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L’azienda può cambiare mansioni al dipendente?

written by Redazione | 07/11/2018

Cambio di ufficio o di compiti del lavoratore: quando è demansionamento e quando invece non è vietato dalla legge?

Immaginiamo che, un giorno, sul più bello, l’azienda che ti ha assunto ti invii un ordine di servizio con cui ti comunica un cambio di mansioni e lo spostamento in un altro ufficio. Se ciò non dovesse corrispondere alle tue aspettative di carriera e alle capacità che hai maturato sino ad allora cosa potresti fare? Sicuramente – ha spiegato in passato la Cassazione – non puoi rifiutarti di lavorare. Dovresti, tutt’al più, ricorrere in tribunale impugnando il provvedimento del datore di lavoro e solo all’esito della sentenza che ne dispone l’annullamento potresti opporti al cambio di mansioni. Devi sapere, però, che il Job Act, ossia la riforma del lavoro approvata nel 2015 [1], ha ampliato le possibilità di adibire il dipendente a mansioni inferiori (cosiddetto demansionamento). Di recente, però, è intervenuta una sentenza della Cassazione [2] a chiarire entro quali limiti il datore di lavoro può operare e quando il suo potere costituisce invece una violazione dei diritti del dipendente.

Ecco cosa hanno risposto i giudici supremi in risposta alla domanda: l’azienda può cambiare mansioni al dipendente?

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Qui di seguito ribadiremo, ancora una volta, qual è la disciplina prevista dalla legge in caso di modifiche unilaterali al rapporto di lavoro effettuate dal datore senza il consenso del dipendente.

Il datore di lavoro può cambiare di mansioni il dipendente?

In generale, anche dopo la firma del contratto di lavoro, il dipendente può essere spostato di mansioni senza il proprio consenso, e quindi adibito a compiti diversi rispetto a quelli assegnatigli inizialmente, ma ad una sola condizione: le nuove mansioni devono appartenere allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime da lui effettivamente svolte oppure devono corrispondere a un inquadramento superiore (ad esempio a seguito di promozione).

In buona sostanza, è vietato solo adibire il lavoratore a mansioni inferiori (salvo alcune eccezioni che a breve vedremo).

Se anche il dipendente dovesse firmare un accordo diverso, in cui dichiara di non opporsi al cambio di mansioni, tale accordo sarebbe nullo e potrebbe comunque essere impugnato in tribunale a meno che non ricorra l’esigenza di conservare il posto di lavoro (ad esempio l’azienda sta effettuando dei licenziamenti collettivi e, per non mandare a casa un dipendente, gli propone un abbassamento di livello contrattuale).

Vediamo singolarmente le varie ipotesi di cambio di mansioni.

Cambio di mansioni della stessa categoria contrattuale

Come abbiamo anticipato, l’azienda può cambiare le mansioni il dipendente se le nuove mansioni appartengono allo stesso livello contrattuale e categoria di inquadramento iniziale. Con una recente ordinanza [2] però la Cassazione ha stabilito che anche uno stesso livello contrattuale può costituire una lesione dei diritti del lavoratore se non valorizza le capacità da questi acquisiste. In pratica, il lavoratore assegnato a nuovi incarichi che compromettono la sua professionalità è,

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di fatto, vittima di un demansionamento. Non importa se, formalmente, lo spostamento avviene non verso il basso ma in senso orizzontale. Si pensi, ad esempio, a un contabile che, avendo acquisito negli anni comprovata praticità con fatture e bilanci, viene invece spostato ad altri compiti di segreteria. In questo caso, dunque, è irrilevante che i nuovi compiti appartengano allo stesso livello contrattuale di quelli precedenti se non vengono valorizzate le capacità in precedenza acquisiste.

Si parlerà allora di un demansionamento di fatto. Demansionamento che può sussistere anche quando un dipendente viene semplicemente spostato di stanza o di sede, senza compromettere i suoi compiti, ma a conti fatti nel nuovo ufficio non ha una scrivania, una sedia o una postazione con un computer. Obbligare il dipendente all’inerzia significa mortificarne la professionalità, a prescindere dal fatto che lo stipendio gli venga regolarmente versato per non fare nulla.

Non è dunque vero che l’azienda può assegnare il dipendente ad altri incarichi con il solo rispetto del limite dell’equivalenza delle nuove con le vecchie mansioni.

La Cassazione ha infatti ricordato che è vietata un’indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità. Infatti il lavoratore addetto a determinate mansioni non può essere assegnato a mansioni nuove e diverse che compromettano la professionalità raggiunta, anche se rientranti nella medesima qualifica contrattuale; al contrario deve procedere a una ponderata valutazione della professionalità del lavoratore al fine di salvaguardare, in concreto, il livello professionale acquisito e di fornire un’effettiva garanzia dell’accrescimento delle capacità professionali del dipendente.

Insomma, il dipendente può opporsi e ricorrere in tribunale tutte le volte in cui non c’è omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto e alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente; non assume alcun rilievo, sul piano formale, che entrambe le tipologie di mansioni rientrino nella medesima area operativa.

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Cambio di mansioni verso l’alto

Eccezionalmente il datore di lavoro può adibire, per un periodo di tempo limitato, il dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle originarie. Lo può fare solo

se deve sostituire un altro lavoratore assente sino al rientro di quest’ultimo per momentanea vacanza di una posizione in organico

per altre esigenze impreviste, eccezionali e temporanee.

La sostituzione può avvenire solo per un periodo di tempo limitato. Se l’attribuzione alle mansioni superiori dura più del tempo necessario alla sostituzione del dipendente assente o alle esigenze eccezionali il dipendente ha diritto all’automatica promozione ed quindi a un inquadramento superiore.

Per l’assegnazione a mansioni non è necessario un formale ordine di servizio ben potendo essere disposta anche con semplici comportamenti concludenti.

Durante lo svolgimento delle mansioni superiori il lavoratore ha diritto a ottenere la busta paga corrispondente al nuovo inquadramento (e quindi gli spetta un aumento).

Demansionamento

Il cambio di mansioni verso un livello contrattuale inferiore (cosiddetto demansionamento) è concesso solo eccezionalmente se ricorre uno dei seguenti casi:

modifica degli assetti organizzativi aziendali, tale da incidere sulla posizione del lavoratore stesso; e/o

se previste dai contratti collettivi.

In ogni caso il dipendente conserva la stessa retribuzione precedente salvo per le specifiche indennità (si pensi all’indennità di cassa per il cassiere).

Secondo la Cassazione non c’è demansionamento se le mansioni inferiori cui viene adibito il dipendente sono marginali ed accessorie rispetto a quelle di competenza, purché non rientranti nella competenza specifica di altri lavoratori di professionalità meno elevata e sempre a condizione che l’attività prevalente e assorbente del lavoratore rientri tra quelle previste dalla categoria di appartenenza

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[3].

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