CAPITOLO 1:
L’INSOLVENZA
1.1. PREMESSA
Il concetto di insolvenza può essere osservato secondo tre aspetti: insolvenza economica, finanziaria e giuridica.
Secondo un approccio economico, l’impresa è insolvente se è incapace di generare un eccedente monetario sufficiente a garantire in modo duraturo la copertura finanziaria del ciclo d’investimento.
Insolvente in un’ottica finanziaria, invece, è l’impresa nella quale vengono meno le condizioni di liquidità e di credito necessarie per adempiere alle obbligazioni contratte. Un ultimo approccio considera l’insolvenza giuridica. Il fallimento rappresenta lo strumento con il quale il legislatore organizza le conseguenze di uno stato di crisi irreversibile allo scopo di garantire i diritti dei terzi.
I diversi approcci altro non definiscono che fasi distinte di un unico processo di progressivo deterioramento delle condizioni di equilibrio dell’impresa: l’insolvenza economica, sottolineando l’assenza di redditività ed efficienza del ciclo produttivo- commerciale, evidenzia l’incapacità dell’impresa ad assumere la gestione del rapporto tecnologia- prodotto- mercato; l’insolvenza finanziaria privilegia i problemi di tesoreria e il rischio di inesigibilità, mentre la dichiarazione di fallimento, fase ultima del processo, è semplicemente la constatazione giuridica dell’insolvenza finanziaria.1
1.2. TIPOLOGIA DELLE CAUSE DELL’INSOLVENZA
Le cause dell’insolvenza economica e finanziaria possono essere classificate in:
- Cause remote e cause prossime, in base al rapporto temporale esistente tra cause e manifestazione dell’insolvenza;
- Cause interne ed esterne, in base al grado di “necessità” o “prevedibilità” delle diverse cause.
1
Claudia Rossi: Indicatori di Bilancio. Modelli di classificazione e previsione delle insolvenze aziendali. Giuffrè 1988
1.2.1. CAUSE REMOTE E CAUSE PROSSIME
Le imprese non giungono all’insolvenza all’improvviso; il processo di deterioramento delle condizioni di equilibrio dei sistemi aziendali dura anni e si manifesta molto prima che si palesi l’insolvenza finanziaria.
Le cause remote sono rappresentate da difetti o limiti strutturali del sistema aziendale che possono apparire in un determinato momento della vita dell’impresa o essere presenti fin dalla sua costituzione. Le principali inefficienze strutturali vengono individuate nel management, nel sistema informativo e nell’incapacità dell’impresa di cogliere le variazioni dell’ambiente esterno.
Per quanto concerne il management si sottolinea il problema di una direzione rigida. La rigidità del gruppo dirigente di fronte ai vincoli posti dall’ambiente esterno limita la capacità dell’impresa di avvertire i mutamenti in corso, di reperire i dati pertinenti e di elaborarli in maniera adeguata. Chiari sintomi di rigidità sono: uno stile di direzione autocratico, quindi, un direttore generale che domina i collaboratori più stretti e non ne ascolta i pareri, il cumulo di funzioni di presidenza e di alta direzione in una sola persona, la scarsa partecipazione dei diversi membri della direzione alle decisioni strategiche. Un’impresa retta da un autocrate non necessariamente fallirà, ma la probabilità di un dissesto sarà più alta che in imprese gestite secondo stili più partecipativi.
Sempre con riferimento al management, altri potenziali fattori di crisi sono rappresentati da una direzione nella quale le competenze sono limitate a certe discipline o da livelli di professionalità insufficienti in rapporto alla complessità delle situazioni da gestire. Un rilevante limite strutturale di molte imprese è rappresentato dal sistema informativo. Quest’ultimo, se le informazioni prodotte dallo stesso non vengono utilizzate correttamente, non consente al management di individuare tempestivamente il declino della competitività, della redditività e degli equilibri finanziari delle singole aree d’affari e dell’azienda nel suo complesso. Le inefficienze più ricorrenti sono individuabili nel controllo budgetario, nella contabilità dei costi e nella pianificazione dei flussi di cassa.
Tra i limiti del sistema aziendale che possono portare l’impresa al dissesto, il più rilevante è l’incapacità di avvertire quindi di reagire ai cambiamenti dell’ambiente esterno. Questo limite non può essere classificato come causa d’insolvenza, ma come
conseguenza di inefficienze presenti ai vari livelli del sistema, in particolare, nell’assetto manageriale- informativo.
1.2.2. CAUSE ESTERNE E CAUSE INTERNE
L’ambiente in cui opera l’impresa è caratterizzato da un crescente dinamismo e da un’elevata turbolenza. Sono in grado di innescare meccanismi di insolvenza: le variazioni qualitative, economiche e spaziali delle principali condizioni produttive (tecnologie, lavoro, materie prime ed energia) e l’instabilità dei cambi valutari e dei tassi finanziari.
L’elevato tasso di innovazione tecnologica che ha rivoluzionato e continuamente modifica i processi produttivi, distributivi e amministrativi di molti settori, con rilevanti conseguenze anche sul sistema socio- culturale, pone le aziende meno innovative fuori mercato. Il costo unitario del lavoro, delle materie prime e dell’energia si differenzia nelle diverse aree geografiche, annullando i vantaggi competitivi dei paesi a più alto tenore di vita e con minori risorse naturali.
Sugli improvvisi mutamenti del mercato mondiale influisce anche il sistema dei cambi variabili. L’instabilità dei cambi valutari, agendo direttamente sul prezzo dei beni, rende con alternanza competitivi o fuori mercato i prodotti destinati all’esportazione.
Alle cause esterne di insolvenza, connesse ai cambiamenti dell’ambiente si aggiungono quelle interne, tipicamente scelte sbagliate del gruppo dirigente.
Tre tipi di errore si rivelano fatali per le imprese: uno sviluppo rapido ed eccessivo del fatturato, il perseguimento di un progetto ambizioso, non proporzionato alle risorse aziendali, e l’elevato indebitamento. Le imprese tendono ad espandere le vendite più velocemente dei capitali che possono investire nelle attività aziendali. Se all’aumentare del fabbisogno di capitale circolante, salgono i prestiti bancari e con essi gli interessi passivi, ma non crescono allo stesso tasso la liquidità, il capitale proprio e il profitto, prima o poi per l’impresa si verificherà la condizione di non poter pagare gli oneri finanziari, né di rimborsare alle scadenze concordate i finanziamenti ricevuti. Una seconda scelta gestionale errata consiste nel lanciare un progetto di dimensioni tali che le risorse aziendali risultino insufficienti a coprire il fabbisogno connesso ad un suo eventuale fallimento. La terza ipotesi riguarda l’eccesso di indebitamento. Spesso le imprese si avvalgono di una ristretta rosa di finanziatori, di un’elevata proporzione di mezzi di terzi soprattutto finanziamenti a breve termine. In questo modo si raggiunge il
livello massimo di indebitamento bancario e non sarà possibile chiedere ulteriori finanziamenti per far fronte a eventuali imprevisti, determinando così l’insolvenza finanziaria.
Naturalmente cause esterne ed interne d’insolvenza possono agire sull’impresa contemporaneamente o essere le une causa delle altre. Da un lato la frequenza e l’intensità dei mutamenti ambientali può esaltare e ampliare gli effetti di errori manageriali, dall’altro proprio la mancata conoscenza delle variabili ambientali può portare il management a compiere scelte sbagliate.
Si deduce che le crisi aziendali sono una componente permanente del sistema industriale. Possono entrare in crisi sia interi settori, o parte di essi, come conseguenza del mutamento generale delle condizioni operative e degli equilibri preesistenti (si parla, in questo caso, di crisi diffuse); sia singole aziende, in relazione a specifiche debolezze, generate dai turbamenti e dalle variabilità ambientali o rese comunque molto più frequenti da tali fenomeni (si parla di crisi particolari)2.
La conseguenza è il mantenimento in vita delle aziende più efficienti o più innovative, o che meglio hanno saputo proteggersi dai rischi. Si tratta di un processo naturale di selezione il cui risultato finale è il miglioramento dei livelli medi di efficienza e la stimolazione delle innovazioni.
Le aziende più avvedute, oltre che dotate di mezzi, ricorrono in via preventiva a provvedimenti correttivi (sui prodotti, sui processi produttivi, sul marketing, sull’organizzazione, ecc.). Esse prevengono la crisi, ne eliminano le premesse al manifestarsi dei sintomi, prima che i fattori di crisi possano generare squilibri ed insufficienze e prima soprattutto che venga a manifestarsi il tipico sintomo rivelatore della crisi, le perdite.
Altre volte l’intervento avviene quando la crisi è già in atto, ma prima che abbia prodotto le sue conseguenze più gravi (insolvenza, dissesto). Il problema consiste nel ripristinare le condizioni di equilibrio economico finanziario, più o meno gravemente compromesse. Lo strumento che illustra le azioni di ripristino è il piano: esso è la descrizione della situazione esistente, degli interventi previsti, dei mezzi per realizzarli, delle conseguenze attese in termini di recupero degli equilibri. A seconda delle modalità e dell’intensità d’intervento, il piano può essere: di risanamento, di ristrutturazione, di riconversione, ecc.
2
Spesso però non sono sufficienti programmi di intervento a livello di singola azienda, ma, per avere successo, è necessario coinvolgere più aziende di un dato settore o addirittura, nelle crisi diffuse, tutti i produttori di quel settore. Nascono allora i Piani settoriali, realizzati da una pluralità di aziende disponibili a limitare la propria libertà d’azione per raggiungere obiettivi di comune interesse. Le limitazioni attengono spesso alle capacità produttive, alle produzioni, alla lotta di prezzi, agli eccessivi costi di promozione e vendita, all’introduzione di nuovi prodotti. Per contro, alcuni servizi possono essere gestiti in comune da più aziende (ricerca, reti di vendita, centri di calcolo…). Non è raro che le Pubbliche Autorità, quando il riordino di un settore diviene fenomeno d’interesse generale, agevolino la formazione e l’applicazione dei piani, sia con interventi d’appoggio nella conduzione degli studi e della programmazione, sia con incentivi di varia natura.
1.3. I QUATTRO STADI DELLE CRISI AZIENDALI
La crisi è una manifestazione di tipo patologico, che può svilupparsi su più stadi. All’origine delle crisi sono fenomeni di squilibrio e di inefficienza, che possono essere di origine interna od esterna (1° stadio). Se queste condizioni perdurano, si ha come conseguenza la produzione di perdite di varia gravità (2° stadio). Col ripetersi e col crescere d’intensità delle perdite, la crisi entra nel 3° stadio, caratterizzato dall’insolvenza, cioè dall’incapacità di fronteggiare gli impegni assunti, oltre il quale si apre lo stadio finale del dissesto, inteso come incapacità permanente dell’attivo di fronteggiare il passivo.
Squilibri/ Inefficienze
Perdite economiche
Insolvenza
Una crisi affrontata al primo stadio, quando ancora non ha generato perdite economiche, è più facilmente rimediabile, a parità di circostanze. La difficoltà, in questo stadio, è l’individuazione dei sintomi che la caratterizzano. Nella seconda fase, quella delle perdite, si erodono gradualmente le risorse aziendali. Si andranno ad assorbire le riserve di bilancio e di quote di capitale con conseguente erosione della liquidità, appesantimento dei debiti, riduzione delle risorse destinate a funzioni essenziali, impossibilità di distribuire dividendi, ecc. Al di là di un certo limite, la crisi esplode nell’insolvenza, che ne è la manifestazione più clamorosa, poiché genera effetti palesi come l’incapacità di fronteggiare le scadenze, la perdita di fiducia e di credito, lo sfaldamento della struttura organizzativa e la perdita progressiva della clientela. In questa fase ogni intervento riparatore sarà tardivo e le probabilità di successo molto ridotte. In ogni caso si può tentare il salvataggio con interventi profondi che investano innanzitutto la struttura del capitale ed il management. All’insolvenza può seguire il dissesto, che è una condizione permanente di squilibrio patrimoniale, il cui rimedio è impossibile senza interventi dei creditori che acconsentano a tagli delle loro esposizioni. Anche in condizioni di dissesto, sono concepibili interventi intesi al salvataggio e al risanamento di aziende, ma queste operazioni non sono attuabili senza il ricorso a procedure concorsuali, salvo l’unanime disponibilità dei creditori a “cancellare” parte dei loro crediti.
Possiamo distinguere cinque tipi di crisi in funzione delle cause che le provocano: 1. le crisi da inefficienza
2. le crisi da sovracapacità/ rigidità 3. le crisi da decadimento dei prodotti
4. le crisi da carenza di innovazione/ programmazione 5. le crisi da squilibrio finanziario.
Le crisi da inefficienza si hanno quando i rendimenti di uno o più settori dell’attività aziendale non sono in linea con quelli dei concorrenti. L’area nella quale tale situazione si manifesta con più chiara evidenza è quella produttiva. Alcune cause che possono determinare un livello di costi superiore alla media del settore, o comunque superiore rispetto alle migliori aziende concorrenti sono: la disponibilità di strumenti in tutto o in parte obsoleti, l’eccessivo o lo scarso impiego di manodopera, l’utilizzo di tecnologie non aggiornate.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, l’inefficienza tecnologica può essere accertata attraverso due vie:
1. a livello dei costi di prodotto, in cui si confronta il costo industriale con i costi delle principali aziende concorrenti;
2. a livello degli indici di efficienza, in cui il confronto avviene sui dati di rendimento dei fattori produttivi, ad esempio: valore della produzione pro- capite nell’unità di tempo, notizie sulla validità e modernità degli impianti, sul know- how tecnologico, sul grado di sfruttamento della capacità produttiva, sull’abilità e sull’impegno del personale.
Lo stato di inefficienza non riguarda solo l’area produttiva, ma può investire anche altre attività. Consideriamo per prima l’inefficienza commerciale. Essa è determinata dall’esistenza di una sproporzione tra le varie categorie di costi di marketing ed i risultati da questi generati. Ad esempio, se la pubblicità è condotta malamente o in misura insufficiente, i suoi costi generano risultati inadeguati. Analogamente succede se una rete di vendita è inefficiente. Le conseguenze che ne derivano sono di due tipi: l’alta incidenza dei costi di vendita sul fatturato e la limitata dimensione del fatturato. Anche nell’area amministrativa si possono constatare situazioni di inefficienza, ad esempio:
- eccessi di burocratizzazione, cioè procedure amministrative troppo laboriose e complesse, che generano costi sproporzionati rispetto ai risultati;
- gravi carenze del sistema informativo che non consentono di disporre tempestivamente dei dati indispensabili per la conduzione dell’azienda;
- operatività insoddisfacente in uno o in più settori dell’attività amministrativa (ritardi o errori frequenti nella fatturazione, inefficiente gestione dei crediti verso la clientela, inadeguatezza dei controlli sugli acquisti…).
Anche nel campo organizzativo si possono segnalare condizioni di inefficienza come la carenza dei mezzi di programmazione, della pianificazione a medio- lungo termine o carenze nella definizione dei compiti e delle responsabilità…
Nell’ambito dell’attività finanziaria le condizioni di inefficienza si hanno quando i mezzi a disposizione sono più costosi rispetto a quelli della concorrenza. Le due fondamentali cause che possono essere all’origine di tale fenomeno sono: la debolezza contrattuale dell’azienda e l’incapacità degli addetti alla funzione finanziaria.
Le crisi da sovracapacità/ rigidità si originano da una delle seguenti condizioni:
a) duratura riduzione del volume della domanda per l’azienda con conseguente caduta dei ricavi, quindi eccesso di capacità produttiva rispetto alle possibilità di collocamento sul mercato;
b) Duratura riduzione del volume della domanda per l’azienda connessa alla perdita di quote di mercato;
c) Sviluppo dei ricavi inferiore alle attese, a fronte di investimenti fissi precostituiti per maggiori dimensioni;
d) Un caso particolare di crisi di rigidità, non connessa a situazioni di sovra- capacità, si ha per variazioni in aumento dei costi non controbilanciate da corrispondente variazione dei prezzi, soggetti a controlli pubblici. Questo fenomeno è caratteristico dei periodi di inflazione, quando i costi si muovono velocemente al rialzo, mentre l’adattamento dei prezzi avviene con ritardo e a volte parzialmente.
Le crisi da decadimento prodotti traggono origine dalla riduzione dei margini positivi tra prezzi e costi fissi o comuni. L’assenza di utili e la mancata copertura, anche parziale, dei costi fissi o comuni trascina l’azienda nelle fasi preliminari della crisi: manifesta dapprima motivi di squilibrio, successivamente provoca perdite. Gli strumenti operativi che consentono di misurare questo fenomeno, cioè la redditività del prodotto, sono il margine lordo e il margine di contribuzione. Il margine lordo fa riferimento ad un costo di prodotto calcolato escludendo determinate categorie di costi comuni, il margine di contribuzione fa invece riferimento ad una categoria di costo di prodotto calcolata escludendo i costi fissi.
TAVOLA 1: ANDAMENTO NEL TEMPO DEI MARGINI DI PRODOTTO
Costi e prezzi a b c d e f Tempo prezzo Costo per l’azienda “X” Costo diretto medio di settore
Nel primo caso, il grafico consente, confrontando la divergenza tra la curva del prezzo e quella del costo medio di settore, di vedere come la redditività del prodotto considerato oscilli nel tempo, alternando periodi con ampi margini a periodi con margine ristretto. Nel complesso, il margine però tende a mantenersi nel tempo. Se si vuole considerare la condizione dell’azienda “X”, il confronto va fatto tra il prezzo ed il costo medio per tale azienda, nei periodi a-b, c-d, e-f, l’azienda si è trovata di fronte a situazioni di inadeguatezza dei margini, con probabili inefficienze.
Diversa è la situazione illustrata nel secondo caso, che evidenzia margini ancora oscillanti, ma con una chiara tendenza alla riduzione nel tempo. Con riguardo al prodotto considerato, il settore entra in difficoltà al tempo b, mentre le difficoltà per l’azienda “X” cominciano prima, al tempo a.
Abbiamo considerato la dinamica dei margini con riferimento ad un determinato tipo di prodotto. Bisogna però completare il discorso in un duplice senso:
- Considerando complessivamente il “portafoglio prodotti” di una certa azienda; - Analizzando i diversi margini a livello delle varie marche di uno stesso prodotto. In primo luogo prendiamo a riferimento l’azienda mono - prodotto che rappresenta una condizione di rischio elevata poiché non vi sono possibilità di compensare in alcun modo le fluttuazioni dei margini. Nelle aziende pluri - prodotto, la riduzione dei margini di uno o più prodotti può essere almeno parzialmente compensata dal comportamento dei margini di altri prodotti.
I rischi possono essere sensibilmente attenuati operando su prodotti destinati a diversi mercati cioè intesi a soddisfare diversi tipi di bisogni. In tal caso risulta improbabile che fluttuazioni negative dei margini si producano contemporaneamente per la generalità
Costi e prezzi
a b Tempo Inizio perdita Inizio perdita di “X” del settore prezzo Costo per l’azienda “X” Costo diretto medio di settore
dei prodotti. A livello di mono - prodotto il solo modo di attenuare i rischi consiste nella distribuzione su mercati geograficamente distinti.
In secondo luogo le politiche aziendali di differenziazione mirano a distinguere il proprio prodotto da quello dei concorrenti mediante una marca. Le varie marche presentano spesso anche diversi prezzi, e margini diversi, poiché i costi sopportati per la differenziazione non sono necessariamente corrispondenti ai divari di prezzo, sono quindi più pregiate le marche che consentono margini elevati. Tale condizione è strettamente legata al grado di affermazione ottenuto dalla marca, al prestigio di cui ha saputo circondarsi, alla rinomanza di alta qualità che la caratterizza, così in molte occasioni un dato prodotto è rappresentato da marche variamente affermate, con prezzi diversi, e con margini nettamente differenziati. In tali condizioni, le oscillazioni dei margini colpiscono diversamente le varie marche. Se i margini si contraggono all’incirca proporzionalmente, i danni maggiori sono per le aziende a più bassi margini, che facilmente sono spinte nella zona di perdita.
In alcuni casi le crisi aziendali scaturiscono da profonde carenze di alcune funzioni di rilievo, quali la programmazione e l’innovazione. L’incapacità di programmazione va intesa in senso sostanziale, come incapacità di studiare a preventivo i cambiamenti e di adattare le condizioni di svolgimento della gestione ai mutamenti ambientali. Le aziende totalmente incapaci, in questo senso, operano guardando solo all’immediato, avendo cioè come unico obiettivo il conseguimento di risultati a breve termine, ma nel contempo trascurano totalmente la predisposizione delle condizione necessarie per affrontare il futuro. La conseguenza è un progressivo peggioramento della capacità di reddito e quindi della capacità di resistere sul mercato alle inevitabili fasi di generale difficoltà. Carenza di programmazione significa spesso anche incapacità di coinvolgere il management o il personale in generale nello svolgimento della gestione. L’incertezza degli obiettivi e l’indeterminatezza riguardante le vie per il loro raggiungimento provocano reazioni negative: il management ed il personale non si sentono interessati all’azione in corso di svolgimento, alla quale partecipano spesso con scarso impegno e senza speranza di ottenerne vantaggi.
Altro rilevante fattore di crisi è la carenza di innovazione. L’impresa difficilmente riuscirà a produrre risultati positivi nel tempo senza iniezioni di nuove idee che si traducono nell’individuazione di nuovi prodotti, di nuovi mercati, di nuovi modi di produrre, di nuovi modi di presentare e diffondere i prodotti, di accrescere la lealtà dei
clienti e così via. In generale, ciò significa la capacità di studiare opportunità e di ricercare nuove e più valide combinazioni.
Spesso, le crisi aziendali vengono imputate agli squilibri finanziari e agli oneri insostenibili che ne derivano. Il concetto di squilibrio finanziario si riferisce a situazioni caratterizzate dai seguenti eventi:
- Grave carenza di mezzi propri (a titolo di capitale) e corrispondente netta prevalenza di mezzi a titolo di debito;
- Netta prevalenza di debiti a breve termine rispetto alle altre categorie di indebitamento;
- Squilibri tra investimenti duraturi e mezzi finanziari stabilmente disponibili; - Insufficienza o inesistenza di riserve di liquidità;
- Scarsa o nulla capacità dell’azienda a contrattare le condizioni di credito, data la necessità di disporne ad ogni costo;
- Nei casi più gravi: difficoltà a seguire ed affrontare le scadenze e conseguente ritardo di alcune categorie di pagamenti (fornitori, rate di prestito, contributi previdenziali, fino al caso limite delle retribuzioni ai dipendenti).
La successione dei fatti è così rappresentata:
Lo squilibrio finanziario è, senza dubbio, generatore di perdite economiche. Questo dipende dagli elevati oneri finanziari, provocati dal pesante indebitamento e dal suo elevato costo. L’accumulazione delle perdite e l’accentuarsi degli squilibri pone l’azienda nell’impossibilità di reagire. Da un lato sono praticamente precluse le possibilità di ottenere dal mercato mezzi a titolo di capitale e titolo di credito (banche e fornitori si fanno prudenti nel concedere ulteriori affidamenti); dall’altro lato l’autofinanziamento è ridotto al minimo o inesistente. Se le perdite continuano, l’azienda, quasi sicuramente, si troverà in condizioni di insolvenza.
Squilibri finanziari
Perdite economiche (causate da alti oneri finanziari)
Questa successione di eventi porta ad identificare gli squilibri finanziari come causa tipica della crisi. Si tratta spesso solo di apparenza, lo squilibrio finanziario è generato a sua volta da profondi fattori di crisi: inefficienza, rigidità, decadimento dei prodotti, carenze di programmazione e innovazione. La successione dei fatti può, nella maggior parte dei casi, essere descritta con lo schema seguente:
Lo squilibrio finanziario si associa spesso ad un altro tipo di squilibrio, quello patrimoniale. Esso consiste nella scarsità di mezzi vincolati all’azienda a titolo di capitale e di riserve rispetto ad altre componenti della situazione patrimoniale (indebitamento, totale dell’attivo) e della situazione economica (giro d’affari, entità delle perdite effettive e potenziali). La scarsità di mezzi propri espone più intensamente l’azienda al rischio di crisi, a parità di altre condizioni, in quanto essa ha poche risorse da opporre alle perdite che si producono. Da ciò l’ovvia conclusione che le aziende patrimonialmente squilibrate possono passare, nello sviluppo delle loro crisi, dallo stadio delle perdite a quello dell’insolvenza e dissesto.
1.4. FATTORI DI CRISI
Le crisi sono quasi sempre provocate da più cause. Talvolta anche da tutte le cause fin qui elencate. In questo senso è più appropriato parlare anziché dei vari tipi di crisi provocate da cause specifiche, del contemporaneo operare di più fattori di crisi. Si distinguono fattori di prima e di seconda linea, a seconda della loro successione nel tempo. Nella fase iniziale della crisi i fattori tipicamente presenti sono le carenze di programmazione/ innovazione, le inefficienze, il decadimento dei prodotti: questi sono i
Fattori di crisi (inefficienze, rigidità, decadimento ecc.)
Perdite economiche
Squilibri finanziari
Aggravamento delle perdite economiche
fattori di prima linea, che di regola si pongono all’origine dei processi di crisi. Solo in un secondo tempo, ad aggravare la crisi moltiplicandone le conseguenze, entrano in azione gli altri fattori citati: la rigidità e gli squilibri finanziari3. Oltre alla successione temporale, un aspetto significativo è rappresentato dalla possibile individuazione di rapporti tra i vari fattori: rapporti di causa/effetto, o di scambio reciproco di influenza, cioè fattori che interagiscono tra loro.
Alcuni esempi di successione temporale dei fattori di crisi vengono illustrati di seguito.
Uno dei fattori più facilmente quantificabile è il decadimento prodotti. Non è infatti difficile stabilire come la riduzione dei margini, rispetto ad una data situazione di partenza, influenzi negativamente i risultati economici.
Anche le varie inefficienze riferibili a particolari settori dell’attività aziendale possono essere spesso quantificate mediante confronti con situazioni medie o con situazioni di specifiche altre aziende. Le divergenze riscontrate (maggiori volumi impiegati di manodopera, minori rese delle materie prime, perdite di tempo dei macchinari,
3
L. Guatri: Crisi e Risanamento delle imprese. Giuffrè 1986
Carenze di programmazione/ innovazione
Decadimento prodotti Squilibri finanziari Inefficienze Rigidità Decadimento prodotti Rigidità Carenze program./innovazione Inefficienze Squilibri finanziari
eccessivo impiego di personale ecc.), sono di solito esprimibili anche in termini di valore, così da renderne possibile la sintesi.
Il fattore rigidità è oggetto di misurazioni non sempre agevoli . L’idea- base, in proposito, consiste nel confrontare il costo unitario di prodotti in caso di pieno sfruttamento della capacità produttiva con quello relativo allo sfruttamento solo parziale.
I risultati dipendono, per i costi fissi (degli impianti e della struttura), dall’intensità dello sfruttamento, mentre per i costi variabili (in prima linea, i costi della manodopera) incideranno le ipotesi assunte relativamente alle possibilità di intervento riduttivo o di contenimento di tali costi.
Anche gli squilibri finanziari sono misurabili nelle loro conseguenze, almeno in alcuni aspetti. Ad esempio, spesso è significativo stabilire l’eccesso di oneri finanziari (incidenza sul fatturato o sui costi) rispetto alle altre aziende del settore, o ai migliori concorrenti.
Tra i fattori di crisi, la carenza di programmazione/ innovazione, è quello tipicamente non quantificabile.
L’identificazione dei fattori di crisi è necessaria, per pianificare i programmi d’intervento e di risanamento; oppure per stabilire con immediatezza l’inutilità di ogni tentativo, quando il futuro dell’azienda appaia definitivamente compromesso.
1.4. LA PREVENZIONE DELLA CRISI
Nella prima fase delle crisi aziendali si pongono le premesse per gli sviluppi successivi del fenomeno, le sue manifestazioni sono però poco evidenti e difficili da individuare. All’interno dell’azienda, la ricerca e l’individuazione dei sintomi di crisi hanno come scopo quello di ridurre o eliminare tempestivamente i fattori negativi, prima ancora che possano tradursi in perdite di gestione. Lo scopo è quindi la prevenzione delle crisi, con pronti interventi che correggano le manifestazioni e gli errori.
All’esterno, invece, la ricerca e l’individuazione dei sintomi di crisi rispondono all’esigenza, tipica di alcuni soggetti aventi stretta relazione con l’azienda considerata, di conoscere con anticipo il probabile avvento della crisi, per prenderne le distanze a tempo debito. La previsione della crisi è un’esigenza sentita dai creditori (banche, fornitori) e dagli azionisti non coinvolti nella gestione, al fine di poter assumere i
provvedimenti atti a minimizzare le conseguenze negative a loro danno (perdite su credito, svalutazione delle azioni…).
Il riconoscimento dei sintomi di crisi deve considerare sia aspetti oggettivi, cioè fenomeni attinenti alla gestione- organizzazione dell’azienda e al settore a cui essa appartiene, sia aspetti soggettivi, in relazione soprattutto alle capacità e ai comportamenti del management e dei portatori di capitale.
Riguardo agli aspetti oggettivi, si consideri l’elenco dei fattori riportati nella tabella di seguito, essi sono considerati sotto il duplice profilo della riconoscibilità esterna e della possibilità d’intervento. Questi fattori possono essere riconosciuti all’interno dell’azienda ma ciò non toglie che, nella realtà, alcuni di essi non siano percepiti e possano sfuggire al controllo e quindi agli interventi riparatori.
TAVOLA 2: FATTORI DI CRISI: RICONOSCIBILITÀ E POSSIBILITÀ D’INTERVENTO
Riconoscibilità esterna Possibilità d’intervento
Fattori riconoscibili
Appartenenza a settori maturi o decadenti XXX X
Appartenenza in settori in difficoltà per caduta della domanda
XXX X
Perdita di quote di mercato XX XX
Inefficienze produttive X XXX
Inefficienze commerciali XX XXX
Inefficienze amministrative X XXX
Inefficienze organizzative X XXX
Inefficienze finanziarie XX XX
Rigidità dei costi XX XX
Carenze di programmazione X XXX
Scarsi costi di ricerca XX XXX
Scarso rinnovo dei prodotti XX XX
Squilibri finanziari XXX XX
Squilibri patrimoniali XXX XX
Blocco dei prezzi XXX X
Simboli
X = minima (nulla) XX = media XXX = elevata
Il riconoscimento dei sintomi di crisi deve considerare anche aspetti soggettivi. La crisi non può prescindere dalle potenziali incapacità dell’imprenditore o del management4.
4
TAVOLA 3: DIFFERENZA TRA IL PROFILO ECONOMICO- FINANZIARIO, GESTIONALE E ORGANIZZATIVO DELLE AZIENDE DI SUCCESSO E DI QUELLE IN CRISI
Configurazione tipica delle aziende di successo
Configurazione tipica delle aziende in crisi
A) Profilo economico- finanziario
Relazione tra variabilità e redditività degli investimenti
Equilibrata Squilibrata
Relazione tra redditività degli investimenti, costo dei mezzi di terzi e tasso d’indebitamento
Equilibrata Squilibrata
Relazione tra tasso di ritenzione degli utili, aspettative di retribuzione del capitale di rischio, esigenze di autofinanziamento
Equilibrata Squilibrata
Relazione tra tasso di autofinanziamento e tasso di crescita del capitale investito
Equilibrata Squilibrata
B) profilo gestionale
Combinazione prodotti/ mercati/ tecnologie Grado di rischio accettabile, bilancio opportunità/minacce positivo Grado di rischio inaccettabile, bilancio opportunità/minacce negativo
Capacità competitiva in ciascun prodotto/ mercato
Elevata Insufficiente
Aree gestionali coinvolte dalle variabili su cui avviene il confronto competitivo
Bilancio punti forti/ punti deboli positivo
Bilancio punti forti/ punti deboli negativo Gestione finanziaria e di cassa Equilibrata ed efficiente Tesa e inefficiente
C)Profilo organizzativo
Struttura organizzativa, meccanismi operativi, stile di direzione
Coerenti e adeguati alle caratteristiche dell’ambiente e della
gestione
Incoerenti e comunque inadeguati
Personale Adeguato rispetto alle
esigenze gestionali
Inadeguato
Fattori tecnici Adeguati Inadeguati
Fattori sociali ( organizzazione informale) Favoriscono il corretto funzionamento dell’organizzazione formale Ostacolano il corretto funzionamento dell’organizzazione formale
Clima organizzativo Caratterizzato da
chiarezza di ruoli, buona motivazione, accentuato accumulo si esperienza, incentivi all’innovazione Caratterizzato da confusione di ruoli, demotivazione e accesa conflittualità
La previsione della crisi può essere affrontata con vari strumenti che si distinguono per il grado di complessità e di sofisticazione:
a) Metodi fondati sull’intuizione; b) Metodi fondati su indici; c) Metodi fondati su modelli.
I metodi fondati sull’intuizione si basano sulla riconoscibilità esterna dei fattori di crisi. Alcuni esempi, contenuti nella tabella precedente, sono l’appartenenza a settori
decadenti o in difficoltà per momentanee cadute della domanda, la perdita di quote di mercato, alcune inefficienze nel campo produttivo o commerciale, squilibri patrimoniali o finanziari, carenze manageriali e organizzative.
Un sintomo di decisiva importanza è la presentazione di bilanci in perdita. Quando ciò avviene, la crisi è già entrata nel secondo stadio così la sua previsione, divenuta ormai certa, è tardiva. Proprio per questa ragione i metodi più avanzati di previsione si propongono di individuare la probabilità della crisi con largo anticipo temporale rispetto alla sua manifestazione.
I metodi fondati su indici si fondano sul principio di giudicare la rischiosità di un’azienda, quindi la sua propensione o disponibilità ad una crisi futura, osservando le deviazioni di alcuni dei suoi indicatori rispetto alla generalità delle aziende o alla media di un gruppo selezionato di esse.
Quando uno o più indici palesano sensibili scostamenti peggiorativi rispetto alla media del gruppo di riferimento, se ne deduce che l’azienda è soggetta a squilibri.
Un’impostazione più sofisticata della previsione della crisi è offerta dal ricorso a modelli. Un esempio è lo “Zeta- score” di Altman (1968). Il modello si fonda su una relazione lineare, nella quale sono misurate cinque variabili così da formulare un punteggio per ciascuna azienda.
La prima applicazione di Altman, riferita a 33 aziende in difficoltà e 33 aziende sane, dimostrò che tutte le aziende con un punteggio inferiore a 1,8 erano da considerare ad alto rischio di insolvenza, quelle con un punteggio superiore a 3 erano in perfetta salute, il punteggio tra 1,8 e 3 esprimeva una zona grigia, dagli esiti incerti.
1.6. I MODELLI DI INTERVENTO
Il primo modello organico sulle strategie di risanamento (turnaround) è stato proposto da Hofer secondo cui la scelta degli interventi (strategici e/o operativi) dovrà fondarsi dalla posizione del business confrontata con il punto di equilibrio (contingency approach). Secondo Hofer il turnaround strategico comporta un cambiamento della strategia sulla base di tre opzioni: lo spostamento verso un gruppo strategico più ampio, il cambio delle armi competitive e delle competenze chiave per meglio competere nel raggruppamento attuale, lo spostamento verso un raggruppamento strategico meno ampio. Il turnaround operativo prevede le seguenti opzioni: riduzione delle attività per
imprese molto al di sotto del Break- even point (BEP); generazione di ricavi per imprese non distanti dal BEP.
Se l’azienda si presenta debole sia in termini competitivi (current strategc health) che operativi (current operatine health) allora, a meno di disporre di altri business su cui investire, la liquidazione sarebbe l’opzione preferibile, in alternativa occorre un turnaround sia strategico che operativo. Il contributo di Hofer si completa con la prescrizione di utilizzare un turnaround strategico quanto più forte è la health strategica e debole quella operativa; un turnaround operativo nel caso opposto.
Hambrick e Schecter sono stati i primi a mettere in discussione l’approccio hoferiano. Secondo questi autori i turnaround di successo si dividono in due distinti gruppi: il primo basato sulle strategie di efficienza ( efficiency turnaround strategy), basata sul taglio drastico di costi e attività, il secondo sulle strategie di rilancio ( enterpreneurial turnaround strategy), basata sulla generazione di ricavi e la riconfigurazione del portafoglio prodotti/mercati. I parametri da valutare non sono più la health strategica o operativa ma la quota di mercato e il grado di utilizzo della capacità produttiva.
Slatter propone dieci categorie di azioni e combinazioni si interventi sia strategici che operativi: il cambio del management, l’aumento del controllo finanziario, il cambiamento organizzativo, il riorientamento prodotto- mercato, il miglioramento del marketing, la crescita attraverso acquisizioni, la riduzione di attività, la riduzione dei costi, gli investimenti, la ristrutturazione finanziaria. Un ulteriore passo avanti è fatto da Allaire e Firsirotu, i quali interpretano il turnaround come una delle possibili risposte a disposizione di un’azienda che abbia una strategia non allineata con l’ambiente, in questo caso il turnaround serve a realizzare un cambiamento radicale e rapido in una situazione in cui è in pericolo la sopravvivenza dell’impresa, è una strategia traumatica, di ultima istanza.
Grinyer amplia ulteriormente l’analisi includendo nei processi di turnaround anche lo sharpbending, ossia quei cambiamenti radicali realizzati a partire non da uno stato critico ma da una situazione di declino o ristagno competitivo. Quando l’impresa è più o meno distante dalla bancarotta (early recovery), l’aggiustamento incrementale si delinea come strategia preferenziale; quando i problemi aumentano di intensità ( intermediate recovery) l’impresa può optare per un cambiamento graduale (rejuvenation) o radicale (sharpbending); infine quando il recupero è reso critico dalla gravità del declino (late recovery) allora il turnaround radicale è la soluzione più probabile.
Hoffman giunge alla conclusione che un processo di risanamento è associato a due fasi consecutive: la prima downturn phase quando l’azienda sconta una performance finanziaria sotto la media. La seconda è la upturn phase, caratterizzata dal ritorno della performance almeno entro la norma. Hoffman effettua un’altra rilevante osservazione per cui a scatenare un turnaround sono soprattutto i fattori interni: limiti del top management (eccessivo accentramento di potere, mancanza di professionalità, ecc.), errori di omissione (mancanza di adeguati meccanismi di controllo budgetario, ecc.), errori nelle azioni (eccessiva espansione della gamma di prodotti, eccessive assunzioni di personale, ecc.).
Dagli anni ’90 la dottrina prende atto di alcuni dati: per prima cosa che gli indicatori finanziari di performance, da soli, non sono in grado di misurare l’entità del passaggio dal declino al recupero, ma, soprattutto,di farne emergere le interazioni tra le dimensioni invisibili (poteri, relazioni, competenze, cultura e comportamento). Inoltre il turnaround non può essere interpretato secondo uno schema statico- sequenziale: esso non è statico, in quanto si integra, allo scopo di migliorarla, nella dinamica impresa- ambiente, e non è sequenziale, in quanto si compone di una serie di fasi correlate e non in rigida successione.
I nuovi studi riconoscono la seguente impostazione, il turnaround si compone di:
- Retrechment: il primo step per un’impresa in declino, è una fase strutturale del recupero, perfettamente integrata con la successiva fase di rilancio. Tale stadio ha come obiettivo la stabilizzazione del declino (halting the failure) e generazione dei ricavi, a tal fine si sollecitano la riduzione dei costi e delle attività. Se lo stato di equilibrio finanziario (financial health) indica il rischio d’insolvenza, allora la riduzione dei costi (cost retrechment) dovrebbe essere accompagnata da un’intensiva riduzione delle attività (asset retrechment). Tali interventi esercitano complessivamente un impatto operativo, incidendo sull’efficienza e sui flussi di cassa a breve, ma esercitano anche una valenza strategica in quanto consentono di invertire la tendenza negativa in atto e gettare le fasi per il successivo rilancio.
- Recovery: la seconda fase di cambiamento strategico prende il via qualora l’impresa abbia raggiunto una sufficiente stabilità, potendosi dedicare all’implementazione di una strategia di lungo termine, attraverso nuovi
investimenti volti a migliorare l’efficienza nelle attuali combinazioni prodotto- mercato, oppure ad introdurre nuovi prodotti o entrare in nuovi mercati.
Tale approccio, recentemente, è stato oggetto di critiche. La prima e più densa riguarda la fase di retrechment. Ridurre le attività o i costi non significa in assoluto, garanzia di maggiore efficienza o che si stabilizzi un certo insieme di attività (core of operations). Chiudere determinate unità organizzative o ridurre le risorse destinate al marketing può avere un effetto positivo sull’efficienza, ma in determinati contesti può non averlo, ciò dipende dal margine di contribuzione associata all’unità tagliata e dall’importanza delle attività di marketing nel sostenere le vendite. Alcune azioni possono avere un effetto negativo sul complesso aziendale, ma sarebbero classificate favorevolmente come retrechment, anche la riduzione del personale può avere effetti negativi sull’esito del risanamento. Se da un lato si può quindi condividere che il retrechment comporti effetti positivi dove il declino si associa ad una caduta del cash- flow, generate da contrazioni del settore o inefficienza produttive, questi presupposti non valgono per ogni tipologia di declino. Molte aziende, avviate al dissesto sperimentano crisi da crescita delle vendite e/o sono collocate in un settore in forte espansione. In questi scenari, in cui i concorrenti si stanno espandendo ed investendo per rafforzare la propria posizione strategica, la riduzione dell’attivo e dei costi di struttura può ulteriormente compromettere il già fragile equilibrio economico.
Un’altra critica al modello di retrenchment- recovery riguarda il rapporto di sequenzialità che si crea fra le due fasi, focalizzarsi sul retrenchment in un’impresa con una notevole debolezza strategica comporta il rinvio dei problemi strategici, riducendo la probabilità che si intraprenda con successo la fase di recovery.
Il declino della performance aziendale è considerato un problema che si può fronteggiare solo mediante un processo di cambiamento strategico, infatti il cambiamento strategico, indotto da un declino della performance facilita l’adattamento alla dinamica competitiva; il fallimento di questo cambiamento strategico determina il completo disadattamento ambientale dell’azienda.
La portata della fase di cambiamento strategico varia in funzione di due classi di valore: - La necessità dell’impresa in declino di implementare un cambiamento strategico
per recuperare competitività. Questa necessità è legata a due parametri: a)il livello del declino, per cui una performance estremamente negativa genera notevoli pressioni sul management verso un cambio radicale della strategia,
ammesso che l’impresa abbia le risorse necessarie; b)l’indice di sviluppo del settore, per cui se il settore è in crescita, il declino è sintomatico di notevoli problemi interni che stanno spingendo l’impresa verso la bancarotta; c)il peso di eventi esterni positivi, per cui l’ampiezza del cambiamento strategico realizzato è inversamente correlato con il manifestarsi di eventi esterni favorevoli;
- La capacità di implementare il cambiamento. Tale capacità è, a sua volta, correlata a: a)la sostituzione del management, per cui il nuovo management, che di norma si caratterizza per una diversa formazione e per un basso grado di compromissione con il declino in corso, favorisce gli opportuni cambiamenti; b) la disponibilità di risorse scarse, per cui nella misura in cui le risorse finanziarie, umane e di fiducia, possono essere impiegate, ciò ne favorirà il successo; c) i fattori aziendali, per cui i fattori specifici dell’impresa, quali la sua storia, la sua cultura, la tipologia di corporate governance, il grado di differenziazione e le dimensioni possono aumentare o ridurre la capacità di implementare il cambiamento strategico.
TAVOLA 4: MODELLO DEI FATTORI DETERMINANTI LA PORTATA DEL CAMBIAMENTO STRATEGICO NEL TURNAROUND
LIVELLO DI SVILUPPO DEL SETTORE GRAVITÀ DEL DECLINO AZIENDALE EVENTI ESTERNI FAVOREVOLI
CAMBIO DEL TOP MANAGEMENT FATTORI AZIENDALI (diversificaz. dimensioni)
DIPONIBILITÀ DI RISORSE SCARSE
FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA NECESSITÀ DI UN CAMBIAMENTO STRATEGICO
FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA CAPACITÀ DI REALIZZARE
IL CAMBIAMENTO STRATEGICO PORTATA DEL
CAMBIAMENTO STRATEGICO NEL