«ESPERTI, TESTIMONI E ARTEFICI DI COMUNIONE»
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La comunità salesiana - nucleo animatore
Introduzione. - I. Una nuova fase nella nostra vita comunitaria. - 1. Attese concentrate. - 2. Nucleo animatore. - 3. Punto di arrivo. - 4. Il momento attuale. - 5. Il modello di riferimento. - II. Un itinerario comunitario per diventare nucleo animatore. - 1. Ridisegnare la missione. - 2. Vivere e proporsi di comunicare una spiritualità. - 3. Fare della comunità salesiana una “fami
glia” capace di suscitare comunione attorno alla missione salesiana. - 4. Dare alla azione edu
cativa nostra e della CEP il dinamismo missionario del “Da mihi animas”. - 5. Vita fraterna e lavoro pastorale per crescere. - Conclusione.
Roma, 25 m arzo 1998 Solennità dell ’A nnunciazione del Signore
Carissimi,
L ’anno 1998 vede tu tte le Ispettorie im pegnate nella p rep a
razione e nello svolgimento dei Capitoli Ispettoriali. Ѐ u n a g ra
zia distrib uita dal Signore con generosità tra le n ostre nov an tu no circoscrizioni, che si riv erserà sulla vita dell’in te ra Congre
gazione. Non pensiam o questi Capitoli come scadenze giuridi
che o solo come assemblee deliberative. Sono p er noi esperien
ze, celebrazioni e m om enti di rilancio della com unione che ci unisce nella consacrazione religiosa e nella missione giovanile.
I Capitoli Ispettoriali rifletteran n o e indicheranno linee ope
rative sulla partecipazione dei laici al carism a salesiano e quin
di su u n a responsabilità maggiore di anim azione che si va dise
1 “Religiosi e Prom ozione U m ana” 24, in La vita fraterna in com unità n. 10
gnando p er noi. In ta l senso sono chiam ati a dare u n contributo che segnerà il nostro futuro.
Questo avvenim ento di Congregazione si inserisce in u n mo
vim ento ecclesiale che è im m ediatam ente osservabile a ttra v er
so i sei Sinodi che precedono il Giubileo: la realizzazione visibi
le e operativa della com unione secondo le nuove dim ensioni del
la Chiesa e del mondo. Ne ho avuto esperienza personale nel Si
nodo dell’America cui ho preso parte insieme con altri.
Ciò m i h a suggerito l ’argom ento di q u esta le tte ra che vi consegno come stimolo alla riflessione piuttosto che come p re
sentazione com pleta del tem a, d ata la v astità e complessità che esso presenta.
La m ia recente visita in Africa per l’erezione di due nuove Vi
sita to n e 2, è stata, se mai ce ne fosse bisogno, u n a nuova prova del
le potenzialità che ci sono nella vita fratern a “salesiana”, quella cioè secondo lo spirito e stile delle origini, codificati oggi nelle Co
stituzioni e Regolamenti: potenzialità per ciascuno di noi, per la missione, per i giovani che vengono ai nostri ambienti, per coloro che sono disposti a collaborare con noi, per il popolo. Ѐ quindi giu
stificato dargli, in questo momento, u n a attenzione particolare.
I. Una nuova fase nella nostra vita comunitaria.
1. Attese concentrate.
Gli u ltim i Capitoli G enerali hanno form ulato orientam enti e proposte organiche per l’educazione dei giovani alla fede3 e per la partecipazione dei laici alla missione salesian a4. La realizza
zione di tali proposte richiede di dare vita ad alcune realtà ad esse intim am ente collegate: la costituzione della com unità edu
2 Africa Tropicale E quatoriale (ATE) e Africa Francofona Occidentale (AFO) 3 cf. CG23
4 cf. CG24
cativo-pastorale, la sua anim azione da p arte del gruppo di Sale
siani, la le ttu ra della situazione e della m en talità giovanile a t
tuale, l’elaborazione del progetto educativo pastorale. L ’insie
me configura il “modello” pastorale, secondo il quale in ten d ia
mo agire, con le indicazioni operative p er affrontare il m om en
to presente in fedeltà al criterio del Sistem a Preventivo.
Leggendo questi orientam enti, anche solo con u n m inim o di attenzione, si percepisce subito che la possibilità di tra d u rli in pratica poggia su un fattore che si ritien e saldo e quasi sconta
to: la c o m u n ità sa lesia n a .
La com unità in fatti è in v ita ta a leggere le sfide che vengono dai giovani ed a pensare il cam m ino da proporre perché la loro fede m aturi. La com unità è chiam ata poi a vivere e com unicare u n a spiritualità, senza la quale sono inutili gli sforzi p er m ette
re i giovani a contatto col m istero di Gesù. E alla com unità si affida il compito di convocare, coinvolgere, corresponsabilizzare e form are i laici.
La com unità è onnipresente negli orientam enti, anche se non sempre ne costituisce esplicitamente il tema. Ѐ il soggetto ed il p ri
mo destinatario delle proposte. Ad essa ci si rivolge e ci si affida.
Se ne trova u n riscontro p erm an en te nei convegni e nei do
cum enti in cui si studiano le condizioni della n o stra fecondità vocazionale, della n ostra significatività, del nostro rinnovam en
to. Dopo aver cercato che cosa fare sul problem a in questione, dopo aver compreso il come ed il perché farlo, quando si appro
da alla dom anda su chi lo può realizzare, la conclusione ricor
ren te è: ci vuole una com unità che ... e seguono le condizioni.
A quale com unità si riferiscono queste attese? Alla com u
n ità locale, a quella ispettoriale o a quella mondiale? Vengono intesi sem pre i tre livelli che operano insiem e e in m an iera in tercom unicante, come indicano le Costituzioni: «Le com unità locali sono p a rte viva della com unità ispettoriale»5; «La profes
sione religiosa incorpora il salesiano nella com unione di spirito,
5 Cost 58
di testim onianza e di servizio che la Congregazione vive nella Chiesa universale»6, vale a dire nella com unità mondiale.
E sam inando però meglio le deliberazioni dei due ultim i Ca
pitoli G enerali si scorge che il punto focale, quello da cui si p a r
te e a cui si ritorna, è la com unità locale. Ad essa si assegnano i compiti più num erosi e più determ inanti. All’Ispettoria si chie
de di assicurare le condizioni perché le com unità locali funzio
nino, progettare la m issione nel territorio, anim are, dando ap
poggio e stimolo, e creare u n a comunicazione arricchente tr a le com unità locali.
N on si m etto n o in q u e stio n e l’id e n tità , l ’organizzazione m ondiale o gli o rien tam en ti che garantiscono la n o stra u n ità e gli spazi di creatività p er ogni singola Ispettoria. Stimoli, indi
rizzi e sussidi prodotti dai Capitoli e dal Consiglio G enerale non solo sono abbondanti, m a traducono fedelm ente il rinnovam en
to ecclesiale ed appaiono adeguati al tem po che viviamo.
Ciò a cui p rim ariam en te si guarda e su cui ci si m isura è la vitalità, la capacità di reazione di quelle che possiamo chiam are le cellule o gli organi della Congregazione: le com unità locali e, in funzione di esse, quelle ispettoriali.
Non è difficile capirne i motivi. Le com unità locali sono il luogo del nostro quotidiano: lì esprimiamo la n o stra vita consa
c ra ta e la q u a lità del n o stro im pegno p er l ’educazione. Esse vengono a contatto diretto con i giovani e la gente; sentono le situ azio n i su lla p ro p ria pelle e devono p en sa re alla te stim o nian za di vita e alle iniziative apostoliche con cui rispondervi.
N ella com unità locale le indicazioni operative hanno il banco di prova: se ne può verificare la validità e valu tare se sono pratica
bili nelle nostre a ttu a li condizioni.
C’è u n ’a ltra ragione. Solo coinvolgendo le com unità locali si possono im pegnare tu tti o alm eno il maggior num ero di confra
telli nello sforzo di rip e n sare u n a pedagogia della fede e un a nuova dinam ica com unitaria. Ai livelli ispettoriali e m ondiali
6 cf. Cost. 59
vengono im pegnati pochi confratelli, sebbene le loro funzioni siano di grande p o rtata e incidenza.
La com unità dunque, in p artico lare quella m essa sotto lo sguardo diretto di giovani e popolo, in cui si snoda il nostro vi
vere quotidiano, è il punto dove vengono a concentrarsi le g ran di attese di significatività e di efficacia apostolica.
Le attese di significato sono espresse bene dalle prospettive teologiche di cui sono ricchi ta n to il docum ento L a vita fraterna in com unità \ quanto la p a rte dell’Esortazione Apostolica Vita Consecrata dal titolo «Signum fraternitatis». Sono pagine da r i
m editare p er e stra rn e sem pre nuove m otivazioni sp iritu ali e pratiche: im m agine della T rin ità, segno della com unione eccle
siale, m anifestazione profetica della sequela, scuola dell’am ore cristiano, luogo dove si fa esperienza di Dio.
Le attese “salesiane” sono state anche raffigurate in im m a
gini che rendono im m ediatam ente l ’idea delle esigenze e dei r i
sultati: la com unità è e si costruisce come famiglia-, diventa se
gno, scuola e ambiente di fede-, la pensiam o come luogo privile
giato per la formazione continua.
In c o n tin u ità con q u este im m ag in i il CG24 ne h a fa tto em ergere con particolare forza u n a che corrisponde alla fase di rinnovam ento che stiam o percorrendo, anzi ne è la chiave di volta, il motore: n u c le o a n im a to r e.
Su di essa in particolare m i voglio sofferm are in q u esta le t
tera, riprendendo dalla sua an g o latu ra le altre dim ensioni della comunità.
2. Nucleo animatore.
È ormai u n a espressione corren te del nostro vocabolario. In dica u n caposaldo nella n o stra m an iera a ttu a le di concepire il lavoro pastorale, intim am ente collegato con altri non m eno im
7 cf. L a vita fra te rn a in com unità, “C ongregavit nos in u n u m C h risti a m o r”, Congregazione p er gli Istitu ti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Roma 2 febbraio 1994.
p o rtan ti, come la partecipazione dei laici alla missione, la cre
scita della com unità educativa, l ’elaborazione del progetto, la condivisione dello stile pedagogico, la comunicazione della spiri
tu a lità salesiana.
Con questi forma un “sistem a”, per cui essi non sono possibi
li se non si realizza quanto si afferm a del nucleo anim atore. E vi
ceversa non si capiscono i fini e il senso pratico dell’espressione
“nucleo an im ato re” se essa non viene riferita a tu tto il “sistem a”.
Lo esprim e bene l ’articolo 5 dei Regolamenti generali, inserito in quella sequenza di indicazioni che guidano la n o stra prassi peda
gogica e pastorale: «L’attuazione del nostro progetto richiede in ogni am biente e opera la formazione della com unità educativa pa
storale. Il suo nucleo anim atore è la com unità religiosa»8.
La frequenza dell’espressione nei Capitoli 23Q e 249, le spe
ranze che si riversano sulla su a comprensione e sul suo funzio
n am en to h anno g iu stam en te richiam ato l ’attenzione dei con
fratelli. Essi hanno capito che è urgente m ettersi a tra d u rre in p ratica le afferm azioni capitolari. Ed essendo ancora in fase di dissodam ento, pongono interrogativi quanto alla concezione e quanto alla realizzazione.
Ritengo più che giustificate le non poche domande di chiari
m en to che vengono riv o lte a m e e ai m em b ri del Consiglio quando abbiam o la fo rtu n a di incontrarli. Riprendo volentieri alcune di tali domande, osservando tu tta v ia che nelle risposte non si trovano soluzioni di uso im m ediato e universale. Sono invece u tili come p u n ti di intesa, come raccolta di esperienza già fa tta e come stimolo a continuare la ricerca, la sperim enta
zione e la codificazione della prassi.
Che cosa intendiam o p er “nucleo an im ato re”? Ѐ u n gruppo di persone che si identifica con la missione, il sistem a educativo e la sp iritu a lità salesiana e assum e solidalm ente il compito di convocare, m otivare, coinvolgere tu tti coloro che si interessano di u n a opera, per form are con essi la com unità educativa e rea
8 Reg. 5
lizzare u n progetto di evangelizzazione ed educazione dei giovani.
Il pun to di riferim ento p er questo gruppo è la c o m u n ità sa le s ia n a . Ciò vuol dire che i Salesiani, tu tti e sem pre, sono parte del nucleo anim atore. Ciascuno, anziano o giovane, d ire t
tam en te impegnato in funzioni operative o in riposo, dà il con
trib u to che la sua preparazione o situazione consentono.
Vuol dire pure che i laici ne fanno p arte secondo le condizio
ni elencate precedentem ente.
Vuol dire persino che il nucleo locale può essere form ato principalm ente da laici, avendo sem pre alle spalle u n supporto sufficiente, sul posto o n ell'Ispettoria, da parte dei Salesiani. Ciò capita nelle opere che nell’ultim o tem po abbiam o dovuto anim a
re attraverso u n a tutela, u n patrocinio o presenza di garanzia.
Va sottolineato che la com unità “salesiana”, il suo p atrim o
nio spirituale, il suo stile pedagogico, i suoi rap p o rti di fratel
lan za e di corresponsabilità n ella m issione ra p p re se n ta n o in ogni caso il modello di riferim ento p er l ’id e n tità pastorale del nucleo anim atore.
La m odalità di riferim ento sulla quale si p u n ta, che si deve tendere a realizzare nei piani ispettoriali di ricollocazione e r i
dim ensionam ento, è quella in cui la com unità salesiana è p re sente, in num ero e qualità sufficienti, per anim are, insiem e ad alcuni laici, u n progetto e u n a com unità educativa, am m etten do che essa consente var ietà di realizzazioni quanto a num ero di confratelli e funzioni.
La seconda modalità, quella in cui solo i laici costituiscono il nucleo anim atore immediato, è di complemento: è u n a possibi
lità a p e rta che risolve casi speciali sia del personale sia delle iniziative e guarda sem pre il “nucleo salesiano” come modello carismatico per ispirarsi e per appoggiarsi ad esso.
3. Punto di arrivo.
Con riferim ento alle p reced en ti indicazioni, qualcuno do
m anda se si tr a tta di u n a necessità o di u n a scelta. Si deve dire
che il camm ino della Chiesa, i cam biam enti nella società con ri
flessi n ell’area educativa, i tem pi di ripensam ento e verifica da p arte nostra, hanno confluito sul concetto di com unità - nucleo anim atore con la forza dell’evidenza. Oggi non sono in causa le convinzioni e gli o rie n ta m e n ti in m erito, m a le realizzazioni concrete e le nostre capacità p er m etterle in atto.
C onviene rich iam are, sep p u re p er accenni, i m otivi delle scelte perché suggeriscono atteggiam enti utili.
Le iniziative educative e pastorali oggi sono diventate aper
te e si reggono su criteri di partecipazione. Vi lavorano num ero
si laici che, a u m e n ta ti n e ll’u ltim o tem po, costituiscono u n a
“m aggioranza num erica”; intervengono genitori e collaborato
ri; si collegano ad organism i civili e ad altre agenzie educative;
si aprono al quartiere e ad u n a rete di amici e sostenitori: è un mondo di gestione complessa nel quale non tu tto si può fare di
re tta m e n te e che richiede delle responsabilità com plem entari e svariate competenze.
M entre gli am bienti educativi tradizionali acquistano nuove dimensioni, gli spazi e le iniziative per raggiungere i giovani, con program m i adeguati alle loro diverse condizioni, si diversificano e si moltiplicano. Da u n a p a rte si è richiesti di gestire am bienti sem pre più grandi, complessi e articolati; dall’a ltra c’è il richia
mo di nuovi campi educativi provocati dai bisogni e povertà a t
tuali. Ciò h a com portato e com porta non solo maggiori forze dal pun to di v ista num erico, m a più competenze e più collegamenti in ogni direzione secondo la n a tu ra complessa della società.
T u tto questo però è stato solo il detonante. La ragione de
te rm in a n te che ci h a p o rtato a concepire la com unità come n u cleo anim atore è la nuova stagione che vive la Chiesa. Essa ri
vela u n a acu ta consapevolezza di essere comunione con Dio e tr a gli uom ini e prende la comunione come via principale per realizzare la salvezza dell’uomo.
Ciò no n può non p ro d u rre notevoli modifiche nella prassi pastorale. T u tto acquista senso e dimensione alla luce della co
m unione. Le com unità ecclesiali diventano soggetti solidali del
la missione. Al loro interno vengono valorizzate le vocazioni dei religiosi, dei m inistri ordinati e dei laici, secondo il dono specifi
co che lo Spirito ha dato a ciascuno. Le loro rispettive esperien
ze interagiscono arricchendosi e vengono im pegnate insiem e nella evangelizzazione, che ris u lta “nu o v a” anche per questo elem ento: il soggetto ecclesiale che la compie, nel quale oggi emerge l’im portanza del laicato.
Non è stato u n cammino breve. Il travaglio preconciliare, la riflessione del Concilio, lo sforzo di reim postare la vita ecclesia
le e la pastorale nel post-Concilio, la sintesi do ttrin ale e la p ra tica m a tu ra ta in questi anni che ci portano verso il duemila, i Sinodi sui laici, sui m inistri ordinati e sulla vita consacrata e le conseguenti Esortazioni Apostoliche hanno chiarito come le di
verse vocazioni si completano, si arricchiscono, si coordinano;
anzi, non riescono ad avere u n a originale id e n tità se non nel vi
cendevole riferim ento all’in tern o della com unione ecclesiale.
Noi, d ’a ltra parte, vediamo qu esta form a di essere religiosi e di lavorare per i giovani nel m om ento nascente della Famiglia Salesiana. Fin dall’inizio Don Bosco coinvolge m olte persone con la sua testim onianza e la novità del suo lavoro, suscita ade
sione da p a rte di ecclesiastici e laici; a ttira verso la sua opera uom ini e donne che lo aiutano a fare catechism o, a m ettere su scuole e laboratori, ad anim are il cortile, a sistem are i più biso
gnosi presso qualche onesto p ad ro n e. Con essi d à origine a gruppi e forme occasionali di cooperazione.
Quando vede la necessità di accogliere alcuni giovani in ca
sa, crea u n a famiglia con la collaborazione di M am m a M arghe
rita, con la quale condivide il governo della casa. Il suo disegno è l’unione di tu tti i “buoni” e l ’allargam ento m assim o della col
laborazione. Sogna q u esta collaborazione, la propone, si dà a realizzarla con inviti orali, am icizia e le tte re 9.
Presto giunge a convincersi della necessità dei “consacrati”:
8 cf. B ra id o E, II progetto operativo d i D on B osco e l ’u to p ia della società cristia n a , LAS Roma 1982, pag. 11
e non solo perché la c o n tin u ità dell’opera richiedeva persone in teram en te disponibili p er i giovani, m a per la qualità “religio
sa ” dell’educazione che gli stava tanto a cuore da volerne a ca
po u n sacerdote. Non si tra tta v a in fatti soltanto di liberare i giovani da u n a situazione di povertà economica o di prepararli alla vita con gli studi e l ’apprendim ento di un m estiere; nem meno soltanto di educare il senso religioso o la coscienza; m a di farli in co n trare con Gesù Cristo vivo attraverso la grazia della fede, l’efficacia dei sacram enti e la partecipazione nella comu
n ità ecclesiale.
Le vocazioni “alla consacrazione” erano da trovare tr a i suoi giovani stessi. Così ne cominciò a rad u n are alcuni, li invitò a form are u n a Società; chiese loro di restare con Lui per sempre, di im pegnarsi in u n ’opera di carità a tempo pieno e a piena esi
stenza, di votare la propria vita alla sequela di Cristo obbedien
te, povero, casto per u n servizio fedele a Dio e ai giovani.
Il nostro carism a vede dunque la luce in u n contesto di co
m unione “fam iliare ed ed u cativ a”, anim ato da u n a a p e rtu ra quasi senza lim iti alla collaborazione nel bene a cerchi diversi, con u n preciso disegno di creare cooperazione, solidarietà e co
m unione.
4. Il momento attuale.
Negli ultim i tem pi si è riflettu to parecchio sulla com unità consacrata.
In teressav a la q ualità della vita frate rn a in riferim ento alle esigenze legittim e che oggi emergono nelle com unità, alle con
dizioni di vita che esse richiedono, alle nuove possibilità di ra p porto e comunicazione che si scorgono come conseguenza della cu ltu ra, del rin n o v am en to ecclesiale e dell’a ttu a le sensibilità delle persone.
In teressav a, anche e m olto, il servizio alla com unione cri
stia n a ed u m a n a che le com unità consacrate sono chiam ate a svolgere nel particolare m om ento della Chiesa (evangelizzazio-
ne, ecumenismo, dialogo interreligioso) e di fro n te alla tem pe
rie del mondo (pace, comunicazione, riconciliazione, conflitti e t
nici, carattere interculturale della società, globalizzazione).
I due livelli si intrecciano; sono interdipendenti: si diventa
“esp erti” di comunione attrav erso u n ’esperienza di fra te rn ità in Cristo. Perciò l ’uno trascin a l’altro; vanno tu tti e due risve
gliati e rinnovati in u n a fase in cui la com unità deve fare i con
ti con alcune condizioni.
U na è la sua composizione attuale: dim inuisce il num ero di m em bri nelle singole com unità e in alcuni casi si è al lim ite. Ol
tre che trovarsi in num ero esiguo, i confratelli appartengono a diverse generazioni; a volte, è p re p o n d e ran te la p resen za di persone attem pate ed anziane. Ciò non ra p p re se n ta uno svan
taggio, so p rattu tto se viene vissuto in modo positivo, come pos
sibilità di dare maggiore responsabilità al singolo, per quanto rig u ard a il num ero ridotto; e come o p p o rtu n ità di interscam bio e di esperienza carism atica tr a le generazioni, n el caso della presenza preponderante degli anziani. C ertam ente però u n a ta le composizione richiede nuova capacità di rap p o rti ed a d a tta m enti vari.
U n secondo elem ento d a considerare rig u a rd a il rapporto che si sta creando tra com unità e opera apostolica. In qualche p a rte non si h a più la responsabilità esclusiva dell’opera; non tu tti i componenti della com unità religiosa sono coinvolti in es
sa; sovente sono distribuiti nei diversi setto ri con poca com uni
cazione tra di loro. Si sente la sproporzione tr a personale reli
gioso e dimensione dell’opera. C’è, di conseguenza, abbondante interscam bio di idee e condivisione di responsabilità tr a i reli
giosi ancora attivi ed i laici che collaborano e m eno con i m em bri della com unità religiosa. In m olti casi in o ltre il sovraccarico di funzioni allontana alcuni confratelli dal ritm o regolare di in contro con la com unità.
U n terzo elem ento è il m aggior inserim ento della com unità nella dinamica di Chiesa e u n a maggior a p e rtu ra al contesto so
ciale. La v ita con sacrata viene v ista non come u n “ritir a r s i”
dalle questioni che interessano l’uomo, m a come un inserirsi in esse con u n contributo originale e per u n a missione specifica.
Di conseguenza c’è u n m oltiplicarsi di relazioni e interscam bi con l’esterno. Il tem po per la com unità è m inore ed essa è meno raccolta e p ro tetta, più a ttra v ersa ta dalla complessità della vita e dagli stim oli dell’am biente. Com plessità, avvenim enti, te n denze, im m agini penetrano attraverso i mezzi di comunicazio
ne sociale sem pre più individualizzati e sfidano non solo la qua
lità e la frequenza dei rapporti, m a anche la capacità di giudizio evangelico della com unità.
Il fa tto p iù im p o rta n te rig u a rd a però il passa g g io da lla insistenza su lla vita in com une a quella su lla fraternità, de
te rm in a to dalle circostanze di lavoro e dalle nuove dom ande delle persone.
I due term ini, vita comune e vita fraterna in com unità, re n dono im m ediatam ente l ’idea. Se ne distingue quindi con facilità la diversa p o rtata. “Vita in com une” vuol dire “abitare insieme nella p ro p ria casa religiosa legittim am ente co stitu ita” e com
piere insiem e gli stessi a tti (pregare, m angiare, lavorare, ecc.) secondo le stesse norme. Per la vita comune è im portante ra d u narsi fisicam ente.
“V ita fra te rn a in com unità” vuol dire an zitu tto accoglienza della persona, qualità dei rap p o rti interpersonali, amicizia, pos
sibilità di vero affetto, gioia di stare e lavorare insieme, parteci
pazione a ttiv a di tu tti alla vita del gruppo. Oggi badiam o di più all’unione delle persone, alla profondità dei rapporti, all’aiuto e appoggio vicendevole, alla valorizzazione e ruolo attivo di cia
scuno, alla convergenza degli intenti.
V ita com une e fr a te rn ità sono collegate. «Ѐ chiaro che la
“vita fr a te rn a ” non sarà autom aticam ente realizzata dall’osser
vanza delle norm e che regolano la vita comune; m a è evidente che la vita in com une h a lo scopo di favorire intensam ente la vi
ta fra te rn a » 10.
10 L a vita fraterna in com unità, n. 3
Bisogna trovare un equilibrio: non p u ra com unione di spiri
ti in modo che si svalutino le m anifestazioni della vita comune;
non ta n ta insistenza legale sulla v ita comune da far porre in se- cond’ordine gli aspetti più sostanziali della fra te rn ità in Cristo:
«Amatevi gli u n i gli altri. Da questo conosceranno che siete miei discepoli» n.
Le nostre Costituzioni aiutano a com prendere e a realizzare questo equilibrio e fusione dei due aspetti. Ci dicono che abbia
mo m om enti in comune: essi, caratterizzati dallo spirito di fa
miglia 12, tendono a creare tr a di noi u n rap p o rto m aturo, ad a p rirci alla com unicazione, a re n d e rci capaci di condividere
«gioie e dolori (...) esperienze e progetti apostolici»13.
Il buon ordinam ento ed equilibrio dei due elem enti realizza il desiderio e l’esigenza di form are com unità vere, d ’accordo al
le condizioni di ciascun gruppo ed alle aspirazioni della perso
na; com unità profondam ente rinnovate, siano esse piccole, m e
die o grandi, che debbano anim are opere tradizionali o siano in
serite in form a più viva tr a la gente, m a com unque sem pre ca
paci di aiu tare le persone a crescere u m an am en te e religiosa
m ente, a esprim ere con più tra sp a re n z a quello che credono e comunicano, atte a suscitare il desiderio di appartenervi, cioè com unità con capacità vocazionali.
5. Il nostro modello comunitario.
T u tte le forme di vita religiosa hanno nella com unità u n ele
m ento indispensabile. Ciascuna però la realizza in form a pro
p ria e diversa.
La n o s tra v ita c o m u n ita ria rifle tte s o p ra ttu tto quella v issu ta da G esù con gli A postoli. Egli li scelse «per averli con sé, per m andarli a predicare e perché avessero il potere di
11 Gv 13, 34-35.
12 cf. Cost. 51 13 ib.
scacciare i demoni» 14. Da allora, ed in forza di tale chiam ata, essi form arono u n gruppo solidale nella fedeltà al M aestro ed alla sua causa. Insiem e godettero della fam iliarità di Gesù e a sco ltaro n o spiegazioni esclusive sul m istero del Regno.
Insiem e furono testim oni d iretti di alcuni m om enti e partecipi di avvenim enti centrali nella v ita di Gesù. Insiem e im pararono da Lui a pregare nella solitudine e nel contatto con gli uomini;
furono so lid alm en te d e p u ta ti a o rd in a re la folla n ella m oltiplicazione dei p ani e tu tti, sebbene in villaggi diversi, furono inviati a p rep arare l’arrivo di Gesù e ad annunciare il Vangelo. Si raccoglievano into rn o al Signore per com m entare le p erip ezie dei loro p erco rsi e p ersin o avevano contese passeggere sulla n a tu ra del Regno e sulla loro partecipazione alla cau sa di Gesù. Ad essi G esù insegnò gli atteg g iam en ti necessari per seguirlo e p er costruire l’unione tr a di loro: il servizio, il perdono, l’u m iltà nelle esigenze, il non giudicare, la generosità disinteressata. Insiem e alla predicazione del vangelo e «affinché il mondo creda» 15, comandò loro di vivere uniti; per loro pregò «affinché siano u n a cosa sola» 16. Insieme, con Maria, ricevettero lo Spirito e si diedero a far sorgere delle com unità, anim andole con la parola, l’Eucaristia, il servizio dell’autorità.
Questo modello apostolico è per noi mediato dalla esperien
za carism atica dei n o stri inizi. Don Bosco, al seguito di Cristo Buon Pastore, raccoglie intorno a sé giovani discepoli che gli so
no affezionati perché condividano con Lui il servizio degli ora
tori. Chiede loro di re stare con Lui e di im pegnarsi per i giovani a tem po pieno e a piena esistenza. Con loro si protende verso gli spazi geografici che portano all’espansione della Congrega
zione e affina i tr a tti sp iritu ali che danno u n a fisionomia tipica alla sua famiglia.
Ѐ una com unità non soltanto per i giovani m a con i giovani:
14 Me 3, 13-15 15 Gv 17, 21 16 ib.
condivide la vita di questi e si adegua alle loro esigenze. La pre
senza dei giovani determ ina gli orari, lo stile di lavoro, la modalità della preghiera. Restare con Don Bosco significa voler stare tr a i giovani, offrire loro tu tto ciò che si è e si ha: cuore, m ente, vo
lontà; amicizia e lavoro; sim patia, servizio. In questo rapporto ed in questo ambiente m atura l’iden tità della com unità e dei singoli.
Ѐ una com unità a forte carica spirituale, c aratterizzata dal
“Da m ihi anim as”. Don Bosco forgia i suoi prim i collaboratori, con semplicità e concretezza secondo il program m a: lavoro, p re
ghiera, tem peranza. Chiede loro di fare u n “esercizio di c arità ” in favore del prossimo. L’am ore a Gesù Cristo e la fiducia nella sua grazia ispirano la preoccupazione per il bene dei ragazzi, a p a rtire dai loro bisogni u m an i e spirituali. Si aiu tan o i più ab
b a n d o n ati a p re n d e re c o n ta tto con Dio e con la C hiesa e si orientano esplicitam ente verso la san tità coloro che dim ostrano particolari disposizioni. Si ren d e quasi sensibile la vicinanza di Dio e la presenza di M aria Santissim a.
Per niente straordinaria, fo rm ata da giovani ricchi di e n tu siasmo m a con poca esperienza, alcuni con notevoli qualità ed altri norm ali e persino modesti, la com unità è o rie n ta ta da Don Bosco con senso concreto, secondo le risorse di ciascuno, ad u n a
“m issione” sen tita da tu tti come unica e “com une”. Ci sono ru o li, compiti e lavori diversi, in spazi molto aperti; m a il senso di appartenenza all’oratorio e a Don Bosco è generale. La varietà di impegni e di ruoli, la dim ensione e la distribuzione degli spazi, la diversità di competenze non lo dim inuiscono o offuscano.
P u r con i m omenti di tensione o di difficoltà che conosciamo, la com unità di Valdocco ap pariva un ita attorno al progetto di azione e alla persona del Direttore, condizione che Don Bosco considerava fondamentale per l’efficacia apostolica. Egli si sfor
zava quindi di favorire la creatività, di convogliare tu tti, m edian
te forme spontanee e stabilite di partecipazione, verso l’u n ità dell’azione, l’arm onia delle persone e la concordanza dei criteri.
In questo modo la com unità diventa l ’a n im a d i un ambiente che attira e conquista il cuore dei giovani: produce u n clima di
fam iliarità, che favorisce la spontaneità e p o rta alla confidenza;
esprim e insiem e quella “carità pedagogica”, la b ontà che fa sen
tire l’affetto e suscita co rrisp o n d en za17. Don Bosco la presen
te rà n ell’introduzione alle Regole con queste parole: «Quando in u n a c o m u n ità re g n a q u esto am or fra te rn o e t u t t i i soci si am ano vicendevolm ente ed ognuno gode del bene dell’altro come se fosse un bene proprio, allora quella Casa diventa un Paradiso».
La com unità o rato rian a e giovanile non è isolata e chiusa.
H a ra p p o rti con persone significative, associazioni varie, reli
giose e civili, e con il contesto cittadino. D all’inizio don Bosco la pensa leg ata alla Associazione dei C ooperatori, come fossero due ram i dello stesso albero. Così scrive nel Regolamento dei C ooperatori: «Questa Congregazione, essendo definitivam ente approvata dalla Chiesa, p uò servire di vincolo sicuro e stabile pei Cooperatori Salesiani. Di fatto essa ha per fine prim ario di lavorare a beneficio della gioventù sopra cui è fondato il buono o tristo avvenire della società. Con siffatta proposta non inten
diam o dire che questo sia il solo mezzo per provvedere a tale bi
sogno, perciocché ve ne sono m ille altri, che noi altamente racco
m andiam o perché siano po sti in opera. N oi a nostra volta ne proponiam o uno ed è l ’opera dei Cooperatori Salesiani» I8.
Al cen tro di quel m ondo aperto ed in m ovim ento che era Valdocco, Don Bosco, guidato dal Signore, h a voluto persone consacrate che fossero tra in a n ti di altre forze apostoliche coin
volte nello stesso progetto, garanzia di sviluppo e di continuità della missione.
La m issione, p o rta ta av an ti con lo stesso spirito di Valdocco, offre alle n o stre com unità il criterio p er risolvere eventuali te n sioni. Ciò non dim inuisce n essu n aspetto della fratern ità, m a dà a q u esta il suo volto concreto. Se cadesse il senso della m is
11 cf. L e tte ra del 1884
18 B o sco G., R egolam ento p e r i Cooperatori, rip o rta to in R egolam ento d i vita apostolica, pag. 87
sione giovanile, educativa, la n o stra stessa fra te rn ità perdereb
be originalità e forza di comunicazione. N on sarebbe quell’al
veare vivace che fu l ’oratorio, m a soltanto u n a sua riproduzio
ne “fissa”.
La missione, d ’a ltra p arte, non è a inserzione individuale per cui si rito rn a alle com unità solo per pregare e riposare, op
pure di tan to in tanto: noi condividiamo la vita e prendiam o in corresponsabilità il lavoro apostolico: «vivere e lavorare insie
me è per noi Salesiani u n a esigenza fondam entale ed u n a via si
cura per realizzare la n o stra vocazione»19.
La missione salesiana è com unitaria per sua n a tu ra . Le Co
stituzioni lo dicono con m olta ch iarezza20, con la forza di u n a definizione: la missione è affidata ad u n a com unità, ispettoriale e locale21.
Ѐ missione giovanile: m ira alla crescita dei giovani secondo le energie che Dio ha messo in ciascuna persona e la grazia che Cristo h a comunicato al mondo. Il Sistem a Preventivo, che ne sintetizza contenuti, prassi e vie, richiede u n am biente di fam i
glia e dunque u n tessuto di rapporti. Non siamo precettori di singoli, né educatori “partico lari”: operiamo in e attrav erso u n a com unità e cerchiamo di creare am bienti giovanili ampi. L’in sieme dei contenuti e delle esperienze che la p rassi educativa riconosce come adeguati alla crescita u m an a e di fede dei giova
ni, richiede u n a sinergia convergente di in terv en ti che non pos
sono essere realizzati da u n a persona sola.
Aggiungiamo ancora che i giovani debbono essere guidati al
la m a tu rità nei rapporti e alla vita sociale con tu tto ciò che essa im plica; e che il cam m ino di fede che p ro p o n iam o h a come obiettivo di portarli verso u n ’esperienza di com unità cristiana vissuta secondo le sue dim ensioni caratteristiche.
La comunione e la fratern ità, la com unità e la famiglia sono
19 Cost. 49
20 cf. Cost. SDB 44; Cost. FMA 51 21 cf. Cost. 44
dunque condizione, camm ino e p arte sostanziale della missione.
Questo ci invita a farne u n ’esperienza autentica ed a diventar
ne esperti ed artefici.
II. Un itinerario comunitario per diventare nucleo animatore.
Le riflessioni precedenti sollevano nuovi interrogativi: Che cosa qualifica la com unità salesiana perché sia nucleo anim ato
re di u n insiem e num eroso di persone, non di rado professional
m ente preparate? Che cosa richiede da essa l ’essere nucleo ani
m atore? Che peso h a la consacrazione religiosa nella anim azio
ne di u n a com unità educativa?
Tentiam o di rispondere, approfondendo alcune prospettive ed esp lo ran d o alcu n e p o ssib ilità. C oncentriam o l ’a tte n zio n e non sulla re a ltà da anim are già p resen tata dal CG24, né sulle modalità, vie e contenuti dell’anim azione sovente ribadite, m a proprio su quello che qualifica il nucleo anim atore perché possa svolgere il suo servizio.
1. Ridisegnare la missione.
Qualifica la com unità, in funzione del suo ruolo anim atore, il ridisegnare la missione e collocarsi bene in essa, pensandola nel
la form a ampia, secondo cui l’h a concepita Don Bosco e come è espressa oggi nelle Costituzioni: nella Famiglia salesiana, «per volontà del Fondatore abbiam o particolari responsabilità: (...) stim olare il dialogo e la collaborazione fra te rn a » 22; «realizziamo nelle n o stre opere la com unità educativa pastorale (...) fino a po
te r diventare u n ’esperienza di Chiesa rivelatrice del disegno di D io»23. Collocarsi bene com unitariam ente, considerando la co
m u n ità educativa ed i suoi com ponenti d estin ataria prim a della
22 Cost. 5 23 Cost. 47
n o stra azione in favore dei giovani e assum endo insieme, m en
talm ente e progettualm ente, il lavoro di anim azione, p o rterà a chiarirsi la valenza salesiana e pastorale dell’anim azione.
A ttorno a noi ci sono persone adulte collegate a Don Bosco in vario modo: attraverso la sim patia, l ’impegno, lo spirito, alle quali siamo “inv iati” per vocazione. Il nostro servizio ad esse non è di poco conto: è u n a anim azione spirituale e salesiana.
Non siam o chiam ati so ltan to a dinam izzare u n gruppo di educatori o collaboratori con m etodi opportuni; siamo chiam ati a suscitare “u n ’esperienza di C hiesa”, a estendere e dare consi
stenza ad u n a realtà vocazionale. Si tr a tta non soltanto di im piegare meglio le risorse disponibili, per esempio i laici, m a di com unicare la fede e lo spirito salesiano.
Anim are viene cosi ad essere parte non secondaria della nostra m issione e della m aniera originale di vivere la nostra comunione a cui dedicare non solo tem pi residui o attenzione “funzionale”.
Il carism a di Don Bosco ha nella com unità SDB u n partico
lare grado di concentrazione: perché è sta ta p lasm ata da Lui di
rettam en te, per la forza della consacrazione, p er la condivisione quotidiana del carism a con altri, per il progetto di vita che as
sum e la sp iritu alità salesiana, per la dedizione com pleta al lavo
ro apostolico24. Tale concentrazione non è fine a se stessa; è per comunicare e diffondere quel particolare dono dello Spirito alla Chiesa che è lo spirito salesiano.
Noi non siamo u n a società di beneficenza o u n a organizza
zione educativa che abbia come fine ultim o d eterm in ate realiz
zazioni m ateriali o culturali; siamo dei carism atici. Ciò compor
ta di dare vita ad u n a presenza che sollevi interrogativi, dia ra gioni di speranza, convochi persone, susciti collaborazione, a tti
vi u n a com unione sem pre più feconda, per realizzare insiem e u n progetto di vita e di azione secondo il vangelo.
La n ostra è u n a collaborazione con lo Spirito. Egli anim a la Chiesa e il mondo. Li apre alla Parola, su scita il desiderio di
24 cf. CG24 236
u n ità e volontà di concordia, dà efficacia agli sforzi e impegni per la trasform azione del mondo secondo il disegno di Dio; di
stribuisce carism i e sparge n ell’u m an ità semi di bene perché si rafforzino in essi gli elem enti di pace e di comunione.
C ostituiti dallo Spirito in com unità consacrata, diventiamo m ediatori della sua azione anim atrice: aiutiamo le persone ad ac
cogliere le sue mozioni, creiamo condizioni perché le sue ispira
zioni e i suoi doni prendano corpo nella realtà, per realizzare in m aniera più piena ed am pia la missione a cui Egli ci ha chiamati.
I compiti affidati all’anim azione, particolarm ente nella CEP m irano a m ettere a disposizione di tu tti quello che lo Spirito h a donato a noi: la fede nel disegno di am ore che Dio Padre h a per ogni persona, l ’am ore di Cristo espresso nella dedizione totale alla salvezza dei giovani, la saggezza pedagogica che im pariamo dal Buon Pastore, la conformazione a Cristo attraverso il mo
dello di Don Bosco25.
Soltanto questo modo di pensare alla missione m ette a fru t
to, in form a adeguata, l ’esperienza dello Spirito nella com unità, che risiede nel prim ato dato al senso di Dio, nella sequela di Cristo, nella carità pastorale con cui si pone totalm ente a servi
zio dei giovani nel patrim onio educativo e spirituale salesiano.
Essere, dunque, anim atori del movimento di persone coin
volte nello spirito e nella m issione di Don Bosco non è funzione aggiunta p er l ’occasione: è u n tra tto vocazionale che appartiene alla id en tità del consacrato salesiano, singolo e della comunità, p arte non secondaria della sua prassi pastorale.
«Ogni SDB è anim atore e si abilita sem pre più ad esserlo»26.
Non c’è bisogno di qualità speciali oltre quelle che corrispondo
no alla vocazione salesiana. Si tr a tta di vivere il dono iscritto nello stile della com unità insiem e con i giovani ed i laici che m anifestano la m edesim a sensibilità e convergono sulle m edesi
me iniziative educative.
25 cf. CC24 159 28 ib.
2. Vivere e proporsi di comunicare una spiritualità.
Gli aggettivi sono più che giustificati accanto al term ine ani
mazione perché rivelano basi dottrinali, percorsi ed obiettivi di
versi. La n o stra è u n ’anim azione spirituale. Il term in e non è li
m itante, m a qualificante. N on esclude altri asp etti dell’anim a
zione: li assum e tu tti in u n a prospettiva propria.
Per diventare “nucleo an im a to re ” ci è necessario vivere con
sapevolmente, con convinzione, la n o stra sp iritualità, esprim er
la com unitariam ente con gioia e im m ediatezza. Nel convegno dei giovani religiosi realizzatosi a Roma nel m ese di settem bre 1997, si è espresso il sogno che venissero canonizzati non solo
“individui”, m a com unità religiose al completo, come u n sog
getto che h a vissuto solidalm ente ed in grado esem plare l’ideale della vita evangelica. Si aggiungeva che un “handicap” vocazio
nale risiede nel fatto che i giovani vedono e sono a ttr a tti da mo
delli “individuali” dietro ai quali non c’è u n a corrispondente vi
ta com unitaria: san ti solitari, in com unità quasi estranee alla loro santità.
Don Bosco creò a Valdocco u n a scuola di sp iritu alità che si esprim eva nell’am biente, nel lavoro quotidiano, nel tono della frate rn ità e nella preghiera: semplice in apparenza, m a sostan
ziale e autentica. Invitò i suoi giovani e qu an ti volevano collabo
ra re con lui a fare u n camm ino assum endo lo stesso spirito, se
condo la propria condizione e possibilità. «In Valdocco, ricorda il CG24, si respirava un clima particolare: la s a n tità era costruita insieme, condivisa, reciprocam ente com unicata, ta n to che non si può spiegare la san tità degli un i senza quella degli a ltri» 27.
C ostruire e godere di questo clima di “sa n tità ” condivisa, è un impegno dei consacrati. La com unità religiosa è luogo di u na esperienza di Dio. T utto è stato pensato e predisposto per que
sto. «La vita spirituale deve essere al prim o posto nel program m a delle Famiglie di vita consacrata... Da q u esta opzione priori
27 CG24 104
taria, sviluppata nell’impegno personale e com unitario, dipen
dono la fecondità apostolica, la generosità nell’am ore p er i pove
ri, la stessa a ttra ttiv a vocazionale sulle nuove generazioni»2S.
Il CG23 lo indicava come risposta adeguata alle sfide dell’e
ducazione dei giovani alla fede. Invitava le com unità a diventa
re “segno” di fede dando tra sp aren z a evangelica alla vita per giungere ad essere anche “scuola” di fede. La fede infatti non si può com unicare se non la si vive come la grande risorsa della propria esistenza. «Il rinnovam ento spirituale e quello p asto ra
le sono due aspetti che si com penetrano e sono interdipendenti tra loro»29.
Essere anim atori, come com unità, cioè nucleo anim atore, è p o rtare insiem e nell’azione educativa, che condividiamo con al
tri, quel soffio dello Spirito capace di dare senso alla promozio
ne della persona ed agli sforzi di cam biam ento della società: l ’e
sperienza dell’am ore di Dio, la luce che viene da Cristo, la visio
ne dell’uomo che scaturisce dalla Parola di Dio.
Ѐ avere, come la com unità apostolica dopo la P en teco ste30, la capacità di “uscire” verso gli altri, di a ttirare, radunare, con
vertire, creare com unione con criteri nuovi nella luce del Cristo risorto. «Il prim o compito della vita consacrata è di rendere vi
sibili le m eraviglie che Dio o p era n ella fragile u m a n ità delle persone chiam ate. Più che con le parole, esse testim oniano tali meraviglie con il linguaggio eloquente di u n ’esistenza trasfigu
rata, capace di sorprendere il m ondo»31.
L’esperienza di Dio che è a ll’origine e nelle finalità del no
stro progetto di vita va risvegliata, rivissuta e approfondita se
condo le caratteristich e del nostro spirito. Possiamo in fatti es
sere p o rta ti a rid u rre la vita ad efficienza, a credere che i vari elem enti della n o stra vita religiosa siano in funzione dei risul
ta ti educativi. Ciò può condurre ad un progressivo svuotam ento
28 VC 93
29 cf. CG23 216 - 217 30 cf. A t 2 ,lss.
31 VC 20
interiore, ad u n a dissolvenza delle motivazioni più profonde e, come conseguenza, ad u n a certa delusione o cad u ta di fiducia nel nostro intervento, nei d estin atari, nella com unità, nei laici.
La capacità di anim azione spirituale, quale è la nostra, sup
pone e richiede l ’esperienza della preghiera: quella personale, dom andata come grazia, im p arata e p raticata con assiduità; e quella com unitaria, sen tita e condivisa in m om enti cu rati e cal
mi, liberi dalla fretta e dalla dispersione.
La preghiera ridà il gusto di essere con Cristo ed il senso del
la missione. «Siccome, ci direbbe Don Bosco, il cibo alim enta il corpo e lo conserva, così le pratiche di p ietà nutriscono l’anim a e la rendono forte contro le tentazioni. Fino a ta n to che noi sa
remo zelanti nell’osservanza delle pratiche di pietà il nostro cuo
re sarà in bu o n’arm onia con tu tti, e vedremo il Salesiano alle
gro, e contento della sua vocazione»32. Non sono “l ’essere in buo
na arm onia con tu tti, la figura del salesiano allegro e contento della vocazione” le rappresentazioni più veraci dell’anim atore?
Due segni mi sem brano im p o rtan ti in questo esprim ere la sp iritu a lità della com unità a ttra v e rso l ’assid u ità e la q u alità della preghiera. Il prim o rig u a rd a la Parola d i Dio alla quale accedere e da condividere quando si tr a tta di illum inare la vita personale e com unitaria, le situazioni dei giovani e le sfide della cultura. La Bibbia racconta l ’esperienza religiosa dell’um anità;
gli atteggiam enti, le prove e reazioni di coloro che vissero in questo mondo secondo il senso di Dio, anzi, in rapporto di al
leanza con Lui. Ѐ u n a “sto ria” della sp iritu alità v issu ta nel vivo degli avvenim enti.
Il Vangelo poi non solo ci offre gli insegnam enti e gli esempi di Gesù, m a ci m ette a contatto con la sua persona ed il suo m i
stero. Soltanto il discernim ento evangelico può darci oggi u n a m entalità “cristian a” e aiutarci a m an ten ere u n a visione di fe
de, u n atteggiam ento di speranza e u n criterio di carità.
32 Regole e C ostituzioni della Società d i S a n Francesco d i Sales. In troduzione.
Torino 1885
Il secondo segno è la partecipazione dei giovani e dei colla
boratori alla nostra preghiera-, la nostra capacità di introdurli nella preghiera, di fargliela gustare. Esempi non ne mancano.
La stra d a in trap re sa è da continuare. Non ci lim itiam o alle ce
lebrazioni strao rd in arie e suggestive; accompagniamo i giovani in u n camm ino di preghiera fino a farla desiderare e diventare atteggiam ento, abitudine e necessità.
Spesso i giovani ed i collaboratori ci conoscono come lavorato
ri e come amici prossimi a loro, desiderosi del loro bene, generosi e disponibili; m a non afferrano le motivazioni di fondo che muo
vono la n o stra vita e ne costituiscono l’originalità. Per questo non riescono a cogliere la p o rta ta della vita consacrata, né si sentono invogliati a seguire la n o stra strad a anche se rim angono amici.
Far partecipi di u n a esperienza di Dio, m ettere in atto u n a pedagogia della preghiera, che porti verso u n a relazione perso
nale con il Signore, a p erta alla sensibilità giovanile secondo la n o stra spiritualità, è la form a di “an im are” più propria di un a com unità religiosa.
O ltre ad offrire esperienze occasionali, quasi assaggi per in
vogliare, siam o chiam ati ad essere educatori e m aestri di spiri
tualità. Se ci sem bra u n a m eta ambiziosa, diciamo di voler esse
re com pagni e testim oni autorevoli, orientatori, guide nella stra da della sp iritualità. Non pochi laici e giovani desiderano u n ’e
sperienza spirituale. C’è in loro u n a dom anda di in terio rità e di senso come contrappeso all’esteriorità, al rum ore, all’agitazione.
Il CG24 m ette la sp iritu alità al centro del nostro sforzo di con
divisione. «Siamo chiam ati a condividere nella FS, con tu tti i lai
ci, non solo il compimento m ateriale del lavoro quotidiano, ma, in prim o luogo, lo spirito salesiano, p er poter diventare corre
sponsabili della missione, nelle nostre opere ed al di là delle loro fro n tiere» 33. Il trag u ard o della formazione, dei laici e con i laici, è u n a s a n tità condivisa34 per cui «la sp iritu alità è chiam ata ad
33 CG24 88 34 cf. CG24 104
essere l’anim a della CEF; il midollo degli itin e ra ri form ativi da percorrere insieme, in u n clima di scambio di doni»35.
Ѐ lo stesso compito che la Chiesa affida ai consacrati. «Un rinnovato impegno di san tità da p a rte delle persone consacrate è oggi più che mai necessario anche per favorire e sostenere la tensione di ogni cristiano verso la perfezione. Le persone consa
crate, nella m isura in cui approfondiscono la pro p ria amicizia con Dio, si pongono nella condizione di aiu tare fratelli e sorelle m ed ian te valide iniziative sp iritu a li. Il fa tto che t u t t i siano chiam ati a diventare santi non può che stim olare m aggiorm en
te coloro che, per la loro stessa scelta di vita, han n o la missione di ricordarlo agli a ltri» 36.
La m ediazione principale p er svolgere questo compito è il nostro vissuto quotidiano ispirato alla fede, vicino ai giovani e ai laici, che diffonde uno stile di vita per osmosi o contagio; è l ’am biente educativo nel quale i valori appaiono concretam ente realizzati, con modelli significativi che a ttiran o , con proposte che coinvolgono e motivazioni che illum inano i com portam enti.
S arà necessario poi accom pagnare i singoli ap p ro fittan d o dei m om enti com unitari, predisposti per condividere e com uni
care, e anche rendersi disponibili al dialogo personale. Il tu tto richiede certam ente attenzione e intenzionalità.
3. Fare della comunità salesiana una “famiglia” capace di su
scitare comunione attorno alla missione salesiana.
Si è rilevato spesso che la com unità risponde non soltanto a propositi di perfezione religiosa e di efficacia nel lavoro, m a a n che a profondi desideri e aspirazioni della persona: di rapporti autentici e profondi, di comunicazione, di valorizzazione perso
nale, di amicizia e affetto.
Di un a fratern ità autentica e adulta si sente il bisogno e se ne
35 CG24 241 38 VC 39
sperim enta il fascino. Anche se abbiamo opportunità di svariate distensioni individuali e non ci mancano oggi compagni inform a
tici, l’incontro personale, l’esperienza dell’amicizia, la condivisio
ne dei sentim enti e delle situazioni rimangono “unici”.
Nella società della comunicazione, che re sta di “m assa”, a n che se individualizzata p er quanto riguarda gli apparecchi, si sp erim en ta la difficoltà di com unicare in profondità, e quindi u n senso di isolam ento e solitudine.
Lo si scorge particolarm ente tra i giovani e nell’ambito di un a religiosità tin ta di soggettivismo e tesa a soddisfare im m ediata
m ente il sentim ento. Si ascoltano volentieri i racconti personali, si cercano incontri dove p oter accogliere ed essere accolti g ratu i
tam ente, senza condizioni e norm e rigide; si scelgono relazioni um ane capaci di farci sentire liberi e aiutare ad esprimerci; ci si aggrega in gruppi dove ci si sente bene e si crea solidarietà a t
traverso la comunicazione di propositi, desideri, realizzazioni.
Quello che rende significative le associazioni e le com unità religiose, la loro forza di attrazione, non risiede tan to in quello che han n o e fanno, nelle opere e nel lavoro, quanto in quello che vivono, nel loro stile di relazioni, nella loro unità.
Ѐ l ’im patto che producevano le prim e com unità cristiane. Il segno esterno della novità della Risurrezione, im m ediatam ente com prensibile anche p er chi n on conosceva il contenuto della fede, era la solidarietà del gruppo concorde e assiduo «nell’a- scoltare l ’insegnam ento degli apostoli e n e ll’unione fratern a, nella frazione del pane e nella preghiera»; nel quale «tenevano ogni cosa in comune» e non c’erano differenze tr a i membri. Il potere di convinzione che si sprigionava a ttira v a la stim a del popolo e rendeva il gruppo affidabile, appetibile. E il Signore (appare quasi come u n a conseguenza!) «ogni giorno aggiungeva alla com unità quelli che erano salvati»37.
Anche per Don Bosco la carità fraterna, m anifestata nello spi
rito di famiglia, era il segno im m ediato che i Salesiani dovevano
37 cf. At 2, 42 - 47
offrire ai giovani, ai collaboratori e al popolo. «Fra di voi am ate
vi, consigliatevi, correggetevi, m a non portatevi mai né invidia, né rancore, anzi il bene di uno sia il bene di tu tti; le pene e le soffe
renze di uno siano considerate come pene e sofferenze di tu tti, e ciascuno studi di allontanarle o alm eno m itigarle»3S.
Le C ostituzioni han n o raccolto a b b o n d an te m e n te questo pensiero del nostro Padre con le sue due accentuazioni: lo stile com unitario ed il suo im patto sui giovani. Il tono della n o stra v ita co m u n itaria viene p re se n ta to , tr a a ltri, d a ll’articolo 51:
«La com unità salesiana si caratterizza per lo spirito di famiglia che anim a tu tti i m om enti della sua vita: il lavoro e la preghie
ra, le refezioni e i tem pi di distensione, gli incontri e le riunio
ni. In clima di frate rn a am icizia ci com unichiam o gioie e dolori e condividiamo corresponsabilm ente esperienze e progetti apo
stolici». L’articolo 16 ci ricorda l ’a ltra accentuazione, quella che accenna a ll’effetto educativo e vocazionale che ci s ta ta n to a cuore: «Tale testim onianza suscita nei giovani il desiderio di co
noscere e seguire la vocazione salesiana».
Quando ci domandiamo come nella situazione a ttu a le pos
siamo cam m inare verso questo “ideale” ed esprim erlo con tr a sparenza, ci viene in m ente la “grazia di u n ità ” che p o rta noi Salesiani a coltivare, in fo rm a sim u lta n ea e concorde, le tre istanze: consacrazione, missione, frate rn ità ,39 dando a ciascuna il suo peso e fondendole in uno stile di vita ed in u n progetto di azione. Emergono allora alcuni asp etti da curare con particola
re attenzione.
Il prim o è proprio la v it a fr a te rn a . Ciò suppone di predi
sporre tem pi e dedicare energie a coltivare e ren d ere visibile la comunione come u n dono da offrire ai giovani; suppone l’ascesi che ci m a tu ra nella capacità di am are, l ’esperienza che ci p rep a
ra a un rapporto m aturo con i collaboratori. M olti sono gli a t
38 Don Bosco, Ricordi ai primi m issionari 39 cf. Cost. 3
teggiam enti e le m anifestazioni di questa fratern ità. «Le comu
n ità in fa tti riprendono quotidianam ente il cammino, so rrette dall’insegnam ento degli Apostoli: “am atevi gli u n i gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stim arvi a vicenda” (Rm 12, 10); “abbiate i medesimi sentim enti gli uni verso gli altri “ (Rm 12, 16); “accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (Rm 15, 7); “correggetevi l ’u n l’a ltro ” (Rm 15, 14); “aspet
tatev i gli un i gli a ltri” (1 Cor 11, 33); “m ediante la carità siate a servizio gli un i degli a ltri” (Gal 5, 13); “confortatevi a vicenda”
(IT e ss 5, 11); “sopportandovi a vicenda con am ore” (Ef 4, 2);
“siate invece benevoli gli u n i verso gli altri, misericordiosi, p er
donandovi a vicenda” (Ef 4, 32); “siate sottom essi gli u n i agli altri nel tim ore di C risto” (E f 5, 21); “pregate gli uni per gli al
tri “ (Gc 5,16); “rivestitevi tu tti di um iltà gli uni verso gli a ltri”
(1 P t 5, 5); “siamo in com unione gli uni con gli a ltri” (1 Gv 1,7);
“non stanchiam oci di fare il bene a tu tti, so p rattu tto ai nostri fratelli nella fede” (Gal 6, 9-10)»40.
Mi ferm o su due elem enti che oggi emergono: le relazioni interpersonali e la comunicazione.
I rapporti sono u n a delle prove della m a tu rità della persona:
forse a d d irittu ra il principale dei param etri, dove si riflettono le qualità e lim iti di ciascuno. L a loro qualità, il modo di intavo
la rli e g e stirli m a n ife stan o fino a che p u n to l ’am ore, p rim a energia e prim o com andam ento, si è fatto strad a in noi e fino a che pun to abbiam o im parato a m anifestarlo.
Perciò oggi m ettiam o u n a particolare attenzione ai rapporti nel lavoro e nella form azione: non solo dal punto di vista for
male, m a guardando l’asp etto interiore e sostanziale. Nella vi
ta fra te rn a ci vogliono ra p p o rti che superino la stanchezza e l’ab itu d ine perché vengono rinnovati e che non si in terro m p a
no perché si è capaci di q u o tid ian a riconciliazione. Si insiste che siano in terio ri e profondi, non solo funzionali al lavoro, m a
40 La vita fraterna in com unità, 26
tali da m a tu ra re in am icizia verso la crescita nel Signore e la solidarietà nella missione; so p ra ttu tto che siano isp irati all’o- blativ ità e donazione e non c en trati sulla p ro p ria persona o sui propri fini.
Ѐ u n a valutazione corren te tr a gli osservatori di gruppi e com unità che la maggior p a rte delle difficoltà in tern e, che sem
brano di lavoro o di idee, in fondo sono legate a problem i di ra p porti interpersonali male im postati, che hanno nel lavoro o nel
le idee il loro campo di scontro.
D’altro canto i rapporti disagevoli, le situazioni di conflitto non risan ate opportunam ente attrav erso la riconciliazione agi
scono all’interno della persona bloccando il processo di m a tu ra zione e creando delle difficoltà alla stessa donazione serena e gioiosa alla m issione e a Dio. La triste z za e il disagio che ne possono venire sono dannosi in ogni senso. Le am arezze in te r
ne logorano. Ѐ u n grande servizio quello di a iu ta re a scioglierle, a chiarirne le radici, ad assum erle come lim iti personali e ad af
frontarle con calma, senza rim an ere fissi in esse.
Ѐ necessario educarsi ed educare i singoli ai rapporti, anche con u n a parola, u n sostegno, u n incoraggiam ento. Ѐ necessario anim are i rapporti, creando oppo rtu n ità perché possano espri
m ersi e crescere. Ѐ u n aspetto della carità di tu tti, in particola
re del D irettore e dell'Ispettore, con cui si costruisce l ’unione della comunità.
N essuno può aspettare soltanto di ricevere n ella com unità, quasi fosse u n am biente già fatto prim a e indipendentem ente dal proprio contributo. D’altro canto, bisogna supplire eventua
li carenze di alcuni con u n a più grande capacità di donazione da p arte degli altri. Nelle com unità ci sono sem pre lim iti di comu
nicazione, timidezze, eccessivi riguardi che frenano la fam ilia
rità. Il Signore compensa tali lim iti con quei confratelli che sono disposti a m ettere un po’ più di conversazione, di vicinanza, di unione e di gioia affinché il livello della vita di com unità in ciò che rig uard a l’affetto vicendevole e l ’am biente fam iliare non si abbassi. «Una frate rn ità ricca di gioia è u n vero dono dell’Alto ai
fratelli che sanno chiederlo e che sanno accettarlo im pegnando
si nella vita frate rn a con fiducia nell’azione dello Spirito»41.
Può sem brare, il precedente, un commento non abituale in u n a circolare: troppo particolare, quasi tecnico. Me lo ha sugge
rito il docum ento L a vita fraterna in com unità dove afferma:
«Sembra utile richiam are le qualità richieste in tu tte le relazio
ni um ane: educazione, gentilezza, sincerità, controllo di sé, sen
so dell’um orism o e spirito di condivisione»42. Me lo h a suggerito p ure il CG24 che p arla di u n a n o stra sp iritu alità relazionale:
u n a sp iritu alità che non solo am a con carità interiore, ma, co
me Don Bosco aveva già insegnato per il tra tto con i ragazzi, sa intavolare relazioni adulte conforme all’am biente di vita ed alle sensibilità attuali. Me lo h a suggerito ancora l’im portanza che hanno oggi i rapporti, e re tti quasi a oggetto di studio ed allena
m ento in ogni campo dell’agire umano. Me lo h a ispirato infine il pensiero di San Francesco di Sales, nel quale la “dolcezza” si traduceva nella q u a n tità e qualità dei rapporti personali fino a costituire u n tra tto distintivo.
La sp iritu alità relazionale h a come fonte la carità che si re n de capace e disponibile a creare, risanare, ristabilire, e m oltipli
care i rapporti. Ѐ “p asto rale” tale carità quando viene esercita
ta nel m inistero di reggere e orientare u n a com unità ecclesiale.
O ltre ai rapporti e inclusa nella loro dinam ica c’è la com uni
cazione. Oggi si desidera che nelle com unità essa non si lim iti al funzionale, m a raggiunga l ’esperienza vocazionale; che si scam bino non solo notizie del giornale o dati del lavoro, m a valuta
zioni, esigenze, intuizioni che riguardano la n o stra vita in Cri
sto e la n o stra form a di com prendere il carism a. Ѐ quello a cui te n d e la revisione di vita, la verifica della com unità, l ’in te r scambio nella preghiera, il discernim ento su situazioni, progetti e avvenim enti.
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