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Se non paghi le tasse, il fisco può rivalersi sugli eredi?

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Se non paghi le tasse, il fisco può rivalersi sugli eredi?

Autore: Carlos Arija Garcia | 20/09/2017

L’Agenzia delle Entrate Riscossione può pretendere imposte dai figli salvo la rinuncia all’eredità. Le sanzioni, però, non sono mai trasmissibili.

Vuoi la mia eredità? Ti prendi anche i miei debiti con il Fisco. Non li vuoi pagare?

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Allora devi rinunciare alla mia eredità nei 10 anni che seguono l’apertura della successione. Ogni fortuna può comportare uno svantaggio. Così, i debiti con l’Agenzia delle Entrate Riscossione per cartelle di pagamento non estinte o con altri organi dell’amministrazione finanziaria (con il Fisco, insomma) passano agli eredi del defunto. Saranno loro a rispondere in prima persona con il loro patrimonio dei debiti contratti dal parente deceduto. Anche se ci sono dei casi in cui la responsabilità degli eredi può essere limitata o, addirittura, del tutto esclusa.

Vediamo quali.

Gli eredi non devono pagare le sanzioni

La legge, dunque [1], stabilisce che gli eredi «rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa». Che cosa significa «In solido»? Vuol dire che l’Agenzia delle Entrate Riscossione può chiedere l’integrale pagamento anche ad uno solo di essi, salvo poi il diritto di quest’ultimo a rivalersi nei confronti degli altri coeredi.

La buona notizia, però, è che le sanzioni non si trasferiscono mai agli eredi [2].

In buona sostanza, se nel dettaglio della cartella dell’Agenzia delle Entrate Riscossione è richiesto il pagamento di un importo di cui una parte a titolo di imposta evasa e un’altra a titolo di sanzione per tale omesso versamento, si paga solo la prima: quest’ultima, infatti, non è mai dovuta dagli eredi.

Per poter ottenere la decurtazione delle sanzioni dalla cartella esattoriale, è possibile presentare un’istanza in autotutela che andrà inviata sia all’Ente della riscossione sia a quello titolare del credito (per esempio, nel caso di omesso versamento dell’Irpef, Iva e altre imposte erariali, all’Agenzia delle Entrate; nel caso di omesso versamento di imposte locali, al Comune o alla Regione; nel caso di multe stradali, all’Ente accertatore).

Badate bene, però: l’istanza in autotutela non sospende i termini per impugnare la cartella davanti al giudice. Quali sono questi termini?

nel caso di multa stradale, 30 giorni;

nel caso di imposte 60 giorni;

nel caso di contributi previdenziali è di 40 giorni.

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In questo modo, nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate Riscossione non dovesse rispondere nei tempi, sarà necessario procedere ugualmente al ricorso davanti al giudice competente. Infatti, se scade il termine, la cartella diventa definitiva e non c’è più modo per farla annullare. Con la conseguenza che l’erede dovrà pagare l’intero importo anche se non dovuto.

Se il defunto aveva in corso una rateazione

Ma torniamo alle buone notizie. Non passano agli eredi le sanzioni dovute dal parente defunto anche se quest’ultimo è deceduto durante un piano rateale di pagamento non ancora concluso. Qualche esempio: l’acquiescenza o l’accertamento con adesione, nel primo caso, oppure, per quanto riguarda la seconda ipotesi, il reclamo-mediazione e la conciliazione giudiziale [3].

Non ricadono sugli eredi, inoltre, le conseguenze dei ritardati pagamenti delle quote effettuati dal contribuente prima della morte o della decadenza dal beneficio della rateazione a causa di sue violazioni.

Gli uffici, quindi, non devono rivolgersi ai parenti per riscuotere le somme irrogate al defunto in relazione agli inadempimenti da lui commessi.

Quello che, invece, gli eredi dovranno pagare sono le sanzioni dovute per le rate non versate nei termini dopo la morte del congiunto.

Se la cartella non viene notificata correttamente non si paga

Un altro motivo per evitare di pagare la cartella è verificare che la notifica della stessa sia stata effettuata correttamente. Esistono, a riguardo, regole ben precise.

Dal giorno della morte del contribuente, la cartella deve essere notificata presso l’ultimo domicilio del defunto agli eredi impersonalmente. In pratica, sulla busta dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, nella sezione relativa al destinatario, non ci deve essere il nome e cognome del parente defunto (per es. Mario Rossi), bensì la

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dizione «Eredi del sig. Mario Rossi». Se la cartella è indirizzata ancora al contribuente deceduto, la notifica è nulla.

Gli eredi possono, però, comunicare all’Agenzia delle Entrate e all’Agente della riscossione il decesso del contribuente. In tal caso, a partire da 30 giorni dopo tale comunicazione, la notifica della cartella dovrà essere eseguita sempre nei loro confronti, e quindi personalmente, e non invece presso l’ultimo domicilio del defunto, ed impersonalmente a tutti gli eredi.

A questo proposito: la regola della notifica impersonale vale al massimo fino 1 anno dal decesso del contribuente. Trascorso questo tempo, la notifica andrà fatta comunque personalmente ai singoli eredi, e quindi presso il loro indirizzo e con il rispettivo nome indicato sulla busta dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Occhio al trucchetto, però. È vero che la notifica deve essere effettuata nei termini sopra indicati. Ma se il contribuente impugna la cartella per tale ragione, ammette implicitamente di averne avuto conoscenza e, quindi, il vizio si sana. L’unica alternativa è non muovere un dito e attendere la successiva mossa dell’Agenzia delle Entrate Riscossione. Se quest’ultima dovesse notificare l’avvio di un pignoramento o di una misura cautelare (fermo o ipoteca), il contribuente potrebbe allora sollevare l’eccezione di mancata notifica dell’atto prodromico, ossia della cartella di pagamento e, in tal caso, vincere la partita.

La prescrizione della cartella di pagamento

Un consiglio importante è anche quello di controllare la prescrizione degli importi richiesti con la cartella. Trattandosi infatti di debiti risalenti nel tempo potrebbero essere ormai scaduti. A riguardo rinviamo ai numerosi articoli sul tema pubblicati su questo giornale (per es. leggi: «Cartella di pagamento: termini di prescrizione»).

Come evitare di ereditare i debiti del

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defunto con l’Agenzia Entrate Riscossione

Come anticipato in apertura, la regola del passaggio dei debiti fiscali del defunto sugli eredi opera solo nel caso in cui questi ultimi abbiano accettato l’eredità. In caso, invece, di rinuncia all’eredità, i debiti non si trasmettono. E ciò vale anche per le obbligazioni fiscali e con l’Agenzia delle Entrate Riscossione.

La rinuncia all’eredità può avvenire solo dopo l’apertura della successione e mai prima. Inoltre, chi ha già accettato l’eredità non può revocare tale scelta optando per la rinuncia. Quindi, è sempre bene, prima di accettare l’eredità, verificare la situazione debitoria del defunto. A tal fine, almeno per quanto riguarda i debiti con l’erario, ci si può far consegnare, presso lo sportello dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, un estratto di ruolo, per verificare a quanto ammontano le eventuali pendenze insolute.

La rinuncia ha effetto retroattivo, pertanto chi opta per questa scelta è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato. Per cui il rinunciante può farla anche dopo aver ricevuto una cartella dell’Ente della riscossione ed essersi accorto della consistenza dei debiti lasciati dal defunto. L’importante è che non siano decorsi 10 anni dalla morte.

Come fare la rinuncia all’eredità? Occorre una dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni.

La rinuncia non può essere parziale, né sottoposta a condizione o a termine (a pena di nullità). Insomma – come dicevamo all’inizio – ti prendi i miei beni ed i miei debiti. O tutto o niente. Per l’eredità devolute a minori, la rinuncia deve essere fatta dai genitori con autorizzazione del giudice tutelare.

Chi è nel possesso dei beni del defunto (si pensi al figlio convivente nella stessa casa, al coniuge che continui ad utilizzare l’auto parente deceduto, ecc.) ha termini più ridotti per fare la rinuncia all’eredità: entro 3 mesi dall’apertura della successione deve redigere l’inventario e, nei successivi 40 giorni, deve fare la comunicazione se intende rinunciare all’eredità o accettarla con beneficio di inventario (ne parliamo tra poco). Se non compie tali attività, egli si considera come erede puro e semplice, ossia come se avesse accettato l’eredità, non potendo più tornare indietro.

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L’accettazione con beneficio di inventario

Un ulteriore modo per limitare le perdite derivanti dall’accettazione di un’eredità piena di debiti è quello di fare l’accettazione con beneficio di inventario. Anche in questo caso, la scelta può essere compiuta entro 10 anni; ma, se l’erede è nel possesso dei beni del defunto, dovrà fare entro 3 mesi l’inventario e nei successivi 40 giorni comunicare l’accettazione con beneficio di inventario.

Con l’accettazione con beneficio di inventario l’erede crea una sorta di muro tra i beni ereditati e quelli propri; per cui i creditori del defunto potranno aggredire, a tutto voler concedere, solo i beni ottenuti in eredità e mai quelli personali dell’erede. Quest’ultimo, quindi, metterà al riparo la propria casa o il proprio conto corrente dalle aggressioni dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Note

[1] Art. 65, 1° co. D.p.r. n. 600/1973. [2] Art .8 D.lgs 472 1997. [3] Ag. Entrate circolare n.

29/E del 7.08.2015. Cass. sent. n. 12754/2014. Autore immagine: 123rf.com

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