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REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI VERONA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

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Tribunale di Verona – Sentenza 1.2.2013 (Composizione monocratica - Giudice RIZZUTO)

REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI VERONA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Verona, in persona della dott.ssa Silvia Rizzuto, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta al n. 6421/2008 e promossa da: PF e CML

ATTORI contro: FI

CONVENUTA

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Gli attori PF e CML hanno convenuto in giudizio l’arch. FI per sentire accertare, a fini restitutori e risarcitori, che il recesso all’incarico professionale era stato esercitato dall’arch. FI senza alcuna giustificazione; in subordine hanno chiesto la dichiarazione, ai medesimi fini, di risoluzione del rapporto professionale inter partes per fatto e colpa della professionista e, in via ulteriormente subordinata, che le somme richieste dalla convenuta a titolo di compenso si riferivano a prestazioni non eseguite o eseguite dopo l’interruzione dei rapporti.

A sostegno delle domande proposte, gli attori hanno esposto di aver incaricato la convenuta di progettare e seguire come direttore dei lavori la ristrutturazione integrale di un loro immobile, che nel predisporre il progetto la convenuta aveva comunicato la necessità di realizzare un cd “cappotto termico isolante” ai sensi del Dlgs 311/06 per costo aggiuntivo di € 52.000,00, che, appresa da altro tecnico di fiducia, la non obbligatorietà del cappotto termico, gli attori avevano comunicato la loro intenzione di non eseguire tale opera, che la convenuta aveva quindi segnalato che senza tale opera non avrebbe proseguito nell’incarico, che, preso atto di ciò, gli attori avevano chiesto la restituzione degli elaborati e, infine, che a tale lettera l’arch.FI aveva replicato che erano stati gli attori a recedere dal contratto.

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Instauratosi il contraddittorio, la convenuta ha contestato la fondatezza della domanda proposta e ha proposto domanda riconvenzionale per il pagamento dei compensi maturati.

Pacifica dunque l’interruzione del rapporto professionale tra le parti, per valutare la fondatezza delle contrapposte pretese creditorie occorre in primo luogo determinare, per gli effetti di cui all’art. 2237 c.c., chi di fatto abbia esercitato il recesso.

Orbene sulla scorta della documentazione in atti e di quanto emerso dall’istruttoria espletata, ritiene questo giudice che l’interruzione dei rapporti debba essere attribuita alla scelta professionale della convenuta di subordinare la continuazione del proprio incarico, pena la mancata sottoscrizione dei certificati, all’esecuzione del cd cappotto termico.

Ed invero, con lettera del 12.7.2007 gli attori hanno comunicato alla convenuta di aver “dovuto prendere atto della sua dichiarazione di non voler proseguire nello svolgimento dell’incarico da noi affidatole con contratto del 8.2.2007 a causa del suo dissenso circa la nostra decisione di non eseguire il “cappotto termico esterno” a suo avviso imposto da norme di legge” e di vedersi quindi costretti a sostituire la professionista (doc. 12 di parte convenuta), A tale comunicazione la convenuta ha replicato con lettera del 8.8.2007 nella quale, pur contestando di aver rinunciato all’incarico, ha precisato “Circa la vostra contrarietà a seguire le mie indicazioni sull’esecuzione del “cappotto termico” che dalle stesse considerazioni esposte nella vostra lettera è all’origine della revoca dell’incarico, tengo a ribadire ancora una volta la piena correttezza del mio operato ed il fatto che non è possibile scambiare il mio adempimento degli obblighi di esecuzione delle opere edilizie secondo le disposizioni vigenti come volontà di rinunciare all’incarico…….A ciò aggiunsi che né la sottoscritta né i collaboratori non avrebbero sottoscritto certificati qualora questi non rispondessero alle norme di legge, dato che questo avrebbe corrisposto a commettere un reato di falso…” (doc. 6 di parte attrice, sottoscritto e non disconosciuto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 215 c.p.c.).

Dal tenore della citata comunicazione è evidente che la convenuta riteneva il cappotto termico obbligatorio per legge con i conseguenti doverosi obblighi della professionista.

Quanto sopra ha poi trovato ulteriore conferma nella deposizione del teste Ruggeri Tiziano che ha dichiarato di ricordare una discussione tra le parti circa il cappotto

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termico e che nell’ambito di tale discussione l’arch. Franco aveva detto agli attori che senza “cappotto termico” non avrebbe firmato la richiesta di agibilità.

In merito poi alla effettiva necessità di tale cappotto termico, è stata disposta CTU all’esito della quale il CTU, premessa la poca chiarezza della legislazione riguardante l’isolamento termico che può prestarsi a diverse interpretazione, ha poi precisato di essere arrivato alla convinzione che il rivestimento termico isolante (cappotto termico) non era obbligatorio per abbassare la trasmittenza termica della muratura al fine di adeguarla ai coefficienti previsti dalla normativa cogente in quel momento transitorio dei fatti. Secondo il CTU la normativa vigente all’epoca dei fatti prevedeva infatti di adeguare la trasmittenza termica a determinati coefficienti solo in casi particolari e, per quel che rileva, in caso di rifacimento totale dell’intonaco esterno. Nel caso in esame in cui era previsto un rifacimento solo parziale il CTU ha conseguentemente ritenuto non trovare applicazione l’obbligo di adeguamento.

Le conclusioni cui è pervenuto il CTU, adeguatamente motivate e che per tali motivi vengono fatte proprie da questo giudice, sono state tuttavia il frutto una interpretazione di un dettato normativo che, come correttamente evidenziato dal CTU, si presta a diverse interpretazioni. Ciò rende evidentemente non censurabile la diversa valutazione della normativa offerta dalla professionista. Una volta che stessa si fosse – non del tutto immotivatamente - convinta della necessità normativa di un determinato intervento edilizio, è chiaro che era suo preciso dovere professionale imporre tale intervento posto che il progettista deve assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica (sulla responsabilità del professionista cfr. Cass. n. 8014 del 2012).

Il rifiuto della professionista di sottoscrivere i vari certificati edilizi nell’ipotesi in committenti non avessero seguito le indicazioni tecniche che la professionista, sulla scorta di una legislazione non univoca, riteneva necessarie, pur formalmente lasciando la scelta di proseguire ai committenti, di fatto deve interpretarsi come un recesso dall’incarico posto che mai i committenti non avrebbero potuto imporre coattivamente l’esercizio dell’attività professionale alla convenuta. La chiara affermazione del proprio rifiuto a proseguire ove non assecondata nelle scelte tecniche ha prodotto l’effetto tipico dell’estinzione o scioglimento del rapporto secondo uno schema riconducibile, di fatto, all’esercizio del recesso per giusta causa.

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Quand’anche non si volesse interpretare il rifiuto a proseguire come una forma di recesso, deve prendersi atto che, nella sostanza, era intervenuto insanabile contrasto tra le parti in relazione ad un elemento fondamentale per la prosecuzione dei lavori senza che possa essere ritenuta alcuna irragionevolezza nelle contrapposte posizioni assunte dalle parti. Se da un lato, infatti, la non univocità del dettato normativo e il dubbio quindi che l’intervento edilizio indicato dall’arch. Franco fosse davvero necessario giustificano la rigida posizione assunta dalla professionista, dall’altro alcuna critica può essere ascritta agli attori che, non solo, potevano comunque giovarsi della facoltà di recesso di cui all’art. 2237 c.c. concessa ai committenti indipendentemente dal comportamento del prestatore d'opera intellettuale prescindendo dalla presenza o meno di giusti motivi a carico di quest’ultimo ma, nella specie, hanno legittimamente ritenuto di non seguire le imposizioni tecniche della professionista sulla scorta di diversa interpretazione normativa rivelatasi poi corretta e che ha evitato loro costosi interventi.

Ritenuta dunque la legittimità del recesso esercitato dalla professionista tramite il rifiuto a proseguire i lavori, deve essere rigettata la domanda degli attori di risarcimento danni e di restituzione dei compensi già percepiti.

Deve inoltre essere rigettata la domanda riconvenzionale di pagamento dei compensi maturati.

In materia di professioni intellettuali, il professionista che recede dal contratto per giusta causa e chiede il compenso per le sue prestazioni, ai sensi dell'art. 2237, secondo comma, cod. civ., ha l'onere di dimostrare l'esistenza del credito, quindi anche il risultato utile derivato al cliente dallo svolgimento della sua opera.

Nel caso in esame non ha allegato né provato in giudizio che l’attività progettuale per la quale ha chiesto il compenso sia stata poi utilizzata dai committenti e ciò a fronte anche della precisa contestazione degli attori che hanno addirittura allegato e provato di essersi rivolti ad altro professionista con aggravio di costi.

La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.

PQM

Il Tribunale definitivamente pronunciando ogni diversa istanza eccezione e deduzione disattesa e respinta,

rigetta le domande proposte dagli attori PF e CML;

rigetta le domande riconvenzionali della convenuta FI;

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Verona 1.2.13

Il Giudice

Dott.ssa Silvia Rizzuto

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