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D INASTIA C APITOLO 2. D ALLA MORTE DI A KHENATEN ALLA FINE DELLA

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C

APITOLO

2. D

ALLA MORTE DI

A

KHENATEN ALLA FINE

DELLA

D

INASTIA

§ 1. La successione di Akhenaten: punti fermi

La fase successiva alla morte di Akhenaten è costellata da molti interrogativi ed è nello stesso tempo fra le più affascinanti e le più complesse della storia egiziana. Il fatto che il profeta della nuova religione fosse prematuramente venuto meno dovette scatenare il panico a Corte: importanti decisioni politiche, religiose, economiche e sociali andavano prese e non sembra che la Dinastia fosse in grado di fornire risposte concrete alla crisi.

Nella miriade di nomi e documenti frammentari, nell’orgia di cancellazioni e damnationes memoriae, nella tragica serie di lutti che colpì la Casa regnante1, alcuni punti fermi possono però essere stabiliti: 1. l’ultima fase del regno di Akhenaten è contrassegnata da una coreggenza; 2. il coreggente di Akhenaten è di sesso femminile; 3. l’ultima data registrata del regno di Akhenaten rimanda a poco dopo la vendemmia dell’anno XVII; 4. appare un re-donna chiamato (Ankh(et)kheperura Mery(t)neferkheperura)| (Neferneferuaten Mery(t)uaenra)| a volte con gli epiteti, dentro il cartiglio, di Ax n h(ỉ)=s, ‘che riceve attenzioni da suo marito’, HqA ‘governante’ e mryỉtn, ‘amato da Aten’2; 5. appare un re (Ankhkheperura)| (Semenkhkara Djeserkheperu)|; 6. una vedova di un re d’Egitto chiede al re hittita Shuppiluliuma di inviarle un figlio per farne il faraone; 7. il principe hittita Zannanza viene inviato in Egitto; 8. il principe Zannanza muore.

§ 1.1. Il re-donna Ankh(et)kheperura Neferneferuaten

1 Nel giro di sei anni Neferneferura, Setepenra, Maketaten, Tiy, Nefertiti, Akhenaten,

Semenkhkara e Ankh(et)kheperura. Questa drammatica trafila di decessi ha fatto pensare ad una pestilenza, citata spesso nelle lettere di el-Amarna e nelle fonti hittite. Certo la sensazione che gli dèi avessero abbandonato l’Egitto doveva essere nell’aria, considerando anche le sconfitte militari in Siria-Palestina.

2 Per Gabolde si tratta del nome d’intronizzazione della principessa Merytaten, nella forma

maschile e regale; cfr. GABOLDE M., D’Akhenaton à Toutânkhamon, Université Lumière-Lyon 2,

Institut d'Archéologie et d'Histoire de l'Antiquité, Lyon 1998, pp. 158-59. La principessa-coreggente avrebbe abbandonato gli epiteti Meryneferkheperura e Meryuaenra alla morte di Akhenaten, una volta salita al trono da sola.

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È solo da una trentina di anni che l’Egittologia ha iniziato a parlare di un re-donna successo ad Akhenaten3 e solo recentemente ne ha accettato l’esistenza: essa è dopotutto ben attestata. Il nome nel cartiglio della sovrana ha talvolta le desinenze del femminile, ma nella maggior parte dei casi le ignora; nonostante ciò, è più probabile ritenere che non si tratti di due sovrani diversi, bensì di una persona sola e di sesso femminile.

Il protocollo di questa regina è formato in parte dai nomi Mery(t)-Uaenra e Mery(t)-Neferkheperura, riconoscendo nella seconda parte del nome il praenomen di Akhenaten. Nessuno ha finora sottolineato che il nome si trova in una posizione che era riservata ai teonimi nei nomi dei privati (Meryra, Meryptah, Merymaat) e che sarà d’ora in poi una caratteristica dei nomi dei sovrani successivi4.

Le tesi correnti identificano questo re-donna con Kiya (Y.Y. Perepelkin5);

con Nefertiti (J.H. Harris6 e J. Samson7), a causa dell’epiteto Neferneferuaten; con la primogenita Merytaten, che già aveva sostituito la madre come Grande Sposa Reale (M. Gabolde8). In effetti, la sorte di Nefertiti ci è oscura; in ogni caso sembra sparire dopo l’anno XVI di Akhenaten: può essere caduta in disgrazia, aver avuto un avanzamento a coreggente o semplicemente essere morta; tutte e tre le teorie sono plausibili9. Nel frattempo da Corte scompare anche la sposa secondaria di Akhenaten, Kiya10. Appare ragionevole l’osservazione di Gabolde, secondo cui Neferneferuaten è un semplice epiteto (‘bella è la freschezza

3 La misoginia della società inglese degli anni Venti, più forte evidentemente dell’omofobia, aveva

elaborato l’improbabile teoria dell’omosessualità di Akhenaten; cfr. MONTSERRAT D., Akhenaton.

L’antico Egitto tra storia e fantasia, ECIG, Genova 2005, p. 248 (e in generale l’intero Capitolo

7): “Le interpretazioni del personaggio in epoca vittoriana e edoardiana furono strettamente

eterosessuali. […] Akhenaton fu come un faro in un mare di faraoni lussuriosi e divenne il primo padre di famiglia. […] Negli anni venti e negli anni trenta […] fiorì la speculazione sulla biologia sessuale di Akhenaton”.

4 L’unico precedente fra i sovrani è Pepy I Meryra; seguiranno Horemheb Meryamon, Sethy I

Meryenptah, Ramesse II Meryamon, etc. È l’ultimo passo della teologizzazione della figura regale messa in atto da Akhenaten.

5 PEREPELKIN Y.Y., The Secret of the Gold Coffin, Nauka-Central Department of Oriental

Literature-USSR Academy of Science-Institute of oriental Studies, Moscow 1978, pp. 85-107.

6 HARRIS J.R., Nefernefruaten regnans, in Ac.Or. 36 (1974), pp. 11-21.

7 SAMSON J., Akhenaten’s coregent Ankhkheprure-Nefernefruaten, in GM 53 (1982), pp. 51-54. 8 GABOLDE M., op. cit., pp. 147-185.

9 Tuttavia l’unico ushabty di Nefertiti, che reca il titolo di Grande Sposa Reale, è stato trovato nei

pressi della Tomba reale, dimostrando che ella venne sepolta lì, prima della morte di Akhenaten e senza ulteriori cambiamenti di status; cfr. MARTIN G.T., The royal tomb at el-‘Amarna. Vol. I: the

objects, Egypt Exploration Society, London 1974, pp. 7-9, 38, n. 6.

10 Figura affascinante e misteriosa, fu colpita da damnatio memoriae alla fine del regno di

Akhenaten, morì o tornò nel Mitanni (se la teoria della sua origine asiatica è corretta); cfr. KRAUSS

R., Kija – Ursprüngliche Besitzerin der Kanopen aus KV 55, in MDAIK 42 (1986), p. 79; GABOLDE M., Baketaton fille de Kiya?, in BSEG 16 (1992), p. 37, n. 55.

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giovanile dell’Aten’) e, contemporaneamente, parte integrante del nome di Nefertiti dopo l’anno V o VI di Akhenaten: se fosse salita al trono avrebbe assunto il praenomen Neferneferuaten-Nefertiti tutto insieme.

La rappresentazione di un coreggente con caratteristiche fisiche nettamente femminili (l’arte amarniana sarà anche tendenzialmente androgina, ma ha comunque i suoi codici per distinguere nettamente il maschile dal muliebre) sono almeno tre: un pannello dipinto della porta del Palazzo Nord di Amarna, dove un re è seguito da una donna con kepresh e ureo; la stele Berlin 17813 dove un re con la doppia corona accarezza teneramente una donna con kepresh e ureo (tav. IVa); la stele Berlin 20716 dove una donna ancora con kepresh ed ureo versa da bere da una situla in una coppa tenuta in mano da un re (tav. IVb).

Per capire le vicende politiche della successione di Akhenaten è molto interessante un graffito ieratico tracciato nella TT 139 (Pairy). Esso recita: “Anno

III, terzo mese della stagione di akhet, giorno decimo. Il Re dell’Alto e del Basso Egitto, Signore delle Due Terre, (Ankhkheperura Mery[…])|, figlio di Ra

(Neferneferuaten Mery[…])|. Lode ad Amon, prostrazione davanti a Unennefer,

da parte del sacerdote-uab, Scriba delle offerte divine di Amon nella Casa di Ankhkheperura in Tebe, Pauah, nato da Iutefseneb. Egli dice: «Il mio cuore desidera vederti, o Signore della persea, quando la gola riceve il vento del Nord. Tu dai sazietà senza (?) mangiare, tu dai ebbrezza senza (?) bere. Il mio cuore desidera vederti. Il mio cuore gioisce, o Amon, tu, protettore (?) del povero. Tu sei padre all’orfano, marito alla vedova. Piacevole è pronunciare il tuo nome: è come il sapore della vita, è come il sapore del pane per il bambino, come un panno che cinge i fianchi per chi è nudo. [Tu] sei come il sapore del legno di […] nella stagione della calura. Tu sei come […] con […] un padre del suo […]. Tu sei come il sapore di […], il Signore, il respiro (della brezza) per un [uomo] che è stato in prigione. Pacifico è […] l’uomo virtuoso […]. Volgiti (?) a noi, tu, Signore dell’eternità! Tu eri qui ere prima che (ogni cosa) fosse in esistenza. Tu sei qui, quando loro sono […]. Tu hai causato per me di vedere l’oscurità che puoi dare. Illuminami, che io (?) possa vedere te (?). Come il tuo ka è durevole e come il tuo viso bello ed amato è durevole, tu verrai da lontano, concedendo che questo servitore, lo scriba Uah, possa vederti. Da’ a lui ‘Durevole è Ra, durevole è Ra!’. In verità, l’adorazione di te è buona, o Amon, Signore, grande di ricerca nel trovarlo. Allontana la paura, metti la gioia nel cuore degli uomini. Come

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gioioso è l’uomo che ti vede, o Amon. Egli è in festa ogni giorno. Per il ka del sacerdote-uab, lo scriba del tempio di Amon nella Casa di Ankhkheperura, Pauah, nato da Iutefseneb. Per il tuo ka! Spendi un giorno lieto insieme ai tuoi compagni! Suo fratello, lo scriba dei contorni, Batjay, [della] Casa di Ankhkheperura»”11.

Oltre a restituirci la data più alta per il regno di Ankhkheperura Neferneferuaten (anno III, secondo l’uso senza contare il periodo di coreggenza), esso ci testimonia la presenza di interessi della sovrana a Tebe con la menzione esplicita di un Tempio di Amon nella Casa di Ankhkheperura. È questa la prova tradizionalmente addotta per indicare un riavvicinamento della Dinastia alla religione di Amon; dopotutto anche il corredo della regina, largamente usurpato da Tutankhamen, era ispirato totalmente alla religione tradizionale.

È invece errato vedere la lamentazione di Pauah come una deprecazione dell’operato di Akhenaten, in quanto il testo va inserito in quel filone di “humble

petition for help”12 assai fortunato. La cecità di Pauah deve essere cosa recentissima al tempo del graffito, perché è impensabile: 1. che un non vedente potesse esercitare con profitto la funzione di scriba; 2. che Akhenaten avesse tollerato un tempio di Amon a nome del coreggente a Tebe.

Quando ancora poco o nulla si sapeva sul coreggente e successore di Akhenaten, N. de Garis Davies interpretò il graffito come la prova dell’esistenza di un anti-faraone a Tebe, contemporaneo di Akhenaten e causa della “fuga” del sovrano ad el-Amarna oppure contrapposto dal clero tebano a Semenkhkara13; alla luce delle ricerche successive queste ipotesi fanno sorridere.

Oltre all’epiteto “meryaten”, che si avvicina al nome della principessa Merytaten, tre Lettere di el-Amarna (EA 10, 11, 155) citano la principessa, secondo la trascrizione accadica Mayati, conferendole uno status privilegiato accanto ad Akhenaten e quindi indicando nella donna il probabile coreggente14.

§ 1.2. L’affaire Zannanza e il re Ankhkheperura Semenkhkara Djeserkheperu

11 GARDINER A., The graffito from the tomb of Pere, in JEA 14 (1928), pp. 10-11, tavv. V-VI;

BRESCIANI E., Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Einaudi, Torino 19993, pp. 427-28. Cfr.

anche NEWBERRY P.E., Akhenaten’s eldest son-in-law ‘Ankhkheprurē’, in JEA 14 (1928), pp. 3-9.

12 GARDINER A., op. cit., p. 10.

13 DAVIES N. DE G., The graphic work of the expedition, in MMA Bull. 2 (1923), pp. 40-53. 14 LIVERANI M. (a cura di), Le lettere di el-Amarna. 1. Le lettere dei “Piccoli Re”, Paideia, Brescia

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Come le lettere di el-Amarna sono una fonte essenziale per la storia del Vicino Oriente, le fonti cuneiformi hittite restituiscono il favore, attraverso le

Gesta di Shuppiluliuma redatte dal figlio Murshili II: in esse si riporta un episodio

importante per la ricostruzione della fine della XVIII dinastia: “E poiché, inoltre,

il loro [scil. degli egiziani] sovrano Nipkhururiya era morto, la regina d’Egitto che era la Sposa Reale inviò un messaggero a mio padre e gli scrisse: «Mio marito è morto. Non ho figli. Ma dicono che i tuoi figli siano numerosi. Se tu mi dai uno dei tuoi figli, egli sarà mio sposo. Io non prenderò mai uno dei miei servi per marito! […] ho paura!». Quando mio padre sentì ciò, convocò i nobili in consiglio e disse loro: «Una cosa così non mi era mai capitata in tutta la vita!». Allora mio padre inviò in Egitto Hattushaziti, il ciambellano, (dicendogli): «Va’ e riportami la verità. Può darsi che essi mi vogliano ingannare! Può darsi che essi abbiano un figlio del loro re! Riportami la verità»”15.

“Quando venne la primavera16, Hattushaziti ritornò dall’Egitto e il messaggero dall’Egitto, il nobile Hani, venne con lui. […] La regina d’Egitto rispose a mio padre in una tavoletta dicendo: «Perché parli in questo modo: ‘Essi mi vogliono ingannare’? Se avessi avuto un figlio, avrei forse scritto a una nazione straniera? È un’onta per me e per il mio paese! Tu non mi hai creduto e mi hai parlato in questo modo! Colui che era mio marito è morto e io non ho figli. Non prenderei mai uno dei miei servitori per marito! Non ho scritto a nessun’altra nazione straniera, non ho scritto che a te. Si dice che i tuoi figli siano numerosi: dammi uno dei tuoi figli. Per me sarà mio marito e per l’Egitto sarà un re!». Allora, siccome aveva in buona disposizione, accettò la richiesta della donna e si occupò della questione del figlio”17.

Il testo pone diverse domande, la prima delle quali è chi fosse la vedova disperata18 e chi fosse il re Nipkhururiya, se Neferkheperura (Akhenaten)19 o

15 KBo V 6 A iii 1-25; cfr. GÜTERBOCK H.G., The Deeds of Suppiluliuma as told by his son,

Mursili II, in JCS 10 (1956), pp. 94-95.

16 Se si tratta di Akhenaten, morto dopo la vendemmia dell’anno XVII, la tempistica sembra qui

essere rispettata.

17 KUB XXXIV 24 E

3 24 + A iii – A iv 15; GÜTERBOCK H.G., op. cit., p. 96.

18 Non si dimentichi la parzialità della fonte, che ha tutto l’interesse di mostrare un Egitto debole,

governato da un donna che ha paura, disposta ad ammettere, non senza una punta d‘orgoglio tutto egiziano: “È un’onta per me e per il mio paese!”.

19 Optano per questo sovrano, fra gli altri, R. Krauss, M. Gabolde, N. Reeves (che ritiene di poter

identificare Smenkhkare in Nefertiti) e M. Liverani: “Ora il nome del faraone (Ni-ib-hu-ru-ri-aš

nelle «Gesta di Shuppiluliuma») corrisponde meglio a quello di Tutankhamon, ma questa identificazione farebbe chiaramente saltare tutta la concatenazione degli eventi, a meno di non

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Nebkheperura (Tutankhamen)20. Dal punto di vista fonetico, data la naturale ambiguità della trascrizione accadica, si può trattare allo stesso modo di entrambi, preferibilmente del secondo. Tuttavia, l’analisi del contesto siro-palestinese alla morte di Akhenaten si applica perfettamente alla situazione descritta nelle fonti hittite del tempo.

L’ago della bilancia pende in favore di Tutankhaten se si dà fede alle parole della regina, che afferma di essere senza prole. In maniera aleatoria M. Gabolde cerca di difendere la “tesi Neferkheperura”, sostenendo che, paventando il rischio reale di un’invasione hittita sullo stesso suolo egiziano, Merytaten volesse trattare direttamente con il nemico Shuppiluliuma, mentendo circa l’assenza di altri eredi al trono (comunque direttamente concorrenziali con Merytaten) per ottenere un matrimonio tampone per la crisi militare in Siria-Palestina. La regina, insomma, cercava un ostaggio e per ottenerlo ricorse al sotterfugio21. In effetti, non si capisce perché la donna, se legittimamente seduta sul trono delle Due Terre, cercasse aiuto all’esterno: a prescindere dalla retorica epistolare e da quella annalistica hittita, la situazione sembra disperata.

Le cronache ci informano come Shuppiluliuma abbia inviato il proprio figlio in Egitto, ma come questi sia poi stato ucciso in territorio evidentemente egiziano (altrimenti il re non ne avrebbe imputato la colpa all’Egitto). Sebbene le fonti frammentarie non chiariscono in quali circostanze sia avvenuta la morte, non è certo, come spesso è stato delineato, che il convoglio hittita sia stato intercettato al confine e sterminato da sicari egiziani (magari mandati da Ay o Horemheb). Le fonti sembrano indicare una mancata ammissione di responsabilità egiziana

ritenere che l’archivio amarniano si estenda per tutto il regno di Tutankhamon e oltre, il che è impensabile. Ma in effetti i prenomi di Amenophi IV (Nfr-ḫpr.w-Rc) e di Tutankhamon

(Nb-ḫpr.w-Rc) sono abbastanza simili, o almeno possono esserlo stati ad orecchie hittite, per giustificare un

errore in un testo che venne scritto «a memoria» parecchi anni dopo l’episodio narrato, e che contiene anche altre singolari trasmissioni onomastiche”; cfr. LIVERANI M. (a cura di), op. cit., p.

46; KRAUSS R., Das Ende der Amarnazeit – Beiträge zur Geschichte und Chronologie des Neues

Reiches, Gerstenberg Verlag, Hildesheim 1978, pp. 71-83.

20 Sostengono questa ipotesi BRYCE T.R., The Death of Niphururiya and it’s Aftermath, in JEA 76

(1990), pp. 97-105; GRIMAL N., Storia dell’antico Egitto, Laterza, Roma-Bari 1990, p. 270;

MURNANE W.J., The Return to Orthodoxy, in FREED E.R. – MARKOWITZ Y.J. – D’AURIA S.H. (a cura di), Pharaohs of the Sun. Akhenaton, Nefertiti, Tutankhamon, Thames and Hudson, Boston 1999, pp. 182-83.

21 GABOLDE M., op. cit., pp. 209-10. Ciò spiegherebbe anche perché Merytaten Ankhkheperura

Neferneferuaten non si dica mai Figlia del Re, ma solo Sposa Reale: evita così di porsi sullo stesso piano del pretendente Tutankhaten. Benché la tesi che il coreggente donna sia da identificare con Merytaten è pienamente condivisibile, queste spiegazioni sono piuttosto deboli; è un dato di fatto che politica e diplomazia da sempre agiscono spesso in modi illeciti e incomprensibili ai più: poggiare le proprie teorie su elementi così evanescenti è una tentazione seducente, ma pericolosa.

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all’accusa hittita per la morte del principe e i rapporti diplomatici fra i due paesi sembrano comunque essere proseguiti anche dopo la morte di Zannanza.

La seconda domanda, dunque, è se il principe hittita sia arrivato in Egitto e se sia stato effettivamente sposato dalla vedova e quindi fatto re. Qui si inseriscono le teorie di M. Gabolde e C. Vandersleyen22, che vedono in Semenkhkara Djeserkheperu nient’altri che Zannanza.

In diverse occasioni, fra cui un disegno preparatorio ad inchiostro nella tomba di Meryra II ad el-Amarna, la regina Merytaten è associata ad un re Ankhkheperura (stesso nome della moglie) Semenkhkara Djeserkheperu23. L’identità del sovrano è ignota: non è mai menzionato prima dell’ascesa al trono, mentre al contrario il principe Tutankhaten compare su un blocco di Hermopolis24. Il nome è atipico: 1. non appare mai nella XVIII dinastia; 2. è

costruito come un praenomen e non come un nomen; 3. è il praenomen di un re della XIII dinastia (Semenkhkara Mermesha); 4. le stesse fonti amarniane mostrano ambiguità nella resa protocollare di questo nome Figlio di Ra (a volte è indicato come se dovesse essere un nome Re dell’Alto e del Basso Egitto), come ad indicarne l’artificiosità.

È stato quindi proposto che l’uomo non si chiamasse così prima dell’ascesa al trono e, di più, che quest’uomo fosse lo stesso Zannanza. Secondo Gabolde il principe hittita, che probabilmente non ebbe il favore della Corte25, non deve avere regnato per più di un anno26. Merytaten tornò vedova, ma, stranamente, non cercò un nuovo marito: anche questo dettaglio gioca in favore di un’identificazione della vedova con Ankhesenamen. La morte di Zannanza non aveva certo migliorato le relazioni con Hattusha e la tensione era ora più alta di prima, anche se forse gli eserciti non erano più sul campo.

22 Per una volta i due autori sono d’accordo: GABOLDE M., La posterité d’Aménophis III, in

«Égyptes» 1 (1993), p. 34; VANDERSLEYEN C., L’Égypte a la Vallée du Nil. I: De la fin de

l’Ancient Empire à la fin du Nouvel Empire, Presses Universitaires de France, Paris 1995, p. 455.

23 DAVIES II, tav. XLI ; LEPSIUS, D.Text III, p. 99.

24 ROEDER G., Amarna-reliefs aus Hermopolis, Verlag Gebrüder Gerstenberg, Hildesheim 1969,

tavv. CVI, CCXXI, nr. 831-VII C.

25 Ma, piuttosto che immaginare un cesaricidio, non è più ragionevole ritenere che i cortigiani più

influenti abbiano fatto di tutto per evitare a monte le nozze, contrastando la volontà di una regina poco più che quattordicenne?

26 GABOLDE M., op. cit., pp. 220-21; il calcolo, per la verità, si basa sul confronto con il numero di

anelli attestati con il nomen di Ay e quelli con il nomen di Semenkhkara, ma, a nostro avviso, si tratta di numeri troppo bassi per essere statisticamente utilizzabili.

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Sulla base delle etichette di giara amarniane M. Gabolde ritiene che la Corte si fosse spostata a Menfi già nel III anno di Ankhkheperura: nell’anno I esse sono 60; nell’anno II 47; nell’anno III solo 12.

In ogni caso, la presenza ideale di Tutankhamen e Horemheb ad el-Amarna (oggetti con i loro nomi, che non indicano necessariamente la presenza fisica del re) mostra che la città non venne abbandonata del tutto: il Grande Tempio rimase in funzione per diversi anni, il villaggio operaio continuò a prosperare, forse in connessione con la sorveglianza della necropoli reale.

§ 2. Tutankhaten/Tutankhamen

Alla morte di Merytaten e di Semenkhkara, in circostanze che ci sono del tutto ignote, salì al trono il giovane Tutankhaten, principe della Casa reale27. M. Gabolde insiste nel volerlo figlio di Akhenaten e Nefertiti e quindi fratello di Merytaten, ma in realtà la documentazione è, come al solito, troppo frammentaria. La presenza nella regione di Sohag della tomba di un precettore regale di Tutankhaten ha fatto ritenere alcuni studiosi che il principe sia stato educato fuori el-Amarna, ma non v’è ragione di credere così28.

Contro l’ipotesi di Gabolde, bisogna riscontrare che Tutankhaten non successe direttamente ad Akhenaten, ma regnò solo dopo Ankh(et)kheperura e Semenkhkara, chiunque essi fossero: ciò significa che il principe non era il primo in linea dinastica29. Merytaten era la primogenita, ma non poteva avere più di quattordici anni alla morte di Akhenaten: è chiaro come tutta la politica della Corona venisse in quel momento gestita da poteri forti in seno alla Corte, quei poteri che tradizionalmente suppliscono al difetto della massima monarchica “Il re è morto! Viva il re!”, quando cioè la linea dinastica viene a mancare o il successore è troppo giovane per prendere le redini del governo. Questi poteri

27 “Figlio del re, del suo corpo”, così appare su una talatat di Hermopolis; ROEDER G., op. cit. 28 OCKINGA B.G., New Light on Tutankhamun: The Tomb of Sennedjem at Awlad Azzaz, Sohag, in

Sixth Internation Congress of Egyptology, Turin, 1st-8th September 1991. Abtract of papers, pp.

310-11.

29 Nel tempio di Soleb e in quello di Luxor Tutankhamen chiama ‘padre’ Amenhotep III, ma non

vi è dubbio che il termine, in entrambi i casi in un contesto di rinnovamento monumentale, significhi ‘antenato’; EPIGRAPHIC SURVEY, Reliefs and Inscriptions at Luxor Temple. I: The

festival Procession of Opet in the Colonnade Hall, Oriental Institute Pubblications 112, Oriental

Institute, Chicago 1994, tavv. III, CXIX; EDWARDS I.E.S., Hieroglyphic Texts from Stelae etc. in

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preferirono porre sul trono d’Egitto la coreggente già consacrata da Akhenaten ed affiancarle un principe, sulla cui esistenza prima dell’ascesa al trono le fonti tacciono, che aveva comunque un diritto di precedenza su Tutankhaten. Solo alla morte della coppia reale che successe ad Akhenaten, Tutankhaten poté accedere al trono: evidentemente era figlio di sangue reale, ma non della Grande Sposa Reale Nefertiti. Facendo qualche calcolo, risulta che Tutankhaten deve essere nato ad el-Amarna nel corso del XII anno di regno di Akhenaten: alla morte del re egli avrebbe avuto cinque anni, alla morte di Semenkhkara otto anni; regnando per dieci anni egli morì verso il diciottesimo anno di vita; la sua consorte doveva avere qualche anno più di lui.

Il Faraone rafforzò la propria legittimità di figlio cadetto nei modi previsti dalla trasmissione del potere in Egitto: curando la sepoltura del predecessore (Akhenaten, Ankh(et)kheperura o Semenkhkara) (ri-)inumato nella KV 55; sposando la terzogenita di Akhenaten Ankhesenpaaten.

A quel tempo la corte risiedeva a Menfi, sebbene la politica di Tutankhaten (i.e. dei reggenti) fosse molto attenta alle esigenze di Tebe, “la città

un tempo ricca di popolo, […] divenuta come una vedova”, per usare

un’espressione biblica (Lamentazioni 1, 1-2). La Stele della Restaurazione, al di là di ogni retorica, evidenzia il disagio causato dall’instabilità politica e lo shock di una comune sensibilità religiosa fortemente scossa30; si cominciò a restaurare i templi e a fabbricare le immagini cultuali degli dei. In ogni caso non vi fu una vera e propria abiura della religione dell’Aten: il Disco rimase ancora per qualche tempo nell’iconografia e nei templi si continuò a praticarne il culto.

Probabilmente fra il III e il IV anno di regno ci fu la conversione dei nomi amarniani in nomi consacrati al dio tebano: quindi Tutankhaten divenne Tutankhamen e la consorte Ankhesenpaaten divenne Ankhesenamen.

30 “…I templi e le città degli dei e delle dee, da Elefantina fino alle paludi del Delta […] erano

decaduti e i loro santuari erano caduti in rovina, diventati meri mucchi coperti di erba. I loro santuari erano come qualcosa che non è ancora venuto in esistenza e i loro edifici erano sentieri, poiché la terra era in rovina e in distruzione. Gli dei ignoravano questa terra. Quando un’armata veniva inviata a Djahy per allargare i confini dell’Egitto, non aveva successo; se uno pregava un dio, per chiedergli qualcosa, egli non rispondeva del tutto e se qualcuno scongiurava una dea allo stesso modo, ella non rispondeva del tutto…”; LACAU P., Catalogue géneral des antiquités

égyptienne du Musée du Caire. Stèles du Nouvel Empire, I, Le Caire 1909, p. 224 e segg., tav.

LXX; HELCK, Urk. IV, pp. 2025-32; BENNETT J., The Restoration Inscription of Tut‘ankhamun, in

JEA 25 (1939), pp. 8-15; PRITCHARD J.B., Ancient Near Eastern Texts Relating to the Old

Testament, Princeton University Press, Princeton 19693, pp. 250-51; HELCK W., Urkunden der 18.

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Durante il regno dell’ultimo rampollo della XVIII dinastia, fedele alla linea militare su cui si era impostata l’intera politica estera della prima parte del Nuovo Regno (e che sarebbe durata ancora a lungo), si assiste ad una ripresa del controllo delle province siro-palestinesi, congiuntamente ad un assestarsi della supremazia sulla Nubia.

La morte del giovane re, probabilmente per un’infezione alla coscia (e non, come qualcuno ha sostenuto, a causa di una ferita alla testa inferta da un immaginario sicario inviato, ancora, da Ay o Horemheb), dopo dieci anni di regno avvenne prematuramente e quindi pose di nuovo la questione della successione al trono, ora resa complicata dal fatto che la Dinastia, estintasi con Tutankhamen, avesse già giocato tutte le sue carte.

§ 3. Ay

Chi sostiene che la vedova che scrisse a Shuppiluliuma fosse Ankhesenpaaten31, ritiene che il matrimonio non si celebrò a causa della morte del principe hittita e che la regina divenne la Grande Sposa Reale di Ay, Padre del dio, Comandante di cavalleria e in qualche modo collegato con la Famiglia reale32.

In realtà, l’unico indizio di questa unione è un anello con doppio cartiglio, mostrante affiancati i nomi di Ay e Ankhesenamen (il famoso “Anello

31 Aggiungiamo alcune considerazioni sulla questione: Merytaten era coreggente alla morte di

Akhenaten e quindi poteva garantire una certa stabilità di governo anche senza bisogno di un urgente matrimonio; Ankhesenamen, che avrà avuto allora qualche anno di più di Tutankhamen, corrisponde di più al cliché della donna disperata, costretta a sposare un servo per farne un re d’Egitto. Non potendo regnare da sola, infatti, ella scomparì poi dalla scena per fare posto ad altri uomini, pur meno legittimati di lei a regnare. Una donna di una ventina d’anni, nata nella città e nella corte più lussuose della storia e Grande Sposa Reale per dieci anni, non avrebbe facilmente rinunciato a tutto questo e, senza troppi scrupoli, potrebbe aver contattato da sola il re hittita per concordare un matrimonio (cosa che la quattordicenne Merytaten difficilmente avrebbe potuto fare di sua iniziativa e senza l’aiuto di una Corte che però, afferma Gabolde, si sarebbe mostrata fondamentalmente ostile all’intronizzazione di un principe straniero fino ad arrivare a toglierlo di mezzo neanche un anno dopo la sua incoronazione). Si consideri, in ogni caso, l’interesse hittita a mostrare una regina d’Egitto debole e, soprattutto, ad indicare nelle azioni militari (coronate da successo) intraprese allora contro gli egiziani la causa della supplica strisciante della vedova faraonica.

32 J. Van Dijck propone che Ay fosse un re fantoccio con la funzione di reggente in attesa

dell’arrivo di Zannanza, ma è poco verosimile che la consacrazione di un re d’Egitto potesse avere valore temporaneo e permettesse l’istituto dell’abdicazione; cfr. VAN DIJCK J., The New Kingdom

Necroplis of Memphis – Historical and Iconographical Studies, Proefschrift Let., Groningen 1993,

pp. 54-59. Anche la Grande Sposa Reale di Amenhotep III era originaria di Akhmim: si propone spesso una fratellanza fra Tiy e Ay; la moglie del Padre del dio era stata anche la nutrice di Nefertiti.

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Blanchard”)33; esso, tuttavia, mostra solo un legame fra le due persone, che può anche non essere di natura matrimoniale. È possibile che Ay e Ankhesenamen avessero semplicemente condiviso le responsabilità nella sepoltura di Tutankhamen, lei come vedova e lui come successore. Poi, la Grande Sposa Reale sparì per fare posto a Tiy, la consorte di sempre, rappresentata anche nella tomba KV 23.

Le pitture della tomba di Tutankhamen mostrano Ay, nei panni del sacerdote-sem, celebrare la cerimonia dell’apertura della bocca sulla mummia del giovane re, mostrando così, prima dell’inumazione di Tutankhamen, di essere salito al trono (cfr. Capitolo 18, § 1.2)34. Bisogna sottolineare il fatto che Ay fosse già de facto il principale reggente del regno, una sorta di princeps senatus, rappresentando il funzionario più anziano della Corte. Nella cache KV 54, ritenuta prima della scoperta della KV 62 la “tomba” di Tutankhamen, T. Davis trovò oggetti assortiti datati a Tutankhamen ed Ay, includenti un pezzo di foglia d’oro, probabilmente dal lato di uno scrigno. Esso rappresentava Tutankhamen nella tradizionale posa del re in atto di abbattere i nemici, dietro a lui la regina Ankhesenamen e, davanti alla coppia reale, immaginiamo compiaciuto, il Padre del dio Ay. Questo oggetto mostra eloquentemente il potere concentrato nelle mani dell’anziano cortigiano35.

Originario di Akhmim, Ay curò nella sua città d’origine l’erezione di una cappella, la cui supervisione edilizia venne affidata all’architetto Nakhtmin. Egli terminò qualche lavoro a Karnak e a Luxor per conto del predecessore, occupò il Tempio di Milioni di Anni di Tutankhamen facendolo proprio e portò il più avanti possibile i lavori della tomba nella Valle dei Re (KV 23).

Dopo quattro anni di regno morì, lasciando il trono ad Horemheb, la cui successione, in ragione dell’avanzata età del re, doveva essere stata preparata in anticipo. Alcuni autori, tuttavia, ritengono che fra l’anziano sovrano e il generale non corressero buone relazioni; in assenza di documentazione, non si può dire.

33 NEWBERRY P.E., King Ay, The Successor of Tut‘ankhamun, in JEA 18 (1932), p. 50; HELCK,

Urk. IV, p. 2108.

34 Quello che, in uno statuto di monarchia elettiva (e in mancanza di eredi, questo è il caso anche

per una monarchia ereditaria), si chiama un “regno di passaggio”, programmaticamente breve a causa dell’avanzata età del candidato: l’esempio più noto è il breve regno del senatore romano Marco Cocceio Nerva (96-98 d.C.) alla morte di Tito Flavio Domiziano (81-96 d.C.).

35 DAVIS T., The Tombs of Harmhabi and Toutankhamanou, Constable & Co., London 1912, pp.

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§ 4. Horemheb

Horemheb regnò per almeno 26 o 27 anni, tuttavia la documentazione datata relativa al suo regno si ferma all’anno VIII.

N. Reeves ritiene che Horemheb avesse ottenuto il trono scavalcando Nakhtmin, figlio di Ay e anch’egli esponente delle gerarchie militari, che su una bella scultura, oggi conservata al Museo di Luxor, si definisce “Figlio del re del [suo corpo]”, vale a dire “erede”36. Poiché la documentazione è troppo scarsa, non possiamo ricostruire con precisione i momenti della successione di Ay. Horemheb espletò le proprie funzioni regali nei modi consueti, già adottati da Ay: seppellì il predecessore nella KV 23 e sposò una donna di sangue reale, la sorella di Nefertiti (?) Mutnedjemet.

Horemheb usurpò molti dei monumenti di Ay, fra cui il tempio funerario, alcune sculture e i rilievi di Luxor. O. Schaden è convinto che allo stesso Horemheb debba essere imputata la dissacrazione della tomba di Ay, in un crescendo di “revisionismo” sui predecessori (nel tempio funerario di Ay Horemheb cancellò prima i nomi dell’immediato predecessore, affiancando quindi i propri a quelli di Tutankhamen; poi cancellò anche quelli del “re bambino”)37. L’affermazione di Schaden risiede soprattutto nella constatazione che Horemheb usurpò i monumenti di Ay, ma alcune considerazioni si impongono. Innanzitutto, l’usurpazione del monumento di un predecessore non è necessariamente un atto ostile, anzi, era una pratica estremamente diffusa nell’antico Egitto. Secondariamente, anche i monumenti di Tutankhamen erano stati usurpati da Horemheb, ma il re non danneggiò nulla nella KV 63, anzi, ne curò la risigillatura dopo che dei ladri ne avevano violato l’accesso. Questo ricorrere frenetico all’usurpazione per arrogarsi subito numerosi monumenti dimostrano piuttosto come Horemheb cercasse di creare maggiore consenso attorno alla propria figura di re. A questo dato si affianca la nota Stele dell’incoronazione, in cui il sovrano descrive la cerimonia della propria consacrazione a sovrano d’Egitto38.

Detto questo, non si vuol negare l’ostilità di Horemheb per i re amarniani, dimostrata da uno dei primi atti di governo: inaugurare la propria sepoltura

36 REEVES C.N., Akhenaten. Egypt's false prophet, Thames & Hudson, London 2001, pp. 190-91. 37 SCHADEN O., Clearance of the Tomb of King Ay (WV-23), in JARCE 21 (1984), p. 61.

38 GARDINER A.H., The Coronation of King Haremab, in JEA 39 (1953), pp. 14-16, tav. II;

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lontano da quella del predecessore. Horemheb inoltre assommò ai propri gli anni di regno di Akhenaten, Ankhkheperura, Semenkhkare, Tutankhamen e Ay, ponendosi di fronte all’annalistica come l’immediato successore di Amenhotep III.

Horemheb dedicò un mobile ed una statua nel Grande Tempio dell’Aten ad el-Amarna, dimostrando così che la propria avversione per l’esperienza amarniana era dopotutto contenuta. Il sovrano comunque smantellò parte delle strutture che Akhenaten aveva eretto a Tebe per il culto di Ra-Horakhty e ne utilizzò le talatat per il proprio programma architettonico (II, IX e X pilone). Abbiamo già indicato la possibilità che, se la ricostruzione di R. Redford è corretta, lo smantellamento degli edifici si rivelava necessaria in quanto essi bloccavano la naturale espansione del santuario lungo i suoi due assi principali.

Un ultimo documento degno di nota per la nostra ricostruzione dei fatti è il famoso Editto, in cui il sovrano esponeva la nuova legislazione promulgata al fine di combattere la corruzione che quindici anni di instabilità politica e, forse, anche l’accentramento amministrativo che si ritiene Akhenaten avesse attuato avevano certo favorito 39.

39 KRUCHTEN J-M., Le Décret d’Horemheb, Édition de l’Université de Bruxelles, Bruxelles 1981;

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