• Non ci sono risultati.

Finanziamento pubblico al "valore culturale" delle produzioni audiovisive: Fondo Audiovisivo FVG in quattro casi di studio

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Finanziamento pubblico al "valore culturale" delle produzioni audiovisive: Fondo Audiovisivo FVG in quattro casi di studio"

Copied!
168
0
0

Testo completo

(1)

Corso di Laurea magistrale

in

Economia e Gestione

delle Arti e delle attività culturali

Tesi di laurea

Finanziamento pubblico al “valore culturale”

delle produzioni audiovisive:

Fondo Audiovisivo FVG in quattro casi di studio

Relatore

Prof. Fabrizio Panozzo

Laureando

Giuseppe Cotugno Matricola 871954

Anno Accademico

(2)

1

INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO I - MECCANISMI DI FINANZIAMENTO ... 9

1.1 STATE AID, SOSTEGNO PUBBLICO AL SETTORE CULTURALE ... 9

1.1.1 PRINCIPALI ARGOMENTAZIONI A FAVORE ... 9

1.1.1.1 Evitare il fallimento del mercato ... 10

1.1.1.2 Il rispetto del principio di equità... 15

1.1.2 THE ECONOMICS OF FILM FUNDING ... 15

1.1.2.1 Un contesto difficile ... 15

1.1.2.2 L’intervento pubblico nel settore cinematografico ... 17

1.1.2.3 Perché analizzare il supporto pubblico al cinema ... 20

1.1.3 L’IMPORTANZA DELLA DIVERSITA’ CULTURALE ... 24

1.1.3.1 Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage (2003) ... 26

1.1.3.2 Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural Expressions (2005) ... 29

1.2 EUROPA ... 31

1.2.1 PUBLIC FUNDING IN EUROPE ... 31

1.2.1.1 Eurimages ... 34

1.2.1.2 Programma MEDIA ... 36

1.2.1.3 Programma Europa Creativa ... 39

1.2.2 FORME DI INCENTIVAZIONE FISCALE ... 41

1.2.2.1 Tax shelters ... 43

1.2.2.2 Rebates ... 45

1.2.2.3 Tax credits ... 47

1.3 ITALIA ... 49

1.3.1 IL “NUOVO” SETTORE AUDIOVISIVO ... 51

1.3.2 RISORSE DIRETTE ... 53

1.3.2.1 Fondo Unico per lo Spettacolo ... 54

1.3.2.2 MiBACT ... 55 1.3.3 RISORSE INDIRETTE ... 56 1.3.3.1 Tax credit ... 58 1.4 REGIONI ... 61 1.4.1 FILM COMMISSION ... 62 1.4.2 FONDI REGIONALI ... 64

(3)

2

CAPITOLO II - DISTRIBUZIONE CINEMATOGRAFICA ... 71

2.1 FILIERA PRODUTTIVA DEL SETTORE AUDIOVISIVO ... 71

2.1.1 L’IMPORTANZA DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE ... 76

2.2 DISTRIBUZIONE ... 78

2.2.1 STRATEGIE DISTRIBUTIVE TRADIZIONALI ... 79

2.2.2 SVILUPPO E AFFERMAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE INDIPENDENTE ... 84

2.2.2.1 “The New World of Distribution” ... 86

2.2.2.2 Distribuzione theatrical e alternativa ... 90

2.2.3 GATEKEEPER, IL RUOLO DEI DISTRIBUTORI E DEGLI AGENTI DI VENDITA ... 95

2.2.4 FORME DI DISTRIBUZIONE ALTERNATIVA ... 97

2.2.4.1 Home Video ... 98

2.2.4.2 Television distribution ... 99

2.2.4.3 Video-on-demand (VOD) ... 100

2.2.4.4 Non-theatrical ed educational distribution ... 105

2.2.4.5 Film Festival ... 108

2.2.5 SHADOW ECONOMIES OF CINEMA, LA DISTRIBUZIONE INFORMALE ... 111

CAPITOLO III - FONDO AUDIOVISIVO FVG ... 118

3.1 EX CURSUS STORICO, FINALITÀ E STRUTTURA ... 118

3.1.1 SVILUPPO ... 121

3.1.2 DISTRIBUZIONE ... 123

3.1.3 FORMAZIONE ... 126

3.1.4 UN ESEMPIO SU TUTTI: MENOCCHIO (2018) ... 127

3.2 RACCOLTA DATI... 129

3.2.1 ANALISI E DISCUSSIONE GENERALE ... 129

3.2.2 SELEZIONE EMPIRICA E CRITERI ... 132

3.2.3 CASO STUDIO ... 134

3.2.3.1 “Parole povere” (2013) ... 135

3.2.3.2 “I tempi felici verranno presto” (2016) ... 141

3.2.3.3 “La rosa di Valentino” (2012) ... 145

3.2.3.4 “Int/Art” (2016-2018) ... 149

CONCLUSIONI – POLICY MAKER ... 152

BIBLIOGRAFIA ... 160

(4)

3

INTRODUZIONE

Questo elaborato nasce dalla volontà di approfondire il settore audiovisivo dal punto di vista dell’ente pubblico che deve scegliere se e in che misura sostenere il finanziamento a determinati progetti, attraverso quali meccanismi e secondo quali criteri di valutazione. In un mercato tanto ricco di industrie di diverse dimensioni, la mia attenzione si è concentrata sulle piccole case indipendenti locali, composte di produttori e distributori di film a basso budget che il più delle volte dimostrano di non produrre un considerevole valore economico.

Ho quindi voluto dare estrema importanza al valore culturale, affinché divenisse la motivazione principale in risposta alla domanda del perché continuare a finanziare questo tipo di progetti. Con l’obiettivo di legittimare che attraverso il denaro pubblico si possono finanziare produzioni che mostrano uno scarso valore economico (indicato ad esempio dall’incasso al box office o dal numero di biglietti staccati nei cinema), ho concentrato il mio lavoro sulla distribuzione cinematografica, soprattutto per capire che forme diverse dalle solite dovesse assumere per diventare generatrice di valore culturale. Raccogliendo preziosi spunti da diverse letterature globali già esistenti, ho delimitato il mio territorio di analisi alla Regione in cui vivo e sono cresciuto, il Friuli-Venezia Giulia, di cui il Fondo Audiovisivo FVG è modello e vanto a livello nazionale per la capacità di finanziare e promuovere con successo centinaia di produzioni locali, seguendole dallo sviluppo sino alla fase finale di distribuzione. Ho strutturato l’elaborato in tre capitoli, fino a giungere a conclusioni assumendo il punto di vista di un policy maker.

Il Capitolo 1 è una mappatura di tutti i meccanismi esistenti di finanziamento pubblico al settore audiovisivo. Sono partito da una premessa necessaria per porre basi solide sul perché i governi dovrebbero sovvenzionare le arti, ripercorrendo i possibili fallimenti a cui il mercato incorrerebbe se lo Stato non intervenisse con sussidi. Ho quindi messo a fuoco il settore audiovisivo, che negli anni ha avuto attenzioni diverse per quanto riguarda l’intervento pubblico, sia di natura economica che culturale, cercando di

(5)

4

marcare le principali criticità che ogni autorità statale denota. A proposito di questa seconda natura, diventa fondamentale anche per le conclusioni finali un paragrafo dedicato all’importanza della diversità culturale, supportato con convinzione dalla Comunità Europea e dall’UNESCO, anche attraverso le due convenzioni sulla salvaguardia del patrimonio culturale intangibile e sulla protezione e promozione della diversità culturale.

Sono passato dalla generalità globale alla specificità geografica europea, presentando la storia degli aiuti settoriali all'industria cinematografica negli anni e mostrando come il sostegno comunitario al settore audiovisivo abbia puntato, non senza difficoltà e contraddizioni, a fronteggiare numerose debolezze strutturali. Vengono forniti alcuni esempi dal fondo Eurimages, dal Programma MEDIA e dal Programma Europa Creativa, in chiave di continuità e unendo i due settori cultura e creatività. Il lavoro fatto dal Council of Europe, che ha istituito l’European Audiovisual Observatory, è stato molto utile per mappare a livello europeo tutte le forme di incentivazione fiscale che ogni Paese ha introdotto negli anni, raggruppabili in tax shelters, rebates e tax credit.

A questo punto mi sono quindi calato nella realtà nazionale, l’Italia, che negli ultimi anni ha attuato considerevoli politiche culturali dedicate al cinema. Non solo l’articolo 9 della Costituzione che afferma che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, ho voluto esaminare anche i principi che hanno ispirato l’aggiornamento della precedente normativa e in particolare di quella parte che regolamenta il sostegno pubblico al settore. Settore che con la recente legge n.220 del 2016 (e successivi decreti attuativi) viene ridefinito e allargato, con la nuova definizione di opera audiovisiva. Per quanto riguarda i meccanismi di finanziamento pubblici, in linea con quanto previsto in altri Paesi della Comunità Europea, l’Italia, attraverso il MiBACT, prevede l’intervento con risorse dirette (contributi selettivi e automatici) e risorse indirette (tax credit).

L’esamina si conclude con la specificità regionale, il cui possibile intervento pubblico può essere dato dall'opportunità di girare sul territorio regionale con l'assistenza e il supporto

(6)

5

di Film Commission locali e dalla possibilità di ottenere un sostegno economico concreto nei territori dove sono disponibili specifici fondi di sostegno alla produzione dell'opera o ad altre fasi della filiera. Ho voluto concentrarmi con più attenzione sui fondi regionali, piuttosto che sulle Film Commission: a differenza di quanto avviene per i fondi di sostegno nazionali e sovranazionali, mossi da una motivazione che ha che fare con la valorizzazione dell'opera audiovisiva in quanto prodotto culturale e frutto di un impegno obbligatorio dell'amministrazione pubblica nel sostegno al settore, i fondi regionali nascono da una volontà politica locale che a fronte di un investimento si aspetta di ottenere un ritorno che, di qualsiasi natura esso sia, deve giustificare l'investimento stesso.

Il Capitolo 2 rappresenta la parte centrale di questo elaborato e si concentra interamente sulla distribuzione cinematografica, non prima di aver presentato brevemente l’intera filiera produttiva del settore audiovisivo ponendo particolare attenzione all’importanza dell’integrazione verticale, specifica articolazione del modello di business in cui un unico soggetto controlla tutti o alcuni anelli della filiera, controllo che nel caso del mercato cinematografico si può estendere a tutti i momenti che vanno dalla realizzazione allo sfruttamento del prodotto filmico.

La distribuzione è il perno attorno al quale ruota il mondo del cinema e riunisce una molteplicità di aziende che partecipano al processo di vendita e acquisto dei diritti dei film sul mercato: dal punto di vista dei produttori, la distribuzione svolge un ruolo fondamentale nel processo di abilitazione o meno dell'accesso al pubblico; dal punto di vista del pubblico, la distribuzione svolge un ruolo fondamentale nel fornire l'accesso ai film che si preferisce guardare. Sebbene non sia il territorio analitico scelto per la mia tesi, è stato necessario partire dalla distribuzione classica attraverso le più tradizionali strategie delle grandi major, che vedono la sala come forma principale e naturale di sbocco. Questo mercato theatrical, dominato da specifici meccanismi di windowing e massimizzazione del risultato al botteghino, ha per anni precluso l’accesso a piccole industrie cinematografiche indipendenti, che solo nell’ultimo decennio, grazie ad un radicale cambio di tendenza (dato anche e soprattutto dallo sviluppo di nuove tecnologie

(7)

6

multimediali), hanno visto una particolare attenzione distributiva. Nel paragrafo che affronta questa nuova affermazione, si parla quindi di un New World of Distribution all’interno del quale registi, produttori e distributori indipendenti hanno ampio potere decisionale e di controllo nello scegliere forme alternative per la fruizione del proprio prodotto, lasciandosi alle spalle un mondo ormai obsoleto.

Tale distribuzione alternativa viene inquadrata in letteratura da una serie di autori diversi. Le tre forme più classiche di distribuzione alternative alla sala riguardano il mercato domestico: la fruizione dei film a casa propria può avvenire sostanzialmente attraverso il mezzo televisivo, il video-on-demand e l’home video (da notare come nella distribuzione classica queste tre forme consistevano nel mercato secondario, ausiliario al theatrical, mentre qui diventano una vera e propria alternativa). Si aggiungono poi le forme

non-theatrical in spazi e luoghi diversi dalla sala o con serate-evento speciali, con la specifica

distribuzione di tipo educational (proiezione in scuole, università, biblioteche, ecc.) ed il mercato dei film festival. Verrà spiegato come i film festival, nella sfera indipendente locale, si prefigurino come forma distributiva alternativa, quando nella distribuzione classica si limitavano alla sola funziona promozionale. Un contributo sostanziale viene inoltre fornito dalla letteratura dedicata all’economia informale, all’interno della quale spesso profili formali assumono delle zone d’ombra difficilmente quantificabili.

Ho ritenuto importante dedicare un paragrafo al ruolo dei distributori e degli agenti di vendita, che nel mercato assumono la funzione cruciale di gatekeeping, rendendo il prodotto disponibile al pubblico, esercitando un controllo sui criteri di inclusione ed esclusione, sul processo di abilitazione dell'accesso ad alcuni film e sulla non concessione dell'accesso ad altri. I distributori e gli agenti di vendita sono quindi i principali

gatekeepers che investono in film e vi aggiungono valore economico e soprattutto

culturale inserendoli nel processo di distribuzione.

Segue un paragrafo che dà corpo allo scopo della domanda di tesi e offre una griglia non canonica ma alternativa, all’interno della quale poter mappare la circolazione di un film per capire da chi sia stato visto, dove sia stato portato, in quale occasione e cosa vi sia

(8)

7

stato organizzato attorno; insomma, una distribuzione il cui dato finale non sia l’incasso o la bigliettazione, bensì l’impatto sociale e culturale dato dal numero di persone che possono aver visto il film.

Il capitolo si conclude con la presentazione di quelle che vengono definite shadow

economies e generano distribuzione informale attraverso canali non regolamentati o non

monitorabili con dati precisi. Mentre la distribuzione formale è caratterizzata da modelli di business e sistemi statistici, la distribuzione informale è prevalentemente di tipo

non-theatrical e caratterizzata da accordi con vendite forfettarie, strette di mano e pirateria.

Il Capitolo 3 rappresenta il caso di studio finale. Come già anticipato ho scelto di focalizzarmi sul Fondo Audiovisivo FVG, di cui ho ritenuto opportuno presentare un ex cursus per spiegare come sia nato, con quali finalità, che attività abbia intrapreso negli anni e quali successi abbia permesso di conseguire. Ho effettuato dagli archivi online una raccolta dati di tutti i progetti finanziati dal 2006 al 2019, sulla base della quale ho fatto particolari considerazioni anno per anno.

A partire da un campione di 307 progetti finanziati, ho portato avanti una selezione empirica fondata su più fasi, concentrandomi inizialmente sul raggiungimento o meno del contributo alla distribuzione a partire dallo sviluppo (le due tipologie di supporto che il Fondo fornisce). Ho quindi deciso di dare delle caratteristiche specifiche al campione, considerando solo produzioni a carattere locale che affrontino tematiche strettamente legate al territorio e profondamente radicate nel tessuto tradizionale-culturale, con una particolare valenza artistica e con un taglio documentaristico, risultato di una produzione indipendente a basso budget. Ho infine scelto di osservare esclusivamente i film che hanno concentrato la propria distribuzione attraverso canali alternativi, arrivando ad una selezione finale di 31 film.

Nel paragrafo conclusivo ho scelto quattro film e ne ho fornito una presentazione del progetto e degli obiettivi iniziali ed una mappatura della distribuzione alternativa quanto più precisa e dettagliata possibile, lavoro che è stato reso possibile grazie all’incontro con

(9)

8

registi, produttori e distributori dei seguenti progetti: Parole Povere (2013), I tempi felici

(10)

9

CAPITOLO I - MECCANISMI DI FINANZIAMENTO

1.1 STATE AID, SOSTEGNO PUBBLICO AL SETTORE CULTURALE

1.1.1 PRINCIPALI ARGOMENTAZIONI A FAVORE

Quando ci si domanda se i governi dovrebbero sovvenzionare le arti, numerosi sono i dibattiti che si accendono tra gli economisti.

1) La prima principale corrente di pensiero giustifica sovvenzioni e altre forme di intervento da parte dei governi, avvalendosi di due macro-motivazioni. Nella realtà il mercato non funziona seguendo i meccanismi di concorrenza perfetta e quindi secondo i criteri di efficacia nel conseguimento degli obiettivi prefissati ed efficienza nell’allocazione delle risorse. Di conseguenza, senza i sussidi da parte dello Stato attraverso il suo intervento si avrebbe un fallimento del mercato, di cui Heilbrun e Gray (2001) individuano diverse forme. Una seconda argomentazione a favore dell’intervento dello Stato e parallela alle forme di fallimento di mercato è che senza i sussidi non ci sarebbe la giusta equità, dal momento che l’esistente distribuzione del reddito è insoddisfacente e quindi i sussidi interverrebbero per colmare tale mancanza di reddito. 2) La seconda principale corrente di pensiero è supportata da alcuni economisti conservatori che, seppur in maniera più contenuta e meno convincente, sostengono che lo Stato non debba intervenire attraverso sussidi pubblici, anche se con argomentazioni limitate. Senza superare i confini degli Stati Uniti, essi considerano infatti pochi tipi di esternalità, limitando il discorso solo ad alcune forme di produzione culturale. Affermano inoltre che il governo non può dire cosa sia buona o cattiva arte e che i sussidi possano essere nocivi attraendo pseudo-artisti, sperperando quindi parte del budget. Un’ulteriore argomentazione contro i sussidi statali risiede in asimmetrie informative causate dalla presenza del mercato privato (Heilbrun e Gray, 2001).

(11)

10 1.1.1.1 Evitare il fallimento del mercato Monopolio

Si tratta di una causa del fallimento del mercato perché il monopolista può limitare l’output e ottenere dei profitti extra (Fig. 1.1, parte evidenziata di colore rosso) alzando i prezzi da Pc a Pm oltre il livello del costo marginale (MC) che invece prevarrebbe in caso di concorrenza, provocando una perdita secca di benessere (Fig. 1.1, parte evidenziata di colore blu). Quindi poiché la produzione si arresta al di sotto del livello al quale i costi marginali sono uguali al prezzo (AC=MC=Pc), ad alcuni consumatori vengono negati beni per i quali pagherebbero più del costo incrementale di produzione (Heilbrun e Gray, 2001).

Figura 1.1 – Diagramma del monopolio

Legge di Baumol (1966)

L’aumento della produttività dovuto alla crescita generale dell’economia negli Anni ’60 in America con nuove tecnologie come metodi di produzione e organizzazione (più output con meno input) non influenza anche il settore culturale, dal momento che era impossibile risparmiare sugli input di carattere puramente artistico. Pertanto, l’aumento dei salari si dimostra dipendente unicamente da un aumento dei prezzi degli spettacoli, ma tale aumento, se eccessivo, avrebbe causato una drastica diminuzione della domanda. Dall’altra parte, se i salari degli artisti fossero aumentati in modo ridotto, una fetta importante di artisti dello spettacolo sarebbe uscita dal mercato. Se si fosse quindi

(12)

11

lasciato l’intervento al libero mercato, la conseguenza principale sarebbe stata una riorganizzazione del settore artistico professionale, con una riduzione di tutte le attività. Eppure, questa “malattia dei costi”, che se lasciata al libero mercato porta inevitabilmente al fallimento dello stesso, non sembra essere così grave se si considerano i modi per arginarla attraverso l’intervento pubblico, come ad esempio la ricerca di tecnologie migliori nel settore come co-produzioni, politiche culturali pubbliche e private che aumentino sussidi e donazioni studiando a fondo tutti i possibili stakeholders, l’incoraggiamento dell’educazione artistica per contribuire alla formazione di un gusto attraverso politiche culturali di lungo termine, l’incentivazione del marketing per sopperire a certi aspetti di produzione e distribuzione e rafforzare la domanda. Per tali motivi, anche in questo caso l’intervento dello Stato può arginare il fallimento di mercato (Baumol e Bowen, 1966).

Esternalità e beni collettivi

Le esternalità esistono quando le attività di un’azienda influenzano altre aziende senza che non venga pagato alcun compenso. Quindi, il trasferimento di tecnologia dal settore culturale ad un altro settore del mercato (ad esempio la sanità). Ma le esternalità non sono soltanto positive, si pensi ad esempio all’inquinamento e non vengono mediate dal mercato. Ciò significa che le risorse utilizzate nella loro produzione non influenzano il sistema dei prezzi e per questo possono essere un’importante causa del fallimento del mercato. Lo Stato può però prevenire il fallimento del mercato incoraggiando la produzione e pagando un sussidio pari al valore marginale dell’esternalità (Heilbrun e Gray, 2001). E’ vero anche, però, che le arti possono produrre esternalità positive sotto forma di benefici collettivi, i quali possono agire come eredità per le generazioni future, preservando l’arte e la cultura, come identità nazionale e prestigio attraverso sentimenti di orgoglio per la propria terra, come benefici all’economia locale riversando i benefici nelle attività artistiche anche agli altri produttori nell’economia locale attraverso attrazione di consumatori fuori città o attrazione di nuove aziende incoraggiate dalla presenza di patrimonio culturale, come miglioramento sociale di chi partecipa all’arte,

(13)

12

come incoraggiamento dell’innovazione artistica con invenzioni come fonte di progresso economico. Heilbrun e Gray (2001) rappresentano graficamente (Fig. 1.2) i benefici privati (quindi diretti), esterni e sociali (somma dei benefici dell’individuo e della collettività) derivanti dall’educazione al fine di misurare in che forma lo Stato dovrebbe intervenire attraverso sussidi.

Figura 1.2 – Benefici privati, esterni e sociali dell’educazione (Heilbrun e Gray, 2001)

Sull’asse delle ascisse si trovano gli anni di scuola. Le curve di utilità individuale e collettiva sono decrescenti, vale la legge dei rendimenti decrescenti. La retta MC rappresenta l’offerta degli anni di scuola, mentre la retta DP rappresenta la domanda privata per l’educazione, che è decrescente. Secondo la legge del mercato, l’equilibrio si raggiungerebbe nel punto in cui la domanda incontra l’offerta (C1; Q1). Questo grafico mostra come i benefici individuali dell’andare a scuola non siano gli unici benefici e anzi che vi sia un beneficio anche per la collettività: l’istruzione porta un gran numero di benefici collettivi, rappresentati dalla retta DE, cioè la retta dei benefici marginali esterni o benefici collettivi. Sommando la curva dei benefici marginali esterni ai benefici marginali privati si trova la retta Ds dei benefici marginali sociali. La società è intesa come somma dell’individuo e della collettività di cui fa parte, quindi il nuovo equilibrio corrisponderebbe ad una maggiore quantità di anni di studio Q2 allo stesso costo C1. Si arriva quindi alla conclusione che la partecipazione dello Stato ai costi dell’istruzione

(14)

13

(subsidy) permette di avere la stessa quantità Q2 ad un prezzo C2, cioè senza alzare il prezzo per il singolo individuo (Heilbrun e Gray, 2001).

McCharty et al. (2005) contribuiscono ad arricchire questa esamina sui benefici socio-economici del settore culturale al fine di evidenziare l’importanza e il valore delle arti per l’intera società, al tempo stesso rimarcando il fatto che i soli benefici economici possono essere un’arma a doppio taglio dal momento che si può creare una concorrenza inutile e nociva tra le arti e gli altri settori economici. Tra i benefici intrinsechi delle arti vengono citati il coinvolgimento sia personale che collettivo, il piacere personale, la crescita cognitiva, la capacità di espressione personale e collettiva e la creazione di una comunità, sottolineando l’importanza di una esposizione precoce e di qualità al mondo delle arti. Vi sono poi benefici strumentali quali il capitale umano (sviluppo di capacità cognitive, attitudinali, comportamentali e di autodisciplina), il capitale sociale (sviluppo delle capacità interattive, di comunità, di identità e di coesione) ed il capitale economico (capacità di trovare occupazione, di aumentare le entrate e le risorse, considerando arte e cultura come fonte economica e di aumento del PIL) (McCharty et al., 2005). Viene inoltre fatta una divisione tra benefici diretti delle arti e benefici indiretti (o esterni, collettivi). I benefici diretti possono avere differenti valori d’uso associati, si pensi ad esempio al beneficio culturale-creativo che può avere valori estetici, spirituali, sociali, storici, simbolici, di autenticità o di nazionalità (il film La corazzata Potëmkin di Sergej Ėjzenštejn pietra miliare del cinema, emblema storico della Russia di quell’epoca e di forte ispirazione per registi futuri); al beneficio economico con relativi valori di produzione (il film Avengers: Endgame di Anthony e Joe Russo con record di incassi pari a $2.797.800.564 registrati da boxofficemojo.com); al beneficio sociale (il film Accattone di Pier Paolo Pasolini ha sensibilizzato la collettività sul contesto sociale delle borgate romane) (Carluccio et al., 2006).

Per quanto riguarda invece i benefici indiretti, essi sono associati a valori non d’uso e sono l’esistenza (un film esiste in quanto tale), l’opzione (in relazione ad un momento futuro di necessità o interesse), il lascito (patrimonio materiale e immateriale che deve essere

(15)

14

salvaguardato per generazioni future), l’identità nazionale e il prestigio (un film può essere simbolo per una nazione e di eccellenza per il cinema intero), l’impatto economico sull’economia locale proveniente dall’attrazione turistica, l’educazione, la coesione sociale (attraverso uno stretto rapporto tra economia locale e benessere sociale), l’innovazione artistica, scientifica, tecnologica e manageriale (attraverso sinergie tra settore delle arti e altri settori per sviluppare un’imprenditoria creativa). In conclusione quindi si può affermare che tutte queste liste di benefici collettivi dovrebbero spingere lo Stato a sovvenzionare con sussidi e benefici anche indiretti il settore artistico e culturale (McCharty et al., 2005).

Industrie a costi decrescenti

Come mostrato nella Fig. 1.3, se si lasciassero le industrie culturali al semplice meccanismo di mercato, avremmo il punto di equilibrio nel punto in cui la curva di domanda incontra la curva dei costi decrescente (P1, Q1), escludendo quindi tutti quei consumatori che si trovano dal prezzo pari a MC (Q2) e appunto Q1. Per compensare questa perdita di benessere evidenziata nella Figura 1.3 in colore grigio (fallimento del mercato), lo Stato interviene abbassando il prezzo nel punto in cui Q2 incontra la curva dei costi. I musei sono un ottimo esempio di questo fenomeno: la Figura 1.3 presenta il numero di visitatori giornalieri sull’asse delle ordinate e il costo per visitatore (unit cost) sull’asse delle ascisse, la curva ADOC rappresenta i costi totali per visitatore ed è decrescente in quanto man mano che aumentano i visitatori la porzione dei costi fissi viene ammortizzata, la retta D esprime la domanda che è decrescente all’aumentare dei costi (Heilbrun e Gray, 2001).

(16)

15 1.1.1.2 Il rispetto del principio di equità

I sussidi pubblici al campo delle produzioni culturali sono possibili perché lo Stato incamera le tasse, ma tuttavia potrebbero esserci degli individui che pagano le tasse pur non essendo interessati a finanziare le produzioni culturali con i propri soldi. Emerge quindi un problema di equità in cui lo Stato rischia di imporsi sulle decisioni del cittadino, portando ad una scelta elitaria dell’arte (Heilbrun e Gray, 2001).

Per questo è fondamentale che le risorse pubbliche vengano distribuite in un certo modo, secondo una questione politica ed economica prima ancora che culturale, al di là di considerazioni sui beni di merito (i film possono essere visti come beni di merito, ovvero beni pubblici per i quali spesso non c’è una domanda ma sono forniti dal governo secondo motivi paternalistici visti i vantaggi nel promuovere la loro fruizione), ma anzi con un’ottica ancora più ampia di beni di libero accesso per i cittadini (Meloni et al., 2018). I sussidi perciò devono essere distribuiti geograficamente in maniera ottimale ed equa per permettere il godimento a tutta la cittadinanza, supportati da una domanda effettiva che non si limiti al solo numero di visitatori che hanno effettivamente partecipato ad un evento culturale, ma che includa anche una domanda potenziale data dal numero di consumatori che avrebbero potuto partecipare, considerando inoltre una non-domanda data da quella fetta di pubblico a cui non interesserà mai alcun tipo di produzione culturale (Heilbrun e Gray, 2001).

1.1.2 THE ECONOMICS OF FILM FUNDING 1.1.2.1 Un contesto difficile

Gli aiuti di Stato per il cinema sono un terreno controverso, colpito da molte sfide e minacce per l'industria, i registi e l'amministrazione governativa. Tuttavia, rimangono uno strumento fondamentale per la diversità culturale nel campo dei media cinematografici e di altri servizi audiovisivi (Murschetz e Teichmann, 2018).

I film sono essenzialmente progetti di produzione, simili ad una nuova linea di prodotti, eppure possiedono alcune caratteristiche uniche e importanti. Mentre gli attributi

(17)

16

essenziali della maggior parte dei prodotti possono essere facilmente descritti e misurati, questo non è il caso dei film (Ravid, 2018).

Anche per questo motivo, le politiche cinematografiche hanno attraversato, fin dall'inizio, una presunta divisione tra cultura e industria. In effetti, lo status storicamente ambivalente del cinema come industria, intrattenimento e arte ha avuto come conseguenza che le politiche ad esso inerenti adottate da Stati e policy maker siano state sostenute da una varietà di imperativi industriali, sociali e culturali. Il carattere commerciale e industriale della maggior parte del cinema ha significato che molti Stati - molto prima dell'avvento di un discorso sulle industrie creative - hanno concepito la policy del cinema principalmente in termini di misure economiche a sostegno di un'industria del cinema commerciale, piuttosto che come un intervento per conto di attività culturali o artistiche (Hill e Kawashima 2016). A questo proposito, ciò che Hesmondhalgh (2007) ha definito come "politica culturale" in termini di sovvenzione, regolamentazione e gestione delle arti, si è applicato solo a determinati aspetti delle politiche di settore in Paesi specifici. Tuttavia, gli interventi politici dei governi per conto di un'industria cinematografica di proprietà privata possono anche essere fatti rientrare nel più ampio senso della politica culturale da egli identificato, che si caratterizza in termini di “ricerca di un impatto nel dominio principalmente simbolico all'interno di uno spazio politico geografico regionale, nazionale o sovranazionale”.

Una delle caratteristiche dell'industria globale è stata la presenza dominante di Hollywood e il relativo declino dei cinema nazionali specifici. Il desiderio di assistere la produzione di film nazionali si è raramente basato solo su considerazioni economiche, ma è stato anche sostenuto da un interesse nel sostenere diverse forme di espressione culturale e nazionale, oltre che regionale. A questo proposito, la tensione centrale della politica aziendale è stata spesso identificata in termini di scontro tra il perseguimento di obiettivi economici (come la piena occupazione, investimenti interni e effetti a catena per altri settori industriali) e culturali (come la difesa della cultura nazionale, la promozione

(18)

17

della diversità culturale e il sostegno al film come pratica artistica simile ad altre forme di "alta cultura") (Hill e Kawashima, 2016).

Un elemento fondamentale del finanziamento cinematografico può essere il sostegno statale, capace di assumere varie forme, come ad esempio includere sovvenzioni dirette e indirette di vario tipo a progetti selezionati. In un tale modello di sussidio basato sulla qualità, esiste un comitato che seleziona i film da finanziare e i film selezionati ricevono finanziamenti in base a vari criteri. Tuttavia, nella realtà ci sono diversi problemi con questa forma di sussidio, tra tutti che vi sia un costante conflitto tra la selezione di film “artistici” di “alta qualità” e il piacere della folla. Un'altra forma è un modello di sussidi basato sulla spesa per sovvenzionare ogni produzione che risponde ad alcuni criteri economici, fino all'esaurimento di un fondo. Tali criteri possono includere la spesa di denaro in un determinato territorio e, a sua volta, la ricezione di un sussidio o di un credito d'imposta che può compensare tale spesa. I Paesi possono essere più o meno specifici nel definire i criteri per il finanziamento e le industrie del settore diventano molto creative nella richiesta di supporto. In generale, gli incentivi possono essere considerati un'infusione in contanti al bilancio con condizioni allegate (Ravid, 2018).

1.1.2.2 L’intervento pubblico nel settore cinematografico

L’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo (Lange e Westcott, 2004), istituito dal Council of Europe nel 1992, elenca i principali argomenti che, dal punto di vista della teoria economica, possono giustificare gli aiuti pubblici nello specifico all'industria cinematografica e sono i seguenti:

• L’identificazione di fallimenti del mercato può giustificare gli aiuti pubblici nell'ambito della teoria neoclassica del mercato: la natura del film come "servizio collettivo" (vale a dire la possibilità di consumo di un film senza possibilità di appropriazione individuale) è stata talvolta menzionata come giustificazione dell'aiuto. Tuttavia, questo argomento può essere confutato in quanto questo "servizio collettivo" può comunque essere diviso, poiché è possibile calcolare la

(19)

18

quantità consumata dagli individui attraverso l'analisi delle vendite dei biglietti del cinema;

• Le attività delle autorità pubbliche possono essere giustificate da argomentazioni non economiche, in particolare di natura culturale (difesa di una cultura nazionale o regionale o di culture o lingue minoritarie, ecc.) in una situazione in cui un Paese produttore domina il mercato internazionale. Tale intervento da parte delle autorità pubbliche può anche trovare elementi di giustificazione nell'analisi delle asimmetrie informative, poiché il mercato delle informazioni sui film disponibili è distorto da investimenti di marketing sostanzialmente diversi per i film nazionali e quelli prodotti in altri paesi;

• La definizione dell'industria cinematografica e del settore audiovisivo in generale come settore industriale può dare adito ad argomenti di politica industriale (contributo al PIL, creazione di posti di lavoro, influenza positiva sulle industrie connesse, ecc.);

• È stato sostenuto che l'industria cinematografica è vittima della "malattia dei costi" rilevata dall'economista americano Baumol (1966) in relazione alle arti dello spettacolo: come per le arti dello spettacolo, i guadagni di produttività nella produzione cinematografica sono scarsi e sicuramente inferiori a quelli possibili in altri settori produttivi. L'industria cinematografica tende quindi a "restare indietro" rispetto al resto dell'economia, il che significa che è necessario aumentare i prezzi, operare in perdita o garantire sussidi o rischiare di scomparire del tutto.

Gli argomenti più comuni invece contro il finanziamento pubblico sono i seguenti: • La "malattia dei costi" identificata da Baumol (1966) non riguarda solo le attività

culturali, ma può anche essere identificata in altri settori dei servizi che riescono a sopravvivere nonostante mancanza di finanziamenti pubblici. L'intervento pubblico sarebbe meno efficace delle forze di mercato nel far fronte all'aumento dei costi;

(20)

19

• L'intervento pubblico può generare burocratizzazione all'interno degli organi responsabili dell'intervento;

• L'argomento secondo cui le attività culturali dovrebbero essere aiutate a causa degli effetti di scissione positivi su altri settori non dimostra che tali effetti siano superiori a quelli che si potrebbero ottenere se gli aiuti fossero assegnati direttamente ad altri settori.

In conclusione, la scelta finale sull’erogare o meno sussidi statali a sostegno del settore audiovisivo e cinematografico dipende dalle politiche economiche che si adottano (Lange e Westcott, 2004).

Analogamente, anche Meloni et al. (2015) identificano, dal punto di vista del pubblico, diverse spiegazioni che possono supportare l'intervento pubblico nell'industria cinematografica. In primo luogo, i film possono essere visti come beni per i quali non esiste una domanda da parte del pubblico. A questo proposito, un sussidio può aumentare le entrate ricevute ma anche diminuire i costi per i produttori, che possono essere incoraggiati a diventare più efficienti e a produrre a un livello socialmente più orientato. I film svolgono spesso un ruolo importante nel favorire lo sviluppo educativo della gioventù, rafforzandone le abilità critiche e permettendo loro di provare empatia per drammatici episodi storici: documentari e film biografici possono essere importanti per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita. In terzo luogo, i sussidi pubblici contribuiscono a migliorare benefici sociali e culturali come la rigenerazione, l'inclusione sociale e l'affermazione di una identità nazionale. In questo senso, si ribadisce quanto valutare gli interventi pubblici nei prodotti culturali non sia affatto un compito semplice. In Europa l’intervento pubblico costituisce una componente strutturale dell’industria audiovisiva, le cui origini risalgono al primo periodo del suo sviluppo. Alla base di tale intervento vi sono spiegazioni di ordine culturale e di ordine economico. Le giustificazioni di natura culturale si fondano sul riconoscimento dell’industria audiovisiva quale industria culturale per eccellenza e sulla necessità di salvaguardare e promuovere, attraverso politiche nazionali di sostegno a favore della creazione di prodotti cinematografici e

(21)

20

audiovisivi, la diversità delle culture. Le giustificazioni di carattere economico sono invece da ricondursi ai livelli crescenti di deficit commerciale nel comparto audiovisivo rispetto agli Stati Uniti.

Il problema del disavanzo e del deficit commerciale può essere affrontato logicamente secondo due approcci: da una parte attraverso la riduzione delle importazioni, dall’altra favorendo l’aumento delle esportazioni. I diversi approcci possono essere impiegati in modo sia alternativo sia complementare. La riduzione delle importazioni può avvenire attraverso l’introduzione di barriere dirette e indirette nei confronti di prodotti non nazionali, oppure attraverso misure volte a stimolare il consumo interno di prodotti nazionali. L’aumento delle esportazioni può invece essere stimolato attraverso la riduzione di barriere all’uscita e attraverso sussidi diretti e indiretti volti a migliorare la competitività dei prodotti nazionali. In Europa, la politica di intervento pubblico per ridurre il deficit del settore cinematografico si è concentrata a partire dagli Anni ‘60 quasi esclusivamente sulla riduzione delle importazioni, attraverso il ricorso ai sussidi a livello nazionale e comunitario (Negro e Peretti, 2003).

1.1.2.3 Perché analizzare il supporto pubblico al cinema

“Un film è rischioso, ma se l'illusione del controllo convince un manager che il rischio può essere controllato mettendo una star nel film, o aggiungendo effetti speciali, o introducendo una trama per un fascino più ampio, o spendendo molto in pubblicità, allora avremo il tipo di film che abbiamo oggi. Ma i rischi non possono essere controllati; sono inerenti alla natura stessa del business.” (De Vany A., 2004)

Da quando i governi hanno cominciato ad offrire per la prima volta un sostegno finanziario al settore cinematografico, molti Paesi in tutto il mondo hanno avuto la tendenza a introdurre programmi di aiuto simili per sostenere lo sviluppo, la produzione, la distribuzione e l’esibizione di film e opere audiovisive nei loro Paesi. In Europa, ad esempio, gli aiuti di Stato per il cinema hanno subito diverse fasi: dall'istituzione di meccanismi automatici di aiuto al film (1950-1957) allo sviluppo di regimi di aiuti selettivi al film (1959-1981), la prima ondata di sviluppo degli aiuti regionali e l’emergere di aiuti

(22)

21

più ampi alla produzione audiovisiva (Anni '80), la ricerca di un nuovo equilibrio tra obiettivi culturali ed economici come quinta fase (Murschetz et al., 2008).

Oggi, la pratica politica di erogare sussidi per il cinema è sempre più messa in discussione. Mentre le autorità statali continuano a sovvenzionare i propri film come un vero e proprio patrimonio culturale degno di protezione politica, sembrano imbattersi in un dilemma fondamentale: da un lato, i loro schemi rappresentano la visione per rafforzare il talento e la creatività artistica, salvaguardare la diversità culturale, favorire l'integrazione culturale e migliorare la ricchezza economica dell'industria cinematografica e delle parti interessate in generale; dall'altro lato, tuttavia, si trovano ad affrontare una crisi di legittimità poiché i loro schemi sono percepiti come indebitamente assegnati, ingiustamente distribuiti, burocraticamente organizzati e, peggio ancora, si dice che aiutino poco ad adattarsi ai futuri cambiamenti necessari per far sì che i media si adeguino alle mutevoli esigenze del mercato. Non sorprende che la ricerca di sussidi anche per il cinema (così come per l’intero settore artistico-culturale affrontato nel paragrafo precedente) sia particolarmente impegnativa in quanto i sussidi sono un mezzo controverso per regolare i mercati dei media e sembrano avere una propensione intrinseca al fallimento, dal momento che:

• possono compromettere indebitamente la libertà e l'espressione artistica; • non correggono il problema fondamentale del fallimento del mercato

nell'industria;

• sono considerati economicamente inefficaci poiché i cosiddetti mercati liberi funzionano meglio;

• sono uno spreco di denaro dei contribuenti poiché i costi superano i benefici per consumatori e produttori;

• sono considerati politicamente indirizzati nella misura in cui viene richiesto il consenso di forze politiche opposte sostenute da un metodo solido e imparziale per selezionare progetti e incanalare i soldi su di essi;

(23)

22

• non è possibile creare sostenibilità a lungo termine, ma solo dipendenza dalle dispense dello Stato;

• non migliorano le condizioni di lavoro di produttori, registi e altro personale creativo;

• non incentivano il consumo del pubblico né migliorano la loro soddisfazione attraverso i film finanziati.

Nella teoria economica, i film mostrano rendimenti di scala crescenti, costi fissi e costi sommersi elevati e significative economie di scopo. Ciò significa che le industrie cinematografiche in genere tendono alla concentrazione, poiché i risparmi sui costi ottenuti da un determinato volume di film prodotti (economies of scale), tra diversi film prodotti all'interno di una società attiva in più di un mercato o attraverso più fasi di produzione (economies of scope) oppure tra reti di fornitori e destinatari diversi (economies of networking), comportano una distorsione della concorrenza leale con perdite di benessere complessive per il pubblico di riferimento. Di conseguenza anche la fissazione di prezzi pari al costo marginale in genere non recupererà entrate sufficienti per coprire i costi fissi e di avvio di una produzione cinematografica e la raccomandazione economica standard di fissare i prezzi al costo marginale non coprirà i costi totali, richiedendo quindi un sussidio (Murschetz et al., 2008).

Il fatto che l'industria cinematografica sia complessa e che operi ad alto rischio e incertezza è inferenza standard per chiunque sia stato anche un osservatore occasionale o partecipante al processo di finanziamento ai film. Come ha notato ironicamente Vogel (2014): “seemingly sure-bet, big-budget films with bankable stars flop, low-budget titles

with no stars sometimes inexplicably catapult to fame, and some releases perform at the box office inversely to what the most experienced professional critics prognosticate”.

Tuttavia, tra questi paradossi, i sussidi pubblici possono aiutare a rimborsare i costi di avvio, ad avviare i processi di produzione del film, a creare e salvaguardare posti di lavoro e a migliorare il valore in qualsiasi fase della catena industriale. Saranno così aiutate le società di produzione cinematografica, gli studi cinematografici, la sceneggiatura, la pre

(24)

23

e post produzione, i festival cinematografici, la distribuzione e il "fattore umano" coinvolto (vale a dire attori, registi e altro personale della squadra cinematografica). La teoria economica ha affrontato gli aiuti di Stato per i film (e i servizi audiovisivi) principalmente da tre punti di vista: economia del benessere e finanza pubblica, economia culturale e dei media e studi sulla policy culturale e dei media. In generale, secondo la teoria economica, i sussidi statali hanno due scopi principali: dovrebbero ridurre i costi di produzione e immissione sul mercato di una persona o di una società e, in secondo luogo, riducendo il prezzo di produzione e consegna del film, dovrebbero aumentarne il consumo oltre quanto previsto dalle forze di mercato competitive. Tutte queste risorse finanziarie possono coprire qualsiasi esigenza di carattere finanziario, accrescere la sopravvivenza dell'organizzazione in base all'utilizzo ottimale delle risorse interne ed esterne, bilanciare in modo ottimale queste risorse al fine di alleviare difficoltà finanziarie o supportare la struttura del capitale della società dei media al fine di far leva su eventuali esigenze di investimento future (Murschetz et al., 2008).

Il finanziamento cinematografico, di per sé, è coinvolto in tutte le fasi della produzione di un film, dalla pianificazione e sviluppo della sceneggiatura alla produzione stessa, comprese tutte le forme di distribuzione e sfruttamento teatrale. Inoltre, vengono sovvenzionate una serie di misure quali consulenza, pubbliche relazioni, premi, ecc. Quindi, i sussidi per il cinema seguono uno scopo di politica pubblica nella cultura che è essenziale per il pluralismo (geografico, linguistico, culturale e politico) all’interno di una società aperta e questo perché il film riguarda la vita quotidiana ed è pieno di significati che sono preziosi per tutti. Una democrazia matura dovrebbe avere il coraggio e la comprensione di vedere il "debito" che deve ai suoi artisti e di continuare a sostenerli, perché ciò che ottiene in cambio - economicamente, socialmente, esteticamente - è maggiore di quello che dispensa, non solo in termini di produzione e identità culturale, ma anche in termini di salvaguardia del patrimonio.

Se gli aiuti di Stato vengono approvati politicamente, i regolatori devono affrontare scelte di approcci di sovvenzione finanziati con fondi pubblici, tramite iniezioni di denaro

(25)

24

diretto, vantaggi in denaro indiretti, politiche antitrust come mezzo di azione statale regolatoria o, ancor meglio, una combinazione di tutte queste. Le sovvenzioni finanziarie, in genere, cercano di bilanciare l'obiettivo di promuovere la competitività economica nella rete dei media con l'obiettivo più ampio di garantire la diversità culturale e benefici sociali più ampi. I governi di supporto devono quindi garantire una gamma di film offerti ampia, varia e di alta qualità. Il pubblico dovrebbe avere accesso ai film a prescindere da dove vive e indipendentemente dalla piattaforma che desidera utilizzare. La policy in materia di cinema pubblico attraverso sovvenzioni dovrebbe sostenere il cinema ambizioso e artistico, nonché favorire le loro opportunità commerciali. Sarebbe nel migliore interesse della società se i sussidi pubblici rafforzassero la diversità nei media e nell'opinione, motivando la produzione di contenuti di alta qualità e sostenendone la consegna e il consumo oltre frontiere e ideologie (Murschetz et al., 2008).

1.1.3 L’IMPORTANZA DELLA DIVERSITA’ CULTURALE

La Commissione Europea è sicuramente motivata dalla necessità di conciliare le diverse concezioni d’intervento pubblico nella cultura presenti all’interno dell’Unione europea. La sua posizione sembra, tuttavia, essere giustificata anche da un’altra ragione. Sebbene sia forse vero che i concetti sono, dopo tutto, solo “stratagemmi verbali”, la nozione di diversità culturale sembra porsi, dal punto di vista del suo contenuto, più su un piano propositivo che difensivo. Essa non sembra tanto rispondere ad una domanda di difesa culturale, quanto di pluralità culturale. Sembra, dunque, confermare la concezione dell’identità culturale intesa come un campo di differenze (Bellucci, 2006). Negli ultimi anni il concetto di diversità culturale è stato oggetto di un’attenzione crescente, nell’ambito delle organizzazioni internazionali e, in particolare, dell’UNESCO. Nel novembre 1995 il Presidente della Commissione sulla Cultura e lo Sviluppo, istituita dall’UNESCO e dalle Nazioni Unite nel dicembre 1992, presenta il rapporto Our Creative

Diversity alla Conferenza generale dell’UNESCO e all’Assemblea generale delle Nazioni

(26)

25

sostenere la diversità culturale. Nel 1998, con la Conferenza di Stoccolma sulle Politiche Culturali per lo Sviluppo, l’UNESCO intende trasformare il suddetto rapporto in linee politiche attuabili. Il 2 aprile dello stesso anno la Conferenza adotta, infatti, un Action Plan al riguardo. In questo quadro la diversità culturale viene individuata come risposta positiva alla tendenza all’uniformazione culturale, tramite la promozione e il supporto di tutte le culture. Nel 2000 il Forum sulla Globalizzazione e la Diversità Culturale, organizzato a Valencia sotto il patrocinio dell’UNESCO e con l’appoggio della Commissione europea, partorisce la Dichiarazione di Valencia sulla Globalizzazione e la Diversità Culturale. In essa si legge che la diversità culturale deve essere protetta, sviluppata e supportata nel mondo, che i media giocano un ruolo essenziale nella determinazione dello stato e delle condizioni della diversità culturale e che gli Stati hanno la responsabilità fondamentale di garantire e sviluppare un ambiente favorevole all’esercizio e allo sviluppo della diversità culturale e della libertà d’espressione anche per le culture minoritarie. Il 2 novembre 2001 la XXXI Sessione della Conferenza generale dell’UNESCO adotta la Dichiarazione Universale dell’UNESCO sulla diversità culturale. Essa riconosce esplicitamente la diversità culturale come patrimonio comune dell’umanità e la particolarità dei beni e dei servizi culturali rispetto alle altre merci. A livello europeo una Dichiarazione sulla diversità culturale è adottata anche dal Consiglio d’Europa, in nome del proprio impegno a favore della libertà e del pluralismo dei media. In questa dichiarazione, la diversità culturale viene identificata come una condizione essenziale della vita e delle società umane e si riafferma il suo legame con la libertà d’espressione. Vi si legge che il pluralismo dei media è essenziale all’esistenza della democrazia e della diversità culturale e che quest’ultima non può esprimersi in assenza delle condizioni necessarie alla libera espressione creatrice e alla libertà d’informazione. Inoltre, gli Stati sono invitati ad esaminare i mezzi da mettere in atto per preservare e promuovere la diversità culturale nel nuovo contesto della globalizzazione. La Dichiarazione del Consiglio d’Europa conferma indirettamente l’esistenza di un rapporto

(27)

26

tra intervento statale e promozionale, e quindi anche tra aiuti di Stato, e concentrazioni (Bellucci, 2006).

1.1.3.1 Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage (2003) Origini

La Convenzione per la tutela del patrimonio culturale intangibile è stata approvata a Parigi nel 2003, ma è il risultato di un lavoro che dura dagli Anni ’70, svolto tra l’UNESCO e l’OMPI (Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale): prima con la “Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore” del 1989, poi con l’Intangible Cultural Heritage Program del 1992. Altri precedenti si trovano nel

Living Human Treasures del 1993, proposto da Giappone e Corea del Sud, e nella

“Proclamazione dei capolavori del patrimonio orale e intangibile dell’umanità” del 1997. Il testo della Convenzione viene preparato tra il 2001 e il 2003 e approvato con pochissime modifiche alla Conferenza generale. La Convenzione è fortemente voluta sia dalle potenze asiatiche, sia da quelle medio-orientali (Zagato et al., 2017).

Oggetto e campo d’applicazione

L’Art. 2 della Convenzione (2003) definisce il patrimonio culturale intangibile: “s'intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how -

come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d'identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.”

Si enfatizza quindi il carattere vivente, localizzato, autoriproducentesi di tale patrimonio. Lo stesso articolo presenta i cinque campi di applicazione della Convenzione:

(28)

27

• tradizioni ed espressioni orali, intesi come veicolo del patrimonio culturale intangibile;

• le arti dello spettacolo;

• le consuetudini sociali, le feste e i riti;

• le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’Universo (proprie tipicamente dei popoli indigeni);

• l’artigianato tradizionale (inteso come insieme di pratiche e know-how).

Contenuto della protezione

La Convenzione del 2003 definisce le sue finalità e i suoi scopi all’interno dell’Art. 1: • salvaguardare il patrimonio culturale immateriale;

• assicurare il rispetto per il patrimonio culturale immateriale delle comunità, dei gruppi e degli individui interessati;

• suscitare la consapevolezza a livello locale, nazionale e internazionale dell’importanza del patrimonio culturale immateriale e assicurare che sia reciprocamente apprezzato;

• promuovere la cooperazione internazionale e il sostegno.

Gli obblighi derivanti per gli Stati quindi sono soprattutto relativi alla salvaguardia e incombono a livello nazionale (Artt. 11-15) e internazionale (Artt. 16-24):

• Nazionale. Lo Stato deve adottare i provvedimenti necessari per la tutela di tutto il patrimonio intangibile presente nel suo territorio, da individuare seguendo poco precisate misure. Lo Stato si impegna a tenere aggiornato l’inventario ed a adottare misure specifiche, tra cui la creazione di organi ad hoc, la promozione degli studi, l’adozione di una politica generale per la promozione, la creazione o il rafforzamento di istituzioni nazionali specializzate, la promozione di programmi di educazione e formazione e l’ampliamento della partecipazione di comunità, gruppi e individui alla salvaguardia del patrimonio intangibile. L’obbligo implicito è di astenersi da misure che mettano a repentaglio il proprio patrimonio culturale;

(29)

28

• Internazionale. I principali obblighi internazionali sono quelli di un rapporto da inviare periodicamente al Comitato intergovernativo e del mantenimento della Lista del patrimonio culturale intangibile. La Lista è istituita su proposta degli Stati parte, ma spetta al Comitato istituirne i criteri di selezione e di aggiornamento, così come per la Lista del patrimonio culturale intangibile in pericolo. Al Comitato spetta anche la presentazione di progetti, programmi e attività che seguano le finalità della Convenzione (Zagato et al., 2017).

Profili istituzionali

• Assemblea Generale degli Stati Parte. Si riunisce ogni due anni e costituisce l’organo sovrano della Convenzione, col compito di eleggere il Comitato intergovernativo (Art. 4).

• Comitato intergovernativo. Composto prima da 18, poi da 24 membri, in carica per 4 anni a seguito dei principi di rappresentanza geografica e di rotazione. Tra i suoi compiti la preparazione delle linee operative contenenti i criteri di scelta per le due Liste del patrimonio intangibile e la concessione dell’assistenza internazionale. Deve anche presentare proposte per la gestione del Fondo, cercare le risorse economiche, formulare Raccomandazioni e presentare direttive operative, controllare i rapporti degli Stati e proporre l’accreditamento delle principali ONG competenti nel settore.

• Segretariato. La funzione viene svolta dal Segretariato generale dell’UNESCO, che assiste il Comitato e l’Assemblea.

• Fondo per il patrimonio intangibile. Fondo che si avvale, oltre che dei contributi UNESCO, di un contributo speciale degli Stati parte (Zagato et al., 2017).

(30)

29

1.1.3.2 Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural

Expressions (2005)

Origini

La Convenzione per la protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali del 2005 viene approvata con il voto di 148 Stati a favore e 2 contrari (USA e Israele). Fortemente voluta da Canada e Europa, incontrò un sostanziale disinteresse da parte delle potenze asiatiche (Zagato et al., 2017).

Oggetto e campo di applicazione

La Convenzione del 2005 presenta una definizione di diversità culturale con l’Art. 4: “(…) rimanda alla moltitudine di forme mediante cui le culture dei gruppi e delle società si

esprimono. Queste espressioni culturali vengono tramandate all'interno dei gruppi e delle società e diffuse tra di loro. La diversità culturale è riflessa anche attraverso modi distinti di creazione artistica, di produzione, di diffusione, di distribuzione e di apprezzamento delle espressioni culturali, indipendentemente dalle tecnologie e dagli strumenti impiegati”.

Tale definizione prescinde da una specifica definizione di cultura, dando maggiore importanza alle espressioni culturali e lasciando più libero il campo d’applicazione della Convenzione, l’oggetto esatto della Convenzione è lasciato volutamente ambiguo. Le finalità sono in parte le stesse della Convenzione del 2003, in parte mirate ad esaltare il rapporto tra cultura e sviluppo e il diritto degli Stati di conservazione della loro diversità culturale. Si rende evidente che, mentre la Convenzione del 2005 si pone in un contesto di scontro economico tra poteri forti nella globalizzazione (Canada e Europa contro USA) e riguarda di più l’industria culturale, è la Convenzione del 2003 ad essere veramente tesa alla tutela della diversità culturale.

Mentre nella Convenzione del 2003 è compito degli Stati individuare e proporre l’entrata nella Lista delle manifestazioni del patrimonio intangibile (Artt. 16-18), la Convenzione del 2005 lascia più spazio alle Organizzazioni di integrazione economica regionale (l’UE innanzitutto), dandogli la possibilità di entrare nella Convenzione (Zagato et al., 2017).

(31)

30 Contenuto della protezione

La Convenzione del 2005 definisce le stesse finalità riportate dalla precedente Convenzione del 2003. Inoltre, prevede anch’essa una separazione tra obblighi nazionali (Artt. 5-11) e internazionali (Artt. 12-17):

• Nazionale. Le misure attuabili sul piano nazionale sono disposizioni atte a favorire la creazione di un ambiente di sostegno al settore culturale nazionale, che devono riguardare anche la società civile e in particolare le minoranze etniche e i popoli indigeni, che devono essere incoraggiati a dare vita alle proprie espressioni culturali. L’azione dello Stato in tema di educazione e sensibilizzazione del pubblico è centrale, ma anche per la crescita del settore produttivo. Le disposizioni in materia di protezione e promozione dell’industria culturale sono moderate dall’obbligo di considerare i beni e i servizi provenienti da altre culture. Gli Stati sono anche obbligati ad intervenire in caso di pericolo per la diversità culturale, ma devono anche stare attenti a fare sì che il loro operato non abbia influenza negativa sulle forme di produzione tradizionali.

• Internazionale. Gli Stati si devono adoperare per rafforzare la cooperazione tra di loro, per integrare la cultura nelle rispettive politiche di sviluppo, per incoraggiare la cooperazione tra il settore pubblico e privato e le organizzazioni no-profit, per un trattamento preferenziale dei Paesi in via di sviluppo e per una cooperazione speciale in caso di minaccia nei confronti delle espressioni culturali.

Gli Stati hanno a disposizione diverse modalità per intervenire a favore dei Paesi in via di sviluppo:

• rafforzare l’industria culturale in quei Paesi, migliorandone la produzione e la distribuzione e assicurando un accesso facilitato nei circuiti internazionali e al mercato mondiale;

• istruire e formare in loco risorse umane che siano in grado di operare nel settore culturale;

(32)

31

• trasferire ed esportare le proprie tecnologie di settore, essendo la tecnologia un elemento determinante dello sviluppo culturale competitivo a livello internazionale;

• sostenere i Paesi finanziariamente, con prestiti a tasso ridotto, sovvenzioni, assegnazione di contributi provenienti dal Fondo per la diversità culturale (Zagato et al., 2017).

Profili istituzionali

La Convenzione del 2005 presenta profili istituzionali simili alla precedente del 2003: • Assemblea Generale degli Stati Parte. Si riunisce ogni due anni e costituisce

l’organo sovrano della Convenzione, col compito di eleggere il Comitato intergovernativo.

• Comitato intergovernativo. Composto prima da 18, poi da 24 membri, in carica per 4 anni a seguito dei principi di rappresentanza geografica e di rotazione. A differenza della Convenzione del 2003, qui non è prevista alcuna lista e vi sono meno obblighi per il comitato.

• Segretariato. La funzione viene svolta dal Segretariato generale dell’UNESCO, che assiste il Comitato e l’Assemblea.

• Fondo internazionale per la diversità culturale. Fondo che si avvale, oltre che dei contributi UNESCO, di un contributo speciale degli Stati parte(Zagato et al., 2017).

1.2 EUROPA

1.2.1 PUBLIC FUNDING IN EUROPE

Gli aiuti settoriali all'industria cinematografica risalgono agli Anni '30, quando l'emergere del cinema sonoro rafforzò il dominio americano sui mercati europei, un fenomeno che fu ben e definitivamente affermato alla fine della Seconda Guerra Mondiale. A seguito di una prima ondata di regolamentazione protezionistica (Germania nel 1921, Regno Unito

(33)

32

e Italia nel 1927), l'intervento delle autorità pubbliche iniziò rapidamente a prendere la forma di aiuti economici diretti. Oltre alla nazionalizzazione delle compagnie cinematografiche da parte delle autorità sovietiche (1920), il primo intervento economico dell'autorità pubblica per l'industria cinematografica fu realizzato dal regime fascista italiano (1931), dal regime nazionalsocialista in Germania (1933) e dal Regime di Franco in Spagna (1938-1941). In Francia, le prime proposte di intervento economico statale nell'industria cinematografica furono fatte in vari rapporti ufficiali negli Anni '30. In Francia, invece, fu la creazione del Comitato per l'organizzazione dell'industria cinematografica (COIC) da parte del regime di Vichy (1940) che segnò l'avvio dell'intervento pubblico.

Questa prima ondata di intervento economico da parte dei regimi totalitari nascondeva chiaramente obiettivi legati alla propaganda e comportava un certo grado di censura, ma ciò nondimeno andava a beneficio dei film prodotti dal settore privato, e non tutti erano pura propaganda. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la giustificazione economica di questo tipo di intervento, una volta eliminata la censura e la propaganda, non fu messa in discussione dai regimi democratici. Il principio dell'aiuto pubblico per l'industria cinematografica si è quindi diffuso in vari Stati europei: il Consiglio d'Europa e le istituzioni della Comunità Europea (in particolare la Commissione europea e il Parlamento) hanno generalmente adottato un atteggiamento positivo nei confronti di questo principio. Il Consiglio d'Europa ha iniziato ad esaminare la questione degli aiuti di Stato per l'industria cinematografica nel 1978 (Lange e Westcott, 2004).

La nascita di una vera e propria politica comunitaria a favore del settore cinematografico e audiovisivo può essere quindi collocata sul finire degli Anni ’80, quando i Paesi membri acquisiscono consapevolezza della rilevanza strategica del settore, non solo sotto il profilo della competitività economica a livello internazionale, ma anche per le significative ricadute sul piano sociale e culturale. Le misure dell'Unione Europea hanno come obiettivo di permettere alle imprese audiovisive europee di trarre profitto dal mercato unico e di contribuire ad alimentarlo, tenendo conto delle gravi debolezze strutturali di

(34)

33

cui soffre l'industria cinematografica legate ai costi crescenti che la domanda non riesci a coprire. La ristrettezza di mercati interni, la sottocapitalizzazione, la scarsa integrazione verticale e orizzontale delle imprese operanti nel settore audiovisivo e l'assenza di reali reti sovranazionali di distribuzione (fattori che frenano esportazione e circolazione transnazionale di pellicole europee) hanno determinato una situazione economica preoccupante, generando un ampio divario commerciale nei confronti degli Stati Uniti. Nel corso degli ultimi decenni, il sostegno comunitario al settore audiovisivo ha puntato, non senza difficoltà e contraddizioni, a fronteggiare le citate debolezze strutturali, sviluppandosi attorno a tre grandi linee d'azione:

1. La creazione di un quadro normativo in grado di attuare unefficace mercato unico audiovisivo e di armonizzare le differenti politiche nazionali di sostegno pubblico alla filiera cinematografica;

2. L'adozione di provvedimenti esterni nell'ambito delle grandi organizzazioni internazionali, in particolare per la difesa degli interessi culturali europei;

3. Il finanziamento diretto alle imprese attraverso contributi e prestiti rimborsabili, secondo una logica di integrazione e complementarietà rispetto i meccanismi di sostegno adottati dai singoli Stati membri (Priante et al., 2006)

L'importanza delle politiche pubbliche in materia di aiuti cinematografici è stata evidenziata in occasione dell’8th Conference of European Ministers responsible for

Cultural Affairs (Budapest, 1996). Le conclusioni di questa conferenza hanno sottolineato

in particolare che il processo di progressivo allargamento dal Consiglio d'Europa ad una “Greather Europe” rende ancora più necessario tenere conto delle differenze culturali ed economiche tra gli Stati membri per quanto riguarda l'assistenza nella produzione, distribuzione e uso di immagini in movimento. Questo contesto giustifica ampiamente il trattamento speciale che le politiche pubbliche, nazionali e internazionali devono dare al cinema, che come i libri non possono essere considerati alla pari di un semplice prodotto di consumo interamente soggetto al diritto del mercato. (Newman-Baudais, 2011).

(35)

34

È bene sottolineare, inoltre, che di fondamentale importanza per ricerche e analisi di impatto in questo settore è stato l’European Audiovisual Observatory (OBS), un ente di servizio pubblico e parte del Consiglio d'Europa a Strasburgo, in Francia. L'Osservatorio è stato creato nel 1992 per raccogliere e distribuire informazioni sulle varie industrie audiovisive in Europa. Rendendo disponibili queste informazioni, l'Osservatorio mira a promuovere una maggiore trasparenza e una comprensione più chiara delle modalità di funzionamento delle industrie audiovisive in Europa, sia dal punto di vista economico che giuridico (Kanzler e Talavera, 2018).

1.2.1.1 Eurimages

I primi programmi di supporto per l'industria cinematografica e televisiva a livello europeo furono istituiti negli Anni '80. Nel complesso, questi fondi sono progettati per integrare i meccanismi di finanziamento che operano a livello nazionale e locale. Essi si dividono in due categorie distinte:

• fondi creati tramite i due principali organi sovranazionali, ovvero il Consiglio d'Europa e l'Unione europea;

• fondi creati da un accordo tra Paesi con scopi e obiettivi culturali o linguistici condivisi.

Il fondo Eurimages è stato istituito nel 1988 come accordo parziale del Consiglio d'Europa, ovvero un accordo che non si estende a tutti i 45 Stati membri del Consiglio, e mira principalmente ad incoraggiare la coproduzione tra Paesi e ad aumentare la distribuzione transfrontaliera dei film (Lange e Westcott, 2004).

Attualmente ci sono 40 Stati membri, ciascuno dei quali nomina il proprio rappresentante nel Board of Management, che è l'organo esecutivo per l'assegnazione del sostegno alla coproduzione, distribuzione e esibizione di film.

Eurimages è stato creato con obiettivi gemelli definiti culturali ed economici. Il suo obiettivo culturale è “sostenere opere che riflettano le molteplici sfaccettature di una società europea le cui radici comuni sono la prova di una singola cultura"; parallelamente, mira a favorire la coproduzione di film in Europa e la loro distribuzione nei cinema, in TV

Riferimenti

Documenti correlati

Tale studio deve essere presentato tramite un’opportuna modellazione via diagrammi UML (www.uml.org), che descriva l’architettura del simulatore e dei suoi componenti..

Qualità e tracciabilità dei prodotti ittici nell'intera filiera della pesca: certificazione delle produzioni ittiche in quattro marinerie pugliesi.. Riferimenti

dalla Consiglio Comunale con delib.. 3- Gestione delle sedute consiliari e tutela dei dati sensibili .... Il Comune di Treviglio, perseguendo finalità di trasparenza e

Il corso di studi prepara pertanto professionisti, dotati di una solida preparazione scientifica e di avanzate competenze tecniche ed operative, capaci di valutare il sistema

Durante l’incontro la dottoressa presenterà le attività dell’agenzia Afsai, illustrerà le opportunità di studio all’estero e risponderà a domande e dubbi

Gli istituti professionali del settore servizi possono prevedere, nel piano dell’offerta formativa, attività e insegnamenti facoltativi di altre lingue straniere nei limiti

Sul sito web della Facoltà sotto il link tirocini sarà possibile sia visionare tutta l'informativa inerente il tirocinio curriculare (cos'è un tirocinio, come

Non possono però partecipare, a pena di esclusione dalla procedura di selezione, coloro che alla data di scadenza del termine utile per la presentazione delle domande