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A000357 FONDAZIONE INSIEME onlus

SENTENZA N. 14152/2003 DALLA CASSAZIONE <<SULLA DETERMINAZIONE DELL'ASSEGNO INCIDONO LE RILEVANTI DISPONIBILITÀ ECONOMICHE>>.

Corte Suprema di Cassazione Giurisprudenza Civile e Penale

Annotazione di ITALIAPUNTO:<<Lo ha stabilito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, che ha confermato una sentenza della Corte di Appello di Palermo. La Suprema Corte ha precisato che tale acquisto, particolarmente dispendioso, costituisce un elemento ai fini della valutazione della adeguatezza dei

redditi per determinare l'assegno di mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione; infatti, per determinarne la misura dell'assegno si deve tenere conto degli elementi che

possono incidere sulle condizioni delle parti, ma anche sulla rilevante disponibilità economica..>>

1.1. Con sentenza 1830/97 del 28 aprile 1997, il Tribunale di Palermo pronunciò la separazione dei coniugi G.V. e F.L., dichiarando cessata la materia del contendere in ordine alle rispettive domande di addebito; affidò alla madre i figli minori, disciplinando il diritto di visita del padre, e determinando a carico di quest’ultimo il contributo di mantenimento a favore dei figli nella misura di lire 3.000.000 mensili rivalutabili annualmente secondo gli indici Istat; revocò i provvedimenti presidenziali in punto di assegnazione della casa ex coniugale; e rigettò la domanda della L., tesa ad ottenere un assegno per il suo mantenimento.

1.2. Avverso tale sentenza proposero appello, dinanzi alla Corte di Palermo, sia la L. - la quale, nel chiederne la riforma parziale, tra l’altro, insistette nella domanda di assegno di mantenimento per sé nella misura di lire 3.000.000 mensili, rivalutabili annualmente, «il tutto con ogni conseguente statuizione in ordine alla decorrenza a far data dalla domanda» sia il V., il quale, a sua volta, nel resistere al gravame, chiese, tra l’altro, che venisse diminuito il contributo posto a suo carico per il mantenimento dei figli.

La Corte adita, con sentenza 79/2000 del 31 gennaio 2000, in parziale riforma della sentenza impugnata, che confermò per il resto, pose a carico del V.

«l’obbligo di corrispondere alla moglie...., a titolo di contributo per il mantenimento dei figli minori e del coniuge separato, la somma complessiva di lire 3.500.000 (lire 3.000.000 per i figli e lire 500.000 per il coniuge), con decorrenza dalla data in cui i coniugi sono stati autorizzati a vivere

separati», e dichiarò compensate per intero tra le parti le spese del giudizio di gravame.

In particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte palermitana ha così, tra l’altro, testualmente, motivato:

a) «È invero, corretto il richiamo al principio menzionato secondo il quale il diritto al mantenimento sorge allorché il coniuge che ne faccia richiesta sia privo di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli consentano di

mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

E, nel caso in esame, non appare contestato, ed emerge anche dagli elementi obiettivi acquisiti, che la situazione patrimoniale del V. e della L. consentiva loro un tenore di vita elevato e certamente agiato. Ora, dall’istruzione

dibattimentale

risulta che la L., dopo la separazione, ha svolto attività lavorativa dipendente presso una Unità Sanitaria Locale con un reddito netto annuo di circa lire

23.000.000 (determinato con riferimento all’anno 1996 e da ritenere oggi aumentato per effetto dei normali adeguamenti automatici); che, quale

usufruttuaria, abita un appartamento di proprietà dei figli (nudi proprietari);

che effettivamente non risente, se non in minima parte, delle necessità dei suddetti figli con lei conviventi, sostenute dal coniuge separato, a cui è stato

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fatto carico di versare un contributo di tre milioni mensili, di certo

sufficiente per i bisogni dei minori, affidati, peraltro, al padre in taluni giorni della settimana e per alcune settimane nel periodo estivo; che si è di recente arricchita, come dall’appellante ammesso nei propri scritti difensivi, del ricavato (lire 45.000.000) della vendita di una imbarcazione da diporto di cui era comproprietaria unitamente al marito, che ne aveva, però, l’esclusiva disponibilità. Orbene, le attuali modeste risorse della L., per quanto

sufficienti, appaiono di certo inadeguate a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e che la ben più consistente situazione patrimoniale complessiva del marito era in grado di assicurarle, come appare implicitamente ammesso dallo

stesso appellato (che lamenta solo la riduzione dei guadagni), e sembra emergere dai documenti allegati in atti, anche in considerazione della rilevanza assunta dalle di lei condizioni di salute, in parte compromesse dal diagnosticato

ipotiroidismo e da una affezione cardiaca (v. documentazione medica allegata), che la costringono ad una terapia costante, con una ovvia, seppur non

insostenibile, incidenza economica. Di contro, dai documenti acquisiti, ed in particolare dalle dichiarazioni dei redditi presentate dal V. (disponibili fino al 1996), risulta che l’appellato ha sì subito negli ultimi anni un decremento del proprio reddito netto, causato anche dall’aumento (sospetto, secondo

l’allegazione del coniuge separato) delle spese di gestione dell’attività

autonoma professionale (medica) esercitata (ad esempio, per locazione e noleggio di beni mobili ed immobili, per compensi a terzi, ecc.), decremento in parte mitigato, secondo il dato ricavabile dall’ultima dichiarazione disponibile, da una più recente ripresa - trattasi, come evidente, di redditi dichiarati e non già accertati e per di più non aggiornati e tuttavia non smentiti da sicuri elementi di prova di segno contrario -; ma è pur sempre percettore di un reddito annuale complessivo considerevolmente alto (lire 250.000.000 circa) e titolare di una rilevante disponibilità economica. La dedotta (e non espressamente contestata) circostanza che il V., dopo la vendita dell’ imbarcazione...., ne abbia acquistato una nuova di maggior pregio e valore, conferma l’anzidetto convincimento, a prescindere dalle non dimostrate modalità dell’acquisto, apparendo detta circostanza da sola rivelatrice di una elevata potenzialità reddituale, anche in relazione alle presumibili spese di gestione che un tale natante impone. occorre ricordare, peraltro, che seppure è vero che ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento al coniuge separato, il tenore di che quest’ultimo ha diritto di mantenere non è quello di fatto consentitogli dall’altro coniuge prima della separazione, ma quello che l’altro coniuge

avrebbe dovuto consentirgli in base alle sue sostanze, va ulteriormente

sottolineato che una volta accertato che i mezzi economici del coniuge che abbia richiesto l’assegno non siano tali da consentirgli la conservazione del tenore di vita analogo a quello avuto durante il matrimonio, deve comunque procedersi alla valutazione comparativa dei mezzi economici di ciascuna delle parti al momento della separazione, al fine di stabilire se vi siano elementi che giustifichino l’imposizione dell’assegno nonché la misura di esso. E le potenzialità economiche dei coniugi vanno prese in considerazione solo in presenza dei requisiti dell’attualità e della concreta valutabilità. Giova, peraltro, ricordare che ai fini dell’accertamento di cui si discute occorre considerare la complessiva situazione di ciascuno dei coniugi e quindi tener conto della loro situazione patrimoniale complessiva, comprendente non solo i redditi in senso stretto, ma anche i cespiti di cui egli abbia il diritto di godimento ed ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica. orbene, nel caso in esame la comparazione delle rispettive situazioni patrimoniali e delle capacità reddituali, quali emergono dai documenti prodotti (dichiarazioni dei redditi, certificazioni), non solo evidenzia una disparità economica fra le parti in causa, ma suggerisce l’imposizione, a carico del V., dell’obbligo di corrispondere alla moglie un assegno mensile a titolo di mantenimento, che, tenuto conto di ogni utilità economicamente valutabile, si ritiene equo

determinare nella misura di lire 500.000, con decorrenza dalla data in cui venne autorizzata la separazione, assegno rivalutabile annualmente secondo gli indici Istat a decorrere dal febbraio 1997 (data della sentenza di primo grado)». b)

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«D’altra parte, neppure appare giustificata la richiesta di riduzione del suddetto contributo, atteso che l’attuale situazione patrimoniale

del V. sembra consentire la conservazione delle condizioni economiche

spontaneamente suggerite dall’appellato in sede di comparizione personale in prime cure ed imposte con il conseguente provvedimento presidenziale del 26 giugno 1990, atteso che, va ribadito, ai fini dell’accertamento del diritto all’assegno ed alla determinazione della sua misura, occorre considerare la complessiva situazione del coniuge onerato e, quindi, tener conto, oltre che dei redditi percepiti, anche di ogni altra utilità economica disponibile.

L’allegazione dell’appellante incidentale secondo cui il deducente tratterrebbe presso di sé i figli per un periodo notevolmente superiore rispetto a quanto convenuto originariamente tra le parti e previsto nel provvedimento giudiziario anzidetto, per cui troverebbe giustificazione la richiesta di riduzione

dell’assegno di cui si discute, non appare dimostrata né si rivela decisiva, atteso che per altro la misura di detto assegno è rimasta invariata nel tempo, almeno fino alla sentenza di primo grado, nonostante le cresciute esigenze dei minori».

c) «In considerazione delle questioni trattate e delle statuizioni adottate, stimasi equo dichiarare interamente compensate tra le parti anche le spese del giudizio di gravame».

1.3. Avverso tale sentenza F.L. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, illustrati con memoria.

Resiste, con controricorso, G.V., il quale ha anche proposto ricorso

incidentale, fondato su un solo motivo, illustrato da memoria, cui resiste, con controricorso, la L..

Motivi della decisione

2.1. I ricorsi 24615/00 (principale) e 1031/01 (incidentale), in quanto proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti ai sensi dell’articolo 335 Cpc.

2.2. Con il primo motivo (con cui deduce: «Violazione dell’articolo 156 Cc in relazione all’articolo 360 n. 3 Cpc, con insufficiente e contraddittoria

motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti in relazione all’articolo 360 n. 5 Cpc»), la ricorrente principale critica la sentenza impugnata, soprattutto sotto il profilo della sua motivazione (cfr., supra, n.1. 2 lettera a), sostenendo che i Giudici a quibus, determinando in linea equitativa l’assegno di mantenimento a lei destinato nella misura di lire 500.000, non avrebbe tenuto adeguatamente conto della enorme sproporzione

sussistente tra le situazioni patrimoniali e segnatamente, reddituali dei coniugi: infatti, dalla stessa motivazione dei Giudici d’appello risulterebbe che la L. presenta una capacità reddituale pari ad un decimo di quella accertata nei confronti del marito.

Con il secondo motivo (con cui deduce: «Violazione dell’articolo 112 Cpc in relazione all’articolo 360 n. 3 Cpc»), la ricorrente principale critica, ancora, la sentenza impugnata, lamentando che i Giudici d’appello avrebbero omesso di pronunciare sulla domanda relativa agli interessi sulle somme dovute e

richiamando, in proposito, le testuali conclusioni precisate in grado d’appello:

«il tutto con ogni conseguente statuizione in ordine alla decorrenza a far data dalla domanda».

Infine, con il terzo motivo (con cui deduce: «Violazione degli articoli 91 e 92 Cpc in relazione all’articolo 360 n. 3 Cpc), la ricorrente principale critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazione (cfr., supra, n.1.2. lettera c), sostenendo che i Giudici d’appello avrebbero erroneamente applicato l’istituto della compensazione integrale delle spese di lite, tenuto

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conto, per un verso, che non si è integrata un’ipotesi di soccombenza reciproca, e, per l’altro, che non è stata motivata la ricorrenza di altri giusti motivi.

2.3. Con l’unico motivo (con cui deduce: «Violazione degli articoli 156-2697 Cc in riferimento all’articolo360 n. 3 e 5 Cpc per violazione e falsa applicazione di legge nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Capi della sentenza concernenti: a)

l’attribuzione a L. Fiorella di assegno di mantenimento b) la mancata riduzione dell’assegno di mantenimento disposto a favore dei figli»), il ricorrente

incidentale critica, a sua volta, la sentenza impugnata, anche sotto il profilo della sua motivazione (cfr., supra, n. 1.2 lettera a) e b), sostenendo,

innanzitutto, che i Giudici d’appello avrebbero erroneamente calcolato il reddito a lui attribuibile, indicando non già quello “netto” risultante dalla dichiarazione del 1996 - pari a lire 57.118.000 - bensì quello “lordo” (pari a lire 246.580.000); in secondo luogo, che - siccome gli stessi Giudici hanno affermato che il reddito del 1996 aveva subito un decremento rispetto a quello posseduto negli anni precedenti; e dal momento che il reddito dalla stesso posseduto era diminuito da lire 150.000.000 per gli anni 1990-1993 a lire

110.000.000 per l’anno 1994 - l’affermazione di un reddito relativo al 1996 pari a lire 250.000.000 integrerebbe una palese contraddizione; ed infine, che

l’affermazione della proprietà, da parte sua, di una imbarcazione da diporto sarebbe erroneamente, fondata sulla sola affermazione della controparte contenuta nella comparsa conclusionale.

2.4. Il primo motivo del ricorso principale e l’unica di quello incidentale - che possono essere esaminati congiuntamente, tenuto conto che entrambi

criticano, da distinti punti di vista, la parte della sentenza impugnata, avente ad oggetto la spettanza e la determinazione dell’assegno di mantenimento,

stabilite dalla Corte d’appello palermitana a favore della L. e la reiezione della domanda di riduzione, proposta dal V., dell’assegno di mantenimento per i figli minori (cfr., supra, n.1.2 lettera a) e b) - sono privi di fondamento.

Deve premettersi che esiste un consolidato orientamento di questa Corte (cfr., e pluribus, sentenze 5916/96, 5762 e 7630/97, 3490 e 4543/98, 3291 e 12136/01, 4800/02), integralmente condiviso dal Collegio, secondo cui condizioni, per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia

addebitabile la separazione, sono la non titolarità, da parte di quest’ultimo, di adeguati redditi propri - e cioè, di redditi che consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio - e la disparità economica tra le parti; secondo cui, ai fini della valutazione della adeguatezza dei redditi

del soggetto che chiede l’assegno, il parametro di riferimento è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante »il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle

aspettative del medesimo richiedente; e, secondo cui, una volta accertato il diritto del richiedente all’assegno di mantenimento, il giudice, per

determinarne il quantum, deve tener conto anche degli elementi fattuali di ordine economico o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidenza sulle condizioni delle parti.

Orbene, l’analisi della motivazione della sentenza impugnata - dianzi

integralmente riprodotta nelle parti che rilevano (cfr., supra, n.1.2. lettera a) e b) - mostra che i Giudici d’appello hanno correttamente applicato i

suddetti principi, qui ribaditi, con argomentazioni ampie e prive di errori logici e/o giuridici.

Infatti, per quanto attiene, in particolare, al parametro costituito dalla capacità reddituale del V., deve rilevarsi, innanzitutto, che i Giudici palermitani non hanno affatto confuso tra reddito “lordo” e reddito “netto”, tenuto conto che - laddove affermano l’intervenuto decremento dei redditi del ricorrente incidentale “negli ultimi anni” (e fino al 1996) fanno espresso riferimento al “reddito netto” e - laddove affermano che il V. «è pur sempre

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percettore di un reddito annuale complessivo considerevolmente alto (lire 250.000.000)» - alludono chiaramente al reddito “lordo”. Ma, al di là di ciò, quel che più conta rilevare - per respingere il motivo di ricorso incidentale - è la constatazione che la Corte di Palermo ha fondato il proprio convincimento - incensurabile, perché correttamente motivato - non soltanto sulla mera disparità reddituale esistente tra i coniugi, ma anche sulla “rilevante disponibilità economica” del V., il cui indice di maggior rilievo è stato individuato

nell’acquisto, da parte di quest’ultimo, di una “imbarcazione nuova di maggior pregio e valore [della precedente].... anche in relazione alle presumibili spese di gestione che un tale natante impone” (circostanza, questa, sostanzialmente non contestata dal ricorrente incidentale), nonché dalle ulteriori circostanze - neppure contestate - della “arretratezza” delle dichiarazioni dei redditi

prodotte (disponibili fino al 1996) in relazione ai segni di una “più recente ripresa reddituale” e dalla assenza “di elementi di prova di segno contrario”.

Per quanto riguarda, poi, la misura dell’assegno di mantenimento attribuito alla L. dai Giudici d’appello, è sufficiente osservare che questi al pari di quanto affermato relativamente alla capacità reddituale del V. - hanno tenuto conto sia della arretratezza delle dichiarazioni dei redditi prodotte dalla ricorrente principale (anch’esse ferme al 1996, sicché il reddito netto annuo di lire 23.000.000 circa “è da ritenere oggi [2000] aumentato per effetto dei normali adeguamenti automatici”), sia di numerosi altri elementi probatori, come la titolarità dell’usufrutto dell’appartamento in abitazione, la sufficienza del contributo versato dal marito per il mantenimento dei figli, il ricavato della somma di lire 45.000.000 dalla vendita della precedente imbarcazione in

comproprietà.

2.5. Il secondo motivo del ricorso principale deve essere parimenti respinto:

infatti - tenuto conto che il Tribunale di Palermo aveva respinto la domanda della L., tendente ad ottenere un assegno di mantenimento per sé; e che la L., nelle conclusioni dell’atto di appello, nel chiedere, alternativamente, un assegno di mantenimento per sé, nella misura di “lire 3.000.000 mensili,

rivalutabili secondo gli indici Istat annuali”, ovvero la determinazione di un assegno complessivo, per moglie e figli, pari a “lire 6.000.000 mensili, con le imputazioni che l’ecc.ma Corte riterrà più opportune in relazione ai figli e alla moglie, sempre annualmente rivalutabile, secondo gli indici Istat”, ha testualmente affermato: “Il tutto con ogni conseguente statuizione in ordine alla decorrenza a far data dalla domanda” - è del tutto evidente che siffatta espressione conclusiva si riferisce unicamente alla data della decorrenza degli assegni (che si individua nella domanda di separazione) e non anche agli

interessi eventualmente dovuti, tenuto conto del principio, secondo cui, al di fuori della ipotesi di interessi su una somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, che integrano una componente del danno nascente dal medesimo fatto generatore, gli interessi stessi, siano corrispettivi, compensativi o moratori, hanno un fondamento autonomo rispetto a quello dell’obbligazione pecuniaria alla quale accedono, onde essi possono essere attribuiti solo su espressa domanda della parte, in applicazione dei principi previsti negli articoli 99 e 112 Cpc (cfr., in tal senso, e pluribus, Cassazione, 1913/00).

Per ciò che attiene al terzo motivo del ricorso principale, è sufficiente osservare che la decisione del giudice di merito di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, essendo l’espressione di un potere discrezionale

attribuito dalla legge, è incensurabile in sede di legittimità, a meno che essa non sia accompagnata da ragione palesemente illogiche, tali da inficiare, stante la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto (cfr. Cassazione, a Sezioni unite 9597/94 e successive

conformi). Nella specie (cfr., supra, n. 1.2. lettera c), la Corte di Palermo ha individuato nella natura delle questioni trattate e nell’esito del giudizio le ragioni – palesemente logiche ed integranti, a suo avviso, i “giusti motivi” di cui all’articolo 92 comma 2 Cpc – della disposta compensazione delle spese.

2.6. In conclusione, entrambi i ricorsi debbono essere respinti.

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Versandosi in ipotesi di soccombenza reciproca, le spese della presente fase del giudizio possono essere compensate per intero tra le parti.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Così deciso in Roma il 27 febbraio 2003.

Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2003

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