Celestino Barbaron
Saturno se ne frega
Il Grande Ritorno Anulare
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3 PROLOGO
Sabato 5 maggio 1984, ore 16:10 Settebagni (Roma)
Il 135 mette la freccia poco prima di entrare a Settebagni.
L’autobus lascia la Salaria a una velocità impressionante e l’uomo, in piedi di fronte alle porte d’uscita, riesce a fatica a premere il pulsante per prenotare la fermata, cercando al contempo di tenersi in piedi aggrappato agli ‘appositi sostegni’. I finestrini sono quasi tutti abbassati e un vortice d’aria riempie l’abitacolo diffondendo ovunque il rumore assordante del motore. L’autobus soffia in curva. Sembra frenare, ma alla fine e contro ogni aspettativa, accelera, raggiungendo la fermata di fronte alla chiesa del quartiere. È lì che inchioda, sbatacchiando tutti i passeggeri.
Nessuno si lamenta.
Le porte si aprono di scatto con uno schianto e uno sbuffo che odora dei miasmi appena espulsi dal bus. L’uomo scende con un salto, quasi per timore che le porte possano amputargli un arto di netto. Una volta a terra si sofferma a esaminare il mezzo sul quale ha concluso quel viaggio. Al di là dell’ampia vetrata del finestrino riesce ancora a vedere il ragazzo con le cuffie e il walkman.
Continua a cantare in maniera sguaiata e del tutto stonata i più grandi successi di Antonello Venditti. Alcune signore si alzano dai loro posti e vanno a prenotare la fermata successiva. Hanno borse della spesa gonfie sorrette da polsi vigorosi, ben allenati dalle corse quotidiane sul 135.
L’uomo segue con gli occhi il bus che riprende il suo inarrestabile percorso. Ultimo sforzo. Poche fermate ancora e sarà capolinea. Persino l’autista sembra non poterne più e non vede l’ora di chiuderla per oggi.
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Quando l’uomo si volta a guardare la chiesa, gli occhi e la bocca si spalancano concordi sollecitati da un ribollire di emozioni. Il piazzale è pieno di bambini che giocano a pallone, mamme che chiacchierano da una parte, stormi di ragazzi e ragazze seduti sui motorini parcheggiati e gruppi di adolescenti sdraiati sulla scalinata della chiesa. Ridono, fumano, cantano, straparlano.
Sono le quattro del pomeriggio, il sole è tornato da poco e a giudicare dal cielo non sembra intenzionato a rimanerci ancora per molto. L’uomo resta lì a contemplare il piazzale della chiesa.
Per qualche minuto i suoi occhi si riempiono stupefatti dalla vista, mentre sul viso si delinea un sorriso scolpito dalla malinconia. Poi si volta a destra e percorre il marciapiede di cemento nuovo di zecca diretto verso un bar. Ogni passo è lento affinché gli occhi abbiano il tempo di catturare il maggior numero possibile di dettagli. Una Renault 5 nera passa sulla strada in quel momento, finestrini abbassati e stereo a tutto volume. Dentro l’automobile tre ragazze cantano a squarciagola I like Chopin insieme a Gazebo:
…rainy days never say goodbye, to desire when we are together…
L’uomo ha ormai quasi raggiunto la sua meta e d’un tratto scopre che non è così facile affrontare ciò per cui è venuto. Subito dopo vede un ragazzino di circa dieci anni che esce dal bar, per lui è tutto così semplice, mentre il suo cuore inizia a picconare con forza fin sul collo.
È secco, uno scrocchiazeppi, proprio come se lo ricordava. I capelli castani arruffati sono zuppi di sudore. Tiene in mano un ghiacciolo Lemonissimo Eldorado appena comprato. Se ne va nella direzione da cui era arrivato, sospingendo con piccoli calci un pallone Tango che cerca di non far cadere dal marciapiede.
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L’uomo lo segue a pochi passi di distanza. Il ragazzino si ferma, strappa la confezione del ghiacciolo, porta alla bocca il premio da duecentocinquanta lire, appallottola la carta, si guarda fugacemente attorno e la butta a terra. Giù dal marciapiede.
«Ehi, ragazzino?!», gli fa l’uomo, «si fa così? Si buttano le carte a terra?»
Il ragazzino diventa paonazzo. Raccoglie subito la palletta di carta e prova a giustificarsi.
«È… è che…che non c’è nessun secchio qui!»
«E quindi se non c’è nessun secchio la buttiamo per terra? Mi pare giusto! Ascolta, se non sbaglio nel palazzo dove abiti, nel giardino, ci sono un sacco di cestini… cosa ne dici di buttarla lì quella carta?»
Il ragazzino accusa il colpo, si ammutolisce e il viso si fa ancora più rosso, mentre riprende a camminare. L’uomo lo segue e percepisce che ora il bambino, oltre che mortificato, è anche un po’ spaventato. Non è proprio una percezione è più una consapevolezza.
«Ehi aspettami! Non volevo fare il vecchio bacchettone, ma bisogna rispettare l’ambiente. Lo capisci vero?»
Il ragazzino fa spallucce ed entra nel cancello del palazzo da cui era venuto. Al suo interno, un grande giardino condominiale è stato, senza dubbio, testimone di innumerevoli partite di calcio iniziate alle due del pomeriggio e terminate al tramonto. Ma in quel momento il campo da gioco è insolitamente deserto e l’uomo sa che il ragazzino si sentirà a disagio al cospetto di quello sconosciuto che lo ha appena sgridato.
«Sono un amico del signor Trippi. Lo conosci? Abita alla Scala B», dice cercando di sbrogliare la situazione.
«Sergio!», esclama il ragazzino.
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«Sì! Esatto. Quello che ha un gemello. Pensa che ogni volta che incontro il fratello mi sbaglio. Lo saluto pensando sia Sergio e capisco troppo tardi che non si tratta di lui. Quel furbetto del fratello risponde sempre al saluto, magari in un modo solo un po’
meno caloroso eh! Ma saluta sempre. Ed è proprio quando mi rivolge la parola che capisco che non è Sergio, ma è tardi per fare un passo indietro. Sembra proprio che si diverta a far così.»
Il ragazzino abbozza un sorriso, è evidente che qualche volta ha vissuto la stessa situazione.
«Lo aspetto qui. Ti dispiace?», dice l’uomo sedendosi su una panchina del giardino, senza peraltro ricevere alcuna risposta.
«Quanti anni hai?», domanda ancora l’uomo, sapendo già che lo scrocchiazeppi ha dieci anni e otto mesi.
«Quasi undici.»
«E i tuoi amici dove sono?»
«Non lo so… È che prima pioveva… ma ora che è tornato il sole penso che scenderanno.»
«E vi farete una bella partita a pallone giusto?»
Il ragazzino alza le sopracciglia, come per dire: e secondo te a cosa dovremmo giocare? Poi lancia uno sguardo ai balconi del palazzo con la speranza di vedere qualcuno da invitare giù e togliersi l’impiccio di quel ficcanaso. Dà un morso all’ultimo pezzo di ghiacciolo, poi butta nel cestino il bastoncino e la palletta di carta e inizia a palleggiare. Non riesce a fare più di sette palleggi di seguito.
Troppo alti, troppo lontani dal piede. Eppure, ogni volta non si arrende. Ricomincia.
«Di che squadra sei?», insiste l’uomo.
A quel punto il ragazzino ferma il pallone, mostra con un certo orgoglio lo stemma della testa di un lupetto sulla maglietta bianca e dice: «della Maggica.»
L’uomo gli sorride.
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«Però quest’anno lo scudetto lo avete fatto vincere alla Juventus.»
«Non è mica ancora detto eh?!», risponde piccato il ragazzino, diventando d’un tratto loquace. «Non c’è ancora la certezza matematica, se domani la Juve perde con l’Avellino e la Roma vince col Catania, gli stiamo a due punti e all’ultima giornata tutto può succedere.»
«Mmh, mi sa che ci credi poco anche tu…»
«E pure se perdiamo lo scudetto, tanto noi vinciamo la Coppa dei Campioni. Gli juventini lo vincono ogni anno lo scudetto e fanno sempre alla Coppa dei Campioni. Ma non l’hanno mai vinta.
Invece noi alla prima volta che la facciamo siamo in finale e giochiamo pure in casa.»
L’uomo controlla i balconi e si sofferma in particolare proprio su quello dell’abitazione in cui vive il ragazzino. È attento a intercettare per tempo qualsiasi movimento possano fare gli inquilini. Sa che non potrà restare ancora a lungo in quel posto.
«Scommetto che tua madre se ne esce spesso con: Tommaso, la testa che non parla si chiama cucuzza.»
Il ragazzino al suono del suo nome rimane impietrito e ora gli occhi sono attenti e le orecchie sono tese verso l’uomo.
«Beh! Tua madre ha ragione da vendere. Lo so che a te sembra solo una gran rottura di palle, ma devi cercare di essere meno timido, di non aver paura delle… delle… grezze. Né di essere preso in giro. Tu puoi dire sempre, sempre quello che pensi.
Quando sentirai bruciare sulla tua pelle lo schiaffo di un’ingiustizia, combatti!»
Il ragazzino ha due occhi enormi ora.
«Ma tu chi sei?», chiede stupefatto all’altro che non gli risponde, ma inizia a balbettare.
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«È che… scusa… ma… non so bene neanche io come darteli
‘sti consigli… mi sembrava una buona idea, ma ora non ne sono più così sicuro… Comunque: un’altra cosa di cui volevo parlarti riguarda quello che vorrai fare della tua vita. Non scoraggiarti mai Tommaso, tu puoi essere e diventare quello che vuoi, ma ci vuole tanta pazienza e ancor più sacrificio. Non ti abbattere quando le cose sembreranno andare male. Non sentirti inferiore a nessuno e non farti da parte solo per paura. E soprattutto: non mortificarti per le cose che non dipendono da te. Insomma, non aspettarti troppo da te stesso e vedrai che con più leggerezza otterrai molto di più.»
L’uomo si ferma. Non sembra nemmeno più così convinto dell’utilità di ciò che sta dicendo, mentre il ragazzino continua a rimanere immobile e imbarazzato di fronte a quello sconosciuto.
«L’ultimo consiglio è forse il più importante: divertiti! Il tempo passa più veloce di quanto tu possa immaginare.»
Poi un silenzio fragoroso. L’uomo si aspetta qualche reazione da parte del ragazzino, senza che in realtà ce ne sia alcuna. Si era immaginato di dover dire molto di più e a quel punto sembra più mortificato di quanto avesse ipotizzato. Alla fine, è sempre lui che riprende la parola.
«Mi dispiace. Non volevo metterti in difficoltà. Adesso è proprio ora che io vada. Penso che il signor Trippi lo vedrò in un altro momento.»
«Che ne sai chi sono?», chiede il ragazzino come risvegliatosi da un sogno.
«Lascia stare! Sarebbe troppo lunga da spiegare e non penso mi crederesti. Ti prego, però, ricordati sempre di ciò che ti ho detto.
Sono dei consigli che possono andare bene per tutti, ma per te potrebbero rivelarsi davvero speciali. Ricordatene nei momenti
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belli della tua vita, ma anche in quelli che ti porteranno grandi delusioni.»
«Che delusioni?»
L’uomo sembra riflettere per qualche secondo, poi declama la sua profezia.
«Ti dico una cosa: domani la Juventus pareggerà 1-1 con l’Avellino, segnerà Paolo Rossi, mentre la Roma non andrà oltre il 2-2 con il Catania. Pensa che la Roma andrà addirittura sul 2 a 0 con Maldera e Chierico, ma poi si farà riprendere. Così domani la Juventus sarà campione d’Italia e tra dieci giorni vincerà anche la Coppa delle Coppe. Ecco! Sarà dura affrontare i tuoi amici juventini. Non ci rimanere troppo male. Questo è solo un piccolo esempio di una di quelle delusioni.»
Gli occhi del ragazzino sono ancora più grandi, stenta a trattenere una sorta di risata.
«Ma mi dici chi sei?», sbotta.
«Io? Io mi chiamo Tommaso. Proprio come te.»
«E sai anche se la Roma vincerà la Coppa dei Campioni?»
A quel punto l’uomo sospira sorridendo, poi si avvicina allo scrocchiazeppi e sussurra tutto d’un fiato.
«Questo ancora non lo so, ma credo ci siano buone possibilità che ce la possa fare.»
Gli scompiglia un po’ i capelli, poi esce dal cancello di quel palazzo di periferia e si dirige verso la fermata dell’autobus 135.