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Il Faro. Questo è quello che è successo.

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Academic year: 2022

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Il Faro

Non so se ve l’ho mai raccontato, ma ho passato diverso tempo in Australia, quando ero più giovane. 

Terra lontana, dove, a parte qualche città’ sulla costa, la natura e il selvaggio ancora regnano incontrastati. 

Se si cerca nei posti giusti, si può entrare veramente in contatto con qualcosa di particolare, mistico se vogliamo. MAGICO.

Sono stati anni bellissimi ricchi di esperienze, ed e’ una in particolare di cui vi voglio raccontare. 

Non vi aspettate, vi dico subito, episodi pazzeschi o che so, esplosioni nucleari o personaggi famosi o eventi epocali che succedono una volta su mille … nonono niente di tutto questo.

Però è stato comunque un momento, che in qualche inspiegabilissimo modo, mi ha cambiato per sempre, e per questo mi ritrovo a parlarvi oggi, che seppur a distanza di molti anni, quei momenti rimangono ancora vivissimi nella mia memoria. Indelebili.

Della notte che ho passato a Palm Beach, in cima a dove si trova il Barrenjoey Lighthouse, il Faro.

Era estate, un’estate australiana. E ci sono andato con un mio caro amico, Guido. Aveva la mia età, più o meno. Da tutti veniva chiamato Il Dottore, o Doc. Non so in realtà perché. Non era un dottore. Faceva qualcos’altro nella vita, ma ora sinceramente non mi ricordo cosa, ecco.

Questo è quello che è successo.

Ps ( perdonatemi se la memoria mi inganna, ho cercato di rendere il racconto più fedele possibile alla realtà. Qualora non fosse possibile, ho aggiunto dei particolari fittizi per rendere la storia più scorrevole e sensata. Spero vi piaccia ) 

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Sabato 10 febbraio

Sono le 733pm. Ancora un paio d’ore.

Vado in cucina, mi preparo qualcosa da mangiare. È una di quelle cucine

piccole. Piccolissime; se mi metto in terra sdraiato riesco a toccare il frigo, a una sua estremità, e la finestra, all'estremità opposta.

Funzionale potremmo chiamarla. 

Devo essere dal dottore alle 9 in punto. In punto perché’ lui è sempre puntualissimo, spacca il secondo. 

E mi sento a disagio farlo aspettare, come se destrutturassi tutta la sua rigorosissima routine, quindi mi organizzo sempre per essere efficiente e affidabile quanto lui. Quando ci ho a che fare almeno.

Lo zaino e’ già pronto: noci e mandorle, acqua nella mia borraccia di acciaio inossidabile, una torcia da mettere sulla fronte, quelle con l’elastico, una felpa, poi addosso ho il costume una maglietta e infradito.

Arrivo da Doc e lo trovo ad aspettarmi seduto sul muretto di mattoni rossi davanti casa sua. Mi guarda e sorride. E’ vestito sportivo con le scarpe bianche da ginnastica immacolate, T-shirt nera e shorts grigi. Mi sorride. Ci diamo un abbraccio forte.

Doc: Sono felice di vederti. Sarà una bellissima nottata.  

Guidiamo nella notte calda australiana. Per arrivare al bus che ci porterà a destinazione; tagliamo in linea retta tutta la città. Il vento entra nel casco e tra le maniche della T-shirt e nelle fessure degli shorts, mi rinfresca dovunque. 

Saliamo sul L90. In fondo al bus ci sono un paio di ragazzi che guardano i loro cellulari, una signora che sonnecchia stanca dopo forse una giornata intera di fatica e un padre con la figlioletta che mi guarda attenta. Ci sediamo mentre partiamo in direzione nord. Attraversiamo il Harbor Bridge e sulla destra l’ Opera House con le sue vele bianche che risplendono alla luce dei lampioni. Più che saliamo verso nord più che la città e la sua periferia rimangono alle nostre spalle, più che mi sento leggero. Le strade trafficate e i semafori e i McDonalds e i locali rumorosi lasciano spazio a strade lunghe che costeggiano spiagge deserte e quartieri residenziali e surf shops chiusi e piccoli cafes che alla

mattina servono succhi di frutta energetici e frullati organici. A un certo punto la strada scende vorticosamente con tratti tortuosi e ci ritroviamo su una striscia di terra lambita ad entrambi i lati dall’acqua della baia, una striscia di terra

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sulla quale hanno costruito un porticciolo dove fanno anche corsi di Kayak e SUP e tutte le barchette ormeggiate sulle acque piatte dell’ insenatura. Mi giro e guardo il Doc accanto a me che osserva a sua volta il paesaggio notturno, mi chiedo se abbia notato quelle splendide ville illuminate che si affacciano sulla baia, appena visibili al buio. Una in particolare mi colpisce particolarmente, con colonne e scalinate bianco latte e due belle palme a mo di guardiani e una piscina a spiovente con candele enormi tutto intorno al suo perimetro che ne illuminano l’acqua azzurro artificiale. Mi sembra di vedere delle persone che ci si tuffano dentro. Chissà come sarebbe avere una piscina così. Una casa così. 

Il bus procede la sua corsa ormai completamente immerso nella buia strada che ci porta su, al confine tra terra e oceano. Arriviamo che sono poco dopo

mezzanotte. Siamo gli ultimi rimasti. L’autista ferma al capolinea e spegne il motore. Scendo seguendo il Doc e mi sento dire: “Questo e’ l’ultimo fino a domattina”.

Mi giro, e guarda l’uomo. Seduto al volante, porta un turbante in testa e la barba lunga, occhialini tondi appoggiati sul nasone. “Lo so” rispondo.

Palm Beach non sono in realtà più di una decina di case e qualche cafes sulla spiaggia che corre lungo fino in fondo al promontorio, dove siamo diretti. 

Il Doc lo trovo già in spiaggia, senza scarpe, che osserva il cielo coperto da una coltre di nuvole fitte. 

Io: Dobbiamo arrivare laggiù in fondo, e poi salire un sentiero fino al Faro.

Peccato per questo tempo però, con questo cielo coperto non si vede niente, e sembra pure che inizia a piovere. Cazzo

Doc: Non ti preoccupare, si aprirà..

Camminiamo sulla battigia, osservo l’acqua che avanza e si ritira, la sabbia che si asciuga e poi si ribagna, e ogni volta disegna dei motivi diversi, ogni singola volta. Come dei Mandala. 

Il promontorio si fa sempre più vicino. Il sentiero si sposta poi all’interno, lontano dalla spiaggia, e si fa tutto più silenzioso. Inizia a piovere. Mi metto la felpa mentre la strada si inerpica in alto, con dei gradoni che sembrano scavati nella roccia. Siamo scalzi e non vedo assolutamente dove poggio i piedi, ma mi piace il contatto con il terreno, sentire i sassolini sotto il piede costretto ad adattarsi, e con delle pozze di fango, morbide e calde. Non smette di piovere e penso di fermarmi per ripararmi sotto qualche pianta a forma di ombrello ma

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il Doc, lassù più in alto, procede col suo passo sicuro nella notte e non voglio interrompere la sua ascesa. Lo seguo come un discepolo segue il suo maestro.

Adesso, che siamo sul costone del monte, si sentono le onde giù in fondo

sbattere sulle pareti rocciose e il vento che fa frusciare le foglie degli alberi e poi qualche grillo che canta nella notte. È un’atmosfera surreale.

Arriviamo in cima e ci fermiamo ad osservare il Faro, che sovrasta il

promontorio e getta il suo fascio di luce laggiù, in fondo, lontano, nel buio più totale. È tutto silenzioso intorno. A parte il vento che batte incessante sul lato esposto a Nord.

Oltrepassiamo un muretto e ci mettiamo seduti su due massi enormi e piatti, che guardano l’apertura dello stretto in mare aperto.

Tutto ad un tratto, come se qualcuno avesse premuto un interruttore, le nubi svaniscono e il vento cessa completamente di tirare ed escono fuori tutte le stelle, che fino a quel momento erano nascoste.

Vedo il Doc sorridere.

107am 

Finiamo la sessione di meditazione sul Primo Chakra, Muladhara, quello che ti radica alla terra e ne assorbe le energie. Mi sono fatto guidare dal Dottore, seduto leggermente davanti a me, che respira profondamente alternando da una narice e poi dall’altra, una pratica che non conosco e che poi mi dirà si chiama Nadi Shodana, che purifica i canali interiori e bilancia la nostra parte maschile con quella femminile.

Il vento e cessato totalmente di soffiare e il cielo si e pulito. Solo qualche nuvola che passa e oscura la luna ma in linea di massima c’è il cielo pulito. Un grillo notturno rumoreggia dietro di noi. Durante la meditazione sono passate davanti due luci,  sulla nostra stessa linea d’occhi. La cosa strana è che queste sono potenzialmente due entità diverse ma hanno la stessa intensità luminosa, ma hanno mantenuto la stessa distanza e hanno entrambe la stessa direzione di avanzamento, pieno east e la stessa velocità.

All'orizzonte c'è una mega nave da crociera, che tiene la stessa posizione da più di un'oretta, non si capisce se sono fermi o il capitano si e preso un momento di relax. O magari una piattaforma di qualche tipo. Il Doc si rolla una sigaretta e osserva la sua stella, Virgo. Alle nostre spalle un enorme cespuglio e il

Lighthouse che continua ad illuminare la baia.

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144am 

Io: È tutto molto silenzioso, non c’e vento. Solo qualche animaletto che fa qualche rumorino nella notte. Penso spesso al fatto che noi, come esseri umani, più o meno il 90 % del nostro potenziale non lo utilizziamo mai. E mi chiedo spesso se lo utilizzassimo tutto, come sarebbe diversa la nostra vita. Quanto potremmo spingerci più in avanti. Oltre.

Doc: Quante cose potresti capire. Di tutto questo che ci sta qua sopra.

Io: E a volte io mi incastro nel discorso di, come si fa ad esprimere tutto QUESTO con un limite di 21 o 26 lettere a seconda dell alfabeto che si utilizza, con una limitatissima disponibilità di parole. E se ci pensi cosa e’ una lettera, se non delle linee che hanno una forma. Limitata. Come si fa a esprimere qualcosa..

Doc: E una democrazia. E’ stata creata per farci fare una vita più semplice. Per rendere più semplice la vita dei popoli civilizzati. Sicuramente però c'è un altro tipo di linguaggio..

Io: Cioè, per esempio, quante cose di quelle che stiamo provando adesso dobbiamo in qualche maniera canalizzarle attraverso un linguaggio che debba essere comprensibile. Però quanto viene invece lasciato fuori. Perché non possono essere espresse..

Doc: Pensa a quello che ti sta circondando adesso. Vedere le nuvole che si muovono. Il rumore del vento. Questo e’ un linguaggio..

Io: Se ci pensi, applicare la ragione a tutto ciò, a cosa ti serve? Un Aborigeno, che non aveva le nostre disponibilità tecnologiche, le nozioni che abbiamo in campo scientifico.. queste cose le capiva

Doc: Stiamo parlando di MISSIONE. Stiamo parlando di missione di te come uomo, di te come persona che e’ nata e cresciuta su questa terra e della connessione che riesce ad avere con essa. E della missione che tu HAI qui, che va al di là di tutto questo.

Un aborigeno magari viveva molto meno.. Però anche questo, il concetto di vivere meno o di più, e un concetto molto materiale che noi facciamo del nostro corpo.

Penso che se siamo qui e perché dobbiamo capire. Dobbiamo capire una lezione. Per cui si, a noi e stata data la ragione per questo. DOBBIAMO CAPIRE. Ci dobbiamo elevare

149am

( Un uccellino cinguetta solitario nella notte, e in lontananza si sentono le onde sbattere giù, giù in fondo alla scogliera rocciosa )

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Io: Voglio fermare una cosa che mi passa per la testa prima che svanisca.

Io mi rendo conto in queste situazioni della mia limitatezza come essere umano, perché mi trovo sempre a cercare di dare una spiegazione razionale a quello che sta accadendo, mentre in realtà mi viene da pensare ad un animale, per esempio un Gabbiano. Guarda la stessa cosa che guardo io adesso. Tutte quelle domande li lui non se le fa.

Doc: Lui ne fa solo parte.

219am

( Il cielo si è ricoperto di nuovo, tappato dalle nuvole scure )

Mi allontano per fare pipì e scavalco la formazione rocciosa su cui siamo appollaiati e passo attraverso i cespugli appuntiti che fanno da barriera tra la nostra postazione e il muretto che delimita il Lighthouse. 

Trovo uno spiazzettino che sembra fare al caso mio e allora svuoto la vescica.

Solo allora vedo alle mie spalle una lapide. C'è una tomba. Non vedo la photo o nessuna scritta, ma riconosco il contorno inconfondibile di una croce. Mi vengono dei brividi addosso, non riesco a spiegare perché. Chiudo il costume e torno veloce dal Doc.

Lo trovo in posizione del loto che sgranocchia nuts senza sale e osserva il cielo plumbeo. Perfettamente inserito nel contesto in cui si trova. Pacifico e sereno.

Io: La luna è scomparsa totalmente, una serie di nubi scure ci stanno sovrastando, però sono basse non alte, quindi vuol dire che sono passeggere.

Doc: Vuol dire che piove.

Io: Davvero?

Doc: Forse. Bellissimo comunque vedere come si affusolano in lontananza.

Io: Abbiamo avuto modo di constatare comunque che questo discorso del vento che sale e poi scende, delle nuvole che passano e a un certo punto il cielo e’ coperto e il momento dopo e’

completamente limpido, e anche noi stessi che passiamo da un momento in cui abbiamo fame a un momento che non mangiamo, a un momento che abbiamo sete e  un momento che non beviamo.. Quindi tutta questa e’ una sorta di flusso che..

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Doc: Di Transizione. Trasformazione.

Io: Si. Hai notato anche gli animaletti intorno a noi. Si fermano. Poi ripartono. Quindi anche loro hanno una sorta di..

Doc: Ciclicità.

Io: Si. Seguono un certo ordine che sembra Caos.. ma non lo è.

Ho notato anche che il Lighthouse alle volte ha delle pause lunghissime, e a volte invece continua l’ intermittenza senza sosta. Sono io che ho una relazione sballata con il tempo, oppure ha un ritmo incostante, Mi segui?

Doc: Ti sto seguendo. Io penso che abbiano un ritmo, sta solo nel prenderlo..

---

Io: Non ti sembriamo interessanti noi esseri umani? Siamo sia esploratori sia conservatori.

Doc: Siamo esploratori ma nel nostro esplorare abbiamo bisogno dei nostri punti fermi. E’ la cosa che andiamo a ricercare subito. Il campo base. Che ci riporta a terra con la quotidianità Io: L’altro giorno ho visto un video. Questa tipa diceva che per come siamo fatti, a livello neurologico, noi esseri umani, il fatto di prendere un rischio e’ un attentato al nostro istinto di sopravvivenza, il cui scopo e’ appunto di mantenere la vita, di conservarla. Ogni volta che prendiamo una decisione che ci mette al di fuori della nostra comfort zone, e’ potenzialmente una minaccia alla nostra vita stessa. Ma e’ anche il succo dell’evoluzione.

E quindi la storia dell'umanità e’ stata sempre una lotta tra il mantenere lo status quo ed il combatterlo

Doc: Il conflitto interiore che alberga in ognuno di noi. Ogni giorno. Raggiungiamo gli obiettivi prefissi e ci accorgiamo che non e’ tutto li, che ci deve essere altro

Io: Fa parte del nostro DNA questo istinto di conservazione piuttosto che avventurarsi verso terreni sconosciuti per cercare opportunità..

Doc: Per cercare di capire. Prendere coscienza. Di cosa ci stai a fare qua. Poi ti illudono con l’idea che devi fare soldi, beni materiali, accumulo. Ma tu non sei quello. Non e’ questo il gioco. E’ il gioco dettato da loro. Non e’ il gioco dettato da me. E’ un processo lungo..

Pensiamo a cambiare noi, a cercare qualcos’altro che sia diverso dal nostro lavoro, da quello che FACCIAMO.

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Io: Mi rendo conto che sono sempre alla ricerca di risposte. E se le trovo, queste producono altre domande e così via..

Doc: Tu sei parte di questo. Non devi avere una risposta 258am

Mi sono soffermato sulla mia mano, in certi momenti mi sembra un animale dotato di vita propria, in altri mi sembra una pianta. Come se la vedessi per la prima volta, tutti questi movimenti strani che fanno le dita, non li ho mai guardati veramente. Il pollice opponibile, e cosa questo ha portato a livello evolutivo a noi rispetto ad altri animali. Bevo un po d’acqua.

Osservo l’orizzonte e mi sembra così instabile. Non lineare. Come se poggiasse su delle molle. O se la mano di qualcuno lo scuotesse come si fa con una penna che sta finendo l’inchiostro.

Mi chiedo se la realtà come la vedo adesso, a notte fonda e senza luce, sia effettivamente come siano veramente le cose.

E’ strana, la notte. Paradossalmente, vedendo di meno si vede DI PIÙ. Perché non si guarda più con gli occhi, ma si utilizzano gli altri sensi e si riesce a captare tante piccole cose che di giorno ci passano inosservate. E si lavora con l’istinto, con il sentire interiore. Cosicché tutto assume delle caratteristiche diverse, non vedendo contorni ci si inventano, si immaginano, si fa galoppare la fantasia. Senza limiti

328am

Il vento ha cessato. Il mare si è placato. Nessun uccellino o grillo o fruscio intorno. Silenzio totale

Doc: ( sdraiato ad osservare le stelle ) Stasi. Momento di stasi. Niente si muove.

341am

Doc: ( A occhi chiusi ) Quello che succede fuori, succede dentro. Lo stato d’animo interiore riflette lo stato meteorologico. Siamo uguali al cielo che si copre, si annuvola, scurisce. I temporali, i fulmini, e le stelle che brillano e schiariscono la notte. Questo dinamismo esiste tanto fuori quanto dentro di noi. Siamo sempre connessi

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440am

Cielo coperto. Ma probabilmente si aprirà di nuovo. Vento soffieggia.

All'orizzonte la stessa piattaforma, o nave che non si muove, o un’allucinazione li messa in mezzo al mare.

Li sotto, in mare, uno scoglio che affiora e scompare a seconda delle onde che arrivano e ricorda il dorso di una balenottera, che magari sta messa li a

dormire.

Anche gli insetti subiscono questa ciclicità di umore, di apparente Caos, rumoreggiano a oltranza e poi tutto ad un tratto si zittiscono.

Il Faro, nel frattempo, continua imperterrito il suo lavoro. Credo che a breve vedremo le prime flotte di pescatori che si avventurano per la pesca del giorno, prima dell’alba.

504am

Che cos’e’ quella cosa davanti ai miei occhi, quella cosa luminosa?

Piattaforma petrolifera. Piattaforma che studia il fondale ( masse tettoniche e spostamenti sottosuolo ). Piattaforma che ha scoperto civilizzazione che abita sott’acqua e la sta studiando ( di notte ), e si invisibilizzano di giorno con di mega specchi/scudi per ripararsi da occhi indiscreti. Astronave che sta

cercando di ripartire prima dell alba. La testa di un robot le cui gambe stanno penzolando sott’acqua e non sa se immergersi o ripartire per altri paesi. Nave militare americana. Illusione.

508am

Guardo questa distesa di acqua davanti a me, che divide questa insenatura dall’altra porzione di terra, che dista forse ⅔ km in linea d’aria, mi viene da pensare a un animale che tutto ad un tratto possa emergere dagli abissi. Una sorta di mostro di Lochness, che tira fuori il suo collo lunghissimo e si avvicina con i suoi occhi curiosi verso di noi che siamo seduti in cima al promontorio.

O un alieno che esce dall’acqua, e si dirige verso di noi puntando un fascio di luce bianca, senza dire niente o fare alcun rumore. E ci fa in qualche modo capire che vuole che lo seguiamo. Dovunque sia diretto. Lo seguirei. Si

aprirebbe un bivio incredibile, tra il rimanere qui su questo pianeta, nel mondo

“conosciuto” e invece buttarsi e andare ad esplorare un altro mondo. Un’altra galassia, con altre regole fisiche e modi di vivere. Oppure una mandria di

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delfini fosforescenti che saltano fuori dall’acqua, che brillano al buio. O una balena fluorescente. Enorme. Che esce fuori nell’oceano aperto. Palla luminosa che si perde nel vasto orizzonte del Pacifico.

511am

Un aborigeno che stava qua, esattamente dove mi trovo io in questo preciso istante, che cosa avrà provato? Cosa sarà passato davanti ai suoi occhi? Avrà visto tutte le condizioni metereologiche dal vento potente agli acquazzoni pesanti le tempeste e poi ancora squali e flotte di balene e stormi di delfini e chissà cos’altro ancora. Lui osservava. E semplicemente ci stava. In armonia con tutto questo. Poi però un giorno vede all’orizzonte delle navi che si

avvicinano. E da lì la sua vita, e quella di tutti i suoi fratelli non sono più state le stesse.

541am

Assistiamo a questo passaggio tra notte e giorno e all’orizzonte i primi colori rosa che si stagliano sopra le nuvole. 

Doc: ( in posizione del loto, il volto rivolto verso la fonte di luce ad assorbire tutto ) Momento di forte cambiamento. Il giorno sta arrivando. Alla fine e’ tutto qui. C'è sempre stato, e sempre ci sarà.

La nostra amica stella e’ ancora sopra le nostre teste, a brillare. Due

pescherecci, con traiettorie diverse, escono dall'insenatura e si dirigono in mare aperto. Nel frattempo i colori si stanno sempre più espandendosi sulla tela infinita del cielo. Una scelta tra rosa pastello, un po di arancione, infinite tonalità di blu e un po di verde.

608am

Il Faro continua il suo ciclico ondeggiare anche se la luce del sole ha ormai abbracciato tutto, e questo tutto ha ripreso le forme definite che conosciamo.

La rocce rossastre brillano ai raggi del sole.

Penso ai pescatori, oramai in alto mare, alle loro reti calate in profondità, alle acque dorate che li circondano.

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Nel frattempo piccoli gruppetti di ragazzi, imbacuccati nei loro cappucci

felpati, arrivano alle nostre spalle a godere di questo spettacolo che fino a pochi minuti prima e per tutta la notte, aveva noi e noi soli come unici spettatori

Il sole oramai e’ giunto alto nel cielo, e l’aria si e’ riscaldata. Altri rumori e cinguettii hanno preso il posto agli insettini e uccellini che sentivamo la notte.

Un'alternanza consolidata fin dalla notte dei tempi.

Riscendiamo il sentiero, adesso ben visibile, fino alla spiaggia, alla sabbia

morbida. Un gruppo di surfisti entra in acqua per la prima sessione del giorno, molti sono anziani, probabilmente locals abitudinari.

Il Doc si rimette in posizione del loto, e questa volta si mette a meditare sul Secondo Chakra, Svadhishthana, associato alla sensibilità’, creatività’, alle emozioni. Lo osservo, così composto, immobile, i palmi rivolti al sole, in fase

“rigenerante”. Vorrei unirmi ma sono stanco, sento gli occhi che si chiudono, mi sdraio sulla sabbia. 

Riapro gli occhi, non so quanto ho dormito, il Doc e’ ancora accanto a me. Il vento gli sposta la canotta, una mosca si posa sul suo sopracciglio ma lui e’

impassibile, come se fosse milioni di km distante. In un altra galassia.

Guardo verso il mare, si sono alzate le onde. 

Ad un tratto un gruppo di delfini si avvicinano ai surfisti, li sfidano nel gioco con il mare. Li vedo sprintare velocissimi per prendere un onda, entrarci dentro e farsi avviluppare nel tubo, scorgo la sagoma attraverso la trasparenza dell elemento. E così di nuovo con le onde che arrivano, non c'è gara. Sono dei surfisti provetti. Affusolati e lisci, sembrano quasi diventare acqua pure loro, in questa poesia dinamica. Continuano così per qualche minuto finché ad un certo punto, come mossi da qualche impegno improvviso, interrompono il gioco, si rimettono in formazione e si spostano lontano dalla spiaggia, sempre più lontano, finché riesco a malapena a scorgere le loro pinne che escono dall’acqua. Sempre più lontano, lontano, laggiù dove l’oceano e l’orizzonte diventano la stessa cosa.

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