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A G D G A D U MASSONERIA UNIVERSALE COMUNIONE ITALIANA GRANDE ORIENTE D ITALIA PALAZZO GIUSTINIANI VISITA INTERIORA TERRAE.

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A∴G∴D∴G∴A∴D∴U∴

MASSONERIA UNIVERSALE – COMUNIONE ITALIANA GRANDE ORIENTE D’ITALIA

PALAZZO GIUSTINIANI

VISITA INTERIORA TERRAE.

L’INCIPIT DEL VIAGGIO CON L’AUSILIO DELLA COMEDIA

R∴L∴ Valdinievole 1912 n. 1014 Or∴ di Montecatini Terme (PT)

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« SI NON SEDES IS »

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PROLOGO.

Prima ancora di cercare di posizionare un modesto mattone per la Costruzione del Tempio, ritengo opportuno far precedere le mie considerazioni da un passo tratto dall’ Oratio de hominis dignitate di Giovanni Pico della Mirandola:

« Non ti diedi né volto, né luogo che non ti sia proprio, né alcun dono che ti sia particolare, o Adamo, affinché il tuo volto, il tuo posto e i tuoi doni tu li voglia, li conquisti e li possieda da solo. La natura racchiude altre specie in leggi da me stabilite, col tuo proprio arbitrio al quale ti affidai, tu ti definisci da te stesso. Ti ho posto al centro del mondo affinché tu possa contemplare meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né immortale, affinché da te stesso, liberamente, in guisa di un buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine…».

La necessità della citazione sopra riportata, scritta nel 1486, è dettata dalla “attualità” della sua essenza, tanto più attuale quanto più coniugata con il percorso Iniziatico Libero-Muratorio. Al centro della finalità della Libera Muratoria c’è sempre l’Uomo ed il lavoro su di esso, che ha come unico fine quello di elevarlo alla perfettibilità.

L’Uomo, insegna Pico della Mirandola, posto dal Grande Architetto dell’Universo al Centro del mondo, gode di un’assoluta libertà, che gli consente sia di raggiungere la suprema perfezione divina sia di abbassarsi alla condizione dei bruti. Ma dunque, si potrebbe dedurre, che se è solo l’Uomo l’unico artefice di se stesso, l’accento non può che cadere sulle sue attitudini e sulle sue scelte. Privilegiando quindi, implicitamente, la «virtù» rispetto al «vizio», l’agire rispetto alla pura contemplazione, per la centralità della sua posizione, l’Uomo può realizzare una condizione di equilibrio perfetto, che fa di lui un essere unico e privilegiato.

L’equilibrio perfetto risiede dunque già nell'Uomo. Per raggiungerlo ha bisogno di penetrare il

“Centro” del suo Essere perché solo la realizzazione di questo “Centro” potrà essere il punto di partenza per capovolgere la natura umana ed elevarla agli stati superiori dell'Essere. E’ l’Uomo e solo l’Uomo che potrà decidere se raggiungere il suo “Centro” per evolvere verso la consapevolezza, immergendosi nel Creato e svolgendo quella stancante fatica di risalirne all’Artefice

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Questo è il Viaggio di Dante nella Divina Commedia, un «itinerarium mentis» attraverso le molte sfere dell’esistenza e diretto verso il Centro archetipico dell’Uomo. E’ un Viaggio che prende avvio nel buio impenetrabile dell’inconscio e si conclude nel bagliore non meno impenetrabile del mistero.

Con la «Comedia» il Sommo Poeta ci invita costantemente alla Conoscenza. Lo fa in maniera svelata quando, ad esempio, identificando l’Uomo quale soggetto ed individuo reagente e pensante, fa profferire ad Ulisse, che si rivolge allo stesso Dante ed a Virgilio, le seguenti parole:

« Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza » (Inferno, XXVI – 118 – 120)

L’invito alla Conoscenza di Dante non può che essere inteso in senso ampio e iniziatico e dunque non può che includervi l’imperativo delfico socratico «Conosci te stesso», bordone per la ricerca esistenziale. Una ricerca che suggerisce all’Uomo di conoscersi, di operare quindi un cambiamento per pervenire al proprio Sé migliore, percorrendo un itinerario interiore che non è certamente un idillio ma, al contrario, presuppone un cammino faticoso, estenuante, irto di difficoltà che richiede volontà, perseveranza e vigilanza, fatica psicologica e spirituale, poiché non può esserci conoscenza senza sofferenza. Ma il contraltare è la possibilità di pervenire ad un nuovo equilibrio interiore, ad una nuova saggezza, ad una nuova Luce, che si riverbera poi in una maggiore consapevolezza della propria esistenza ed alla possibilità di incidere positivamente su di essa.

La discesa nel mondo infernale dantesco è la discesa verso il “Centro” dell’essere. I Cerchi, lasciati alle spalle da Dante vincitore, sono tutti i modi dell’umanità terrestre che adombrano la vita spirituale, sepolta nella tomba della materia. Materia che diventa tanto più densa e adombrante quanto più ci si avvicina al Centro della Terra, al Centro dello stesso corpo di Lucifero.

Il “Centro” è senza dubbio un punto di arresto ma anche di ri-partenza. E’ il punto di risoluzione dell’Inferno in cui avviene la morte simbolica che precede la ri-nascita che schiude la via alla

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liberazione verso gli stati superiori dell’Essere. E’ il punto di partenza per la rettificazione che costituisce qui la correzione di moto che segna, dopo la discesa, l’inizio del movimento ascensionale.

Il repentino cambiamento di direzione, che da la stura alla fase di rettificazione, è simbolicamente segnato dal capovolgimento di Dante, supportato da Virgilio, nel Centro della Terra. Qui, nel Centro della Terra, nell’athanor della rigenerazione, inizia il processo di trasformazione alchemico, il «solve» che precede il «coagula», lo scioglimento della forma della materia che viene liberata delle impurità per ricondurla alla materia prima che l’aveva generata ed essere poi plasmata in altra forma:

« Quando noi fummo là dove la coscia Si volge, a punto in sul grosso de l’anche, lo duca con fatica e con angoscia,

volse la testa ov’elli avea le zanche, e aggrappassi al pel com’om che sale, si che ‘nferno credea tornar anche » (Inferno XXXIV – 76-81)

Ma forse siamo andati Oltre.

Per arrivare al « Centro » bisogna dapprima partire ed il primo rischio del Grande Viaggio è proprio quello di non avere il coraggio del primo passo…

CANTO I - L’INCIPIT DEL VIAGGIO VERSO IL CENTRO DELLA TERRA

Il commento secolare apostrofa Dante come “ il Viator “ ovvero come colui che viaggia, intendendo con l’accezione del termine Viaggio non un semplice trasferimento da un luogo ad un altro ma come il Grande Viaggio ossia il compimento di un percorso trasmutativo che racchiude in se il passaggio da un stato “profano” di torpore ad uno stato di “veglia”, a partire dal quale si accederà ad un risveglio della coscienza che progressivamente si illuminerà.

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Il risveglio coscienziale.

Il Viaggio di Dante prende l’avvio proprio da una presa di coscienza dello stato di torpore nel quale era imprigionato. Così il Viaggio del Libero Muratore, che può trovare inizio nella presa di coscienza di uno stato di obnubilamento contingente, così come da una situazione di smarrimento esistenziale che invita ciascuno a riflettere sulle proprie esperienze di sconvolgimento.

Tanto è il presupposto ad un nuovo Inizio, alla Iniziazione, che è risveglio dell’Uomo alla consapevolezza prima della propria identità e poi del posto che esso occupa nel Cosmo attraverso un processo di trasformazione il cui scopo, primo e ultimo, è il raggiungimento del Se, della Totalità dell’Essere . In altri termini, lo scopo del percorso iniziatico-tradizionale è quello di raggiungere un livello di consapevolezza tale da rendere l’Iniziato in grado di creare un ponte di collegamento tra l’Uomo e il Divino facendo passare le sue qualità latenti dalla potenza all’atto.

Il primo Canto della Commedia fissa le premesse ed imposta il tema sul quale si svolgerà questo discorso e già dai primi versi Dante sembra voler porre l’accento sul drammatico travaglio che accompagna la morte dell’uomo profano e la nascita dell’Uomo spirituale.

Così Dante nelle prime terzine del I Canto:

« Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;

ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte. »

(Inferno I – 1- 9)

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La critica dantesca si è spesso applicata nel verificare la portata del senso “anagrafico” racchiusa nel versetto “mezzo del cammin di nostra vita” identificando, in ragione degli scritti del Convivio, tale momento con il 35° anno di età biologica del Poeta, probabilmente intesa come confine tra involuzione o evoluzione dello spirito. D’altra prospettiva il numero 35 ha una forte valenza simbolica, soprattutto in chiave alchemica, se si considera che il numero è composto dal 3, il Ternario, e dal 5, l’Uomo Terrestre, la cui somma è otto, vale a dire il numero dell’Uomo Reintegrato. Non è escluso che Dante volesse dirci, in questa sua prima frase, che per mezzo della conoscenza del Ternario, vale a dire di tre “Principi”, Mercurio, Zolfo e Sale ( simboli alchemici del Gabinetto di Riflessione), l’Uomo Terrestre può realizzare la sua Reintegrazione..

In questo contesto accantonerei tale approfondimento, seppur non secondario, poiché ritengo personalmente che ciò che più conti nella corrente analisi sia che il Poeta si presti a valutare il Ciclo della vita umana quando questa, giunta nel “mezzo del cammin”, realizzi in una Selva selvaggia il Centro della Coscienza personale. Il sommo Poeta prende, in altri termini, coscienza, utilizzando la parola “selva”, di aver toccato, in quel particolare momento, il punto più basso dell’Essere.

La presa di coscienza è il preludio al Grande Viaggio, all’Inizio del cammino che porta all’allontanamento e all’estraniamento da quel Centro coscienziale, che si sovrappone ai sensi del mondo materiale, che fino ad allora era sta ritenuta la “verace via”. Tanto ha iniziaticamente una forte valenza perché significa vivere quell’attimo in cui si accetta di morire come uomo profano e di imboccare quel sentiero che porterà alla nascita dell’Uomo spirituale.

La portata iniziatica dell’evento descritto da Dante è conclamata dal richiamo alla morte nella terza terzina “Tant’è amara che poco è più morte” , così come la percezione dell’evoluzione dello stato coscienziale si scorge nel verso “ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai” (morte – rinascita).

Dante rimarca ancora una volta il suo senso di smarrimento attraverso il sonno che lo vinceva nel momento in cui, entrando nella selva, abbandonava quella che fino ad allora aveva ritenuto la

“verace via”:

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai

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Il sonno è vivere all’insaputa di Se, senza essere presenti a se stessi. E’ l’addormentamento della coscienza ed è lo status più prossimo alla morte. Nella mitologia greca Sonno (Hypnos) è fratello di Morte (Thanatos) ed entrambi sono figli della Notte (Nix). Sonno, morte e notte trovano naturale collocazione nella selva dantesca, si identificano in essa, nella vita profana e materiale.

Ma per superare l’Io e raggiungere il Se bisogna attraversare la selva che è luogo di ostacoli, di ogni specie di animalità, di istintualità animalesche, di forze arcaiche e minacciose.

Gli ostacoli ed i pericoli della selva.

L’inversione delle priorità dell’Io con quelle del Se non è cosa facile e implica il superamento di ostacoli di non poco conto. Gli ostacoli, che Dante si troverà ad affrontare nella selva, che nell’ambito della Tradizione Esoterica potremmo più coerentemente identificare come “prove”, sono necessarie per raggiungere la Totalità dell’Essere (riflessioni e paralleli potrebbero essere dedotti con le prove purificatorie che deve affrontare chi chiede di entrare a far parte della Libera Muratoria). Gli ostacoli o prove , che dir si voglia, assumono valenza nella sfera dell’Iniziato (o iniziando) solo nel momento in cui generano un reale mutamento nella disposizione del suo animo.

Nel linguaggio alchemico si parla del “solve” che precede il “coagula”, è l’albedo che nasce dalla nigredo e che prelude alla rubedo e il cui esito è l’Opus Magnum, la Pietra Filosofale.

Volendo fare una rapida “escursione” in avanti nel Mondo infernale della Commedia (Canto XXXIV) si ha un chiaro richiamo alle tre fasi alchemiche che preludono alla realizzazione della Grande Opera laddove Dante, fronteggiando Lucifero nel Cocito, “incorporandosi” poi con esso, così lo descrive:

« Oh quanto parve a me gran maraviglia quand’io vidi tre facce a la sua testa!

L’una dinanzi, e quella era vermiglia;

l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla, e sé giugnieno al loco de la cresta:

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e la destra parea tra bianca e gialla;

la sinistra a vedere era tal, quali vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla».

(Inferno XXXIV – 37- 45)

Per lo svelamento del Se, si è detto, è dunque necessaria l’esperienza delle tenebre (selva oscura – richiama il colore funereo delle pareti del Gabinetto di Riflessione) che, sola, rende visibile la Luce (« E la Luce risplende nelle tenebre » - Giovanni 1, 5). Nella selva, luogo di non consapevolezza del proprio essere, si affrontano gli stati primordiali e selvatici dell’essere che si “materializzano”

nelle Fiere, nel male archetipico, nell’Ombra assoluta.

Le tre Fiere e la Soglia.

La critica ha più volte variamente associato le tre Fiere a diversi tratti dell’essere materiale. E così una delle tante interpretazioni, meritevoli di approfondimento, vorrebbe la Lonza a immagine della incontinenza e associata ai peccati capitali lussuria, gola e avarizia; il Leone a immagine della bestialità e associato ai peccati capitali accidia e ira (che si liqua in violenza); la Lupa a immagine della malizia e associata ai peccati capitali invidia (che si liqua in frode) e superbia (che si liqua in tradimento).

Le tre Fiere compongono insieme, verrebbe da dire, una sorta di trinità bestiale e, da una diversa angolazione, riportano alla figurazione del Guardiano della Soglia, ostacolo alla Via della Salvazione che, nella tradizione simbolico-esoterica, è colui che preclude il passaggio a quelli che non sono degni o non sono ancora in grado di intraprendere la Via Iniziatica.

L’immagine della Lupa (dunque, per quanto detto, del Guardiano della Soglia), che delle tre Fiere è quella che sconvolge maggiormente Dante e ne interrompe il Cammino, è la proiezione dell’immagine archetipica dell’Io cupo del Poeta (o più in generale di noi stessi e dell’Uomo), immagine con la quale bisogna fare i conti, oggettivazione del lato oscuro dell’essere o semplicemente “Ombra”, per usare un termine junghiano.

Il confronto cosciente con la Fiera, immagine speculare e oscura di noi stessi, non può che cagionare sgomento e angoscia tanto che la naturale tendenza non è affrontarla ma rifuggirla , tornando a ciò che abbiamo da sempre considerato la “verace via”, la nostra area di comfort.

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Così, di fatto, Dante descrive il suo incontro con la Lupa:

« questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza.

E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face,

che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;

tal mi fece la bestia sanza pace,

che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace »

(Inferno I – 52 - 60)

La paura vissuta dal Sommo Poeta all’incontro con la Lupa è esplicita e svelata. Tanto non può che rientrare nel naturale ordine delle cose in quanto avvicinamento o superamento della Soglia, che equivalgono ad affrontarne il Guardiano (proiezione di noi stessi e dell’Uomo), sono strettamente ed inevitabilmente connessi con paura e terrore. E questo perché superata la Soglia si deve affrontare l’ignoto, il diverso, lo sconosciuto e tanto potrebbe voler dire andare anche oltre la dimensione del razionale nella misura in cui la Soglia condensa la percezione dell’esperienza drammatica della morte simbolica. La Soglia è dunque confine tra evoluzione e regresso e per oltrepassare questo limen il coraggio deve avere la meglio sulla paura se si vuole giungere all’oro alchemico.

Dante «rovinando in basso loco» sembra aver smarrito ogni speranza di altezza, risospinto verso la tenebra della materialità profana.

E’ in questo momento di crollo e di smarrimento , di sopraffazione dalla paura, di pericolo di regresso che si svela il Maestro, Virgilio.

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Il Maestro

Virgilio è riconosciuto da Dante che ne coglie la sua essenza archetipica accogliendolo con «tu duca, tu signore, tu maestro». La funzione di ogni duca è quella di condurre (ducere) che è l’attribuzione tipica della Guida che con Virgilio assume una valenza iniziatica perché Virgilio è, de facto, una Guida Iniziatica e il suo insegnamento più alto non può che essere l’Iniziazione (è stretto dunque il rapporto tra Virgilio e la figura del Maestro Esperto nel Rito Iniziatico).

La Guida (il Maestro) sa innanzitutto sostenere offrendo conforto. Così Virgilio a Dante

Ma tu perché ritorni a tanta noia?

perché non sali il dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia?

(Inferno I – 76 - 78)

E’ un invito alla perseveranza, a non arrendersi ed a perseguire la Via per l’Altezza. Sembra voler dire Virgilio: «Se tu perseveri sarai purificato, verrai fuori dall’abisso delle tenebre, vedrai la Luce» (parete est Gabinetto di Riflessione).

Ma la Guida (il Maestro) sa anche orientare ed in questo caso è la mente lucida che conosce la Meta e la via per raggiungerla:

"A te convien tenere altro vïaggio", rispuose, poi che lagrimar mi vide, se vuo’ campar d’esto loco selvaggio

(Inferno I – 91 - 93)

“Altro viaggio” ha duplice valenza: è in assoluto indicazione del percorso evolutivo verso la Luce ma, nel caso di specie, si può intendere anche come esternazione della Ragion Pura di Virgilio che indica al Viator il giusto percorso, nella consapevolezza che alla Vetta si arriva solo transitando per la Valle, due scenari esistenziali intimamente simili ed entrambi sublimi. La Commedia, in linea con la Tradizione Esoterica, raffigura l’intima complementarietà tra i due Mondi, la

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sostanziale identità tra forze dell’alto e forze del basso: «Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola».

Scendere e salire, insegna Virgilio, appartengono entrambe al vettore della verticalità e ad un’unica direzione che è il tragitto unitario dell’evoluzione.

Ma Virgilio non si limita solo a questo e pone in evidenza, nel corso della peregrinatio, che è in se rappresentazione del processo alchemico di trasmutazione, le diverse attitudini del Maestro:

non si sottrae mai alle risposte ma pone immediatamente delle domande; le risposte, anche se sobrie, pongono questioni smisurate; da le spiegazioni al momento opportuno o le rimanda al momento in cui saranno efficaci; preferisce rispondere sul piano del simbolo; da continua prova di lucidità e autorevolezza pur non nascondendo a Dante, al momento opportuno, i propri limiti ma invitandolo al contempo a oltrepassarli.

Epilogo del I Canto

La fine del primo canto con “Allor si mosse (Virgilio) e io li tenni dietro” potrebbe portare alla facile deduzione che Dante sia convinto nel seguire il Maestro, ma così non è, tanto che dopo aver invocato le Muse e il proprio ingegno, il Sommo Poeta si pone un altro problema:

« Ma io perché venirvi? O chi ‘l concede?

Io non Enea, io non Paulo sono, me degno a ciò né io né altri crede”»

(Inferno II - 31-33).

Qui si aprirebbe un discorso ulteriore: « Il dubbio ». Lo stesso che pervade, o dovrebbe pervadere, anche noi Liberi Muratori, Uomini del dubbio per antonomasia.

Ma questo breve Viaggio finisce volutamente qui perché vuole lasciare idealmente libero ogni Viandante alla sua peregrinatio, libero di fare il proprio sentiero camminando o anche di fermarsi o ancora di seguire «altra via».

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CONCLUSIONE DELLA TAVOLA … ED INIZIO DEL VIAGGIO

Il Viaggio di Dante rappresenta con ogni certezza il viaggio della redenzione dell’Uomo che conduce dall’infelicità e dalla colpa alla innocenza e alla felicità, dalla oscurità delle tenebre al bagliore della Luce. Discendere nell’Inferno da vivi, vuol dire discendervi per superare e vincere l’Inferno, per capovolgersi sul male, per risalire vittoriosi verso la l’innocenza e la felicità, verso la Luce. Il percorso tormentato, impedito e labirintico nel buio, il raggiungimento del Centro, le prove da superare, il velamento, lo svelamento, l’uscita alla luce formano lo scenario iniziatico.

Il cammino di Dante nella « Comedia » è dunque il cammino dell’Uomo Iniziato verso la Luce. E’

il cammino del Libero Muratore, che, trovato il coraggio di mettersi di fronte alla sua natura umana, ponendosi come competitore di fronte ai suoi vizi e alle sue deviazioni materiali si identifica, di volta in volta , con il mitico Eroe che nelle leggende e nelle allegorie di tutte le epoche affronta e sconfigge i mostri, i giganti o le fiere che dir si voglia. In tal senso il Libero Muratore, che percorre eroicamente il Cammino Iniziatico, è Ercole, Teseo, Ulisse, Dante o Cristo tentato nel deserto, è l’Uomo che in vita stana i residui della sua natura terrena e lotta con essi per vincerli

prima di imboccare il sentiero ascensionale della Montagna che lo porterà a ricongiungersi a

« l’amor che move il sole e le altre stelle ».

Ma non è solo questo. Il Libero Muratore sulla Via Iniziatica non è solo l’Eroe uccisore di mostri è anche il mostro ucciso dall’Eroe; in lui sono situati la caverna e l’Inferno, come anche il Giardino dell’Eden e il Paradiso.

Ma, senza troppo osare, facciamo un passo a ritroso.

La discesa agli inferi di Dante conduce, come ben noto, alla inversione nel Cocito, all’incipit della fase di rettificazione che porterà all’Ascesa. Dante, lasciando l’Inferno, sembra voler lasciare all’Uomo alcuni interrogativi:

“ Uomo (Iniziato Libero Muratore), sei pronto ad affrontare il periglioso Viaggio pur nella consapevolezza che perseguire il massimo della coscienza e della Libertà possibile può occupare l’intera vita e un’intera vita può non bastare? “;

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“ Uomo (Iniziato Libero Muratore), sei pronto a metterti costantemente in discussione ed a rovesciare convinzioni (stereotipate) e certezze (presunte) ? “;

“Uomo (Iniziato Libero Muratore), sei pronto ad invertire le priorità dell’Io con quelle del Se ?”.

A ciascuno le sue risposte.

Siamo solo all’inizio del Grande Viaggio; a chi si chiede quanto sarà lungo la risposta non è poi così difficile: pochi centimetri, lo spazio che intercorre tra la testa ed il cuore…

In Viaggio…

Ho detto.

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« A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto

è impossibil che mai si consenta »

(Paradiso, XXXIII)

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BIBLIOGRAFIA

 LA DIVINA COMMEDIA – Dante Alighieri – Edizione con commento di Eugenio Camerini

 IL GRANDE VIAGGIO NEI MONDI DANTESCHI – Emma Cusani

 L’ESOTERISMO DI DANTE – Renee Guenon

 L’ESOTERISMO DI DANTE – Articoli tratti da rivista Atanor- Arturo Reghini

 IL VIAGGIO DI DANTE – Emilio Pasquini

 STUDI SU DANTE – Guido de Giorgio

 IL SEGRETO DELLA CROCE E DELL’AQUILA NELLA DIVINA COMMEDIA – Luigi Valli

 LA CHIAVE DELLA DIVINA COMMEDIA – Luigi Valli

 LA DIVINA COMMEDIA COME PERCORSO DI VITA – Claudio Widmann

 SOTTO IL VELAME – Rassegna di scritti a cura della Associazione Studi Danteschi e Tradizionali

 ESOTERISMO E MASSONERIA – Claudio Bonvecchio

 LA SAGGEZZA DELL’ACACIA – Claudio Bonvecchio

 INIZIAZIONE E TRADIZIONE – Claudio Bonvecchio

 L’INIZIAZIONE – Rudolf Steiner

 LE INIZIAZIONI E L’INIZIAZIONE MASSONICA – Irene Mainguy

 SIMBOLICA MASSONICA DEL TERZO MILLENNIO – Irene Mainguy

 LA MASSONERIA SPIEGATA AI SUOI INIZIATI – Irene Mainguy

 I SIMBOLI MASSONICI DISVELATI – Paolo Enrico de Faveri

 ORATIO DE HOMINIS DIGNITATE - Giovanni Pico della Mirandola

Riferimenti

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