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La transizione costituzionale tunisina fra vecchie e nuove difficoltà di Tania Abbiate*
Sommario: 1. Introduzione; 2. Il contesto in cui si colloca la transizione; 3. Il processo costituente;
3.1. Il primo periodo transitorio; 3.2. Il secondo periodo transitorio; 3.3. Il terzo periodo transitorio;
3.4. Un quarto periodo: le difficoltà del processo costituente; 4. L’Assemblea nazionale costituente e l’elaborazione della Costituzione; 5; Rilievi conclusivi.
1. Introduzione
La Tunisia è il Paese in cui ha preso avvio la vasta ondata di protesta che ha interessato il Nord Africa e il Medio Oriente nel 2011. L’effetto domino delle rivolte trae origine infatti dal suicidio del giovane tunisino Mohammed Bouazizi, che, il 17 dicembre 2010, si diede fuoco a Sidi Bouzid, il capoluogo di un governatorato dell’entroterra, in seguito alla confisca del suo banchetto di frutta e verdura da parte della polizia. Il suo gesto disperato ha alimentato la rabbia e il senso di frustrazione della popolazione che conseguentemente, prima in Tunisia e poi in altri paesi del mondo arabo, si è mobilitata per rovesciare i regimi autocratici al potere.
Benché queste rivolte abbiano assunto caratteristiche diverse nei vari contesti, rispondenti alle peculiarità storico-politiche dei vari Paesi, è possibile individuare come tratto comune la volontà di rompere con un passato caratterizzato dalla corruzione e dalla mancanza di libertà. In ragione di ciò, nella maggior parte degli Stati della sponda sud del Mediterraneo sono stati intrapresi, per volontà dei governi o in seguito a vere e proprie rivoluzioni, processi di riforma parziale o totale dell’assetto politico-costituzionale.
In alcuni Paesi, le élite al potere hanno reagito alle rivendicazioni popolari promuovendo un processo di riforma dall’alto (Giordania, Marocco); in altri, le mobilitazioni hanno comportato una rottura totale dell’ordine costituito e si è aperto un processo di transizione costituzionale (Tunisia, Egitto); in altri Paesi ancora l’ondata di mobilitazione ha innescato una vera e propria guerra civile (Libia, Siria).
Come sottolineato da parte della dottrina, questi processi testimoniano la chiusura di un doppio ciclo politico-istituzionale: il ciclo avviatosi con la dissoluzione del comunismo sovietico e il conseguente sfaldarsi dei regimi politico-militari del Nord Africa e il ciclo post-11 settembre caratterizzato da un uso strumentale dell’emergenza terroristica da parte dei governi autoritari1.
* Dottoranda di ricerca in Diritto pubblico comparato all’Università degli Studi di Siena.
1 Cfr. C. Sbailò, La riespansione del principio ordinatore islamico: riflessioni di metodo comparatistico e di dottrina costituzionale sulla “primavera araba”, in DPCE, n. 3, 2012, pp. 801-835; C. Sbailò, Principi sciaritici e organizzazione dello spazio pubblico nel mondo islamico. Il caso egiziano, Cedam, Padova, 2012.
L’esito di questi processi è al momento imprevedibile – anche in ragione delle contraddizioni emerse – ma è indubbio che essi rappresentino uno spartiacque per la storia del mondo arabo2. La Tunisia è stato il primo Paese ad intraprendere un cammino di cambiamento istituzionale e il precoce avvio del processo di riforma costituzionale ha alimentato l’idea che la transizione tunisina potesse rappresentare un modello per gli altri Stati della regione. Il successivo evolversi della situazione politica nel Paese ha tuttavia mostrato la presenza di alcune criticità e ha sollevato nuovi interrogativi circa il processo costituente in atto.
Il consenso tra forze politiche emerso nel corso della mobilitazione popolare (la c.d. “rivoluzione dei gelsomini”3) che ha posto fine al regime autocratico di Zine El-Abidine Ben Ali, al potere dal 1987, sembra essere infatti venuto meno nel corso della transizione ed è emersa una forte frammentazione del corpo politico che sembra minare la possibilità di realizzare un patto costituzionale che unisca le varie componenti della società.
A complicare il quadro contribuisce anche la dimensione religiosa: le prime elezioni democratiche tunisine dell’ottobre 2011 hanno visto la vittoria di un movimento di matrice islamica (Ennahda) che, benché si presenti come promotore di un equilibrio tra istanze religiose e istanze democratiche, è visto dalla componente secolare della società come una minaccia per l’ordinamento costituzionale di impronta laica affermatosi da lunga data; parallelamente l’estremismo salafita di ispirazione wahabita, che aspira ad un ritorno all’Islam originario con applicazione della sharia, ha acquisito terreno e, oltre ad esercitare pressioni sul processo di elaborazione della nuova carta costituzionale, si è reso responsabile di un crescente clima di violenza e insicurezza.
Il presente saggio si propone di fornire un quadro aggiornato del processo costituzionale in atto, analizzando in particolare la cornice giuridica che caratterizza il periodo transitorio, al fine di identificare le questioni aperte della transizione tunisina: questioni che ben possono inquadrarsi nell’ambito dei processi di democratizzazione caratteristici dei più recenti cicli costituzionali e che possono altresì fornire alcuni elementi di riflessione sullo sviluppo del costituzionalismo in ambito islamico.
Il saggio si suddivide in cinque parti: dopo una prima parte di inquadramento della transizione nel contesto storico-politico-culturale tunisino, l’analisi si concentrerà sulle tappe principali del processo costituente e approfondirà la composizione e l’attività dell’Assemblea costituente.
Seguiranno alcune considerazioni conclusive.
2 M. Campanini, Le rivolte arabe: verso un nuovo modello politico, in M. Campanini (cur.), Le rivolte arabe e l’Islam.
La transizione incompiuta, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 7.
3 Tale espressione è stata utilizzata dai media occidentali per descrivere la sollevazione popolare del dicembre 2010- gennaio 2011 e verrà qui impiegata nella medesima accezione, pur nella consapevolezza del fatto che la denominazione
“rivoluzione dei gelsomini” è stata oggetto di dibattito. Cfr. "Révolution du jasmin" : une expression qui ne fait pas l'unanimité in Le Monde, 17-01-2011, http://www.lemonde.fr/afrique/article/2011/01/17/revolution-du-jasmin-une- expression-qui-ne-fait-pas-l-unanimite_1466871_3212.html
2. Il contesto in cui si colloca la transizione
Una delle caratteristiche comuni ai processi di transizione è l’intreccio tra fatti costituenti (di natura politico-sociale) e atti costituenti (di natura giuridico-costituzionale)4. L’inscindibilità di tali due aspetti rende necessario un inquadramento storico-politico del contesto in cui si situa la transizione, allo scopo di rendere conto dell’“ordine costituzionale” che sta alla base del testo costituzionale5. La Tunisia presenta una serie di caratteristiche che la differenziano dagli altri Paesi del Nord Africa, quali ad esempio un territorio relativamente piccolo, una numerosa classe media istruita, un tasso di natalità relativamente basso, e una storia costituzionale di lunga data.
La Tunisia è stata il primo Paese arabo a dotarsi di una Costituzione nel XIX secolo: risale infatti al 1861 la prima Carta fondamentale tunisina, concessa dal Bey Mohamed Es Sadok, locale governatore ottomano e vero sovrano de facto del Paese. Con tale atto fu formalizzata una dichiarazione di habeas corpus risalente ad alcuni anni prima, il c.d. “Patto fondamentale” del 1857, che proclamava il principio del rispetto della persona umana, il principio dell’inviolabilità della proprietà e il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge indipendentemente dalla loro religione. La Costituzione del 1861 si presentava come una tipica Costituzione “ottriata”
propria dello Stato liberale, tanto che per la sua elaborazione fu particolarmente importante la traduzione in arabo della Costituzione francese del 1814. Essa sancì il passaggio dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale, e tra i suoi aspetti più rilevanti si segnala la previsione di un Consiglio supremo, dotato del potere di promuovere la destituzione del Bey per violazione della Costituzione, al quale spettavano molteplici poteri nel circuito della decisione politica6. In particolare, dopo l’approvazione da parte del Consiglio supremo, le leggi diventavano applicabili nei confronti di tutti i soggetti presenti sul territorio. Ciò veniva a interferire con lo status privilegiato garantito a molti cittadini di Stati europei dal regime delle capitolazioni, cioè da quegli accordi bilaterali che regolavano i rapporti fra gli Stati dell’Occidente e l’Impero Ottomano (di cui ancora, formalmente, la Tunisia faceva parte). Le rimostranze e le proteste dei Paesi europei, unite alle difficoltà economiche attraversate dalla Tunisia, spinsero, nel 1864, il Bey a sospendere il Consiglio supremo, ponendo fine a questa parentesi costituzionale7.
Benché l’importanza di questa Costituzione non vada sovrastimata, vista la sua breve vita e il contesto storico in cui essa si situava, è significativo che già all’epoca della dominazione ottomana
4 Cfr. A. Lollini, Costituzionalismo e giustizia di transizione: il ruolo costituente della Commissione sudafricana verità e riconciliazione, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 60.
5 Per il significato dell’espressione “ordine costituzionale”, si veda A. Barbera, Ordinamento costituzionale e carte costituzionali, in Quaderni costituzionali, n. 2, 2010, pp. 311-360.
6 Cfr. V. Silvera, Le Régime Constitutionnel de La Tunisie: La Constitution du 1er Juin 1959, in Revue Française de Science Politique, vol. 10, n. 2, 1960, p. 369.
7 Cfr. B. Lopez Garcia, Constitutionalisme et participation politique dans les états du Maghreb: une approche historique, in Revista de Estudios Internacionales Mediterráneos, n. 6, 2008, p. 6. V. Silvera, Le Régime Constitutionnel de La Tunisie: La Constitution du 1er Juin 1959,op.cit., p. 370.
la Tunisia abbia avuto una Carta fondamentale di impronta liberale, che le permette di far risalire la sua storia costituzionale al XIX secolo.
Un altro dato non trascurabile per inquadrare la transizione attuale è il periodo di dominazione francese. La Tunisia divenne un protettorato transalpino nel 18818 e a partire da tale data la Francia rafforzò il regime monarchico, dal momento che esso risultava funzionale al mantenimento del suo controllo sul Paese. La riforma costituzionale divenne una delle rivendicazioni principali portate avanti dal partito indipendentista Neo-Déstour, guidato, dal 1938, dal leader Habib Bourguiba, che diverrà il primo Presidente della Tunisia indipendente.
La Tunisia proclamò la sua indipendenza il 20 marzo 1956, benché il processo fosse stato avviato precedentemente9. Immediatamente dopo la proclamazione dell’indipendenza nazionale, il 25 marzo 1956 si svolsero le elezioni per l’Assemblea costituente.
La prima Assemblea costituente tunisina giocò un ruolo chiave nel processo di ridefinizione dell’assetto istituzionale post-indipendentista. Ad essa si deve infatti sia il passaggio da monarchia a repubblica, sancito dalla risoluzione del 25 luglio 1957, che l’elaborazione della Costituzione del 1959.
La Carta fondamentale era modellata attorno alla figura del Presidente Bourguiba, un tratto questo condiviso anche da altre costituzioni post-indipendenza dei Paesi del Maghreb. La dottrina ha infatti sottolineato come le prime Costituzioni dell’area mirassero più al rafforzamento dello Stato e alla stabilità politica che alla protezione dei diritti10.
Nel corso del tempo il testo costituzionale ha subito numerose revisioni – alcune delle quali particolarmente incisive – mantenendo tuttavia un valore esclusivamente nominale, come dimostra il fatto che molte previsioni normative sono rimaste prive di reale effettività; anche in ragione di ciò, la popolazione ha sentito l’esigenza di rivendicare l’elaborazione di una nuova Costituzione nel corso della “rivoluzione dei gelsomini”.
Lo scollamento tra i principi enunciati e la loro inattuazione si spiega in buona parte con la natura autocratica della gestione del potere dal 1956 al 2011. In questi cinquantacinque anni, infatti, il Paese ha avuto due soli Presidenti, il già citato Habib Bourguiba e Zine El Abidine Ben Ali.
Ben Ali assunse la Presidenza della Repubblica nel 1987 in seguito al c.d. “colpo di stato medico”
che depose Bourguiba11. Il nuovo Presidente si presentò inizialmente come fautore di un certo liberalismo politico: ad esempio, abolì la presidenza a vita – istituita con la revisione costituzionale
8 L’instaurazione del protettorato nel 1881 fu formalizzata con da due atti diplomatici franco-tunisini: il trattato del 12 maggio 1881 e la convenzione della Marsa del 8 giugno 1883.
9 La proclamazione di indipendenza è preceduta dalla firma delle convenzioni franco-tunisine sull’autonomia interna del 3 giugno 1955.
10 Cfr. T. Le Roy, Constitutionalism in the Maghreb: Between French Heritage and Islamic Concept, in R. Grote, T. J.
Roder (cur.), Constitutionalism in the Arab World, Oxford University Press, Oxford, 2012, pp. 109-119.
11 H. Bourguiba venne infatti deposto in seguito a certificazione medica di incapacità mentale.
del 1974 –, concesse un’amnistia per i prigionieri politici ed eliminò la censura sulle pubblicazioni.
Per discostarsi dal suo predecessore, Ben Ali rinominò inoltre il partito destouriano in Rassemblement Constitutionel Democratique (RCD). Ben presto tuttavia il regime rivelò la sua natura autoritaria e si contraddistinse per l’arbitrarietà delle decisioni imposte dall’alto, per la volontà di controllo, per l’intrusione nella vita privata e per la repressione di ogni forma di dissenso politico12.
La “rivoluzione dei gelsomini” del 2010-2011 rappresenta quindi la liberazione del popolo tunisino dal giogo autoritario che ha oppresso la popolazione per oltre mezzo secolo, durante il quale si è perpetuata quella che è stata definita la “forza dell’obbedienza”13.
La sollevazione tunisina non è però un fenomeno del tutto slegato dal passato e affonda invece le sue radici in alcuni episodi di mobilitazione precedenti, che hanno mostrato il progressivo sgretolarsi del “patto sociale” su cui il regime si basava14. Si ricordino ad esempio le rivolte del pane del 1984, soffocate nel sangue, e le proteste scoppiate nel sud del Paese nel 2008 e nel 2010, culminate in un’altra auto-immolazione a Monastir da parte di un giovane ambulante cui era stata negata l’autorizzazione alla vendita15. Il gesto estremo di Mohamed Bouazizi del 17 dicembre del 2010 non rappresenta quindi un avvenimento isolato, ma si inserisce in un fertile sostrato storico- culturale.
Oltre a quello sociale, un altro fattore che è stato considerato decisivo per spiegare le rivolte arabe è il fattore demografico: i Paesi della regione sono infatti caratterizzati da una numerosa popolazione giovane, in molti casi istruita, che si scontra con ridotte capacità di impiego; la Tunisia, tuttavia, in confronto agli altri Stati ha un basso tasso di natalità, dovuto all’effetto dell’emancipazione femminile promossa dal Code du statut personnel e dal sistema gratuito di pianificazione familiare, entrambi introdotti da Bourguiba nel 195616. Questo approccio si inquadra entro il progetto riformista promosso dal padre della patria anche riguardo l’aspetto religioso, che ha posto le basi
12 Ad esempio la Presidenza a vita abolita nel 1974 verrà reintrodotta nel 2002. Cfr. E. Gobe, Plasticité du droit constitutionnel et dynamique de l’autoritarisme dans la Tunisie de Ben Ali, in Revue des mondes musulmans et de la Méditerranée, vol. 130, février 2012, pp. 216-232, http://remmm.revues.org/7499
13 Cfr. B. Hibou, La force de l’obéissance. Economie politique de la répression en Tunisie, La Découverte, Paris, 2006.
14 La dottrina ha sottolineato che l’affermazione dei regimi autoritari nel mondo arabo è stata possibile anche per effetto di un contratto sociale, più o meno esplicito, in base al quale lo Stato si impegnava a soddisfare i bisogni elementari e i cittadini rinunciavano ad avanzare richieste per una partecipazione libera alla vita politica. Cfr. L. Mezzetti, Transizioni costituzionali e consolidamento democratico negli ordinamenti islamici, in Id., Le democrazie incerte. Transizioni costituzionali e consolidamento della democrazia in Europa orientale, Africa, America Latina, Asia, Giappichelli, Milano, 2000, pp. 275-330.
15 Cfr. L. Chomiak, The Making of a Revolution in Tunisia, in Middle East Law and Governance, vol. 3, n. 1, 2011, pp.
72-73. Occorre però notare che il suicidio è proibito nell’Islam e in quest’ottica l’azione di Mohammed Bouazizi e del suo predecessore appaiono rivoluzionari. Cfr. L. El Houssi, Il risveglio della democrazia. op.cit., p.58.
16 Cfr. O. Giolo, Donne in Tunisia. La tutela giuridica dei diritti tra universalità dei principi e le specificità culturali, in Annali dell’Università di Ferrara – Scienze giuridiche, vol. XVI, pp. 253-306.
per una “laicità islamista” che sembra oggi essere messa in discussione dall’emergere di forze politiche di matrice islamica17.
Benché la rivolta che ha scosso il Paese non abbia avuto inizialmente alcuna connotazione ideologica, mantenendo un carattere essenzialmente laico e portando avanti rivendicazioni secolari come “pane, libertà, giustizia”, la fase successiva del processo di transizione ha visto l’affermazione – attraverso procedure democratiche – del partito islamico, Ennahda. L’affermazione dell’Islam politico18 non rappresenta però un unicum nel contesto delle transizioni avviate in nord Africa e in Medio Oriente, quanto piuttosto un tratto che contraddistingue la quasi totalità dei Paesi dell’area19.
3. Il processo costituente
La descrizione del processo costituente attualmente in atto in Tunisia non può non tenere conto della precedente esperienza costituente tunisina, con cui l’attuale situazione presenta numerose somiglianze e alcune differenze, che verranno via via segnalate.
Va innanzitutto sottolineato che il primo processo costituente attraversato dalla Tunisia (1956-1959) non ha portato ad una Carta costituzionale rappresentativa della identità tunisina, tanto che secondo alcuni studiosi, i tunisini si identificano maggiormente nel Code du Statut personnel del 1956 che nella Costituzione del 195920. La Costituzione del 1959 aveva infatti come suo obiettivo principale il rafforzamento dell’indipendenza e del potere sovrano e, di fronte a questa esigenza, tutti gli altri caratteri che contraddistinguono una Costituzione e la rendono realmente un patto sociale scivolarono in secondo piano. Proprio per questo, una delle prime esigenze sentite dai tunisini, all’indomani della “rivoluzione dei gelsomini”, è stata quella di darsi una nuova Carta fondamentale.
La descrizione dell’attuale processo costituente tunisino può prendere le mosse dall’articolazione in tre fasi elaborata da due costituzionalisti tunisini in un lavoro del dicembre 2011, che non tiene conto quindi dei significativi sviluppi successivi21. Essi identificano un primo periodo transitorio definito di “cacofonia costituzionale” (14 gennaio 2011 - 15 marzo 2011); un secondo periodo transitorio di “normalizzazione istituzionale” (15 marzo 2011 - 23 ottobre 2011); e un periodo di transizione “democratica” (23 ottobre 2011 - dicembre 2011). A questa periodizzazione, si può
17 Cfr. Cfr. L. El Houssi, Il risveglio della democrazia, op. cit., p. 89.
18 In questa sede viene utilizzata l’espressione “Islam politico” per indicare le formazioni politiche di ispirazione islamica. Cfr. C. Sbailò, Principi sciaritici e organizzazione dello spazio pubblico nel mondo islamico, op. cit.
19 La rivalutazione della dimensione religiosa ha alimentato la cosiddetta “meta-narrazione dell’inverno islamista” che è diventata una questione non eludibile nella riflessione relativa alle transizioni post-rivoluzionarie. Cfr. A. Cantaro, Introduzione, in Id., Dove vanno le primavere arabe?, Ediesse, Roma, 2013, pp. 17-35.
20 Cfr. O. Giolo, Donne in Tunisia. La tutela giuridica dei diritti tra universalità dei principi e le specificità culturali, in Annali dell’Università di Ferrara – Scienze giuridiche, vol. XVI, p. 258.
21 Cfr. R. Ben Achour, S. Ben Achour, La transition démocratique en Tunisie: entre légalité constitutionnelle et légittimité révolutionnaire, in Revue française de droit constitutionnel, n. 92, 2012, pp. 715-732.
aggiungere un’ulteriore fase, in cui sono emerse numerose difficoltà che comprende gli eventi accaduti dal dicembre 2011 al dicembre 2013.
3.1 Il primo periodo di transizione
Il primo periodo di transizione si apre, il 14 gennaio 2011, con la fuga precipitosa di Ben Ali, cui segue una prima crisi di carattere costituzionale che riguarda la questione di chi sia legittimato a subentrargli alla Presidenza.
La Costituzione del ’59 conteneva infatti due disposizioni relative alla vacanza del Presidente della Repubblica: l’art. 56 che riguardava il caso di impedimento temporaneo e l’art. 57 che riguardava il caso di impedimento permanente.
Inizialmente i rappresentanti del vecchio regime hanno tentato di applicare l’art. 56 che sanciva la possibilità per il Presidente della Repubblica di delegare per decreto le sue funzioni al Primo Ministro in caso di “impedimento temporaneo”. Questo tentativo ha visto però una forte opposizione da parte dei manifestanti e la disputa è stata risolta, il 15 gennaio 2011, dal Consiglio costituzionale, che ha dichiarato invalida l’applicazione dell’art. 56. Secondo il Consiglio costituzionale, la vacanza di Ben Ali era da intendersi infatti come “permanente”, con conseguente applicazione dell’art. 57 della Costituzione e assunzione temporanea dei poteri da parte del Presidente della Camera dei Deputati. Conseguentemente, il 15 gennaio 2011, l’incarico di Presidente della Repubblica ad interim è stato assunto dal Presidente della Camera dei Deputati Fouad Mebazaa.
L’art. 57 delimitava però i poteri del Presidente ad interim, stabilendo che nuove elezioni dovessero essere indette entro un termine massimo di sessanta giorni e prevedendo che il Presidente ad interim non potesse esercitare i poteri di emergenza previsti all’art. 46. Per ampliare i poteri del Presidente ad interim si è fatto ricorso ad altre due disposizioni costituzionali: l’art. 39 c. 2 che permetteva di prorogare il mandato presidenziale in caso di guerra o pericolo imminente e l’art. 28 c. 2 che prevedeva la possibilità per il Parlamento di autorizzare il Presidente ad esercitare l’attività normativa tramite decreti-legge, per un periodo di tempo limitato e per scopi specifici.
Conseguentemente, il 7 febbraio 2011, la Camera dei Deputati ha approvato un progetto di legge che abilitava il Presidente della Repubblica ad interim a legiferare tramite decreti-legge22.
Per quanto riguarda il Governo, da gennaio a marzo 2011 si sono succeduti due Governi di transizione: inizialmente, il 17 gennaio, è stato formato un Governo di unità nazionale guidato da Mohammed Ghannouchi, già Primo Ministro durante la Presidenza di Ben Ali, nel quale figuravano però alcuni rappresentanti del vecchio regime. Tale continuità ha provocato una vasta ondata di
22 Loi d’habilitation 5/2011.
proteste popolari, che sono culminate nei movimenti Kasbah I e Kasbah II (dal nome del luogo delle mobilitazioni place de la Kasbah, sede del Governo).
In seguito alle proteste Ghannouchi è stato costretto a dimettersi, e il 28 febbraio è stato nominato nuovo capo del Governo Béji Caid Essebsi, già Ministro sotto la Presidenza di Bourguiba e noto oppositore di Ben Ali.
Fra le prime decisioni del nuovo Governo si segnalano: l’abolizione del dipartimento di sicurezza nazionale, la messa al bando del partito RCD, l’arresto dei rappresentanti del vecchio regime e la confisca delle proprietà della famiglia di Ben Ali.
Per quanto riguarda il processo di transizione costituzionale, la soluzione adottata dal Governo provvisorio è stata quella di affiancare agli organi costituzionali, che garantivano la necessaria continuità istituzionale, organi indipendenti che sancivano al contempo una rottura col vecchio sistema. Il periodo di transizione ha visto infatti la nascita di nuovi organi, alcuni dei quali caratterizzati solo da legittimità fattuale – nati cioè per auto-proclamazione e non basati su alcun atto giuridico fondativo – come il Consiglio nazionale di protezione della rivoluzione (CNPR).
Il CNPR era un organo formato da ventotto membri designati dai partiti politici, dalle associazioni della società civile e dalle organizzazioni di categoria, che rivendicava il diritto di partecipare all’elaborazione degli atti normativi del periodo transitorio, presentandosi come portatore dei valori rivoluzionari e contrapponendosi al Governo sostenendo che esso non godeva di nessuna legittimità democratica. E’ significativo che al CNPR abbia aderito anche Ennahda, il partito islamico che ricopre un ruolo centrale nella fase istituzionale della transizione: fino a quel momento infatti il partito si era tenuto ai margini degli eventi politico-istituzionali e la decisione di partecipare a questo organo appare una scelta strategica precisa, che consiste nel «non agire in maniera autonoma di fronte alle complesse e incerte prospettive del processo di transizione istituzionale»23.
Attraverso decreti-legge sono state poi create alcune commissioni indipendenti, tra cui: la Commissione incaricata di ricostruire i fatti e gli abusi commessi dal regime a partire dal 17 dicembre 201024, la Commissione incaricata di indagare sulla corruzione e l’appropriazione indebita durante il regime di Ben Ali, la Commissione per la riforma del settore dell’informazione e delle comunicazioni, e la Commissione per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, le riforme politiche e la transizione democratica. Quest’ultima commissione, il 18 febbraio 2011 è stata trasformata in un organo politico deliberante vero e proprio, denominato “Istanza nazionale per la
23 A. Santilli, Al-Nahda e il processo di transizione tunisino: genesi e strategie di un «partito di movimento», in M.
Campanini (cur.), Le rivolte arabe e l’Islam, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 57.
24 E’ interessante notare che l’istituzione di un organo analogo era stata proposta dallo stesso Ben Ali nel suo ultimo discorso del 13 dicembre 2010, come estremo tentativo di mantenere la situazione sotto controllo. Cfr. H. Chékir, La commission d’établissement des faits et la justice transitionnelle?, in H. Redissi, A. Nouira, A. Zghal (cur.) L’observatoire Tunisien de la transition démocratique: les thématiques, Diwen Editions, Tunis, 2012, pp. 189-215.
realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica”
(anche detta Commissione Ben Achour, dal nome dell’insigne giurista che l’ha presieduta)25.
La Commissione Ben Achour era qualificata dal decreto-legge istitutivo come un’autorità pubblica indipendente incaricata di studiare i testi legislativi, di proporre le riforme e concretizzare gli obiettivi della rivoluzione; essa poteva inoltre emettere pareri sull’attività di governo (art. 2).
L’organo è stato definito un proto-parlamento, poiché comprendeva numerosi rappresentati di varia provenienza26: esso era formato infatti da rappresentanti dei partiti politici, rappresentanti di associazioni di settore e sindacati, personalità di rilievo nazionale e rappresentanti delle regioni e delle famiglie dei martiri della rivoluzione. Più specificatamente, l’art. 3 del d.l. 6/2011 specificava che il Presidente e il Vicepresidente dovevano essere nominati attraverso decreto ad hoc, mentre gli altri membri erano scelti dal Primo Ministro su proposta delle varie organizzazioni professionali e di categoria; il Presidente della Commissione Ben Achour era inoltre incaricato della nomina di un comitato di esperti con l’obiettivo di redigere i progetti di legge, mentre l’organo nel suo insieme doveva nominare un portavoce ufficiale dei lavori. Ai sensi dell’art. 5 del d.l 6/2011, le decisioni dovevano essere prese per consenso o a maggioranza.
La Commissione ha ricoperto un ruolo importante nella definizione del processo di transizione, come dimostrano la predisposizione di un progetto preliminare di riforma della costituzione, il c.d
“Patto repubblicano”27, e la proposta di creare una autorità indipendente per le elezioni, che verrà formalizzata con il d.l. 27/2011.
Malgrado l’istituzione di organi nuovi, questo primo periodo transitorio si caratterizza per una certa continuità con l’ordine costituito: basti pensare all’intervento del Consiglio costituzionale in merito alla questione della vacanza del Presidente della Repubblica, e all’utilizzo dello strumento normativo del decreto-legge per legiferare.
Si segnala inoltre che il primo periodo di transizione è caratterizzato da un accordo tra le varie forze politiche circa la necessità di intraprendere un percorso di riforma costituzionale, che sembra perdurare anche nella seconda fase del processo transitorio.
3.2 Il secondo periodo transitorio
25 La Commissione è stata istituita il 18 febbraio 2011, con il d.l. n. 6 (formalizzato il 1 marzo 2011); l’organo ha concluso i suoi lavori il 12 ottobre 2011 ed è stata ufficialmente sciolto il 20 marzo 2012. Il testo del decreto è consultabile all’indirizzo: http://mjp.univ-perp.fr/constit/tn2011-2.htm
26 Il numero dei rappresentanti passava infatti da 72 a 155.
27 Il “Patto repubblicano” ha rappresentato un primo terreno di scontro tra le varie forze politiche del post-rivoluzione: a fronte della discussione di un progetto che poneva limiti all’azione del partito islamista, Ennahda ha infatti annunciato il suo ritiro dalla Commissione; i lavori dell’istanza sono stati boicottati anche da altre formazioni politiche (Partito democratico progressista, Consiglio per la Rivoluzione). Questo atteggiamento si spiega con le strategie politiche dei singoli partiti in vista delle elezioni, ma rappresenta anche un’anticipazione delle dinamiche partitiche che si svilupperanno in seguito in seno all’assemblea costituente. Cfr. A. Santilli, Al-Nahda e il processo di transizione tunisino: genesi e strategie di un «partito di movimento», op. cit., p. 59.
Il secondo periodo transitorio è stato definito di “normalizzazione istituzionale”, poiché rispetto a quello precedente si caratterizza per l’emanazione di una serie di atti normativi che disciplinano la transizione in maniera più sistematica rispetto a quanto avvenuto nel primo periodo.
Questa seconda fase si è aperta il 15 marzo, con l’entrata in vigore del decreto-legge 14 del 201128, che ha rappresentato il primo elemento di rottura sostanziale con l’ordine costituzionale precedente, poiché decretava lo scioglimento dei principali organi costituzionali del vecchio ordinamento, quali la Camera dei Deputati, la Camera dei Consiglieri, il Consiglio costituzionale e il Consiglio economico e sociale (art. 3), e prevedeva un’organizzazione provvisoria dei poteri.
In particolare, per quanto riguarda la funzione legislativa, il decreto confermava la decisione del 7 febbraio 2011, stabilendo che essa sarebbe stata esercitata mediante decreti-legge promulgati dal Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 4); per quanto riguarda invece il potere esecutivo, esso era affidato al Presidente della Repubblica ad interim assistito da un Governo provvisorio presieduto da un Primo Ministro (art. 6).
Nel suo insieme, il decreto era costituito da diciannove articoli preceduti da un preambolo, che faceva riferimento alla “rivoluzione dei gelsomini” e si appellava al concetto di sovranità popolare.
Malgrado la brevità, il d.l. 14/2011 ha rappresentato un atto normativo di grande rilevanza per il periodo transitorio e la dottrina lo ha considerato un «fait juridique fondateur, de nature constitutionnelle»29.
Oltre al d.l. 14/2011, il secondo periodo di transizione ha visto l’emanazione anche di altri importanti atti normativi, che giustificano la tesi della “normalizzazione istituzionale”. Un esempio è rappresentato dal d.l. 27/2011 del 18 aprile, che istituiva l’“Istanza superiore per le elezioni”. Si trattava di un’autorità indipendente incaricata di organizzare e monitorare le elezioni composta da sedici membri nominati per decreto tra giudici, avvocati, accademici e rappresentanti della società civile30. Su proposta di quest’organo, il Presidente della Repubblica ha emanato una serie di decreti- legge in materia di elezioni: l’atto normativo più importante è il d.l. 35/2011 (successivamente modificato con il d.l. 72/2011) del 10 maggio che regolava la materia elettorale e comprendeva anch’esso un preambolo che faceva un solenne richiamo alla rivoluzione. Esso era suddiviso in ottanta articoli e disciplinava l’elettorato attivo e passivo, le modalità dello scrutinio, la campagna elettorale, le operazioni di voto e di spoglio, la questione dei ricorsi elettorali e altre questioni relative allo svolgimento delle elezioni.
Per quanto riguarda l’elettorato passivo, l’art. 15 stabiliva un limite minimo di età di ventitré anni ed escludeva i militari di carriera e quanti stavano prestando servizio militare, nonché coloro che
28 Il d.l. è stato formalizzato il 23 marzo 2011.
29 Cfr. R. Ben Achour, S. Ben Achour, La transition démocratique en Tunisie, op.cit., p. 722.
30 Art. 8 del d.l. 27 /2011.
avevano ricoperto incarichi di governo durante la Presidenza di Ben Ali, con l’eccezione di coloro che non erano stati membri dell’RCD, o comunque non avevano ricoperto incarichi rilevanti nel partito. Lo stesso articolo escludeva dall’elettorato passivo anche «chiunque abbia chiamato il Presidente decaduto a candidarsi per un nuovo mandato nel 2014». L’art. 16 sanciva il principio della eguaglianza di genere nelle liste elettorali, affermando che «Le candidature sono presentate sulla base del principio della parità tra donne e uomini tramite disposizione alternata nelle liste di candidati uomini e donne. […]». Per quanto riguarda il sistema elettorale, il decreto-legge prevedeva un sistema proporzionale a liste bloccate (art. 32).
Questo primo decreto in materia elettorale, è seguito da altri, come il d.l. 1088/2011 del 3 agosto relativo alle circoscrizioni elettorali31, il d.l. 87/2011 relativo ai partiti politici e il d.l. 88/2011 in materia di associazioni, entrambi del 24 settembre 2011.
3.3 Il terzo periodo transitorio
Il terzo periodo transitorio, definito di “transizione democratica”, è caratterizzato dalle elezioni per l’Assemblea nazionale costituente (ANC) del 23 ottobre 2011. Esse rappresentano le prime elezioni democratiche del Paese poiché, benché dall’indipendenza si siano tenute regolarmente le consultazioni elettorali ogni cinque anni (con due sole eccezioni di elezioni straordinarie, nel 1981 e nel 1989), l’opposizione non ha mai avuto una autentica possibilità di affermarsi a causa del predominio del partito al potere, il RCD. Malgrado le aperture formali al pluripartitismo, il regime non lasciava infatti spazio ad altre formazioni politiche se non – tramite il sistema dell’autorizzazione preventiva – a partiti politici di facciata.
Le elezioni si sono svolte in un quadro di accentuato pluralismo politico: alla competizione elettorale sono stati ammessi infatti più di cento partiti e le elezioni hanno portato ben ventisette partiti e liste indipendenti ad avere almeno un seggio nell’Assemblea, delineando quindi un quadro politico caratterizzato da una notevole frammentazione32. I votanti sono stati più di quattro milioni (su un totale di 7,5 milioni di iscritti), e le elezioni hanno visto un tasso di partecipazione del 54,1%.
Malgrado l’emergere di alcuni contenziosi elettorali33, le elezioni sono state definite dagli osservatori libere e regolari.
31 Il d.l. 1088/2011 istituisce trentatré circoscrizioni, di cui ventisette in Tunisia e sei all’estero.
32 La frammentazione della rappresentanza è un tratto che contraddistingue tutti i processi di transizione intrapresi nell’area nordafricana e, se da un lato essa si spiega con la ritrovata libertà di espressione e associazione, dall’altro solleva interrogativi circa le reali capacità di questa polifonia di raggiungere accordi politici. Per un approfondimento si veda: M. Campanini (cur.), Le rivolte arabe e l’Islam, op. cit.
33 In seguito alla proclamazione dei risultati, sono stati infatti sollevati centoquattro ricorsi al Tribunale amministrativo, l’organo incaricato di dirimere i contenzioni elettorali, cosi come stabilito dal d.l. 35/2011, di cui sei sono stati accolti:
questi riguardavano la lista indipendente denominata Al Aridha, per violazione della norma sul finanziamento ai partiti e del principio di incandidabilità degli ex membri del RCD. Cfr. C. Sebastiani, Le elezioni del 23 ottobre in Tunisia: il laboratorio politico delle primavere arabe, in Quaderni dell’osservatorio elettorale, n. 67, giugno 2012, p.72.
Per quanto riguarda i risultati, le elezioni hanno da un lato confermato le previsioni precedenti al voto, ma dall’altro hanno presentato anche elementi di sorpresa34. In particolare, il successo del partito islamico Ennahda – che ha ottenuto il 41% dei seggi -, pur largamente atteso, ha superato le previsioni. Tale risultato è stato spiegato in parte con la capacità del partito di condurre attività politica anche nel periodo di esilio politico (che risale dal 1989), in parte con il sostegno conseguito nelle zone rurali più islamizzate, e in parte con la presa che ha avuto sulla popolazione il messaggio politico di riconciliazione dei valori islamici con i valori democratici35 .
A ben vedere la vittoria elettorale di questo partito islamista moderato, affiliato alla Fratellanza musulmana, conferma un trend diffuso in tutto il Nord Africa, che suscita riflessioni e solleva interrogativi di grande interesse. La dottrina ha sottolineato che l’affermazione dell’Islam politico rappresenta una reazione alla perdita di legittimità degli stati autoritari e secolari che hanno mantenuto il potere per lungo tempo36. Questo fenomeno testimonia però anche una deliberata presa di distanza dal modello democratico occidentale37.
Ennahda ha ottenuto tuttavia una maggioranza relativa e conseguentemente ha formato una coalizione con due partiti secolari (c.d. “troika”): il Congresso per la Repubblica (in arabo, Al Mottamar), fondato da Moncef Marzouki, ex Presidente della Lega tunisina per i diritti dell’uomo, ricomparso sulla scena pubblica in seguito alla destituzione di Ben Ali dopo nove anni di illegalità, che ha ottenuto il 13,36% dei voti, e il partito social-democratico Forum démocratique pour le travail et les libertés (in arabo Ettakatol) di ispirazione laica, fondato nel 1994 dal medico Musthapha Ben Jafaar, legalizzato nel 2002, che ha ottenuto il 9,22% dei voti. La coalizione ha così raggiunto il numero di centotrentotto seggi su duecentodiciassette e i tre partiti si sono accordati sulla ripartizione delle tre Presidenze: al Congresso per la Repubblica è stata assegnata la Presidenza della Repubblica, nella persona di Moncef Marzouki (eletto dall’Assemblea costituente il 12 dicembre 2011), a Ettakatol la Presidenza dell’ANC, nella persona di Ben Jafaar, e a Ennahda la Presidenza del Governo, inizialmente nella persona di Hamadi Jebali (nominato dal Presidente della Repubblica, in seguito alle dimissioni di Béji Caid Essebsi dopo l’insediamento dell’Assemblea costituente) e successivamente nella persona di Ali Larayedh.
Successivamente, il 16 dicembre 2011 è stata promulgata la legge costituzionale n. 6 in cui è contenuta una nuova organizzazione provvisoria dei poteri che resterà in vigore fino all’approvazione della Carta costituzionale. La legge, costituita da un preambolo e da ventotto articoli, assegna sia l’attività costituente che l’attività legislativa ordinaria all’Assemblea
34 Ibidem.
35 Cfr. S. Deane, Transforming Tunisia. The Role of Civil Society in Tunisia’s Transition, in International Alert, February 2013, p.10.
36 Ibid. p.18.
37 Cfr. F. Fukuyama, Transitions to the Rule of Law, in Journal of Democracy, vol. 21, n. 1, 2010, p. 40.
costituente, che è incaricata anche dell’elezione del Presidente della Repubblica (art. 10). Ai sensi dell’art. 15, il Presidente della Repubblica nomina Capo di Governo il leader del partito che ha ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni per l’Assemblea, il quale a sua volta propone una lista di ministri, che verrà nominata dal Presidente della Repubblica; il Governo così formato dovrà ottenere la fiducia dell’ANC. La l.cost. 6/2011 prevede poi che le collettività locali esercitino le loro funzioni conformemente alla disciplina in vigore, fino a che non intervenga un’eventuale modifica a riguardo da parte dell’ANC (art. 21). Per quanto riguarda il potere giudiziario, la legge prevede che l’Assemblea istituisca, per mezzo di una legge organica, un organo provvisorio incaricato di monitorare e riorganizzare le funzioni giudiziarie (art. 22); ai sensi dell’art. 23 il Tribunale amministrativo e la Corte dei Conti continuano ad esercitare le loro funzioni. La legge prevede poi che l’Assemblea emani una legge organica in materia di giustizia di transizione (art. 24) e una legge che istituisca una nuova autorità indipendente per le elezioni (art. 25). La legge si chiude con alcune disposizioni relative alla Banca centrale (art. 26) e le disposizioni finali relative all’entrata in vigore delle previsioni normative soprammenzionate (artt. 27-28).
Con l’emanazione della l.cost. n. 6 del 2011 termina la periodizzazione alla quale ci siamo ispirati.
Il processo tuttavia continua, e i fatti politico-istituzionali avvenuti nel 2012, e soprattutto nel 2013, hanno in parte ridimensionato le previsioni ottimistiche circa la rapida conclusione del processo costituente.
3.4 Un quarto periodo: le difficoltà del processo costituente
A partire dal 2012, il processo costituente ha subito un drastico rallentamento, principalmente a causa dell’emergere delle profonde tensioni politiche che hanno indebolito l’intero assetto istituzionale. Il fattore più evidente di queste complicazioni è la violenza politica: a partire dall’ottobre 2012 si sono verificati numerosi omicidi di rappresentanti dell’opposizione politica.
Spiccano, tra le vittime, Lotfi Naguedh, un sostenitore del partito Nidaa Tunis, Chokri Belaïd, segretario generale del partito di sinistra Al-Watad, e Mohamed Brahmi, deputato all’ANC e fondatore della Courant populaire. Questi episodi hanno aperto una crisi politica di ampie dimensioni che ha coinvolto in particolar modo Ennahda. Il partito è stato infatti accusato di offrire copertura alle milizie islamiche implicate nei ricorrenti episodi di violenza (denominate “Lega per la protezione della rivoluzione”), di favorire un clima di impunità, di aver collocato suoi rappresentanti in tutti i posti chiave del settore pubblico38 e di eccessivo protagonismo in seno
38 Secondo alcuni osservatori, tra dicembre 2012 e febbraio 2013, il 93% delle nomine è stato conferito infatti a soggetti legati al partito. Cfr. L. Weslaty, Nominations dans le secteur public : 87% pour la Troïka dont 93% en faveur des partisans d’Ennahdha, in Nawaat Blog, 22 mars 2013: http://nawaat.org/portail/2013/03/22/93-des-nominations-dans- le-secteur-public-ont-beneficie-a-des-partisans-dennahdha/
all’ANC39. Anche internamente, Ennahda si è trovato a dover affrontare la polarizzazione tra un’ala radicale e un’ala moderata. Il confronto tra queste due anime del partito ha avuto riflessi anche sulla scena politica nazionale, come dimostra la formazione di un nuovo Governo presieduto da Ali Larayedh, l’11 marzo 2013, in seguito al naufragio della proposta di formare un governo tecnico avanzata dal Primo Ministro Jebali.
E’ in questo contesto di tensioni politiche e violenza che, il 27 aprile 2013, l’Assemblea costituente ha annunciato la conclusione dei lavori di redazione della bozza di Costituzione; quest’ultima è stata resa pubblica il 1 giugno 2013, data simbolica che corrisponde all’approvazione della Costituzione del 1959 e all’anniversario del ritorno di Bourguiba in patria dopo l’esilio40.
Nel frattempo le tensioni proseguivano: dapprima alcuni deputati hanno presentato un ricorso al Tribunale amministrativo relativo alla bozza di Costituzione, lamentando in particolare una violazione dell’art. 104 del regolamento interno, il quale prevede che il progetto finale sia redatto dal comitato di coordinamento e redazione basandosi sui lavori delle commissioni costituenti e tenendo conto del parere degli esperti41. Secondo la Coalition pour la Révision de la Constitution, che riunisce circa un terzo dei deputati all’Assemblea, il comitato di coordinamento e redazione non si sarebbe basato sui lavori delle varie commissioni e ne avrebbe anzi rimaneggiato le bozze. Il Tribunale amministrativo ha rigettato tuttavia il ricorso, giudicandolo non fondato.Nondimeno, la prima discussione plenaria, il 1 luglio, ha visto l’ostruzionismo dei deputati dell’opposizione.
Per risolvere i dissidi interni è stata creata una commissione ad hoc, la Commission du consensus, presieduta dal Presidente dell’ANC, Ben Jaafar, incaricata di favorire l’accordo in seno all’Assemblea. Questo obiettivo non è stato tuttavia raggiunto, anche a causa del precipitare della situazione politica nel Paese. In seguito al già ricordato omicidio del deputato Mohamed Brahmi, avvenuto il 25 luglio 2013, e a fronte dell’impossibilità di proseguire l’opera costituente con la necessaria tranquillità, il 6 agosto, il Presidente dell’ANC ha annunciato la sospensione dei lavori dell’organo.
Questa decisione sembra collocare l’esperienza costituente attuale nel solco della tradizione: già il primo processo costituente (1956-1959) aveva infatti subito una sospensione nella fase conclusiva, sebbene allora le cause fossero da rintracciare principalmente in un incidente di politica estera e nelle tensioni ideologiche interne al partito al potere, che riflettevano il clima della guerra fredda42. Attualmente le difficoltà sono invece di carattere interno, dovute da un lato alla difficoltà
39 Si segnala che cinque delle sei commissioni costituenti sono presiedute da membri della troika.
40 Per un approfondimento sul funzionamento dell’Assemblea costituente si veda infra, par. 5.
41 Vedi infra.
42 La causa principale della sospensione dei lavori della prima ANC va ricercata nel bombardamento francese della città di Sikiet Sidi Youssef del 8 febbraio 1958, nell’ambito della guerra di liberazione algerina.
connaturate ai processi di democratizzazione, e dall’altro alla frammentazione delle forze politiche, complicata anche dalla dialettica tra partiti islamici e partiti laici.
L’Assemblea ha ripreso a funzionare il 17 settembre 2013, ma la crisi politica continua a indebolire il processo costituente. Alcune forze politiche, come Ettakatol, hanno infatti ritirato i loro deputati dall’Assemblea, e da ottobre a dicembre ventuno partiti sono stati impegnati nel c.d. “dialogo nazionale”, un tavolo di negoziazione volto a trovare un accordo sulla formazione di un nuovo governo capace di portare a termine la transizione costituzionale43. Per raggiungere questo obiettivo, un primo passo è stato raggiunto il 14 dicembre 2013 quando, in seguito a una votazione tenuta fra i partecipanti al “dialogo nazionale”, è stato individuato come nuovo capo di Governo Mehdi Jomaâ, un personaggio considerato relativamente indipendente dalle forze politiche in campo, poiché non aveva ricoperto incarichi politici prima della transizione, quando fu nominato Ministro dell’industria del Governo Larayedh . Con questa scelta – non condivisa da tutti i partecipanti al “dialogo nazionale”, come dimostra l’astensione di otto partiti dal voto – si è aperta quindi una nuova fase del processo di transizione, il cui esito è al momento imprevedibile44.
Benché le difficoltà emerse nel corso del processo costituente rendano particolarmente incerta la situazione tunisina, occorre rilevare che fenomeni simili non sono affatto infrequenti durante l’elaborazione e l’approvazione di una nuova Costituzione. L’analisi comparata dei processi costituenti mostra infatti che in molti casi il processo si è accompagnato ad una crescente polarizzazione politica, e addirittura a un clima di violenza politica. Il processo di elaborazione della Costituzione ad interim sudafricana, ad esempio, ha visto accadere numerosi episodi di violenza politica45; il processo costituente boliviano del 2006-2009 ha mostrato l’emergere di una forte conflittualità tra le principali forze politiche del Paese, tanto che per tentare di risolvere la crisi politica è stato convocato un Comitato pubblico apartitico con l’obiettivo di raggiungere un consenso tra le diverse forze politiche, soluzione questa che ricorda il “dialogo nazionale” promosso in Tunisia46; il processo di elaborazione della nuova Costituzione keniota nel 2005 ha invece mostrato il progressivo sfaldarsi dell’unità del corpo politico, rappresentato dalla coalizione National Rainbow Coalition47.
43 Il “dialogo nazionale” è stato promosso da quattro attori non istituzionali: l'Union générale tunisienne du travail (UGTT), l'Union tunisienne de l'industrie, du commerce et de l'artisanat (Utica), l'Ordre national des avocats de Tunisie (ONAT) e la Ligue tunisienne des droits de l'homme (LTDH).
44 Al momento della stesura del presente lavoro Mehdi Jomaâ deve ancora individuare gli altri membri del Governo e ottenere la fiducia dell’ANC.
45 Cfr. V. Federico, Sudafrica, Il Mulino, Bologna, 2009, pp. 51-52.
46 Cfr. C. Storini, A. Noguera, Processo costituente e Costituzione in Bolivia. Il difficile cammino verso la rifondazione dello Stato, in DPCE, vol. 3, 2008, pp. 1285-1304.
47 Cfr. J. T. Gathii, Popular Authorship and Constitution Making: Comparing and Contrasting the DRC and Kenya, in William & Mary Law Review, vol. 49, 2007, pp. 1108-1138.
Nel caso tunisino, la crisi politica che paralizza il processo costituente sembra suggerire che il consenso tra forze politiche, raggiunto nella fase dell’iniziativa costituzionale e nel periodo preparatorio, sia venuto meno nella fase della formazione e deliberazione della Carta costituzionale48. Quest’ultimo passaggio ha rappresentato il banco di prova dell’unità del corpo politico in vista dell’obiettivo di un nuovo “ordinamento costituzionale”49. A differenza di altre transizioni, come quella sudafricana (che rappresenta un modello in questo senso proprio perché è riuscita a costruire un’unità, malgrado le profonde divisioni prodottesi durante il periodo dell’apartheid50), la frammentazione politica e la polarizzazione interna a Ennahda sembrano aver prevalso sull’obiettivo di trovare un accordo al fine di porre le basi per un ordine costituzionale democratico.
Il seguito del processo costituente attualmente in atto è ovviamente impossibile da prevedere, e non ci sono elementi sufficienti, al momento, per comprendere se la Tunisia sperimenterà vie nuove, o adotterà vie già sperimentate, per portare a termine la riforma costituzionale.
4. L’Assemblea nazionale costituente e l’elaborazione della Costituzione
La scelta delle forze politiche tunisine per avviare il processo di transizione è stata quella di affidare al popolo l’elezione diretta dei membri dell’Assemblea nazionale costituente.
Al momento delle elezioni, il quadro normativo relativo all’organo costituente appariva tutt’altro che chiaro: i decreti-legge riguardanti l’elezione dell’Assemblea non contenevano infatti alcuna indicazione dettagliata circa i suoi compiti e, per quanto riguarda la durata del suo mandato, l’unico riferimento normativo era rappresentato dell’art. 6 del decreto-legge del 20 maggio 2011 che fissava ad un anno la durata massima dei lavori.
Le elezioni del 23 ottobre, svoltesi come è stato già sottolineato con un sistema proporzionale a liste bloccate, hanno portato all’elezione di 217 membri, il 24% dei quali sono donne.
L’Assemblea si è insediata nel palazzo Bardo, già sede della Camera dei Deputati, il 22 novembre 2011 e ha dedicato il primo anno della sua attività all’elaborazione dei testi fondamentali della transizione costituzionale che abbiamo richiamato in precedenza.
Tra le prime decisioni dell’ANC si segnala l’atto normativo del 7 dicembre 2011 con cui l’Assemblea ha rimosso il limite temporale di un anno al suo mandato51. Immediatamente dopo
48 Per la distinzione dei processi costituenti in tre fasi (iniziativa costituente, periodo preparatorio e deliberazione della carta costituzionale) è avanzata da P. G. Grasso, Potere costituente, in Enciclopedia del diritto, XXXIV, Giuffrè, Milano, 1985, pp. 642-670.
49 Sul concetto di ordinamento costituzionale si veda: A. Barbera, Ordinamento costituzionale e carte costituzionali, op.cit.
50 Cfr. A. Lollini, Costituzionalismo e giustizia di transizione, op.cit., p. 43 ss.
51 Questa decisione viene implicitamente ribadita nel regolamento interno del 20 gennaio 2012, che non contiene alcun riferimento temporale in merito al mandato dell’assemblea. Per un approfondimento della questione relativa alla durata
l’insediamento, sono state istituite due commissioni specializzate52: la commissione per il regolamento interno e la commissione per l’organizzazione provvisoria dei poteri pubblici, che hanno elaborato, rispettivamente, il regolamento interno e la già ricordata legge costituzionale 6/2011.
Il regolamento interno è organizzato in undici capitoli e comprende 143 articoli, alcuni dei quali contengono più disposizioni al loro interno53. Esso disciplina nel dettaglio il funzionamento dell’Assemblea e stabilisce che l’ANC è incaricata di svolgere sia l’attività legislativa ordinaria che l’attività costituente. In ragione di questa duplice funzione viene prevista la formazione di gruppi parlamentari, che possono essere costituiti da un minimo di dieci deputati (art. 16). Il regolamento stabilisce inoltre che l’Assemblea si articola nei seguenti organi: la Presidenza, l’Ufficio dell’Assemblea, la Conferenza dei Presidenti, le commissioni permanenti costituenti, le commissioni permanenti legislative e le commissioni speciali.
L’attività costituente è assegnata a sei commissioni specializzate per materia, incaricate di elaborare singoli progetti di articoli relativamente all’ambito di loro competenza.54 Ai sensi dell’art. 64 del regolamento interno, le commissioni costituenti sono composte da massimo ventidue membri; per quanto riguarda la composizione, l’Ufficio dell’Assemblea assegna a ciascun gruppo parlamentare un seggio in commissione per ogni dieci eletti, e il gruppo si fa poi carico di nominare i deputati destinati a ricoprire i seggi che gli spettano55. Il principio di assegnazione dei membri delle commissioni è quindi proporzionale agli eletti, e lo stesso avviene per la Presidenza delle commissioni (artt. 49-50). La c.d.”troika” si trova dunque a detenere la Presidenza di cinque delle sei commissioni costituenti e, poiché le decisioni sono prese a maggioranza dei presenti (art. 60), l’opposizione lamenta che la maggioranza ha il potere e la volontà di far approvare solo le leggi di suo gradimento, senza fare alcuna concessione all’opposizione.
del mandato degli organi costituenti, si veda: J. Elster, The Optimal Design of A Constituent Assembly, in Collective Wisdom, Cambridge University Press, Cambridge, 2012, pp. 148-172 .
52 Queste commissioni sono composte da 22 membri, suddivisi in maniera proporzionale rispetto agli eletti all’ANC, così come accade per le altre commissioni dell’Assemblea. Vedi infra.
53 Il regolamento trae ispirazione dal regolamento della Camera dei Deputati, ma contiene anche alcune disposizioni derivanti dalla tradizione parlamentare francese, come ad esempio la Conferenza dei Presidenti, che è un organo consultivo di coordinazione incaricato di organizzare i lavori dell’assemblea. Esso è stato modificato una prima volta il 15 marzo 2013 e ha subito una seconda modifica – fortemente criticata dall’opposizione – il 4 novembre 2013.
Quest’ultima modifica riguarda specificatamente gli artt. 36, 79, 89, 106 e 126 ed è finalizzata a ridurre le difficoltà tecniche che rallentano la fase di approvazione del testo costituzionale. Le disposizioni novellate riducono infatti il quorum necessario per le sedute dell’assemblea, aumentano il numero di richiedenti per la presentazioni di emendamenti, introducono sanzioni per i deputati che non si presentano alle sedute per tre volte consecutive, etc.
54 Le commissioni sono: 1) la commissione del preambolo, principi fondamentali, revisione costituzionale; 2) la commissione per i diritti e libertà ; 3) la commissione per il potere legislativo ed esecutivo e relazione tra i due poteri;
4) la commissione per l’ organizzazione giudiziaria ordinaria, amministrativa, finanziaria e costituzionale; 5) la commissione per le questioni costituzionali ; 6) la commissione per le collettività pubbliche regionali e locali.
55 Artt. 8 e 42 del regolamento.
A differenza di quanto avvenuto nella prima Assemblea costituente tunisina (1956-1959)56 i lavori delle commissioni sono di regola pubblici, anche se le commissioni stesse possono decidere, a maggioranza, di deliberare a porte chiuse (art. 54).
Il regolamento contiene infatti una serie di disposizioni che riguardano la trasparenza dei lavori57, ma non sono disciplinati nel dettaglio i meccanismi di partecipazione al processo costituente:
l’unico riferimento normativo a riguardo è rappresentato infatti dall’art. 79 che afferma che
«L’Assemblea tiene le sue sedute plenarie su convocazione del Presidente secondo il calendario fissato dalla Conferenza dei Presidenti, tenendo conto del fatto che una settimana al mese è riservata al confronto tra deputati ed elettori». A fronte di questa lacuna in materia di canali formali di partecipazione, alcune associazioni della società civile e alcune organizzazioni internazionali hanno promosso iniziative volte a promuovere il coinvolgimento della popolazione al processo costituente58.
Per quanto riguarda la procedura di approvazione della Carta costituzionale, l’art. 107 del regolamento rimanda all’art. 3 della legge sull’organizzazione provvisoria dei poteri del 16 dicembre 2011 che prevede un meccanismo particolarmente complesso: la bozza di Costituzione deve essere elaborata dal comitato misto di coordinamento e redazione sulla base dei singoli progetti di articoli licenziati dalle sei commissioni costituenti e deve essere approvata prima dall’Assemblea, articolo per articolo, a maggioranza assoluta, e successivamente nel suo complesso da una maggioranza dei due terzi dei componenti della stessa; nel caso in cui tale maggioranza non sia raggiunta, il progetto è sottoposto, entro un mese, ad una seconda votazione, nella quale è necessaria la stessa maggioranza; qualora essa non sia raggiunta, la Costituzione sarà sottoposta ad un referendum e dovrà essere approvata dalla maggioranza dei votanti59.
56 La prima ANC era composta soltanto da novantotto deputati e non poteva essere considerata rappresentativa delle varie componenti della società, poiché il 98% dei seggi era occupato da rappresentanti del Fronte nazionale, la coalizione capeggiata dal partito Neo-Déstour di Habib Bourguiba. Se da un lato l’Assemblea era dunque senz’altro sbilanciata politicamente, bisogna però notare che essa comprendeva rappresentanti di varia provenienza sociale:
l’assemblea era infatti composta da agricoltori, avvocati, professori, commercianti, operari, funzionari statali, etc. Cfr.
C. Debbasch, La république tunisienne, Libraire générale de droit et de jurisprudence, Paris, 1962, p. 45.
57 Si notino in particolare i seguenti artt.: l’ art. 54 che stabilisce che i lavori delle commissioni sono pubblici, ma non è prevista la pubblicazione dei verbali orali dei lavori; l’art. 59 che sancisce la possibilità per le commissioni di richiedere pareri ad esperti; l’art. 76 che sancisce che le sedute plenarie sono pubbliche e devono essere annunciate, e prevede la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e sul sito dell’ANC dei dibattiti e delle decisioni, nonché la trasmissione radio- televisiva delle discussioni;l’art. 77 che afferma che la lingua ufficiale delle discussioni in seduta plenaria è l’arabo, ma afferma che l’ANC mette a disposizioni strumenti per permettere la partecipazione anche dei soggetti che non padroneggiano l’arabo.
58 Gli esempi potrebbero essere molti, tra di essi si segnalano: gli incontri tra cittadini e deputati, la campagna radiofonica di informazione sul processo in atto e il un progetto di informazione online relativo ai lavori dell’ANC, promossi dall’associazione Al Bawsala; e il progetto Dialogo Nazionale che consisteva in una serie di incontri nelle 24 governatorati della Tunisia tra deputati e cittadinanza, promosso dall’UNDP.
59 La procedura per l’approvazione della futura Costituzione è contenuta all’art. 107 del regolamento il quale rimanda all’art. 3 della legge sull’organizzazione provvisoria dei poteri del 16 dicembre 2011.