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Riduzione dei tempi della giustizia civile. efficienza e effettività. l’impatto dell’ultima legislazione riformista - Judicium

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Academic year: 2022

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FABIO SANTANGELI

Riduzione dei tempi della giustizia civile. efficienza e effettività. l’impatto dell’ultima legislazione riformista1.

SOMMARIO:

1. Semiserie premesse terminologiche.

2. Le recenti riforme degli anni 2005-2010, ed i risultati in chiaroscuro nella tutela dei diritti. I processi “migliorati”; spunti per ulteriori miglioramenti a costo zero.

3. Segue: ed invece i più cocenti fallimenti.

4. Segue: gli insegnamenti da trarne, per capire se, come e quando intervenire ancora sulla materia.

5. Le riforme di attuazione della legge delega n. 69/2009 e le modifiche introdotte nel 2011. Una prognosi sugli esiti.

6. Segue: riforme, tentativi di deflazione, effettività della tutela. La deflazione nel processo. La deflazione come negazione del diritto al processo; le deflazioni “buone” e quelle “cattive”. I rischi sulla più generale efficienza del sistema e la trasformazione sociale del ruolo e della funzione del processo.

1. Semiserie premesse terminologiche.

Il titolo della mia relazione suggerisce due semiserie premesse terminologiche.

Prima di analizzare l’impatto della legislatura riformista, dovremmo accordarci sull’esistenza stessa e l’individuazione delle riforme processuali che “riformiste” possano definirsi.

1 Questa relazione è la versione cartacea di un intervento effettuato il 18 novembre 2011 a Catania su invito della Corte di Appello di Catania e del Tribunale di Catania nell’ambito della giornata europea della giustizia civile anno 2011.

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E sì, perché le riforme, le pseudo riforme, le miniriforme, le novelle e le novelline che hanno interessato e affaticato il processo civile, spesso più che “riformiste”, potrebbero definirsi anzi gattopardescamente “continuiste”.

Se stiamo agli ultimi anni, anzi, le vere e più coraggiose riforme - il processo societario, il giudizio di class action ed il processo sommario - risultano abrogate, di diritto la prima, di fatto le altre, per ragioni su cui ci interrogheremo.

E tuttavia, anche a riservare la nostra riflessione alle sole riforme dal 2009 al 2011, dalla semplificazione dei riti al tentativo obbligatorio di conciliazione, o piuttosto dalle riforme del processo civile intervenute con la miniriforma del 2009 alle ultime modifiche del 2011, certo l’attenzione del legislatore, su una disciplina che negli “anni d’oro” si vantava anzi di non essere, e di non dover essere, mai interessata da modifiche se non con estrema rarità e con intendimenti necessariamente sistematici, è, direi, impressionante; come, ahimè, altrettanto impressionanti ma in negativo sono i risultati complessivi in termini di efficienza (effettività2) del sistema, ovvero l’altro corno di questo mio contributo, che necessita anche esso di una semiseria precisazione terminologica; al termine si possono ascrivere più significati, quello della rapidità del sistema-giustizia in sé e per sé come risultato da raggiungere purchessia, e quello di una efficienza (effettività) come necessità di una sufficiente qualità, e non solo rapidità, nella risposta del sistema, sia in forme contenziose che con le c.d. A.D.R., che tuttavia garantiscano una soddisfacente tutela dei diritti.

Si tratta di due letture logicamente non certo incompatibili; ma che oggi appaiono davvero contrapposte tanto che non se ne esce, o si privilegia l’una e si sacrifica con enorme durezza l’altra, o viceversa….

2. Le recenti riforme degli anni 2005-2010, ed i risultati in chiaroscuro nella tutela dei diritti. I processi “migliorati”; spunti per ulteriori miglioramenti a costo zero.

2 Effettività ed efficienza, certo, dal canto loro non sono esattamente sinonimi, ben potendosi ascrivere significati parzialmente diversi ai due vocaboli, proprio in materia di processo e di giustizia; ma credo che simili suddivisioni terminologiche, peraltro necessariamente permeate di una componente soggettiva e relativa, non debbano più occuparci.

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Prescindendo in questo contributo dall’esame delle evoluzioni o involuzioni direttamente giurisprudenziali sugli istituti processuali, e della pubblica opinione sulla giurisdizione “privata”, un esame pur rapidissimo delle riforme adottate nell’ultimo quinquennio rivela la determinazione del legislatore di intervenire, ancorché in maniera non sempre coerente, in quasi tutte le aree della giustizia.

Quali sono le risultanze di queste riforme oggi, sotto il profilo della riduzione dei tempi della giustizia, sulla efficienza e sulla effettività?

I risultati differenti sui diversi processi consigliano in prima battuta considerazioni prevalentemente analitiche. Così, può affermarsi un esito positivo delle riforme sulle misure cautelari, già positivamente beneficiate dalla riforma del 1990, con l’istituzione di un procedimento unitario; la possibilità, offerta nel 2005 dalla riforma dell’art. 669 octies c.p.c., di dotare potenzialmente di un maggior grado di stabilità almeno i provvedimenti cautelari

“anticipatori” è stata salutata come un miglioramento, ancorché certo non radicale, del sistema3.

Stupisce, semmai, ed anzi è questo il primo spunto di riflessione che si intende offrire, che non si sia ancora adattata la misura cautelare ai più radicali approcci adottati dall’abrogato processo societario e dal processo amministrativo che consentono anche al giudice, laddove ravvisi la maturità della causa per la decisione, di trasformare il processo cautelare in giudizio di merito con una decisione immediata ed una sentenza che chiuda il grado con lo stesso sforzo richiesto per la stesura del provvedimento cautelare; si tratta di una modifica, dunque, già positivamente testata in altri rami processuali dell’ordinamento, di cui è consigliabile una prossima adozione.

In ambito cautelare, di vero e proprio flop purtroppo deve parlarsi per la prova in funzione della conciliazione, la prova prima del processo ex art. 696 bis c.p.c., istituto che raccoglie consensi e favori in altri paesi europei, ma il cui travaso in Italia si è rivelato fallimentare; ciò che in parte si deve ad una formula legislativa fin troppo criptica, e che ha lasciato all’interprete più che giustificati dubbi in ordine tanto ad esempio alla condanna alle spese del procedimento che alla possibilità di insistere con la prova quando espressamente

3 Così come, in materia di condanna alle spese nel procedimento cautelare, è da apprezzare quanto stabilito nel nuovo settimo comma dell’art. 669 octies c.p.c., inserito dalla legge n. 69/2009.

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la controparte rifiuti in radice qualsivoglia possibilità di addivenire alla conciliazione, sia all’ambito stesso della nuova misura, tutte le volte in cui siano da sciogliere anche questioni di diritto. Di fronte a tali incertezze oggettive, ed alla diffidenza che, va detto, in parte oggi caratterizza l’approccio a istituti realmente innovativi, il totale disuso della misura è ovvia conseguenza4; ecco, allora, un primo elemento di riflessione, la difficoltà ad attecchire delle riforme realmente innovatrici, che andrà appunto approfondito.

Quanto invece alle modifiche nel processo di esecuzione, merita positiva segnalazione, quantomeno, la generalizzazione della riforma sulle vendite immobiliari; nata dalla delega ai notai prevista nel 19985, ma in particolare dalla best practice dei tribunali di Monza e Bologna, e poi modificata nel 20056 (con l’estensione della delega anche agli avvocati ed ai commercialisti). Le nuove disposizioni hanno consentito tempi più rapidi di vendita, nel rispetto comunque delle necessarie garanzie riconosciute a tutte le parti interessate, ed i costi innegabilmente più alti di queste procedure sono stati assolutamente ben più che compensati da un evidente aumento dei realizzi dalle vendite.

Anche la riforma della legge fallimentare, sotto altro profilo, ha garantito alcuni risultati positivi. Anzi, sotto il particolare profilo del numero delle procedure fallimentari, addirittura la riforma del 2006 aveva condotto quasi ad un azzeramento dell’istituto, così da indurre il legislatore in una “controriforma” del 2007 ad abbassare nuovamente le soglie della fallibilità; una vicenda che offre il destro per una ovvia considerazione: ridurre il numero dei fallimenti è dunque molto semplice, ma l’eliminazione di un presidio giurisdizionale di tutela rischia di produrre delle conseguenze nefaste di ben più ampio respiro sul tessuto sociale ed economico di questo paese, e dunque l’abbassamento delle soglie di tutela è fenomeno che va ben ponderato.

È tuttavia sotto il profilo di una maggiore rapidità delle procedure che la riforma ha inciso positivamente, pur se non quanto previsto dalle aspettative più ottimistiche, rendendo possibile una reale accelerazione per i fallimenti con poco da accertare o da liquidare, ciò che contribuirà sicuramente anche ad abbassare la media ponderata della durata delle

4 Come è ovvia la necessità, se la si vorrà mantenere, di una radicale revisione della disposizione, insieme al coordinamento con il più generale istituto del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui al D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, di più recente e generalizzata introduzione.

5 Legge 3 agosto 1998, n. 302.

6 Decreto legge n. 35/2005, convertito in legge n. 80/2005.

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procedure concorsuali; tanto altro, naturalmente ci sarebbe da fare, ma non basterebbe un libro per annotare i potenziali suggerimenti migliorativi dell’attuale disciplina.

Anche il giudizio di cassazione, con la riforma del 2006 ad esso espressamente dedicata ed un migliore approccio organizzativo, ha registrato un notevole incremento nella definizione dei ricorsi. Le modifiche ulteriormente introdotte nel 2009, con la istituzionalizzazione della “sezione filtro”, hanno permesso un disbrigo più rapido, certo talora a prezzo di una minore accuratezza nella decisione di talune fattispecie, dei ricorsi avanti alla Suprema Corte. Minori consensi ha raccolto l’istituzione del c.d. quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., non a caso già abrogato nel 2009, e ancora forte confusione sta ingenerando l’introduzione dell’art. 360 bis c.p.c. come ulteriore elemento di valutazione dell’ammissibilità del ricorso per cassazione; lascia in definitiva perplessi in pratica affidare alla discrezionalità “mascherata” della Corte di cassazione il compito di tagliare il numero dei ricorsi, ed appare invece necessario che il legislatore si assuma le proprie responsabilità con scelte decise, non lasciando questo compito ai giudici.

Tuttavia, nel processo civile, il problema con la Cassazione è oggi dato ormai più dall’enorme mole di arretrato che dalle nuove introduzioni, che sono pareggiate se non superate in numero dai processi annualmente evasi, elementi da salutare con ottimismo.

Degna di menzione, appare, ancora, la riforma del 2006 della disciplina dell’arbitrato;

una disciplina, quella risultante dalla riforma, assai più chiara sui poteri dell’arbitro, sulla struttura del procedimento, sui rapporti con la giurisdizione ordinaria, con un, a mio avviso, eccessivo limite, però, al giudizio di impugnazione ex art. 829 c.p.c.7.

7 Relativamente ai lodi affetti da errori in diritto, il nuovo testo dell’art. 829, commi 3, 4 e 5, c.p.c.

stabilisce, invero, che:

“L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico.

L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è sempre ammessa:

1) nelle controversie previste dall'articolo 409;

2) se la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato.

Nelle controversie previste dall'articolo 409, il lodo è soggetto ad impugnazione anche per violazione dei contratti e accordi collettivi”.

Questa, invece, la lettera del vecchio art. 829, commi 2 e 3, c.p.c.:

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Significative, anche se in misura pur sempre contenuta, le evoluzioni delle soluzioni alternative alla giurisdizione ordinaria adottate, spesso, sulla base di indicazioni legislative8, da aziende, imprese bancarie, associazioni di consumatori, enti terzi quali le camere di commercio; tra negoziazioni paritetiche, conciliazioni con mediatore, procedure di arbitrato o arbitraggio, tradizionali o on line, le procedure di ADR nel 2009 hanno raggiunto la cifra di 93.4069.

Considerazioni conclusive sui processi “migliorati”: in genere, i risultati migliori ad oggi, quanto alla giurisdizione “pubblica”, si sono avuti in larga parte, anche se non sempre, grazie a modifiche legislative decise e non semplicemente di dettaglio, ma che siano state precedentemente in qualche misura già introdotte e testate autonomamente dalla giurisprudenza, con una sorta dunque di recepimento migliorativo di best practice.

Le innovazioni più riuscite, ancora, sembrano almeno sforzarsi nel tentare di garantire oltre ad una riduzione dei tempi di tutela, anche migliori risultati in termini di tutela.

“L'impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile.

Nel caso previsto nell'articolo 808, secondo comma, il lodo è soggetto all'impugnazione anche per violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi”.

Modifica, come si vede, che può determinare un sensibile calo delle impugnazioni per errore di diritto avanti al giudice ordinario, con conseguente possibile diminuzione di effettività della tutela per la parte, meno garantita da lodi sbagliati.

8 L. 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura); L. 31 luglio n. 249/1997 in materia di telecomunicazioni; L. n. 135/2001 in materia di turismo; L. 262/2005 in materia di risparmio; L. n. 481/1995 in materia di fornitura di servizi di energia e gas; artt. 38-40 D.Lgs. n. 5 del 2003 (abrogati dal D.Lgs. n. 28/2010) in materia di diritto societario; art. 141 D.Lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo).

9 Ovvero prima della legge di riforma del tentativo obbligatorio di conciliazione del 2010. Dagli ultimi dati rilevati dall'ISDACI nel quarto rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia risulta che nel 2009 si sono registrate 93.406 domande ADR: 802 domande di arbitrato, 18.958 di mediazione amministrata (con una percentuale di raggiungimento dell'accordo pari al 55,75% presso le Camere di Commercio e al 71,4% presso le Camere esterne), 43.403 domande di conciliazione presso i Corecom (con una percentuale di raggiungimento dell'accordo pari al 76% e una mancata adesione pari al 12,30%), 30.213 domande di negoziazione paritetica di cui 22.726 procedimenti gestiti (quanto all'esito sono disponibili i dati relativi al 2008, su un numero di 23.444 procedimenti gli accordi raggiunti erano pari al 95,6%), 30 domande di riassegnazione dei nomi a dominio Internet di cui 21 accolte. Tali dati sono leggibili all'indirizzo http://www.isdaci.it, Quarto rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, BONSIGNORE V., La diffusione della giustizia alternativa in Italia nel 2009: i risultati di una ricerca.

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3. Segue: ed invece i più cocenti fallimenti.

A fianco tuttavia di tentativi di riforma con esiti tendenzialmente positivi, stanno modifiche legislative meno baciate dalla buona sorte, ancor meno di quanto gli interpreti ragionevolmente pronosticavano.

Deludenti, nel complesso, appaiono oggi i risultati della riforma della cognizione civile adottata nel 200910, se valutati alla luce della riduzione dei tempi di giustizia.

Se un parziale sollievo sul carico dei tribunali si è certo ottenuto dall’aumento di competenza del giudice di pace11, naturalmente ben altro beneficio si sarebbe avuto, a prescindere da un aumento di giudici, anche da una decisa revisione della geografia giudiziaria, da coerenziare con le attuali esigenze del territorio e dell’ottimizzazione del numero minimo e massimo dei giudici per tribunale.

Ma non voglio cadere nell’italica trappola del “benaltrismo”, e dunque ritengo opportuno procedere esclusivamente con una valutazione sull’esito delle innovazioni apportate, non anche delle “apportabili”.

La prima fase della cognizione12, pur dopo la riforma del 2009, è rimasta ingessata.

10 Legge n. 69/2009.

11 Il nuovo art. 7, comma 1, c.p.c. allarga la competenza per valore del giudice di pace per le cause relative a beni mobili, fissando il limite a cinquemila euro (quando, però, dalla legge tali cause non sono attribuite alla competenza di altro giudice). Viene, altresì, allargata la sua competenza per valore per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, fissandosi a ventimila euro il tetto di valore (art. 7, comma 2, c.p.c.).

Notazione marginale: finalmente si arrotondano le cifre sull’euro, e non sul valore equivalente in lire: i precedenti valori erano di euro 2.582,28 e di euro 15.493,71.

Qualunque ne sia il valore, viene, poi, introdotta una apposita competenza del giudice di pace per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali (art. 7 comma 3, n.3 bis, c.p.c.). E tuttavia per tali cause non si applicano le norme per le controversie in materia di lavoro di cui al libro secondo, titolo IV, del codice (nuovo ultimo comma dell’art. 442).

12 Per evitare di appesantire questo contributo, ho omesso, quasi del tutto, di prendere in considerazione le novità in materia di esecuzione forzata del 2005-2006 e del 2009. Novità, tutto sommato utili, che riguardano, tra l’altro, il titolo esecutivo, la forma del pignoramento, la conversione del pignoramento, l’intervento dei creditori, la fase della vendita, l’integrazione del pignoramento, l’attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, l’opposizione all’esecuzione, l’opposizione agli atti esecutivi, l’opposizione di terzi, la sospensione e l’estinzione.

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Non si è accettato di affidarsi a dinamiche processuali tipiche degli ordinamenti tedeschi o austriaci, come il processo contumaciale con fatti affermati accettati come veri, o la sentenza con motivazione a richiesta.

Né si è adottato il processo francese, con la possibilità per il giudice di decidere in prima udienza la causa, fermo restando poi il diritto della parte insoddisfatta di continuare il processo in primo grado (eventualità tuttavia alquanto raramente utilizzata, in concreto, in quell’ordinamento).

Con la riforma, si è prediletta una soluzione “continuista” con il passato, con, semmai, l’attribuzione di maggiori e pur sempre limitati poteri discrezionali al giudice, in specie allo scopo di favorire soluzione anticipate del giudizio quando non di scoraggiare direttamente l’abuso del processo.

Mi riferisco alla proposta di conciliazione da parte del giudice, con conseguenze su spese del giudizio, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.; un meccanismo dissuasivo - individuato per evitare i processi, o favorire soluzioni che ne consentano l’abbandono, con l’utilizzo delle offerte di conciliazione come elemento (mutuato quasi de plano dall’abrogato rito societario13) da valutare dalle parti per i suoi ormai diretti riflessi sulla condanna alle spese - che rappresenta una scommessa interessante, e che, se rettamente inteso, potrebbe favorire la conclusione anticipata di un certo numero di giudizi, ma che, tuttavia, non sarà utilizzato dalla gran parte dei giudici di merito.

Così come non sembra aver riscosso allo stato particolare fortuna il nuovo terzo comma dell’art. 96 c.p.c., con la possibilità della condanna al pagamento di una somma di denaro per colpire l’abuso del processo anche d’ufficio ad opera del giudice addirittura senza espressa predisposizione di meccanismi per la determinazione delle somme14.

Le modifiche dell’istruttoria, con il nuovo istituto del “calendario del processo”15, non hanno lasciato particolare traccia (si pensi alla assoluta disapplicazione, ad esempio, del nuovo istituto della testimonianza scritta), e gli effetti in argomento ad esempio della “non

13 Art. 16, comma 2, D. lgs. n. 5/2003.

14 La decisione dei giudici di merito di non spingere sul pedale della discrezionalità oggi almeno apparentemente concessa, a mio avviso, appare una scelta saggia e da approvare; in argomento, v.

comunque più avanti al paragrafo n. 4.

15 Art. 81 bis disp. att. c.p.c., modificato poi dall’art. 1 ter del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148.

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contestazione” e del contingentamento dei tempi per la perizia d’ufficio richiamano in certa misura precedenti prassi, e dunque non rivestono particolari novità; le riduzioni dei termini di impugnazione e in generale di stasi nel processo16 non incidono più di tanto sul piano dell’efficacia, tenuto conto che per lo più si trattava di termini in potere delle parti, che pertanto non avrebbero potuto certo lamentare di avere deciso di usufruirne integralmente invece di provvedere immediatamente al proseguimento del processo.

Così, l’ennesima e timida riforma sulle modalità di stesura della sentenza17 non ha condotto a rivoluzioni sotto il profilo della rapidità della pronuncia e del risparmio dei tempi della decisione18.

Altre e più interessanti innovazioni, quali la previsione normativa della regola della translatio iudicii anche tra diverse giurisdizioni nazionali, la generalizzazione dell’istituto della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c.19, e della necessità di sottoporre alle parti le questioni rilevate d’ufficio prima della decisione della controversia ex art. 101, comma 2, c.p.c.20, rappresentano a mio avviso importanti passi avanti nell’ottica di un

16 Artt. 50 (riassunzione della causa), 296 (sospensione su istanza delle parti), 297 (fissazione della nuova udienza dopo la sospensione), 305 (prosecuzione o riassunzione dopo interruzione), 307 (estinzione del processo per inattività delle parti), 327 (decadenza dall’impugnazione) e 392 (riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio) c.p.c..

17 Cfr. il testo dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., modificato dalla legge 69/2009, che, relativamente al contenuto della sentenza, non fa più riferimento alla esposizione dello svolgimento del processo, ed il testo dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., anch’esso modificato dalla legge 69/2009, con il riferimento a “precedenti conformi”.

In parte, tali possibilità di maggiore concisione nella stesura - oggettivamente idonee a condurre ad una riduzione dei tempi di emanazione delle sentenze - erano, in realtà, già state fatte proprie, in precedenza, da settori della giurisprudenza di merito; ed anche per questo, forse, non hanno condotto a grandi risultati.

18 E neanche la più difficile compensazione delle spese, oltre a essere comunque probabilmente letta sempre allo stesso modo dalla giurisprudenza nonostante l’ennesima “stretta legislativa”, comporterà in effetti conseguenze sul numero e sullo sviluppo dei processi.

19 Norma di più ampio respiro rispetto all’abrogato art. 184 bis c.p.c.

20 Prima della legge 69/2009, il legislatore aveva, con il D.lgs. n. 40/2006, già riformato, in materia di giudizio in Cassazione, l’art. 384, comma 3, c.p.c., prevedendo che, “se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla medesima questione”.

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processo sempre più fair, per quanto, sotto il profilo dei tempi del processo, possono talora condurre paradossalmente ad un ulteriore allungamento21.

In definitiva, la riforma del 2009 consente forse una gestione più fluida del processo, lima alcuni snodi forse eccessivi, garantisce meglio alcuni diritti fondamentali delle parti, insieme naturalmente ad una serie di soluzioni di dettaglio sulla cui qualità il giudizio rimane poi affidato al personale gusto dell’interprete; se, tuttavia, la valutazione è tesa principalmente al tentativo di velocizzare i tempi processuali ed a consegnare un processo con minore impegno temporale del giudice, il risultato è certo insoddisfacente.

Ma lo è, in particolare, proprio avuto riguardo a quello che è il vero fallimento della riforma del 2009, l’introduzione cioè di un modello alternativo di processo civile, più rapido, informale e semplice da adottare per le controversie più “facili” da risolvere (un po’ come, con ben altro esito, accade per la “sezione filtro” nel giudizio di cassazione), più rapido tanto nella fase introduttiva che nell’istruttoria e nelle modalità di decisione, con la salvezza di un appello dove eventualmente rivedere con maggiore posatezza la decisione assunta in prime cure.

Ed il fallimento di questa ipotesi alternativa, elemento più ambizioso e riformista della restyling del 2009, è la delusione più cocente della riforma.

Una delusione che origina certo da soluzioni offerte non sempre felici, da una tecnica legislativa non immune da vizi, ma che tuttavia ha punito il nuovo rito oltre i propri innegabili demeriti. Il processo sommario ex art. 702 bis ss. c.p.c è stato “assassinato” in culla; ed i responsabili di questo “crimine” sono anche e soprattutto avvocati e magistrati, che hanno scelto e indotto a non utilizzare il nuovo istituto, tanto che credo oggi si possa davvero parlare di un’abrogazione del rito sommario in fatto, dati i mortificanti esiti numerici della nuova disciplina.

21 Una diminuzione dei tempi del processo potrebbe, invece, discendere dall’applicazione dell’inciso inserito dalla legge n. 69/2009 nel terzo comma dell’art. 345 c.p.c.; inciso che, nell’introdurre all’interno del codice di rito una soluzione già adottata dalla Corte di cassazione e, a mio avviso, giustamente severamente criticata dalla maggioranza della dottrina per i risultati negativi sulla giustizia sostanziale delle decisioni finali, prevede che in appello “non possono essere prodotti nuovi documenti”, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili.

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D’altro canto, se ad esempio la fissazione della prima udienza ad opera del giudice dopo il deposito del ricorso avviene non a breve, ma ad esempio, come in molti tribunali, addirittura dopo novanta giorni, come una normale prima udienza di un processo ordinario, è evidente il rischio, se non la volontà di condannare a morte o comunque a vita grama e di stenti il nuovo modello; perché sarà evidentemente assai difficile per l’avvocato dell’attore scegliere un rito nel quale guadagna economicamente verosimilmente di meno (se ci saranno meno udienze e scritti intermedi), ha minore controllo sullo svolgimento del processo, e rischia inoltre di non accelerare i tempi se non addirittura di allungarli quando il giudice, poi, in prima udienza dovesse ritenere opportuno procedere con il rito ordinario, così non istruendo la causa o ponendola in decisione, ma rinviando ad una prossima udienza di prima trattazione ex art. 183 c.p.c.

E’ evidente, pertanto, una sorta di vero e proprio rigetto del nuovo ed innovativo rito da parte degli operatori pratici, e sulle complessive ragioni di questo fenomeno ci interrogheremo nel prossimo paragrafo.

Non senza qui notare, ancora, una certa somiglianza nella vicenda di un altro ambizioso e nuovo rito di recentissima creazione, il c.d. processo di class action, in vigore dal 2010 e che in teoria dovrebbe, o avrebbe dovuto, consentire con un solo giudizio la tutela di un folto numero di soggetti lesi analogamente da un comportamento di un produttore; anche in questo caso, il processo è realmente “riformista”, innovatore, con soluzioni originali, ancorché francamente con innegabili limiti tecnici nella redazione normativa che, è vero, ne rendono molto complesso l’utilizzo; ed anche in questo caso, tuttavia, si può davvero discorrere di un’altra abrogazione di fatto del nuovo modello decretata dagli operatori del diritto, se si considera che al momento in cui stiamo ragionando si conoscono solo due controversie che hanno superato il vaglio preventivo di ammissibilità richiesto al tribunale da questo modello di controversie22. Anche in questo caso, dunque, siamo di fronte ad una abrogazione di fatto della nuova disciplina.

22 Si tratta di azioni di classe proposte entrambe da associazioni dei consumatori; una contro la società che ha commercializzato in Italia i test influenzali volti ad individuare la eventuale presenza del visur H1N1 (c.d. Ego Test Flu), ammessa dal Tribunale di Milano con ordinanza del 20/12/2012 resa nel procedimento RG. N. 98 del 2010; l'altra promossa contro una banca, in relazione all'applicazione di spese di commissione indebite nei rapporti di conto corrente privi di scoperture, ammessa in sede di reclamo dalla Corte d'Appello di Torino nel settembre del 2011.

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E, forse, se ne può dunque ricavare una morale, e cioè il rigetto per soluzioni radicalmente innovative, o, altrimenti, quantomeno la incapacità, o il rifiuto degli operatori pratici del diritto ad applicarsi per cercare di far funzionare strumenti innovativi, che, è anche questo vero, nascono con dei “difetti di fabbricazione” gravissimi.

E che questa sensazione sia probabilmente non lontana dal vero contribuisce a provarlo anche una ulteriore e recente simile avventura, la terza in un breve volgere di anni, dunque, un altro “fallimento settoriale”, quello del processo societario, la cui abrogazione stavolta è stata proprio decretata dal legislatore nel 200923; si trattava anche in questo caso, di un processo realmente nuovo ed ambizioso, un vero e proprio esperimento da testare e se positivo generalizzare nelle ambizioni degli ideatori, che inizialmente sembrava poter riscuotere il plauso della classe forense, cui veniva attribuita la potestà quasi assoluta sulla fase introduttiva del giudizio, certo macchiato da imperdonabili lacune legislative che ne rendevano, in specie per i processi con più parti, estremamente difficile l’utilizzo (specialmente in assenza di modalità informatiche di notificazione); anche in questo caso, tuttavia, gli operatori pratici non sono riusciti a “guarire” il malato, e forse anche in questo caso non ci hanno tentato più di tanto.

Tre processi “nuovi”, dunque, gracili, che non siamo riusciti a curare; c’è di che riflettere.

4. Segue: gli insegnamenti da trarne, per capire se, come e quando intervenire ancora sulla materia.

Che cosa concludere? Sarebbe popolare affermare che gli esiti non sono mai positivi, che in Italia, in materia giudiziaria, chi è pessimista non sbaglia mai; e tuttavia, l’analisi offerta, seppur necessariamente sommaria, conferma invece come anche in tempi recenti alcune riforme, pur nell’attuale stato dell’arte, abbiano nondimeno condotto a positivi riscontri; ciò impone di comprendere le ragioni per cui alcune cose hanno dato esito positivo,

23 Con la legge n. 69/2009.

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ed altre no, premessa a mio avviso indispensabile per comprendere se, come e quando intervenire per apportare alla materia ulteriori modifiche.

Una prima considerazione sulle riforme che hanno dato positivi riscontri: ho già rilevato che, «in genere, i risultati migliori ad oggi, quanto alla giurisdizione “pubblica”, si sono avuti in larga parte, anche se non sempre, grazie a modifiche legislative decise e non semplicemente di dettaglio, ma che siano state precedentemente in qualche misura già introdotte e testate autonomamente dalla giurisprudenza, con una sorta dunque di recepimento migliorativo di best practice.

Le innovazioni più riuscite, ancora, sembrano almeno sforzarsi nel tentare di garantire oltre ad una riduzione dei tempi di tutela, anche migliori risultati in termini di tutela».

Aggiungerei che alcuni dei settori in cui le riforme hanno consentito dei pur parziali miglioramenti, ad esempio il campo delle vendite immobiliari, appartenevano proprio ad alcuni di quei processi, o segmenti di processi, più oggetto di critica, a dimostrazione che nulla è anzi irredimibile.

E, tuttavia, dobbiamo pure riconoscere la necessità di riforme anche di altro tipo, anche più radicalmente innovatrici, anche che necessitino di un approccio più innovatore.

L’esame delle riforme ad impatto negativo prima rammentate, tuttavia, suggerisce sul punto ulteriori e più preoccupate considerazioni.

Quanto al contenuto delle proposte di riforma, credo di potere affermare come dalla recente esperienza si evinca oggi come esiti non positivi per il giudizio di merito si debbano in genere ascrivere a quelle riforme che puntano su un utilizzo da parte del giudice di poteri francamente estremamente ed eccessivamente discrezionali.

I giudici, lo si è retro evidenziato, hanno ad esempio usato poco dei poteri discrezionali che pure la riforma del processo di cognizione del 2009 aveva loro attribuito, e francamente non saprei dare torto, perché con un uso forzato si rischia realmente di distorcere il ruolo centrale del giudice nel processo, che è pur sempre rimane quello di risolvere imparzialmente controversie.

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La mia riflessione è che richiedere al giudice un esercizio eccessivamente discrezionale sia un grosso rischio perché si sposa con il rischio che l’esercizio del potere sia facilmente percepito come esercizio di preferenza, così minando la figura del decidente.

La riflessione va spostata sulle scienze sociali, umane, giuridiche.

E in queste scienze può anche darsi che il valore dell’uguaglianza sia un valore più forte, da coltivare per la riuscita sociale dell’attività umana chiamata processo civile, che fonda l’accettazione sociale della decisione anche sulla terzietà assoluta di chi decide.

E certo la discrezionalità accentuata va da un’altra parte, e può destare il sospetto di parzialità, di ineguaglianza tra cittadini, specie se le decisioni non saranno spiegate.

Anche per questo non amo troppo l’attribuzione di ampie discrezionalità al giudice da parte del legislatore, specialmente se non circoscritte all’interno di una cornice chiara di regole, insieme ove possibile a valori condivisi, e condivido in genere un uso prudente di questi poteri eventualmente concessi da parte del giudice. Una riflessione, la mia, peraltro, ancor più accentuata ed anzi francamente maturata proprio avuto riguardo allo stato attuale del processo civile, ed al rilevante numero di giudici chiamato ad applicarne le regole; altro, io credo, è ad esempio assegnare poteri discrezionali nella trattazione del processo oggi ai giudici del processo amministrativo, cioè a un corpo di magistrati che non raggiunge le 450 unità24, che decide in 31 sedi (compreso il Consiglio di Stato ed il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia), e sempre in composizione collegiale, che è dunque auspicabile possano raggiungere peraltro in tempi più rapidi delle letture condivise, altro è affidare lo stesso grado di discrezionalità nella trattazione del processo ai giudici del processo civile, affidato a un numero di magistrati assai più ampio, per lo più chiamati a decidere quale giudice unico, sparsi in un ben più considerevole numero di sedi.

Quello però che mi pare ancora più importante sottolineare è un esito comune e disastroso a tutti i tentativi di riforma realmente innovatori. Appare evidente, a mio avviso, come sia gli avvocati che i magistrati, nell’attuale momento storico, affrontino delle vere e proprie crisi di rigetto verso soluzioni legislative che si presentino come radicalmente innovative (e non come semplici adeguamenti dell’esistente, o come anche decise

24 Circa 320 sono i giudici di primo grado, 100 circa quelli d’appello.

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innovazioni, tuttavia precedute da best practice e da un diffuso consenso sulla emananda modifica).

I processi realmente nuovi, che si è tentato di introdurre negli ultimi anni, sono tutti abortiti; di diritto, come testimonia l’abrogazione nel 2009 del processo societario, di fatto per assenza di utilizzo dei nuovi istituti, per motivi di cui retro al paragrafo precedente, per come testimonia il fallimento del processo di class action, e del processo sommario di cognizione, riti e modelli che sono stati evidentemente rifiutati dagli operatori del diritto.

Su questo dobbiamo certo riflettere, e riconoscere, in prima battuta, che la pessima tecnica legislativa, che ha introdotto le riforme di fatto o di diritto abortite, ha certo svolto un ruolo essenziale nel fallimento delle per altro verso più visionarie o coraggiose riforme.

In primo luogo, risulta dunque confermata anche la assoluta necessità di migliorare decisamente la qualità redazionale delle disposizioni legislative, perché non si aprano sfibranti conflitti esegetici ed ermeneutici, che il sistema evidentemente allo stato non è in grado di reggere, poiché di fatto non si riesce a trovare in tempi brevi soluzioni univoche nei tribunali, ed inserire elementi di difficoltà ulteriori alla talora complessa necessità di adeguamento a nuove situazioni provoca immediate crisi di rigetto.

Ma, forse, il problema non è esclusivamente questo; si tratta, cioè, di capire, ed è tema essenziale per le soluzioni future, se il fallimento di riforme realmente innovative e non preventivamente testate ed approvate sia dipeso solo dalla nostra incapacità a costruire bene leggi nuove, o non forse anche dalla inadeguatezza di un codice di procedura civile e di operatori di giustizia tutti ormai troppo logori per sopportare elementi realmente nuovi senza virulente crisi di rigetto, e che non provano neanche più a salvare i processi derivanti dalle nuove disposizioni, pur se deficitarie, tentando di trovare soluzioni in sintonia con lo spirito delle riforme di possibile efficiente applicazione, ma al contrario abbandonano le nuove disposizioni alla disapplicazione o alla disfatta .

E se del logorio dell’ordito del codice di procedura civile si può guarire con una profonda rivisitazione culturale, con un nuovo processo più adeguato ai tempi, con nuovi principi alla base del diritto processuale, e con soluzioni nuove, ma realmente innovative, non gattopardesche, per il logorio di noi operatori di giustizia, schiacciati da una serie di stagioni di sconfitte, non ho la cura, ma soltanto una preoccupazione ed una speranza. La

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preoccupazione è data dalla convinzione che per contribuire a risolvere i problemi della giustizia civile non basteranno interventi comunque limitati, ma serviranno radicali modifiche, e dunque sarebbe imprescindibile un atteggiamento aperto degli operatori del diritto, che dovranno lavorare per la loro parte per renderne un interpretazione plausibile, e felicemente applicabile, senza il quale ogni passo deciso è destinato a cedere; la speranza è che troveremo, da qualche parte, se non l’entusiasmo, la determinazione e la forza per tenere il passo con le nuove sfide.

Così è stato negli anni 70 per il processo del lavoro; così deve tornare ad essere oggi.

5. Le riforme di attuazione della legge delega n. 69/2009 e le modifiche introdotte nel 2011.

Una prognosi sugli esiti.

Nel panorama delle innovazioni legislative, un ultimo sguardo va poi rivolto ad altre recentissime riforme processuali, appena entrate quando non di prossima entrata in vigore, per verificarne i possibili esiti sul piano dell’efficienza ed effettività, e per valutare se sia dato o no rinvenire in questi ultimi pur non organici interventi una linea comune.

Esistono, nelle recenti riforme del 201125, elementi innovativi sotto il profilo dell’efficienza dei processi26.

25 Legge 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilità 2012) e decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148.

26 Sul calendario del processo civile è intervenuto l’art. 1 ter del decreto-legge 13 agosto 2011, n.

138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148, prevedendo che:

1. “Ai fini della riduzione della spesa pubblica e per ragioni di migliore organizzazione del servizio di giustizia, all'articolo 81-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il primo comma e' sostituito dal seguente: «Il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell'urgenza e della complessita' della causa, fissa, nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo, il calendario delle udienze successive, indicando gli incombenti che verranno in ciascuna di esse espletati, compresi quelli di cui all'articolo 189, primo comma. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche d'ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini»;

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È rimarcabile l’attenzione, pur se naturalmente non risolutrice, per l’accelerazione delle procedure in appello, attraverso una maggiore responsabilizzazione della parte nella richiesta della sospensiva, e la facoltà di decidere immediatamente la controversia con le forme dell’art. 281 sexies27; così come l’obiettivo di valutare il reale grado di interesse a

b) dopo il primo comma e' inserito il seguente: «Il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario di cui al comma precedente da parte del giudice, del difensore o del consulente tecnico d'ufficio puo' costituire violazione disciplinare, e puo' essere considerato ai fini della valutazione di professionalita' e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi»”.

2. “Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

27 L’art. 27 (rubricato “Modifiche al codice di procedura civile per l’accelerazione del contenzioso civile pendente in grado di appello”) della legge 12 novembre 2011, n. 183, prevede che:

1. “Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 283 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Se l’istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio»;

b) all’articolo 350, primo comma, dopo le parole: «la trattazione dell’appello è collegiale», sono inserite le seguenti: «ma il presidente del collegio può delegare per l’assunzione dei mezzi istruttori uno dei suoi componenti»;

c) all’articolo 351:

1) al primo comma, dopo le parole: «il giudice provvede con ordinanza» sono inserite le seguenti:

«non impugnabile»;

2) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Il giudice, all’udienza prevista dal primo comma, se ritiene la causa matura per la decisione, può provvedere ai sensi dell’articolo 281-sexies. Se per la decisione sulla sospensione è stata fissata l’udienza di cui al terzo comma, il giudice fissa apposita udienza per la decisione della causa nel rispetto dei termini a comparire»;

d) all’articolo 352 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’articolo 281-sexies»;

e) all’articolo 431 è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Se l’istanza per la sospensione di cui al terzo ed al sesto comma è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio»;

f) all’articolo 445-bis è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«La sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente è inappellabile»”.

2. “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

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continuare i processi da tempo in attesa di decisione28, attraverso il meccanismo della perenzione.

Così come va segnalata la responsabilizzazione degli organi apicali degli uffici giudiziari al perseguimento dell’obiettivo di una equilibrata riduzione dell’arretrato29, con indicazioni di maggiore cogenza sulle scelte di trattazione dei processi più risalenti.

Una innovazione che si sposa con un preciso passo avanti nel processo di informatizzazione del processo civile, che con la riforma finalmente raggiunge un primo e pur importante obiettivo, cioè fare della modalità informatica il procedimento principale per le notificazioni e le comunicazioni nel processo30, anche per le notificazioni ad opera degli avvocati31, che potrà avere un ulteriore sviluppo anche per gli atti introduttivi del giudizio con l’entrata in vigore dell’obbligo per le imprese di avere un indirizzo di posta elettronica certificata presso il registro delle imprese

28 Si veda l’art. 26 legge 12 novembre 2011, n. 183, poi modificato dall’art. 14 del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 212.

29 Si veda l’art. 37, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, secondo cui:

1. “I capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno redigono un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti. Con il programma il capo dell'ufficio giudiziario determina:

a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso;

b) gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorita' nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonche' della natura e del valore della stessa”.

2. “Con il programma di cui al comma 1, sulla cui attuazione vigila il capo dell'ufficio giudiziario, viene dato atto dell'avvenuto conseguimento degli obiettivi fissati per l'anno precedente o vengono specificate le motivazioni del loro eventuale mancato raggiungimento. Ai fini della valutazione per la conferma dell'incarico direttivo ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n.

160, i programmi previsti dal comma 1 sono comunicati ai locali consigli dell'ordine degli avvocati e sono trasmessi al Consiglio superiore della magistratura”.

3. “In sede di prima applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1, e seguenti, il programma di cui al comma 1 viene adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e vengono indicati gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti civili, amministrativi e tributari concretamente raggiungibili entro il 31 dicembre 2012, anche in assenza della determinazione dei carichi di lavoro di cui al comma 1, lett. b)”.

30 Si veda l’art. 25 (Impiego della posta elettronica certificata nel processo civile), commi 1 e 2, della legge 12 novembre 2011, n. 183.

31 Si veda l’art. 25 (Impiego della posta elettronica certificata nel processo civile), comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che modifica la legge 21 gennaio 1994, n. 53.

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Ma quello che a mio avviso appare da sottolineare, ed in qualche modo rappresenta il leit motiv delle ultimissime riforme, è l’azione decisa per ottenere un effetto deflattivo rendendo in vario modo più difficile l’accesso alla giustizia, in particolare sul lato dei costi.

Prima di richiamare le disposizioni in argomento, appare opportuno prendere le mosse dai due decreti legislativi di attuazione della legge delega n. 69/200932, iniziando dal riordino dei riti. Il decreto legislativo n. 150/2011, nel tentativo di rimettere ordine nella pluralità dei riti speciali che si sono affastellati nel processo civile, si occupa di riordinarli raggruppandoli tendenzialmente sotto tre diversi modelli, quello di cognizione ordinario, il modello del processo del lavoro, e quello del processo sommario, pur lasciando poi per ogni singolo procedimento speciale ulteriori esclusive peculiarità. Non è questa la sede neanche per abbozzare una prima ricostruzione di un complesso progetto che tuttavia, anche a causa di una legge delega eccessivamente limitante, si rivelerà probabilmente destinato a deludere le aspettative di maggiore efficienza ed effettività che sul riordino dei riti erano state riposte;

quello che ai nostri fini è forse più interessante sottolineare è, tuttavia, come, attraverso questa riforma, in pratica si riduca (da 60 a 30 giorni) il tempo per il cittadino residente in Italia per contestare alcune sanzioni adottate dalla pubblica amministrazione33, e si rendano tendenzialmente più ristretti, rispetto all’abrogato art. 22, comma 7, legge n. 689/1981, gli ambiti di sospensione dell’efficacia delle sanzioni amministrative (sospensione che adesso, ai sensi dell’art. 5 del d. lgs. 150, può essere concessa solo in presenza di “gravi e circostanziate ragioni”)34, in modo tale da rendere scientemente meno conveniente e più difficile l’accesso alla giustizia; intento direttamente deflattivo confermato dalla scelta di non rivedere la mancata previsione dell’appello proprio per misure di fondamentale impatto

32 Il terzo decreto legislativo (n. 104/2010), come è noto, contiene il nuovo codice del processo amministrativo.

33 Il nuovo art. 7, comma 3, del D. lgs. n. 150/2011, prevede che l’opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada di cui all’art. 204 bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, va proposta dal residente in Italia entro trenta giorni dalla data di contestazione della violazione o di notificazione del verbale di accertamento. Il vecchio articolo 204 bis, prima della modifica effettuata dall’art. 34, comma 6, del D.lgs. 150, fissava, invece, in “sessanta giorni dalla data di contestazione o di notificazione” il termine per la proposizione dell’opposizione.

34 Per il menzionato art. 22, comma 7, ai fini della concessione di un provvedimento di sospensione, era sufficiente la presenza di “gravi motivi”. Similmente a quanto previsto nel nuovo art. 5 d.lgs. n.

150, solo “gravi e documentati motivi” potevano, invece, giustificare, ai sensi del comma 3 ter del vecchio art. 204 bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, una sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti sanzionatori adottati in caso di violazioni del codice della strada.

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su diritti personalissimi, come ad esempio in materia di espulsione dei cittadini extracomunitari35.

Il medesimo intento deflattivo, del resto, si rinviene anzi in via espressa e principale nel decreto legislativo n. 28/2010 che ha introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione prima del processo di cognizione, in un sistema che già conosce meccanismi di conciliazione facoltativa in vario modo amministrati36.

Una deflazione, tuttavia, che si persegue, e che probabilmente si realizzerà, a mio avviso, non particolarmente per la capacità di questo procedimento effettivamente di favorire il momento transattivo o conciliativo nella controversia, quanto invece proprio sotto il profilo dei costi; l’onerosità del procedimento di conciliazione, infatti, rappresenta un ulteriore costo per le parti per potersi presentare davanti al giudice per fare valere le proprie ragioni (cosa che, effettivamente, sembra quasi essere oggi valutata alla stregua di un crimine), ed un costo ulteriore può o direttamente scoraggiare ad intraprendere la strada del

35 Il legislatore delegato ha mantenuto in vigore l'inappellabilità dell'ordinanza del giudice di pace (art. 18 D.Lgs. 150/2011), con l'incredibile motivazione, espressa in sede di Relazione di accompagnamento, che: «l'introduzione dell'appello, correlata con l'ammissione automatica di tutti i ricorrenti al patrocinio a spese dello Stato, avrebbe generato un aumento di spesa privo di adeguata copertura finanziaria». Diversamente, i cittadini comunitari, e i loro familiari, in materia di impugnazione del provvedimento di allontanamento hanno la possibilità di appellare l'ordinanza del Tribunale in composizione monocratica (art. 17 D.Lgs. 150/2011).

36 Come il meccanismo dell'arbitrato amministrato presso le Camere Arbitrali istituite dalle Camere di Commercio o presso Camere esterne al circuito camerale; il meccanismo della conciliazione amministrata presso le Camere di Commercio o altri organismi di mediazione, disciplinata dalla legge n. 580/93; la procedura di conciliazione gratuita presso i Corecom (organi funzionali dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, situati in 18 capoluoghi di regioni), disciplinata dalla delibera dell'AGCOM n. 173/07/CONS e successive modificazioni, presso i quali è possibile svolgere il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, per le controversie relative alle telecomunicazioni. E in più, il modello della negoziazione paritetica per la risoluzione delle controversie in materia di consumo, che si fonda su protocolli d'intesa tra le associazioni dei consumatori e le aziende - sulla base dei quale vengono poi adottati i regolamenti di conciliazione che disciplinano le modalità pratiche di svolgimento della procedura di conciliazione - ed è caratterizzato dal fatto che la risoluzione delle controversie avviene attraverso il confronto tra consumatore ed azienda per il tramite di loro rispettivi rappresentanti (un'associazione dei consumatori, cui conferisce mandato il consumatore, e un rappresentante dell'azienda) senza l'intervento di un terzo soggetto che gestisce l'incontro di mediazione frutto dei protocolli stipulati tra le imprese e le associazioni dei consumatori (nel 2009 risultano siglati 39 protocolli di conciliazione paritetica). Quest'ultimo modello di conciliazione (fatto salvo dall'art. 2, co. 2, del D.Lgs. 28 del 2010) ha avuto una notevole diffusione tra le grandi aziende, poiché consente alle imprese di risolvere le controversie in maniera economicamente vantaggiosa, e ai consumatori di ottenere soluzioni rapide e gratuite. V. nota n. 9 per i dati relativi alle procedure di ADR nel 2009.

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ricorso alla giustizia, o indurre a fermarsi alla mediazione, per la quale si sono già sopportati costi non indifferenti.

Quello dell’aumento indiscriminato dei costi della giustizia, del resto, è elemento comune anche alla recente legislazione del 2011 che ha introdotto il contributo unificato anche per i giudizi di lavoro37.

Infine, in ideale collegamento con la mediazione, e il suo aggravio di costi, stanno le recentissime disposizioni contenute nella legge 12 novembre 2011, n. 183 , che aumentano il contributo unificato del 50 % per il giudizio di appello, e del 100 % per il giudizio in Cassazione.

6. Segue: riforme, tentativi di deflazione, effettività della tutela. La deflazione nel processo. La deflazione come negazione del diritto al processo; le deflazioni “buone” e quelle “cattive”. I rischi sulla più generale efficienza del sistema e la trasformazione sociale del ruolo e della funzione del processo

Quali saranno gli esiti, sotto il profilo della deflazione del carico processuale, dell’aumento dei costi processuali?

Li conosciamo già, e sappiamo in effetti che, sotto il profilo della riduzione dei tempi per il sistema giustizia, essi saranno positivi…

Checché se ne pensi, infatti, rendere più costoso l’accesso alla giustizia è meccanismo efficiente, perché abbatte il ricorso ai processi, così riducendone il numero.

37 Si veda l’art. 9, comma 1 bis (inserito dall'articolo 37, comma 6, lettera b, numero 2, del decreto- legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111), D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, secondo cui: “Nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, nonche' per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, superiore a tre volte l'importo previsto dall'articolo 76, sono soggette, rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di cui all'articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 3, salvo che per i processi dinanzi alla Corte di cassazione in cui il contributo e' dovuto nella misura di cui all'articolo 13, comma 1”.

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Anzi, il deciso aumento dei costi è probabilmente il meccanismo più efficiente, sotto questo punto di vista; peccato che, così facendo, si venga meno alla funzione principale del processo, e delle fasi di impugnazione: assicurare tutela ai diritti che si affermano lesi con decisioni oggetto di riesame.

Si torna così alla considerazione iniziale di queste riflessioni, ovverosia che in questo momento non si riesce ad assicurare effettività alla tutela se non attraverso una compressione forte delle potenzialità della stessa; l’efficienza del sistema giustizia, o meglio la minore inefficienza, rischia di ottenersi a prezzo di una complessiva minore tutela effettiva delle situazioni giustiziabili.

E, sul punto, deve operarsi una prima riflessione; se non si vuole morire di cinismo da una parte, o sopravvivere di ipocrite condanne dall’altra, non bisogna negare a priori l’ammissibilità di questo meccanismo deflattivo, e pertanto la valutazione si deve accompagnare con un esame delle opzioni alternative che l’ordinamento concede all’interessato, per valutare il grado di sofferenza e il conseguente margine di tollerabilità nel caso specifico.

In argomento, allora, valga l’esempio della introduzione del contributo unificato per l’impugnazione delle sanzioni amministrative 38 , innovazione che ha prodotto una diminuzione del contenzioso civile in materia, in particolare naturalmente per tutte le sanzioni di valore economicamente meno elevato, in maniera talmente repentina e per così tante controversie “mancate” da consentire, per la prima volta da varie decadi, di ottenere alla fine dell’anno giudiziario di avere deciso più cause di quelle nuove introitate nel corso dell’anno. In materia di violazioni del codice della strada, ciò, tuttavia, non lascia “nudo” il cittadino, le cui doglianze si spostano al ricorso al Prefetto, autorità amministrativa peraltro diversa da quella che ha accertato la violazione e non sempre ad essa sovraordinata, e che peraltro oggi mediamente assicura anche una risposta in termini ragionevoli e non scontatamente negativa; una risposta che, inoltre, risulta, qualora abbia i caratteri di una ordinanza-ingiunzione di pagamento (art. 204 d.lgs. 285/1992), impugnabile dinanzi

38 Si veda l’art. 10, comma 6 bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

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all’autorità giudiziaria ordinaria ai sensi dell’art. 205 del d.lgs. 285/199239 (come sostituito dall’art. 34, comma 6, del d.lgs. 150/2011).

Allora, in una ipotesi simile, effettivamente, la tutela nel complesso offerta al diritto di contestazione delle sanzioni amministrative per il cittadino, pur in presenza di un costo per l’accesso alla giurisdizione ordinaria, può probabilmente nell’attuale temperie definirsi socialmente accettabile.

Una riflessione simile, oggi, potrebbe forse essere ad esempio allargata alle controversie bancarie e finanziarie, in cui, a parte gli ormai anch’essi numerosi meccanismi conciliativi, il consumatore o correntista ha effettivamente una seria tutela alternativa alla giurisdizione ordinaria, tra i meccanismi dell’Ombudsman-giurì bancario, l’arbitrato bancario finanziario40, la Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob41, i reclami interni all’istituto di credito, le negoziazioni paritetiche; anche in tali ipotesi, in presenza di credibili istituti di risoluzione alternativa, con decisione di terzi, delle contestazioni o controversie insorte, sarebbe tollerabile un aumento dei costi per il ricorso alla tutela ordinaria.

È, dunque, necessario accompagnare ad un aumento dei costi del processo civile forme di tutela alternativa, gratuite o a costi sostenibili, che diano comunque sufficienti garanzie di efficienza nella tutela delle situazioni giustiziabili; ma che, attenzione, non potranno mai concretarsi soltanto in meccanismi, pur in ipotesi efficaci, di conciliazione, che rimangono troppo legati alla volontà esclusiva delle parti per rappresentare alternative soddisfacenti.

Non senza poi avvertire della opportunità che le riflessioni, anche sotto il limitato profilo della deflazione del carico giudiziale, sulla effettività ed efficienza del sistema giustizia debbano essere condotte con sguardo più ampio, rivolto anche alle ripercussioni

39 Stabilisce tale norma: “Contro l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria gli interessati possono proporre opposizione davanti all’autorità giudiziaria ordinaria. L’opposizione è regolata dall’articolo 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”.

40 Art. 128 bis D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).

41 Si veda il D.lgs. 8 ottobre 2007, n.179 (Istituzione di procedure di conciliazione e di arbitrato, sistema di indennizzo e fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori in attuazione dell'articolo 27, commi 1 e 2, della legge 28 dicembre 2005, n. 262).

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