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Italian beach movie 1 parte Fenomenologia da spiaggia

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Italian beach movie 1 parte – Fenomenologia da spiaggia

written by Valentino Saccà | 31 Luglio 2009

P u b b l i c h i a m o l a 1 ° p a r t e d i I t a l i a n b e a c h m o v i e – Fenomenologia da spiaggia.

La cultura popolare è sempre stata fonte di grandi ispirazioni, un terreno assai fertile per coltivare nuove stimolanti e a volte rivoluzionarie coordinate capaci di trasfigurare l’immaginario collettivo, sia sotto un profilo estetico che contenutistico.

La letteratura, il teatro, la musica, affondano le radici nel popolare e anche il cinema da sempre resta legato ad una tradizione folkloristica.

L’italietta post-bellica dei 50′ è stata l’autentico vivaio della cultura popolare, già nella temperie neorealista, ne abbiamo un esempio di matrice letteraria con il cosiddetto modello verghiano, ma è soprattutto in pieno dopoguerra che si esplicita totalmente questo gusto rurale per le genuine tradizioni , uno sguardo autoetnografico e simpatetico su di un paese che muove verso la ripresa economica e sociale.

Dopo le brevi ma intense vulgate autunnal-neorealiste di De Santis e le mèlolacrime matarazziane, ecco che il cinema diviene autenticamente il riflesso del volgo e con l’estetica popolaresca del neorealismo rosa, l’aderenza è perfetta tra segno e referente, tra soggetto e fruitore, una forte empatia che è venuta meno con il boom della commedia all’italiana, quando la mimesis della realtà e del quotidiano si era spinta verso il paradigma della rappresentazione metaforica.

Nella raffigurazione aulica e ruspante del belpaese, ha sempre avuto un ruolo preponderante e stereotipicamente incisivo, il paesaggio naturale, assurto a stilizzata cornice attrattiva.

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Già questo avveniva agli albori delle italiche immagini in movimento, con il “cinevedutismo” prima e con il “dal vero”

poi, il primo rappresentante una visione straniera del paesaggio italiano, con un gusto spiccato per lo sguardo archeologico sulle bellezze storiche, alla continua ricerca dei ruderi primigeni, il secondo invece puntando ad uno sguardo autenticamente nostrano, una idealtipica visione che ha l’italiano del proprio paese, atta a sdoganarlo all’estero attraverso una rappresentazione turistico-promozionale dal sapore ancora molto alinariano.

In ambedue i casi, l’idea era comunque la medesima, di tramutare la veduta naturale in una sorta di cine-cartolina propagandistica, una panoramica patinata ed estetizzante per creare una mercificazione di immagini a scapito dei contenuti, arrivando ad una rappresentazione bozzettistica della realtà.

Questo bozzettismo bonario si è poi talmente allargato da creare un sottogenere della commedia all’italiana, ovvero come ama definirla Enrico Giacovelli: commedia di serie B, per differenziarla dalla commedia italiana tout court, quella con budget più consistenti e con autori ed interpreti di risonanza internazionale, appunto la cosiddetta serie A.

In questa versione spicciola e artigianal-amatoriale della commedia di serie A, continua ad esistere e a proliferare la visione turistico-paesaggistica, che verso la fine dei 50′, raggiunge il suo apogeo con due film che risultano due gemelli opposti: “Souvenir d’Italie” (1957), tipico esempio di mega- sponsor d’esportazione, celato dietro le parvenze della commediola sentimental-umoristica, diretta calligraficamente da un giovane Pietrangeli e “Costa Azzurra” (1959), veicolo promozionale per la vacanza tipo in Cote d’Azur, meta di tendenza per l’italiano medio di quel periodo, quasi rispettivamente due ideali prosecuzioni della logica cinevedutista e dei “dal vero”.

Il fenomeno crescente del cinema turistico-vacanziero, ha

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cominciato poi a restringere lo spettro di visione, occupandosi strettamente dell’ambientazione balneare, la spiaggia come luogo deputato alla vacanza e al tempo libero, location antropocentrica per antonomasia, l’uomo posto al centro dello scavo sociologico e stilizzatamente opposto agli elementi naturali (terra, fuoco,acqua,vento) nel sempiterno incontro/scontro con essi, insomma la spiaggia diviene lo specchio delle infinitesimali mutazioni sociali, partendo principalmente dai localismi che riguardano direttamente le microculture.

L’autentica esplosione di questo sottoprodotto della commedia popolare, ribattezzata poi “commedia balneare” (“italian beach movie” all’estero), avviene nei 60′, in piena cultura beat, al ritmo di surf e twist de noantri, cavalcando quel profluvio di: canzonette ye-ye, acconciature cotonate, jeans e giradischi che rappresentano in tutto e per tutto l’onda selvaggia del miracolo economico in continua espansione.

Ma andiamo per gradi, i primi segnali di questo fenomeno cultural-consumistico, avvengono già agli inizi del decennio precedente, quando l’estetica da pret-à-porter era ancora lontana e si considerava la località balneare come un punto di ritrovo festivo (specie domenicale) per le famiglie operaie, quindi la rivincita sulla quotidiana fatica lavorativa.

Aldo Fabrizi nel 1951 con “La famiglia passaguai“, dirige e interpreta, con la complicità bisbetica di Ave Ninchi e con spalle di lusso quali: Carlo Delle Piane, Peppino De Filippo , Luigi Pavese e Tino Scotti, il ritratto pacioso e spassoso della famigliola borgatara, pronta a godersi il meritato riposo, ovvero una domenica a base di sole, mare e rifrescante cocomero, anche se alla fine si rivelerà un’esperienza più stressante della consueta settimana lavorativa.

Qui la spiaggia è ancora vista come luogo capace di livellare i diversi ruoli sociali, ci andavano operai, impiegati, segretarie, ma anche capouffici e padroni, almeno per un

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giorno tutti uguali, tutti spogliati, accaldati e preoccupati dei medesimi problemi: canicola, consorte asfissiante o marito che corre la cavallina, figli a carico e la smaniosa rincorsa al tanto sospirato cocomero.

Diversi autori in questi anni tentano di affacciarsi a questa realtà, divenendo degli autentici precursori del filone, creando dei modelli di riferimento per il decennio successivo.

Cineasti d’estrazione diversa, provenienti da tendenze e correnti di vario tipo, si preoccupano di questa nuova koiné che stava gradatamente monopolizzando la nostra cultura popolare, Luciano Emmer, noto per i suoi documentari sull’arte, realizza “Domenica d’agosto” (1950), il frondista Alberto Lattuada dirige l’etimologicamente archetipico “La Spiaggia” (1954) e il post-zavattiniano Vittorio De Sica, in veste d’attor blasonato, torna a recitare nel trascurabile

“Tempo di villeggiatura” (1957) e sotto la guida del vecchio sodale Mario Camerini nel memorabile “Vacanze a Ischia”

(1957), da molti considerato l’autentico capostipite della commedia turistico-balneare.

Sul finire dei 50′, si susseguono a breve distanza altri titoli minori, atti comunque a nutrire e sdoganare definitivamente il prodotto: “Avventura a Capri” (1958),

“Brevi amori a Palma di Majorca” (1959), “Racconti d’estate”

(1958), “Tipi da spiaggia” (1959), una menzione speciale per gli ultimi due, il primo perchè ispirato a Moravia, mantiene un tono asciutto e pacato, il secondo in quanto è un curioso tentativo di ibridazione tra il genere canzonettistico e quello vacanziero, l’imberbe Dorelli canta la canzonetta del titolo e un gigionesco Tognazzi lo asseconda come può.

Rotto ogni indugio ecco che a partire dal 1960, la spiaggia diviene la location prediletta dalla nuova generazione, non più la meta esclusivamente domenicale appannaggio della famigliola proletaria, il litorale cominciando a popolarsi di pappagalli e appetibili ninfette in bikini, diviene il comico

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scenario per una sempre più parossistica e barzelletiera critica di costume, sfruttando in tutte le salse i vizi e i pruriti degli italiani in vacanza, ecco il trionfo dell’italico gallismo, l’ars amandi del cosiddetto latin lover, anche se più spesso ridotta a spicciola fenomenologia da galletto di provincia, che sa poco o nulla su come conquistare una donna, specie se una seducente bellezza straniera.

Ecco una nuova componente: l’esotismo, l’italiano comincia a mostrare i primi sintomi esterofili (almeno in campo amoroso), un primo timido approccio verso l’antropizzazione linguistico- culturale della realtà turistica, che si allargherà a macchia d’olio specie negli 80′, quando sulle spiagge assolate di una Rimini o di una Riccione, tra sdraio e ombrelloni cominceranno a circolare individui appartenenti alle cosiddette minoranze etniche, come i tanto disprezzati/ridicolizzati “Vu cumprà“, ne abbiamo un truce esempio nell’imbevibile “Rimini Rimini- Un anno dopo” (1988), ad opera del bolso e trito umorismo post drive-in di Gianfranco D’Angelo.

Nell’arco di circa sei anni (60-66), abbiamo il periodo di massima fioritura del filone, con decine e decine di commediole tutte uguali per titolo, forma e contenuti e non sempre all’altezza e divertenti, ma più spesso logore e datate nei tempi e nelle gag, anche se bisogna riconoscerne a posteriori una certa vena ruspante e genuina, al di là della serialità produttiva, questo interesse è dovuto specialmente alla professionalità degli interpreti e dei registi.

I primi, volti noti della TV (Raimondo Vianello, Alberto Lupo, Gino Bramieri e gli immancabili Franco&Ciccio) e celebrità della rivista e del cinema (Tino Scotti, Mario e Memmo Carotenuto, Carlo D’Apporto, Walter Chiari, Carlo Delle Piane,), i secondi validi mestieranti della commedia seriale come Giorgio Bianchi di cui ricordiamo il titolo che forse aprì il decennio: “Intrigo a Taormina” (1960), insieme ad

“Appuntamento a Ischia” (1960) del veterano Mario Mattoli, che

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si ricorda piacevolmente per la presenza di Domenico Modugno e per il battesimo cinematografico di Franchi e Ingrassia.

Ma soprattutto è doveroso citare Marino Girolami, il più prolifico artigiano del genere, che con la complicità del fratello Romolo, produttore e del figlio Enio in veste di attore, realizzò una nutrita serie di innocue ma a loro modo gradevoli commediole del disimpegno estivo, tra i suoi film ricordiamo i più riusciti (almeno nel titolo): “Ferragosto in b i k i n i ” ( 1 9 6 1 ) , “ S c a n d a l i a l m a r e ” ( 1 9 6 1 ) , c o n u n impareggiabile Mario Carotenuto versione gangster, “Veneri al sole” (1965), tra i più ghiotti e divertenti con un Vianello insolitamente timido ed impacciato verso il gentil sesso e l’accoppiata Franchi-Ingrassia in assoluto stato di grazia ed il tardo-crepuscolare “Spiaggia libera” (1966).

Anche gli autentici maestri della commedia di serie A, non rimasero indifferenti al genere, cercando di nobilitarlo, trasferendovi gli umori e le pulsioni, senza il consueto provincialismo, ma con sguardo feroce e a volte impietoso, Dino Risi realizzò “L’ombrellone” (1965), Luigi Zampa ci provò con l’episodico “Frenesia d’estate” e Steno con “Copacabana Palace” (1962) tentò un decentramento geografico e simpaticamente esterofilo.

Impossibile però non menzionare le regine assolute del genere, le floride bellezze straniere e italiane che hanno popolato i sogni erotico-balneari di un’Italia ancora abbottonata e repressiva.

L’invasione di dolci sirenette anglosassoni, vikinghe e teutoniche procaci e provocanti, francesine frizzanti e disinibite e pollastre d’allevamento nostrano, creò un sisma etico-morale non indifferente, quindi le varie: Solvi Stubing, Ira Furstenberg, Margaret Lee, Abbe Lane, Beba Loncar, Inge Schoener, Elke Sommer, Valeria Fabrizi, con un’armeria sempre più discinta di costumi e lingerie, si sono imposte nell’immaginario collettivo, ribaltando completamente

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l’immagine desueta ed educandale della donna nella società italiana.

Verso la fine del decennio, il filone comincia decisamente a sgonfiarsi, l’Italia sputa i primi giovenil furori e stringe con forza i pugni in tasca, l’aria di rivoluzione spira sempre più forte, spandendo i germi di una politicizzazione collettiva, pugnace e ricostruttiva, che ha radicalmente coinvolto anche le istituzioni artistiche e culturali.

L’Italia aveva già iniziato il suo strip-tease ideologico e lo prosegue sempre più agguerrita, smettendo gli antichi panni del feudalesimo e i vetusti orpelli cattolico-borghesi, puntando ad una transumanza democratica ed emancipatoria, per il raggiungimento di una piena coscienza identitaria.

Tra gli ultimi fuochi (di paglia o meglio di sabbia), citiamo il misconosciuto e stancamente episodico “Gli Amanti latini- Latin lovers” (1965), salvato in parte solo dall’estro di un Totò over 60 ed il pessimo “Ischia operazione amore” (1966), ma il sole, irraggiante bellezze al bagno e “innocenti”

scandali al mare era inevitabilmente tramontato, prima di tornare ad ardere inutimente sulle spiagge di Rimini, Sait Tropez o Panarea, per una miriade di glutei pre-rosolati dai solarium e seni artificializzati al sapore di silicone.

Il pezzo e’ gentilmente concesso dall’autore che ne mantiene diritti di copyright e responsabilita’.

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