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DEFINIZIONE DI BASE DEL FENOMENO DI COMBUSTIONE

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Appendice B

DEFINIZIONE DI BASE DEL

FENOMENO DI COMBUSTIONE

Scopo principale di questo appendice è quello di definire le caratteristiche generali del fenomeno di combustione e definirne le grandezze caratteristiche.

B.1- Concetti di base del fenomeno di combustione

Per combustione si intende una reazione chimica di ossidazione, in fase omogenea o eterogenea, fortemente esotermica, capace di propagarsi ad alte velocità ed accompagnata da manifestazioni luminose.

Poichè la combustione è una reazione chimica, deve coinvolgere più sostanze: - sostanza ossidante che si denota con il nome di comburente

- e sostanza ossidabile che si denota con il nome di combustibile

Il comburente, pur potendo essere costituito da diverse sostanze, è in genere aria o ossigeno puro.

Il combustibile è in genere costituito da sostanze organiche, allo stato solido, liquido o gassoso, prevalentemente a base di carbonio e idrogeno, ma a volte con presenza di ossigeno e modeste quantità di zolfo e azoto.

Come per tutte le reazioni anche per quelle di combustione è necessaria una certa

energia di attivazione, in modo che la miscela combustibile-comburente raggiunga

una temperatura chiamata di ignizione.

Una volta innescata la combustione, affinché questa possa erogare il calore necessario a che il processo continui è necessario che il combustibile ed il comburente siano compresi entro determinati limiti (limiti di infiammabilità).

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In un sistema solido, liquido o gassoso, capace di evolversi per ossidazione rapida,la reazione non avviene in modo uniforme in tutto il miscuglio, ma si sviluppa attraverso questo stesso.

In questi fenomeni bisogna distinguere la velocità di reazione propriamente detta (che è dunque una velocità di una reazione ossidante) dalla velocità di propagazione della zona di reazione.

In effetti non si conosce molto sui meccanismi e sulle velocità delle reazioni chimiche di ossidazione che, tra l'altro, sono sempre elevate e di difficile studio, mentre si cerca di studiare sempre più a fondo le velocità di propagazione per i riflessi applicativi che ha questo studio.

Comunque, in letteratura, si usa denominare:

- il fenomeno lento di propagazione di una fiamma con il termine di deflagrazione, - il fenomeno rapido con il termine detonazione.

In entrambi i casi si hanno sono delle esplosioni.

Un criterio pratico per distinguere le esplosioni tra deflagrazione e detonazione è che:

in recipiente chiuso, nella deflagrazione si ha un aumento di pressione di oltre 8 volte la pressione iniziale, mentre per la detonazione l'aumento della pressione è di oltre 40 volte quella iniziale ed inoltre in questo caso l'onda di pressione precede generalmente il fronte di reazione.

I fenomeni luminosi che accompagnano i processi di combustione sono comunemente chiamati fiamme e queste sono radiazioni luminose provocate dall' energia sviluppata nella combustione.

Le caratteristiche della fiamma dipendono molto dal tipo di combustibile e dalle modalità con cui viene condotta la combustione

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B.2 - Tipologie di Fiamme

Come si è detto nella definizione di combustione, questa avviene spesso con manifestazioni luminose indicate come fiamme.

Le fiamme in effetti altro non sono che radiazioni nel campo del visibile date dalle

reazioni di combustione che si propagano nello spazio.

Gli aspetti fisici e chimici di una fiamma sono dati da diversi parametri: - tipo di combustibile,

- suo rapporto e modalità di miscelazione con il comburente,

- velocità di flusso del combustibile o delle miscele combustibile-comburente.

Per quanto riguarda le modalità di miscelazione è necessario distinguere le fiamme

in due categorie: fiamme a diffusione e fiamme premiscelate.

Le fiamme a diffusione si hanno quando la miscelazione combustibile-comburente ha luogo al momento della combustione.

Le fiamme premiscelate si hanno quando detta miscelazione avviene prima della combustione.

Esempio tipico è il bruciatore Bunsen con il registro dell' aria chiuso e rispettivamente aperto, la figura a, riportata di seguito, si riferisce a fiamme diffusive, mentre la b a fiamme premiscelate.

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Per quanto riguarda la velocità di flusso del combustibile e comburente, le fiamme

si possono distinguere in fiamme laminari e fiamme turbolente

Le fiamme sono turbolenti quando nel flusso gassoso appaiono vortici macroscopici. Le fiamme sono laminari quando, mancano detti vortici e la velocità del flusso segue un andamento parabolico raggiungendo il suo valore massimo al centro del flusso.

Per quanto riguarda poi il tipo di combustibile impiegato è evidente la differenza

che può esistere tra le fiamme: è sufficiente confrontare la combustione di un carbone in letto granulare con quella dello stesso carbone finemente polverizzato in un apparato a getto.

Diminuendo le dimensioni dei granuli di carbone ci si può avvicinare ad una fine dispersione combustibile-comburente con regolarità ed uniformità di fiamma; cosa non possibile quando il carbone viene bruciato in pezzatura grossolana su un letto.

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B.3- Il fronte di Fiamma

Nella definizione precedente si è detto che le fiamme altro non sono che reazioni di combustione che si propagano nello spazio.

Ne deriva che ha estrema importanza la velocità di propagazione del fronte di

fiamma.

Se questa velocità è tale da poter essere equiparata alla velocità del flusso gassoso (da cm/sec a m/sec) si possono realizzare fiamme stazionarie, fiamme cioè da risultare apparentemente fisse al limite dell' apparato addetto alla combustione.

Se invece la velocità di propagazione del fronte di fiamma è molto alta (Km/sec) si hanno le fiamme in movimento o libere.

Un esempio in cui si ha una velocità di propagazione lenta può essere riscontrato in un bruciatore a gas, per esempio una cucina economica, in cui la fiamma si propaga con una velocità di 1 m/s ed è stazionaria sul bruciatore, in quanto la velocità di adduzione del gas è uguale alla velocità di propagazione della zona di reazione.

Una fiamma in movimento si ha, per esempio, in un bruciatore a gas quando la velocità di uscita del combustibile è tale da provocare il distacco della fiamma stessa dalla bocca del bruciatore.

Si aprono così due campi ben distinti:

- il primo è quello di fiamme premiscelate o a diffusione ma stazionarie ( che è la base per la produzione di energia termica in campo industriale)

- il secondo è quello di fiamme premiscelate o a diffusione ma libere è la base per la realizzazione di esplosivi.

E' quindi di primaria importanza lo studio delle velocità di propagazione di una fiamma ed a tale proposito vi sono diversi metodi che permettono di avere indicazioni valide.

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Si noti infine l’estrema importanza del campo di stabilità di una fiamma stazionaria all' estremità di un bruciatore in funzione della velocità del gas e del diametro della bocca del bruciatore.

- Mentre un aumento della velocità del flusso può portare ad un distacco della fiamma dalla bocca del bruciatore, dove si può arrivare allo spegnimento della fiamma

- un aumento del diametro del tubo di adduzione e della relativa bocca del bruciatore può portare ad un ritorno di fiamma, dove si possono verificare situazioni catastrofiche, a seconda del disegno dell' apparecchio di combustione.

B.4- Chimica della combustione e teoria della

combustione

L' equazione stechiometrica di una reazione dà soltanto i prodotti iniziali e finali del processo.

Per capire meglio l' andamento della reazione bisogna considerare i prodotti che si formano durante la reazione e le modalità con cui avviene la stessa.

La modalità di accadimento è la propagazione con un andamento a catena, che dipende molto dalle condizioni di pressione e temperatura, dal rapporto tra i reagenti e dalla eventuale presenza di una terza specie (ad es. l' azoto, che si considera inerte). Nelle reazioni a catena si possono distinguere alcuni aspetti:

- le reazioni di inizio di catena, di origine termica ed altamente endotermiche, con formazione di specie attive (p. es. molecole e radicali), danno inizio ai meccanismi di combustione.

- la propagazione di catena è un processo che produce una specie attiva solo a spese di un' altra specie attiva.

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- la terminazione di catena è la distruzione o la disattivazione delle specie attive, (conseguente ad interazione con determinate specie chimiche), ricombinazione di radicali con formazione di una molecola stabile, oppure per effetto della parete del contenitore.

- la ramificazione di catena è un processo che produce più di una nuova specie attiva.

Se la velocità di terminazione è più bassa di quella di ramificazione, con produzione di nuove forme attive, la catena si propagherà tanto rapidamente che la velocità del processo complessivo raggiungerà valori assai elevati e si avrà la detonazione.

Se invece l' interazione tra le specie attive e tra queste e i reagenti non ha come conseguenza la ramificazione della catena, oppure se un trasportatore di catena interviene in altre reazioni prima di andare incontro ad una reazione di ramificazione, si ha una combustione regolare.

Allo stesso tipo di processo si perviene quando la velocità di terminazione è tanto elevata da eliminare i trasportatori di catena prima che si possano accumulare e quindi prima che il processo complessivo venga accelerato fino alle conclusioni esplosive.

B.5- Considerazioni sulla combustione di

combustibili di uso corrente

I combustibili di uso corrente possono essere di origine naturale o artificiale; questi in effetti sono derivati dai primi.

I combustibili, qualunque ne sia l' origine, possono essere divisi in tre categorie: - gassosi

o metano, l' ossido di carbonio e l' idrogeno - liquidi

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o petrolio come tale,

o miscele di idrocarburi, di peso molecolare più o meno elevato, ricavati dalla distillazione del petrolio e successivamente trattati per ottenere combustibili più idonei alle diverse applicazioni.

o combustibili liquidi che si ottengono per idrogenazione di combustibili solidi o per sintesi da idrogeno ed ossido di carbonio.

- solidi.

o il legno, la torba, la lignite, i carboni fossili, il coke.

In ogni caso, tutti questi combustibili sono in effetti costituiti da carbonio e

idrogeno, con eventuale presenza di zolfo e di altri elementi in piccole percentuali.

Gioca così un ruolo fondamentale nel caratterizzare un combustibile il rapporto H/C e nella seguente figura sono appunto riportati in un diagramma i diversi combustibili in relazione al precedente rapporto:

In appendice B è riportata la modalità di combustione dell’idrogeno puro e del carboni puro.

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La comprensione di queste è fondamentale, considerata la composizione dei diversi combustibili.

Ciò non è da prendere però alla lettera, in quanto detti elementi sono tra loro legati, oltre che in diversi stati fisici, in proporzioni diverse e con diverse forze di legame. Per esempio:

- la combustione del metano è in effetti una reazione a catena con meccanismi diversi a seconda della temperatura e del rapporto CH4/O2. I meccanismi di ossidazione sono quindi molto complessi e avvengono con formazione di radicali, tra questi OH e CH3, di atomi di H e di O, di formaldeide.

- per quanto riguarda la reazione di ossidazione dell' ossido di carbonio, secondo alcuni autori sembra che sia legata alla presenza di ozono, secondo altri si ha invece reazione tra l' ossido di carbonio e ossigeno allo stato atomico.

- nel caso di idrocarburi a più elevato peso molecolare del metano, siano essi allo stato liquido o gassoso, si passa sempre nella combustione attraverso stadi che liberano atomi o forme radicali. Comunque è sperimentalmente provato che la zona di reazione può essere divisa in due diverse aree: nella prima si forma CO ed H2O, nella seconda si ha il passaggio da CO a CO2.

- Ancora più complessi sono i meccanismi di combustione dei carboni, sui quali del resto ancora si discute. Infatti bisogna considerare la complessa struttura chimicofisica dei carboni con sostanziali differenze tra loro di composizione chimica, di struttura fisica, di qualità e quantità delle diverse forme di aggregazione del carbonio a seconda della loro origine e storia. Un' importanza fondamentale è assunta dalla granulometria del carbone, a cui è legato lo sviluppo superficiale, nonchè la stessa tecnologia impiegata per la combustione. In effetti sembra che la combustione del carbone passi attraverso l' espulsione, per effetto del calore, delle sostanze volatili che bruciano quindi in fase gassosa. La combustione dei residui carboniosi è poi legata a fenomeni di assorbimento e deassorbimento.

In appendice, per la loro importanza teorica riportiamo alcune considerazioni sulla combustione dell' ossido di carbonio e del metano.

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B.6- Parametri che caratterizzano la combustione e

rendimento

Il rendimento termico, inteso come rapporto tra calore utilizzato nel relativo processo e potere calorifico inferiore del combustibile, è anche in funzione di una corretta combustione.

Risulta evidente la necessità di conoscere a fondo tutti i parametri che caratterizzano la combustione, che sono:

- stato fisico,

- potere calorifico del combustibile, - aria teorica di combustione, - fumi teorici,

- temperatura teorica di combustione,

- temperatura di ignizione e limiti di infiammabilità, - potenzialità termica.

Per poter valutare un processo di combustione e quindi di determinarne il rendimento è indispensabile effettuare un bilancio dei materiali e delle energie del sistema combustibile-comburente.

1- Il Bilancio dei materiali

Il bilancio dei materiali in un processo di combustione è la base su cui si fonda il successivo bilancio delle energie e il rendimento di un processo di combustione.

I calcoli relativi si fondano sulla legge di conservazione delle masse e partono dalla composizione del combustibile e dalle quantità di ossigeno stechiometrico necessario al processo di combustione stesso.

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Il bilancio ha il compito di mettere in evidenza l' origine e la destinazione di tutti i materiali in gioco e determinare eventuali perdite di prodotti non combusti: si basa sulla determinazione dell' aria teorica per la combustione, dell' aria effettiva, dell' aria in eccesso, dei fumi teorici e di quelli in eccesso.

1-a. Aria teorica

Per aria teorica di combustione si intende la quantità d'aria

stechiometricamente necessaria all' ossidazione totale di un combustibile.

Ricordiamo che l'aria è costituita, con valori arrotondati, da 21 % in volume di Ossigeno e 79% in volume di Azoto (comprendendovi anche circa l' 1% di gas rari), per cui il rapporto Azoto/Ossigeno è uguale a 3,8.

L' aria teorica di combustione viene calcolata sulla base delle reazioni di combustione, o mediante la seguente formula semplificata:

{A , C , H , S , O aria ' dell t 0089 0265 00333 00334 le combustibi di per lacombustionedi1Kg mentenecessaria teorica 3 m in Volume − + + = esame in le combustibi nel presente ossigeno dell' % Valore esame in le combustibi nel presente zolfo dello % Valore esame in le combustibi nel presente idrogeno dell' % Valore esame in le combustibi nel presente carbonio del % Valore = = = = O S H C : dove

Di seguito sono riportati alcuni esempi di calcolo basati sulle reazioni, solo l’ultimo esempio sarà calcolato sia basandosi sulle reazioni che sulla formula semplificata

Per il metano:

CH4 + 2 O2 + 7,6 N2 ---> CO2 + 2 H2O + 7,6 N2 quindi per bruciare 1 Nm3 di metano occorrono 9,6 Nm3 di aria. Per bruciare 1 Kg di metano occorrono 17,3 Kg di aria.

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Per l'idrogeno:

2 H2 + O2 + 3,8 N2 ---> 2 H2O + 3,8 N2 quindi per bruciare 1 Nm3 di idrogeno occorrono 2,4 Nm3 di

aria;e per bruciare 1 Kg di idrogeno occorrono 34,6 Kg di aria. Per L'ossido di carbonio:

2 CO + O2 + 3,8 N2 ---> 2 CO2 + 3,8 N2 quindi per bruciare 1 Nm3 di CO occorrono 2,4 Nm3 di aria.

Per il carbonio, allo stato solido:

C + O2 + 3,8 N2 ---> CO2 + 3,8 N2 quindi per bruciare 1 Kgatomo di carbonio, ossia 12 Kg,

occorrono 22,4 Nm3 di ossigeno, ossia 22,4x4,8 = 107,5 Nm3 di aria; di conseguenza: per bruciare 1 Kg di carbonio occorrono 107,5/12 = 8,96 Nm3 di aria.

Per lo zolfo:

S + O2 + 3,8 N2 ---> SO2 + 3,8 N2 Quindi per bruciare 1 Kgatomo di zolfo, ossia 32 Kg, occorrono

1 Kgmole di ossigeno, ossia 32 Kg e 3,8 Kgmole di azoto, ossia 3,8x28 = 106,4 Kg. Per bruciare 1 Kg di zolfo occorrono perciò 4,325 Kg di aria.

Per una miscela generica, ad esempio 1 Nm3 della miscela gassosa: 30% CH4, 10% H2, 30% CO, 20% CO2, 10%N2:

per il metano occorre 0,3x9,6 = 2,88 Nm3 per l' idrogeno occorre 0,1x2,4 = 0,24 per l' ossido di carbonio occorre 0,3x2,4 = 0,72

Totale: 3,84 Nm3 di aria

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75% C, 5% H2, 8% S, 8% O2, e 4% N2

Si deve far riferimento alle reazioni che avvengono:

C + O2 ---> CO2 12 : 22,4 = 0,75 : X1 X1 = 1,4 2 H2 + O2 ---> 2 H2O 4 : 22,4 = 0,05 : X2 X2 = 0,28 S + O2 ---> SO2 32 : 22,4 = 0,08 : X3 X3 = 0,056

Sub Totale: 1,736 Nm3 di O2

Totale:

bisogna però tener conto dell' ossigeno già presente nel combustibile, che è 0,08 Kg; questi corrispondono a:

32 : 22,4 = 0,08 : Y ossia Y = 0,056 Nm3 di O2; Da cui:

1,736 - 0,056 = 1,68 Nm3 di Ossigeno esterno accompagnati da 6,38 Nm3 di Azoto:

Ossia: Aria = 8,06 Nm3

Ripetendo il calcolo con la formula semplificata:

At = 0,089x75 + 0,265x5 + 0,033x8 - 0,034x8 = 7,999 Nm3 valore molto vicino a quello calcolato precedentemente.

aria effettiva, dell' aria in eccesso, dei fumi teorici e di quelli in eccesso.

1-b. Aria in eccesso (eccesso d’aria)

E' necessario ora tener presente che in generale al fine di assicurare una combustione il più possibile perfetta in modo da eliminare quasi interamente la presenza di incombusti o prodotti parziali di combustione è consigliabile agire con un eccesso d' aria, eccesso che può essere più o meno elevato a seconda del:

tipo di combustibile, del suo stato fisico,

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E' evidente che per bruciare su griglia in modo completo un combustibile solido è necessaria una quantità d' aria ben superiore a quella teorica, mentre ciò avviene in misura molto minore se si brucia lo stesso combustibile solido finemente polverizzato.

1-c. Aria effettiva

L' aria effettivamente impiegata (Aeff) in una combustione è la somma dell' aria teorica e dell' aria in eccesso.

1-d. Fumi di combustione

I prodotti della combustione costituiscono i fumi.

Quelli provenienti dalla combustione con At costituiscono i fumi

teorici di combustione (Ft).

I fumi teorici più l' eccesso di aria costituiscono i fumi di una

combustione.

I fumi teorici si possono calcolare in modo semplificato utilizzando la formula approssimata: N , O , H , A Ft = t +00555 +0007 + 0008 esame in le combustibi nel presente ossigeno dell' % Valore esame in le combustibi nel presente azoto di % Valore esame in le combustibi nel presente idrogeno dell' % Valore = = = O N H : dove

Dalle equazioni di reazione sopra riportate risulta che il volume del CO2 è uguale a quello dell' ossigeno necessario alla combustione, così per lo SO2, mentre quello del vapore acqueo è uguale al doppio dell' ossigeno necessario per bruciare l' idrogeno.

Esempi:

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75% C, 5% H2, 8% S, 8% O2, e 4% N2

Rammentando i Nm3 determinati nell’esempio precedente:

CO2 = 1,4 Nm3 H2O = 0,28 Nm3 SO2 = 0,056 Nm3 Azoto (N2) = 6,38 Nm3 Azoto (N2) nel combustibile 28 : 22,4 = 0,04 : Y Y=0,032 Totale: 8,43 Nm3 di fumi teorici di combustione

Ripetendo il calcolo con la formula semplificata:

Ft = 7,999 + 0,0555x5 + 0,007x8 + 0,008x4 = 8,36 Nm3 valore molto vicino a quello calcolato precedentemente.

1-e. Calcolo dell’eccesso d’aria in funzione della composizione dei fumi

Esistono due metodi diversi per risalire dalla composizione dei fumi all’eccesso d’aria utilizzato nella combustione.

Metodo 1: Basato sulla misura della percentuale di CO2 nei fumi.

L’osservazione su cui si basa questo metodo è quella che l' eccesso d' aria oltre a favorire una buona combustione porta anche ad un maggior volume dei fumi, nei quali la CO2 si trova in percentuale inferiore.

Supponiamo allora che si ritrovi una percentuale di CO2 del 14,65; si possono scrivere le seguenti relazioni:

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% , V V V % teorici fumi CO teorico CO2 = 2 =1679 % , V V V % effettivi fumi CO effettivo CO2 = 2 =1465

Dividendo membro a membro, si ottiene:

15 1 65 14 79 16 2 2 , % , % , V V V % V % teorici fumi effettivi fumi effettivo CO teorico CO = = =

Nei casi in cui il volume dei fumi teorici sia vicino al volume di aria teorica necessaria alla combustione (caso in cui le percentuali di H contenute nel combustibile sono modeste), il rapporto precedente permette di risalire all' eccesso d' aria da una semplice misura della percentuale di CO2 nei fumi.

Metodo 2: Basato sulla determinazione della percentuale di ossigeno libero nei fumi.

Un altro metodo per calcolare l'eccesso di aria è basato sulla determinazione della percentuale di ossigeno libero presente nei fumi, ossigeno derivante evidentemente dall' aria in eccesso.

E' evidente che a tale ossigeno in eccesso corrisponde un volume di azoto proveniente dall' aria in eccesso.

Conoscendo il volume di ossigeno dell' aria stechiometrica, si può stabilire con un semplice calcolo l' aria in eccesso.

2- Il Bilancio delle energie

La necessità di conoscere detto bilancio appare chiara se si considera che da esso deriva il calcolo relativo alla resa di un processo di combustione.

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Detto bilancio che si basa sulla legge di conservazione delle energie deve mostrare l' origine e la destinazione di tutte le energie coinvolte nel processo di combustione.

Poichè però i valori energetici di tutte le correnti in gioco sono legati alle masse coinvolte, è logico che un bilancio delle energie deve essere preceduto da un bilancio dei materiali che si basa sulla legge di conservazione delle masse e deve mostrare l' origine e la destinazione di tutti i materiali in gioco.

Questo bilancio dei materiali si rifà anche alle determinazioni già viste dell' aria teorica ed effettiva di un processo di combustione, ma anche ad eventuale combustione incompleta per la presenza di incombusti nei prodotti della combustione.

Un bilancio delle energie può essere espresso in termini di entalpia o di calorie in gioco.

Per quanto riguarda sia l' entalpia che l' energia interna, queste sono funzioni di stato e quindi la loro variazione, nel corso di una reazione, non dipende dal cammino percorso, ma dai valori delle entalpie e rispettivamente delle energie interne dei reagenti e dei prodotti della reazione.

In altre parole la variazione entalpica o di energia interna di una reazione si può valutare sottraendo ai valori entalpici o di energia interna dei prodotti finali gli stessi valori relativi ai prodotti reagenti.

Quindi per una generica reazione:

3- Potere Calorifico

Si definisce come potere calorifico di un combustibile la quantità di calore sviluppata nella combustione totale da una unità di peso (kg per i combustibili solidi e liquidi) o di volume (m3 per i combustibili gassosi).

Essendo la caloria definita come la quantità di calore necessaria a riscaldare 1 grammo d' acqua da 14,5¡C a 15,5¡C, il potere calorifico si esprime in Kcal/Kg

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o Kcal/Nm3. (Volendo esprimere il calore in Joules internazionali, si ricorda che 1 caloria è l' equivalente termico di 4,1833 Joules internazionali).

L' acqua presente nei combustibili o formatasi durante la combustione, quando i prodotti della combustione stessa sono riferiti, come d' uso, a 25¡C e 760 mmHg, condensa e sviluppa calore (circa 600 Kcal/Kg).

Per i combustibili che contengono idrogeno o umidità si distinguono perciò due poteri calorifici:

- potere calorifico superiore, quando in esso si comprende il calore di condensazione dell' acqua contenuta nel combustibile o formatasi durante la combustione, (ossia quando considera l' acqua ottenuta allo stato liquido),

- potere calorifico inferiore, quando non è compreso il calore di condensazione dell' acqua (ossia considera l' acqua ottenuta allo stato di vapore).

La relazione tra i due poteri calorifici è data da:

(

)

100 9H U * 600 Pcs Pci = − + acqua. dell' ne evaporazio di latente calore acqua d' Kg 1 di ne evaporazio all' necessarie Kcalorie 600 le combustibi nel contenuto idrogeno di e percentual H le combustibi nel contenuta (umidità) acqua di peso in e percentual U : dove = = = =

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e. combustion di prodotti nei presente Kg in espressa acqua d' quantità : dove = − = n 600 n Pcs Pci

E' evidente che la differenza tra potere calorifico superiore ed inferiore varia con il grado di umidità.

Pertanto nell' indicare i due valori è sempre necessario fare riferimento allo stato del combustibile (umido, secco, ecc.).

Comunque la differenza per i carboni fossili sul secco è dell' ordine del 3%, mentre per i gas può anche superare il 7-8%.

Il potere calorifico di un combustibile generico può essere determinato :

in modo sperimentale

calcolato in modo esatto , se si conosce la composizione molecolare del combustibile, in base alle reazioni di combustione. calcolato in modo più approssimato in base all' analisi elementare,

che dà le percentuali di C, H, S ed eventualmente O ed N, se presenti. Tra le formule più conosciute vi sono le seguenti:

Pcs = 81 C + 342 (H - O/8) + 21,6 S Kcal/Kg Pci = 81 C + 288 (H - O/8) + 21,6 S - 6 U Kcal/Kg

dove:

C, H, O,S sono le percentuali in peso dei relativi

elementi

U è l' umidità del combustibile.

Il potere calorifico di un combustibile liquido oltre che secondo i metodi

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quanto non tengono nel dovuto conto le effettive energie di legame che nei diversi combustibili legano gli atomi componenti) :

Pcs = 10.300 + 22 (B• - 10)

dove

B• si indica la densità espressa in gradi Baum•.

Il potere calorifico di un combustibile solido oltre che secondo i metodi

precedenti, viene correntemente determinato dalla formula approssimata :

Pcs = 81 C + a V

dove

C e V sono le percentuali di carbonio fisso e di

sostanze volatili,

a è un coefficiente variabile tra 90 e 150, tanto più

elevato quanto più alta è la percentuale di sostanze volatili.

Ai fini pratici interessa maggiormente il potere calorifico inferiore in quanto

i prodotti della combustione vengono scaricati a temperature alle quali l' acqua è allo stato di vapore.

Facendo riferimento alle equazioni di combustione, si consideri un gas costituito dal 30% di CH4, 10% H2, 30% CO, 20% CO2 e 10% N2. In un Nm3 si ha: Per il metano 22,4 : 192.070 = 0,3 : X1 X1 = 2.572 Per l' idrogeno 22,4 : 57.950 = 0,1 : X2 X2 = 259 Per l' ossido di C 22,4 : 67.630 = 0,3 : X3 X3 = 906 (Naturalmente sia il CO2 che lo N2 non bruciano).

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X1 + X2 + X3 = 3.737 Kcal/Nm3 = Potere calorifico inferiore della miscela data.

(192.070 è il calore standard di combustione, espresso in Kcal/Kmole; analogamente 57.950 è quello dell' idrogeno e 67.630 quello del CO). Da ciò, il potere calorifico inferiore del metano è 8.575 Kcal/Nm3; per l'idrogeno è 2.587 Kcal/Nm3; per il CO è 3.019 Kcal/Nm3.

4- Temperatura teorica di combustione

Per temperatura teorica di combustione (detta anche temperatura di

fiamma) si intende la massima temperatura che potrebbe essere raggiunta se tutto il calore prodotto fosse speso per riscaldare i prodotti stessi della combustione.

In pratica questa temperatura teorica non corrisponde alla temperatura effettiva, a causa dei processi di decomposizione dei prodotti della combustione e delle inevitabili perdite di calore.

La sua conoscenza però è di enorme importanza perché ci permette di giudicare a priori se un combustibile è idoneo o meno ad una certa lavorazione.

La determinazione delle temperature teoriche massime viene effettuata

con le seguenti metodologie:

mediante l’utilizzo della seguente formula

Qi = ΣCPV(T - To)

dove

Qi = potere calorifico inferiore del combustibile CP = calori specifici medi per unità di volume a

pressione costante dei vari costituenti dei fumi

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T = Temperatura teorica di combustione To = Temperatura ambiente.

mediante un metodo grafico, che prevede il tracciamento della curva che dà la quantità di calore necessaria a portare i fumi alle diverse temperature ed identificando la temperatura che corrisponde al calore a disposizione. Tracciata la curva si cerca sulle ordinate la quantità di calore corrispondente al potere calorifico del combustibile in esame e si ritrova sulle ascisse la corrispondente temperatura massima di combustione Tc.

In pratica si impiegano i calori sensibili dei gas che costituiscono i fumi, ricordando che per calore sensibile di un gas ad una data temperatura si intende la quantità di calore necessaria per portare 1Nm3 di quel gas dalla temperatura di 0¡C alla temperatura indicata.

4- Temperatura di ignizione e limiti di infiammabilità

Per temperatura di ignizione o di accensione si intende la temperatura minima a cui deve essere portata la miscela combustibile-comburente perchè cominci spontaneamente la reazione di combustione.

Naturalmente perchè il combustibile bruci è necessario raggiungere questa temperatura di accensione ed è necessario che il combustibile sia in certe percentuali nel comburente. Queste percentuali vengono chiamate limiti di

infiammabilità inferiore e superiore.

Per ragioni di sicurezza è particolarmente importante conoscere per i sistemi gassosi i limiti di composizione nei quali l' esplosione può propagarsi nel miscuglio e conoscere a partire da quale temperatura il fenomeno può prodursi spontaneamente.

Comunque a temperatura sufficientemente elevata i miscugli gassosi esplosivi sono suscettibili di dare luogo, senza altra eccitazione, ad una deflagrazione che può, nelle condizioni convenienti, degenerare in detonazione. Detta temperatura di infiammabilità varia al variare della pressione. Qualche gas, specialmente l' ozono, l' acetilene, l' azometano e l' idrazina, composti

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fortemente endotermici, costituiscono essi stessi degli esplosivi. Ma la maggior parte dei gas infiammabili sono ottenuti da un miscuglio di vapore combustibile con un comburente, che è generalmente l' aria o l' ossigeno, talvolta il cloro ed eventualmente delle altre sostanze.

Questi gas non bruciano tuttavia in tutte le proporzioni: esiste un certo tenore inferiore e superiore in carburante al di fuori dei quali la fiamma non si trasmette indefinitamente nel miscuglio; sono i limiti di infiammabilità

inferiore e superiore;

Questi sono generalmente espressi in percento volumetrico di carburante e sono fissati soprattutto dalla composizione del miscuglio, dipendono, in una certa misura, dalla pressione, dalla temperatura, dalla purezza del miscuglio gassoso e dal suo grado di umidità, ma sono anche funzione delle condizioni operative; esiste dunque una certa imprecisione sui valori dei limiti.

Si sono ricercate delle relazioni empiriche che permettano il calcolo approssimativo dei limiti di infiammabilità, nel seguito ne sono riportate due:

Regola generica:

limite inferiore x calore di combustione (Kcal/mole) = 1059

Regola di Le Ch‰telier: propone che i limiti di infiammabilità (Lm) di un miscuglio complesso possono ottenersi, da semplice additività, a partire dai limiti per i combustibili individuali:

lità infiammabi di limiti enti corrispond i sono miscela nella li combustibi diversi dei % le sono 100 3 2 1 3 2 1 3 3 2 2 1 1 L L L P P P dove L P L P L P Lm , , , , : + + =

Come la deflagrazione, la detonazione si produce in un miscuglio gassoso solamente entro certi limiti di composizione.

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I limiti di detonabilità, che sono anch' essi soggetti a delle influenze diverse, sono assai difficili da determinare.

Quanto detto ha evidentemente una portata pratica immediata, perchè permette di riconoscere il danno che comporta la presenza di vapori combustibili nell' atmosfera ed in generale di precisare le alee associate alla manutenzione di gas suscettibili di dare miscugli gassosi infiammabili e detonanti (miscugli tonanti all' aria, miscugli tonanti al cloro, ecc.).

E' illustrativo il seguente esempio:

I limiti inferiore e superiore del benzene nell' aria sono 1,4 e 7,1% rispettivamente;

Le tensioni di vapore a cui corrispondono sotto pressione atmosferica normale: mm P mm Pi 0 54 760 100 1 7 6 10 760 100 4 1 sup nf , , , , = ∗ = = ∗ =

raggiunte per una temperatura di - 11¡C e + 13,5¡C rispettivamente Un' atmosfera omogeneamente saturata di benzene alla

temperatura ordinaria ha dunque oltrepassato il limite di

infiammabilità superiore e non è più suscettibile di esplodere. (Questo è il caso anche di un grande numero d' altre sostanze o solventi organici.)

E' sufficiente tuttavia che si stabilisca un gradiente di concentrazione, perchè si formino delle zone pericolose. Infatti, supponendo di avere una percentuale di benzene nell' aria superiore ai limiti di infiammabilità, spurgando p.es. un contenitore, si può, per effetto anche della turbolenza dell' aria, raggiungere delle zone che rientrano nel campo di infiammabilità del benzene.

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Naturalmente in tutti i casi è necessario che la miscela combustibile-comburente venga innescata (p.es. fiamma libera) o comunque opportunamente attivata (scintilla elettrica, luce, elementi catalitizzanti, ecc).

Questo esempio sottolinea non solamente i pericoli che accompagnano la comparsa di vapori combustibili nell' atmosfera, ma anche i rischi che comporta la loro eliminazione.

5- Perdite per incombusti

Le perdite in un processo di combustione in relazione ad incombusti presenti nei gas di combustione o nelle ceneri possono avere origine da diversi motivi, quali cattiva miscelazione tra combustibile e comburente, aria di combustione in difetto.

Particolare problema presenta la combustione del carbone, in quanto detta combustione avviene tra comburente gassoso (aria) e particelle solide ed è pertanto una reazione eterogenea che può essere entro certi limiti migliorata riducendo le dimensioni delle particelle di carbone. Comunque anche riducendo dette particelle a diametri di qualche millimetro ed anche operando con un equilibrato eccesso d' aria, è facile avere incombusti anche in misura superiore al 10% rispetto al carbone bruciato.

Questi incombusti possono risultare particelle di carbone come tali, particelle di carbone cokizzate od anche particelle catramose e possono risultare presenti nelleceneri che si raccolgono nell' apparato di combustione o che si ritrovano trascinate nei prodotti gassosi di combustione.

E' evidente che questi incombusti hanno l' effetto di abbassare la quantità

di calore che si svolge nella combustione e quindi il rendimento del processo di combustione.

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6- Perdite al camino

In un processo di combustione in genere i fumi vengono scaricati nell' atmosfera ad una temperatura superiore all' ambiente (in generale superiore a 200¡C) e questi gas trascinano nell' atmosfera una certa quantità di calore pari al loro calore sensibile.

Si ha che:

Più aria in eccesso = Più perdite al camino

Più alta temperatura di uscita dei gas = Più perdite al camino

7- Rendimento termico

Il rendimento termico di un processo rappresenta la percentuale del calore

fornito ed effettivamente utilizzato per un determinato scopo. In base a

questa definizione, il rendimento termico in realtà dipende sia dalla quantità di calore che viene assunta come entrante, che dal calore effettivamente utilizzato. Un valore numerico del rendimento termico non ha significato se non vengono specificate queste due quantità.

La quantità di calore entrante può essere assunta uguale alla somma delle quantità di energia entrante: questa assunzione è la più logica e, salvo specificazioni contrarie, si riterrà sempre valida. E' possibile però, in caso di necessità, far riferimento a diverse quantità entranti. In ogni caso il rendimento termico di combustione può essere riferito al

potere calorifico superiore del combustibile, ovvero al suo potere calorifico inferiore. Quest' ultimo dà un valore maggiore del rendimento e per questa ragione è preferito da alcuni.

Questo modo di procedere non è però conveniente quando l' apparecchio di combustione è in grado di recuperare una parte del calore latente del vapor d'

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acqua dai prodotti gassosi, perchè in tal caso si potrebbe avere un rendimento superiore al 100%.

Il rendimento è anche indipendente dalla quantità di calore che si considera effettivamente utilizzato. Ad esempio, una caldaia a vapore usata per il riscaldamento domestico può essere esaminata come se utilizzasse soltanto il calore ceduto all' acqua per formare vapore. D' altra parte è logico includere come calore effettivo anche l' irraggiamento della caldaia, se questo calore viene utilizzato per riscaldare l' ambiente circostante.

Un generatore di gas aria o di gas acqua produce un gas combustibile a temperatura relativamente elevata. Se questo gas può essere utilizzato mentre è ancora caldo, la sua entalpia sensibile e il suo potere calorifico dovrebbero essere entrambi considerati tra le quantità di calore effettivamente utilizzate; il rendimento dell' utilizzatore in questo caso prende il nome di rendimento termico a caldo.

Se invece il gas viene raffreddato prima dell' uso, il suo calore sensibile non è utilizzabile ed in questo caso si deve tener conto soltanto del suo potere calorifico: si parla perciò di rendimento termico a freddo.

In conclusione, possiamo dire che il rendimento della combustione R è dato dal rapporto fra le calorie utilizzate U e quelle disponibili Q, cioè:

perdute Calorie P dove Q P Q Q U R = − = = :

Le perdite sono dovute a:

calore sensibile dei fumi, cioè dal calore asportato dai gas che vanno al camino;

eccesso d' aria, in quanto fa aumentare il volume dei fumi prodotti per unità di combustibile bruciato ed accresce così le calorie da essi asportate attraverso il camino;

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calore latente del vapore d' acqua; poichè i gas escono a temperatura di alcune centinaia di gradi, l' acqua si trova allo stato di vapore; ciò comporta, oltre ad una perdita per calore sensibile anche la perdita del calore latente di condensazione, che è di circa 600Kcal/Kg d' acqua o 400 Kcal/Nm3 di vapor d' acqua;

combustione incompleta; può dipendere da componenti incombusti o solo parzialmente bruciati, da fuliggine, da particelle di combustibile perdute nelle ceneri, ecc.;

calore delle ceneri; nel caso di combustibili solidi le sostanze minerali presenti formano un residuo che prende nome di ceneri; queste vengono allontanate dalla camera di combustione ancora calde e quindi occorre tener conto del calore sensibile che con esse si perde. Inoltre tali ceneri spesso inglobano particelle carboniose, a volte subiscono trasformazioni chimiche o fisiche accompagnate da effetti termici (dissociazione di carbonati, volatilizzazione di componenti, fusione delle ceneri stesse, ecc);

perdite per irraggiamento,dispersioni varie, ecc.; dovute alla natura delle pareti della camera di combustione, alla differenza di temperatura fra le pareti esterne e l' ambiente circostante, ecc.

Tra queste perdite citate particolare importanza assumono le perdite al camino e le perdite per incombusti.

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B.7- Analisi della combustione a seconda delle fasi

dei reagenti

Con il termine combustione si designa un articolato processo chimico che, a partire da due gruppi di sostanze, denominate rispettivamente combustibile e ossidante , attraverso più reazioni chimiche consecutive perviene ad un prodotto finale, rilasciando calore.

Affinché tale reazione chimica avvenga è necessario che i due composti vengano in contatto fra loro

A seconda della fase in cui i composti si trovano, le modalità di attivazione e di svolgimento della reazione di combustione saranno diverse. Si possono presentare così i seguenti casi:

- il combustibile è in fase liquida (in genere si hanno miscele di idrocarburi allo stato liquido)

- il combustibile è in fase solida - il combustibile è in fase gassosa

Poiché le molecole del combustibile e dell’ossidante vengono in contatto fra loro più velocemente in fase gas, la maggior parte dei processi di combustione avviene in questa fase ed in modo omogeneo.

Per lo sviluppo del modello d’interesse, si dovrà prestare particolare attenzione proprio a quest’ultimo caso, ma per una comprensione di base dell’ intero processo di combustione, nel seguito si tracceranno brevemente i concetti fondamentali legati a tutti e tre i casi sopra riportati.

B.7.1 – La combustione di liquidi

La combustione di miscele di idrocarburi allo stato liquido è un processo di grande importanza, constatato che un terzo della produzione di energia a livello mondiale è ottenuto in questo modo.

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Nelle quasi totalità delle tecnologie di combustione , il combustibile liquido è atomizzato ed alimentato nella camera di combustione sotto forma di spray. Così, ogni singola gocciolina, è sottoposta in genere a:

- riscaldamento - evaporazione - pirolisi

- ossidazione in fase liquida - ignizione

- combustione dei vapori generati e della matrice solida residua

La rilevanza dei processi suddetti dipende sia dalla natura chimico-fisica del combustibile, sia dall’interazione fisica (fluidodinamica e/o termica) della gocciolina con i flussi di aria comburente o dei prodotti gassosi di combustione.

I modelli di analisi di questa tipologia di combustione in genere si basano sulle seguenti assunzioni:

- la cinetica chimica dell’ossidazione e pirolisi del combustibile è riconducibile in prima approssimazione, a quella del vapore in fase gas e quella di solidi per l’aliquota condensata

- sia la generazione dello spray che l’interazione di questo con i flussi di aria ( che assicurano la stabilità della fiamma e il completamento della combustione) sono fenomeni che non possono essere descritti in modo deterministico. Si ha infatti a che fare con un campo di moto tridimensionale e turbolento, con notevole aliquota di ricircolazione, il cui accoppiamento con lo spray liquido determina la “struttura” della fiamma.

In ogni caso, l’individuazione dei fenomeni che controllano il processo può essere effettuata considerando la combustione di una singola goccia di combustibile puro ( o di una miscela di composti ben identificati di basso peso molecolare) in atmosfera

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In queste condizioni ideali si può dire che la fiamma è essenzialmente di tipo diffusivo, infatti:

- il combustibile evapora dalla superficie della goccia e diffonde verso il fronte di fiamma

- mentre l’ossigeno si muove dall’ambiente circostante verso il fronte di fiamma. La forma della fiamma che circonda la goccia può essere sia sferica che non, a seconda della velocità del flusso che investe la goccia stessa e del contributo convettivo del flusso.

La velocità alla quale la goccia evapora è in genere determinata dalla velocità di trasferimento di calore dal fronte di fiamma alla superficie della goccia. In altre parole, le trasformazioni chimiche possono essere considerate così veloci che la velocità di combustione è controllata essenzialmente dalla velocità di trasporto di materia e calore.

B.7.2 – La combustione dei solidi

Il combustibile solido maggiormente utilizzato, sopratutto nelle centrali termoelettriche, è il carbone.

Il carbone è un combustibile solido organico, non omogeneo, formato dalla decomposizione e metamorfosi di materiale di origine vegetale, che può essere caratterizzato in vari modi:

- analisi petrografica: si determinano le componenti petrografiche mediante analisi al microscopio ottico (vitrinite, clarinite, fusinite, inertinite, etc.)

- analisi elementare: con opportune metodologie si valutano le frazioni in peso di dei diversi elementi che lo costituiscono.

- analisi immediata: si determinano carbonio fisso, volatili, ceneri ed umidità (ad es. mediante analisi termogravimetrica)

Le tipologie di combustione a cui può esser soggetto il carbone sono:

- combustione diretta che ne assorbe la maggior parte del consumo. Questa può essenzialmente avvenire in tre diversi modi:

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i. a polverino di carbone ( particene 10-100 u.m); ii. a letto fluido (particene 1-5 mm)

iii. a letto fisso (pezzatura 1 -5 cm)

- combustioni che comportano la conversione del carbone a prodotti diversi (gasificazione, cokificazione, liquefazione).

Considerando la combustione diretta, si ha che, in analogia alla combustione dei liquidi, anche il carbone va ridotto a dimensioni opportune prima di essere bruciato (mulini, polverizzatori, etc.).

Nel caso di bruciatori a polverino, si alimenta il combustibile tramite un getto di aria di trasporto: le particelle di carbone, che devolatilizzano mentre si scaldano, rendono il getto molto simile ad uno spray.

Ogni singola particella è sottoposta in genere a tutta una serie di fenomeni che possono avvenire contemporaneamente e/o in serie:

- riscaldamento, - devolatilizzazione, - combustione dei volatili, - ignizione

- ossidazione del char,. etc.

La rilevanza relativa dei processi suddetti dipende, come già visto per i liquidi, dalla: - natura chimico-fisica del combustibile

- dalla interazione fisica (fluidodinamica e/o termica) della particella con i flussi di aria comburente o dei prodotti gassosi di combustione.

Anche nel caso di un bruciatore a carbone polverizzato, l'interazione del getto contenente il polverino di carbone con i flussi di aria che assicurano la stabilità della

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fiamma e il completamento della combustione, è un fenomeno che non può essere descritto in modo deterministico. Si ha a che fare con un campo di moto tridimensionale turbolento, con notevole aliquota di ricircolazione, il cui accoppiamento con il getto di polverino disperso determinerà la "struttura" della fiamma.

Nel caso del carbone, infine, esistono altri fattori che complicano ulteriormente il processo di combustione, di cui si daranno alcuni cenni. Una trattazione dettagliata delle problematiche connesse alla combustione di carbone esula dalle finalità di questo testo.

B.7.3 – La combustione dei gas

Considerando quindi combustibili e ossidanti in fase gassosa, a seconda delle modalità con cui vengono in contatto si hanno diverse tipologie di combustione:

- se le miscele sono già formate al momento della reazione di combustione, si dice che le fiamme sono premiscelate

- se il miscelamento e la reazione avvengono simultaneamente, si dice che le fiamme sono a diffusione

Dato che la reazione di combustione è accompagnata da rilascio di calore, da cambiamenti nella fluidodinamica del sistema e da trasformazioni di molte specie chimiche, la velocità dell’intero processo è funzione:

- della termodinamica - della cinetica chimica - della fluidodinamica

E’ quindi lecito chiedersi se fra questi complessi fenomeni ve ne sia uno che controlli in modo più pesante degli altri la velocità dell’intero processo, e in caso affermativo, quale sia.

Studi approfonditi hanno evidenziato come le reazioni chimiche che avvengono durante la combustione siano in generale così veloci da non condizionare la velocità

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dell’intero processo, sarebbe allora possibile descrivere la combustione senza analizzarne in dettaglio il chimismo.

La maggior parte del decorso del processo di combustione è allora, con buona approssimazione, determinata da fattori fisici:

- il movimento del mezzo in cui avviene la combustione - il trasporto di materia e calore

Quindi, l’attenzione sarà maggiormente proiettata sulla fisica del flusso presente nel processo. Sia che le fiamme siano pre-miscelate, che a diffusione, il flusso può assumere un moto di tipo laminare o turbolento.

Si parlerà così di fiamma (pre-miscelata o diffusiva) laminare e fiamma (pre-miscelata o diffusiva) turbolenta.

La fiamma (pre-miscelata o diffusiva) laminare è più lenta di quella turbolenta e in generale facilmente modellabile.

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