudizio, tra le stesse parti o anche tra altre parti, da considerare quali semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio.”

Gli stessi profili di colpa ravvisati nella condotta mantenuta dal chirurgo attengono al rischio tipico di impresa di una struttura sanitaria privata e sono fonte, d’altro lato, dei profitti perseguiti e conseguiti dall’ente (dal che si determina per la figura degli operatori, medici ed infermieri, la qualifica di ausiliari necessari della struttura sanitaria ai sensi degli artt. 1228 e segg, c.c., indipendentemente dalla qualifica del legame negoziale corrente tra questi ultimi e l’ente). Il trattamento sanitario eseguito in favore della creditrice era indefettibilmente eseguibile solo con l’esecuzione congiunta -e tra i convenuti concordata- della parte di prestazione incombente su ciascuno dei due; certamente la prestazione complessivamente pattuita con la paziente non era stata contratta nell’interesse esclusivo di uno dei due debitori.

In sintesi, nell’operato di parte convenuta è ravvisabile un inesatto adempimento correlato all’intervento chirurgico praticato; ne deriva la responsabilità della Casa di Cura ai sensi dell’art.

1228 c.c. per il fatto colposo del suo ausiliario che ha agito in violazione del dovere di diligenza, prudenza e perizia ex art.1176 c.c. e il conseguente diritto della paziente al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute e del danno patrimoniale emergente che sono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento ex art. 1223 c.c.

4. clausola di manleva

La convenuta A. servizi ha escluso l’esistenza di un rapporto contrattuale con la sig. C. e ha ravvisato l’esistenza di un unico rapporto professionale instaurato da parte attrice con il medico dott. I. sulla scorta della dichiarazione di manleva contenuta nella dichiarazione allegata alla cartella clinica.

Nella dichiarazione integrativa sottoscritta dall’attrice ed allegata alla cartella clinica (doc.1), costituita da un modulo prestampato predisposto dall'ente e sottoscritto dalla paziente e dal chirurgo, risulta inserita una clausola da esonero di responsabilità3 in favore dell’A. Servizi S.r.l.

per danni conseguenti all’attività imprudente, negligente o imperita svolta dal medico.

Il patto di esonero preventivo dalla responsabilità sottoscritto dalla attrice in favore della A. Servizi S.r.l. è nullo per contrarietà all'art. 1229 c.c., comma 2, in quanto fra gli obblighi derivanti da norme di ordine pubblico vanno infatti senz'altro ricompresi quelli riguardanti la salvaguardia della altrui integrità fisica o morale, e sono di conseguenza invalide le clausole di esonero della responsabilità per i danni alla persona.

Osserva, inoltre, la giudicante che tale clausola è invalida anche sotto il profilo della vessatorietà, come peraltro correttamente contestato da parte attrice che ha eccepito la nullità di siffatta clausola, infatti, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente al quale la giudicante ritiene uniformarsi: "In tema di condizioni generali di contratto, l'esigenza della specifica approvazione

3 “la sig. C. dichiara di manlevare sin d’ora A. Servizi S.r.l. da qualsivoglia richiesta di danni la sottoscritta dovesse formulare, a causa ed in conseguenza di esiti insoddisfacenti dell’intervento chirurgico derivanti da imprudenza e/o negligenza e/o imperizia da parte del materiale esecutore dell’intervento chirurgico.”

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per iscritto di una clausola onerosa o vessatoria, … la cui mancanza comporta nullità assoluta e rilevabile anche di ufficio della clausola medesima, postula una sottoscrizione autonoma e separata rispetto a quella riferentesi agli altri patti".

Non può porsi seriamente in dubbio la natura vessatoria della previsione in oggetto, così come la sua inconoscibilità, risultando, da un lato, inserita nella documentazione sottoposta alla firma della parte all'atto del ricovero (momento critico che difficilmente consente un esame ponderato degli atti) e, dall'altro, risultando formalmente classificata come dichiarazione "integrativa" di documentazione medico sanitaria, quale è la cartella clinica, a nascondimento della sua vera natura, di documento regolante i contrapposti interessi civili delle parti; di palmare evidenza documentale l'assenza di specifica approvazione da parte del contraente più debole, posto che la previsione in esame non appare corredata da una apposita sottoscrizione.

Gli elementi illustrati impongono una declaratoria della nullità della previsione negoziale contenente una limitazione della responsabilità civile dell’ente sanitario, in applicazione anche di quanto disposto dagli atti. 1229, II comma, 1341 e 1342 c.c.

La dichiarazione di nullità della clausola di manleva vanifica le difese svolte dalla convenuta e dalla terza chiamata in merito alla rinuncia espressa da parte attrice, con la sottoscrizione della dichiarazione contenente la clausola liberatoria, ad agire nei confronti della struttura.

5. Domanda di risoluzione del contratto

L'attrice ha chiesto la declaratoria di risoluzione del contratto di spedalità concluso con il Centro medico A., per inadempimento del prestatore.

Nel caso di specie, il cattivo risultato dell'intervento estetico, che non ha in alcun modo raggiunto il suo obiettivo, consente di ritenere sussistente un inadempimento rilevante ai fini della risoluzione, a norma dell'art. 1455 c.c..

Il contratto di spedalità, pertanto, deve essere dichiarato risolto, ma in assenza di una domanda alla condanna di parte convenuta agli obblighi restitutori che conseguono alla risoluzione contrattuale nessuna pronuncia in tal senso può essere emessa in quanto sarebbe ultra petita.

6. Responsabilità solidale

La contestazione sollevata da parte convenuta in merito alla sussistenza di una responsabilità solidale della struttura è infondata per le ragioni di seguito esposte.

Sulla struttura sanitaria convenuta gravano precisi obblighi relativi alla scelta dei professionisti cui consentire l'uso delle proprie strutture, allo scopo di evitare danni a terzi, controllando la loro preparazione professionale e la diligenza nell'esecuzione delle prestazioni svolte all'interno della struttura; ne deriva la responsabilità anche per il fatto doloso o colposo dei suoi ausiliari (art. 1228 cod. civ.), salvo che possa dimostrare il caso fortuito o la forza maggiore, anche con riguardo al comportamento dell'ausiliario, elementi che, peraltro non si rinvengono nel caso di specie (cfr. sul punto Cass. 6053/2010).

Il danno subito dal soggetto leso trova causa efficiente nell'inadempimento della struttura convenuta, responsabile in solido con il dott. I. già giudicato con sentenza n. 1285/2010 nei confronti della sig. C. dell'intero danno da quest’ultima subito.

Spetterà poi a parte convenuta, poi, agire in regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c. nei confronti del medico chirurgo, parte nei cui confronti non è stata autorizzata la chiamata in causa per ragioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

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L’orientamento giurisprudenziale costante della Suprema Corte al quale la giudicante ritiene di uniformarsi ha enunciato il principio, applicabile al caso in esame, in forza del quale: “quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente per ciascuno di essi e il danneggiato, sussistono tutte le condizioni necessarie perché i predetti soggetti siano corresponsabili in solido. Infatti, sia in tema di responsabilità contrattuale, sia extracontrattuale, se l'unico evento dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo di risarcimento, che le azioni o omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo sufficiente a produrre l'evento (cfr. Cass. nn.

23918/2006,10987/1996). Ciò discende, non tanto dal fatto che l'art. 2055 c.c. costituisca un principio di carattere generale estensibile anche alla responsabilità contrattuale (cfr. Cass. nn.

27713/2005; 3187/2008), quanto dai principi stessi che regolano il nesso di causalità e il concorso di cause, tutte egualmente efficienti della produzione di un determinato danno, di cui l'art.2055 c.c.

è una esplicitazione in tema di responsabilità extracontrattuale” (cfr. Cass. n. 7618/2010).

7. Il danno non patrimoniale

Riassumendo, nel caso di specie parte attrice ha puntualmente allegato la violazione da parte di Centro medico A. e, per essa, del chirurgo operante, dei doveri di diligenza e di perizia professionale, nonché del nesso eziologico sussistente tra la condotta e il danno riportato nei termini infine riscontrati dalla relazione peritale acquisita agli atti.

Ne deriva il diritto della paziente al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute e del danno patrimoniale emergente che sono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento (art. 1223 c.c.).

Secondo la valutazione espressa in sede di ATP dal dott. N. L. – il cui elaborato depositato nell’ambito di un altro procedimento intercorso fra parte attrice ed il dott. I. è utilizzabile, conformemente all’orientamento giurisprudenziale consolidato della giurisprudenza di legittimità a cui la giudicante ritiene uniformarsi, in materia di valutazione delle prove secondo cui “il giudice del merito ben può, in difetto di particolari divieti normativi, utilizzare, per la formazione del proprio convincimento, anche prove raccolte in un diverso giudizio, fra le stesse parti o anche fra altre parti, da considerare quali semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio (cfr. 20 dicembre 1990, n. 12091, Cass. 24 aprile 1980, n. 2744), e, tra le risultanze utilizzabili, è ritenuta compresa la consulenza tecnica espletata in un diverso procedimento (v. sent.

n. 12091 del 1990)”-, il danno patito dall’attrice ha comportato sia postumi di natura permanente (nella componente biologica ed estetica) tali da incidere sulla integrità psico-fisica di S. C. nella misura del 10% ( liquidato correttamente nella sentenza 1285/2010 in € 21.334,00 in applicazione delle tabelle milanesi) che di natura temporanea (inabilità temporanea assoluta di 52 giorni; di inabilità temporanea parziale al 75%; di temporanea parziale al 50% di ulteriori 5 giorni; di temporanea parziale al 25% di ulteriori 5 giorni; liquidato in € 6.325,00 nella sentenza citata ).

Quanto alla voce di danno morale quantificata dal Tribunale di Monza in € 13.829,50, pari alla metà del danno temporaneo e permanente, si deve ritenere che tale importo appare idoneo a ricomprende ed adeguatamente risarcire anche le componenti soggettive della “sofferenza morale”, stante la sostanziale unitarietà del danno non patrimoniale.

Occorre precisare che la voce di danno liquidata dal Tribunale di Monza a titolo di danno morale deve essere correttamente qualificata come personalizzazione del danno non patrimoniale (congruamente liquidata nella misura del 50% del danno biologico subito conformemente alle tabelle milanesi vigenti all’epoca della liquidazione effettuata dal Tribunale di Monza ), relativa a

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quei profili riconducibili al c.d. danno morale, comunque sussistente avuto riguardo alle conseguenze subite dalla C. a causa dell’errato trattamento chirurgico alla quale è stata sottoposta (conseguenze gravemente afflittive in ragione dell’età dell’attrice e della particolare professione svolta da parte attrice), anziché come voce di danno morale, considerato che le così dette “tabelle milanesi” inglobano sia il pregiudizio alla salute strettamente inteso (danno biologico in senso stretto) sia la sofferenza soggettiva del danneggiato (danno morale).

8. Il danno patrimoniale

Nell’elaborato peritale il consulente ha valutato in € 10.000,00 l’esborso per un intervento di mastopessia eseguito in corretto ambito clinico in sala operatoria e tale importo è stato ritenuto congruo dal Tribunale di Monza che ha liquidato tale somma a titolo di spese mediche future.

La richiesta avanzata da parte attrice nel presente giudizio avente ad oggetto l’importo di € 3.038,25 sostenuto per l’intervento di mastopessia del 6.7.2009 in eccedenza rispetto alla somma di € 10.000,00 liquidata dal Tribunale di Monza a titolo di spese future, non è meritevole di accoglimento in quanto si tratta di importo riconducibile ad una scelta individuale non contestabile, ma non risarcibile. Si reputa, pertanto, condivisibile, in quanto in linea con i costi di mercato, la valutazione di € 10.000,00 effettuata dal giudice di Monza per le spese future.

Non merita accoglimento la richiesta di condanna di parte convenuta al pagamento delle spese processuali, di CTU e di ATP relative al procedimento svoltosi innanzi al Tribunale di Monza, di cui A. servizi non era parte processuale e che sono state già liquidate nella sentenza n. 1285/2010 e poste a carico del dott. I..

Quanto alle istanze istruttorie di cui parte attrice ha ribadito la richiesta di ammissione in sede di precisazione delle conclusioni conferma e richiama l’ordinanza del 6.4.2016 con la quale tali istanze sono state rigettate in quanto relative a circostanze valutative e documentali non demandabili a testimoni.

Va, altresì, riconosciuto il danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario che, in difetto di diversi elementi probatori, si ritiene di compensare adottando quale parametro quello degli interessi legali da calcolarsi, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n.1712/95), sulla somma via via rivalutata dalla produzione dell'evento di danno sino a oggi, tempo della liquidazione.

Così, tenuto conto di questo criterio - previa devalutazione alla data del fatto- 19.3.2008-della somma espressa in moneta attuale - vanno aggiunti alla somma via via rivalutata annualmente gli interessi compensativi nella misura legale dall’evento fino alla data odierna.

Da oggi, giorno della liquidazione, all’effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma sopra liquidata complessivamente.

In sintesi e riassumendo, la domanda di risarcimento del danno per colpa medica presentata da C. S.

deve essere accolta per la somma di € 51.488,50, con conseguente condanna del convenuto al pagamento della somma indicata in favore di controparte, oltre agli interessi compensativi nella misura legale sulla somma – previa devalutazione - via via rivalutata annualmente dal 19.3.2008 alla data della sentenza e gli interessi legali dalla sentenza al saldo

9. Domanda svolta dalla convenuta nei confronti della propria assicurazione.

La A. assicurazioni S.p.a. conferma nella propria comparsa l’esistenza del contratto assicurativo ( la cui validità ed efficacia con riferimento alla responsabilità della convenuta emerge dal doc. n. 2

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prodotto dalla terza chiamata) stipulato con A. Servizi e aderisce alla domanda proposta dall’assicurata entro i limiti e secondo le condizioni della polizza.

Pertanto la domanda proposta da A. Servizi S.r.l. nei confronti della A. Assicurazioni risulta fondata e la terza chiamata deve essere condannata a tenere indenne e manlevare la struttura convenuta da quanto la stessa dovrà pagare all’attore in dipendenza della presente sentenza.

Non può essere esaminata la domanda di rivalsa della compagnia nei confronti del medico dott. I. in quanto per ragioni di economia processuale non è stata autorizzata la sua chiamata.

10. Le spese di lite

In applicazione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., parte convenuta deve, infine, essere condannata alla rifusione delle spese di lite in favore di parte attrice, spese liquidate direttamente in dispositivo ex D.M. n. 55/2014, avuto riguardo al valore della causa come ritenuto in sentenza, alla condotta mantenuta in giudizio e all’attività difensiva effettivamente prestata.

Analoga regola seguono le spese di mediazione obbligatoria sostenute da parte attrice, come documentate (doc. 33 fascicolo attoreo). Il procuratore di parte attrice si è dichiarato antistario.

Nel rapporto processuale tra parte convenuta e la terza chiamata quest’ultima, soccombente deve essere condannata alla rifusione delle spese di lite sostenute da parte convenuta.

P.Q.M.

il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede:

1. in accoglimento della domanda di risarcimento formulata da C. S. con atto di citazione notificato in data 7.10.2014 condanna A. Servizi S.r.l., al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore di parte attrice per la complessiva somma di euro 51.488,50, oltre agli interessi compensativi nella misura legale sulla somma – previa devalutazione - via via rivalutata annualmente dal 19.3.2008 alla data della sentenza e gli interessi legali dalla sentenza al saldo;

2. condanna parte convenuta al pagamento in favore di parte attrice delle spese processuali che liquida in complessivi € 3.945,00 per competenze ( di cui € 3.400,00 per compensi ed

€ 518,00 per il contributo unificato ed € 27,00 per marca da bollo), oltre spese generali e accessori di legge.

3. Dispone la distrazione delle spese a favore del procuratore di parte attrice che si dichiara antistatario.

4. Condanna la terza chiamata A. Assicurazioni S.p.a., a tenere indenne e manlevare l’assicurata A.

Servizi S.r.l. di quanto andrà a pagare in dipendenza della presente sentenza;

5. Condanna la A. Assicurazioni S.p.a., al pagamento, in favore di A. Servizi S.r.l., delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.518,00, ( di cui € 3.000,00 per compensi ed € 518,00 per contributo unificato) oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Milano, 21.7.2017

Il Giudice Anna Giorgia Carbone

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