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Eterna giovinezza. Un idea che viene da lontano

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Academic year: 2022

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

Prefazione di Riccardo Campa

Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

li storici delle idee sono, per missione e vocazione, dei

G

guastafeste. Non appena uno scienziato contemporaneo grida «Eureka!», iniziano a tracciare la storia di quella geniale idea, mostrando il più delle volte che le sue origini affon- dano nella no e dei tempi. Arthur Lovejoy, uno dei fondatori di questa disciplina, arrivò a sostenere una tesi dal sapore platonico:

le idee non si inventano, così come non si inventano gli elementi chimici. Al più si creano nuove combinazioni di idee, così come si sintetizzano nuove molecole. Una tesi che è stata, poi, fortemente criticata e che non intendiamo difendere qui. È però vero che chi ha la pazienza e la passione di scartabellare tra vecchi manoscri i, in archivi ammuffiti, può facilmente constatare l'eterno ritorno di certe idee fondamentali. Una di queste idee ricorrenti è la fine dell'invecchiamento o, per usare un'espressione più radicata nella storia le eraria, l'eterna giovinezza. Si tra a di due conce i non esa amente equivalenti, ma che tendono a coincidere se intendia- mo l'agge ivo “eterna” in senso iperbolico. Corollario del “rin- giovanimento” non è, infa i, l'immortalità terrena, ma la vita illi- mitata – una vita della quale non si può stabilire con precisione e certezza la data di scadenza, ma che resta potenzialmente sogge a a morte. Si tra a di un conce o che può anche essere reso, più modestamente, con l'espressione “aumento radicale del- la longevità”. Nella le eratura in lingua latina si parla più spesso di instauratio juventutis e prolongatione vitae.

Mi fregio di appartenere alla categoria degli storici delle idee e, in questo breve saggio, composto come prefazione all'edizione ita-

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liana di Ending Aging di Aubrey De Grey, presenterò alcune tappe storiche di questa straordinaria idea. Vorrei però tranquillizzare i biogerontologi sulle mie intenzioni. Nutro grande ammirazione per il loro lavoro e mostrare che le loro idee vengono da lontano non è, affa o, un modo per sminuirle. Anche perché quello che conta veramente non è avere idee, ma realizzarle. Quello che sta facendo Aubrey De Grey, ovvero cercare di sconfiggere l'invec- chiamento tra andolo come una mala ia curabile, è sul piano pratico senz'altro più importante per l'umanità che non spostare indietro nel tempo l'origine di questa idea.

Tu avia, nel mondo accademico ognuno ha il proprio lavoro ed io svolgerò diligentemente il mio. Il motivo per cui reputo utile rico- struire la dimensione genealogica dell'instauratio juventutis è pre- sto de o. Come so olinea De Grey, «la maggior parte delle perso- ne non pensa all'invecchiamento allo stesso modo con cui pensa al cancro o al diabete o alle mala ie cardiache. Si è favorevoli a scon- figgere tali mala ie il più presto possibile, ma l'idea di eliminare l'invecchiamento, mantenendo indeterminatamente l'organismo in condizioni fisiche e mentali di giovinezza, evoca paure ed incertezze» . 1

Paure, incertezze e – aggiungerei – ostracismi. Chi, oggi, parla di fine dell'invecchiamento viene in genere visto come un apprendista stregone che si è svegliato con una strana idea in testa. E, perciò, viene da molti considerato folle e improvvido, se non addiri ura criminale. Il che è assolutamente sorprendente, se si considera che l'elisir di eterna giovinezza rappresenta uno dei sogni più antichi dell'umanità. Chi non ha cercato la soluzione del problema della morte nella medicina o nell'alchimia, lo ha cercato nelle do rine religiose. Ha riposto fede nell'immortalità dell'anima, nella rein- carnazione, o nella resurrezione del corpo. Oggi, invece, persino chi afferma di appartenere a una confessione religiosa, non di Prefazione

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rado, manifesta incredulità e persino disaffezione nei confronti dell'idea di eternità del proprio essere.

Lo ha so olineato anche papa Benede o XVI nell'enciclica Spe salvi: «Vogliamo noi davvero questo – vivere eternamente? Forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affa o la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piu osto un ostacolo. Continuare a vivere in eterno – senza fine – appare più una condanna che un dono. La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibi- le. Ma vivere sempre, senza un termine – questo, tu o sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile» .2

La promessa di vita illimitata dei biogerontologi non coincide, naturalmente, con la promessa di vita eterna dei teologi. Parliamo di cose diverse, anche se – come ha più volte so olineato lo stesso De Grey nelle sue conferenze – non necessariamente incompatibi- li. Si può sperare di prolungare, per quanto possibile, la vita terre- na e, nel contempo, nutrire una speranza nella vita ultraterrena.

Non entreremo in questa diatriba. Al di là del suo significato teo- logico, l'osservazione del pontefice resta sociologicamente molto interessante. Si è perso un desiderio antico come l'uomo. Il che significa che la nostra società è forse affe a da un male profondo.

Viviamo in un mondo dominato dal nichilismo, dal desiderio del nulla, dalla speranza di non essere. È scomparso il gioioso deside- rio di eternità che troviamo in tanti scri i del passato. Ed è proprio sul motivo di questo cambiamento nella coscienza colle iva che dovremmo davvero interrogarci. Mostrare che l'idea rilanciata da De Grey ha una lunga storia significa, dunque, chiarire che non sono i biogerontologi transumanisti ad essere pazzi. Sono, piu o- sto, i nichilisti (consapevoli e inconsapevoli) che hanno perso la ro a.

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Qualifico questo tipo di biogerontologia con l'agge ivo “transu- manista”, perché l'idea di vita illimitata è stata fa a propria da un movimento che ha assunto proprio questa denominazione. Ho incontrato la prima volta di persona Aubrey De Grey nel luglio del 2006, prima che Ending Aging vedesse la luce. Eravamo a Helsin- ki, per partecipare alla conferenza Transvision: Emerging Technolo- gies of Human Enhancement. In quell'occasione, lo studioso inglese disse di non avere nulla contro l'etiche a “transumanista”, se per transumanesimo si intende la filosofia messa in forma da Julian Huxley. La definizione huxleyana alla quale De Grey alludeva è la seguente: «Abbiamo bisogno di un nome per questa nuova consa- pevolezza. Forse il termine transumanesimo andrà bene: l'uomo che rimane umano, ma che trascende se stesso, realizzando le nuo- ve potenzialità della sua natura umana, per la sua natura umana.

“Io credo nel transumanesimo”: quando saremo in numero suffi- ciente ad affermare ciò con convinzione, la specie umana sarà sul- la soglia di nuovo genere di esistenza, tanto diverso dal nostro quanto il nostro è diverso da quello dell'Uomo di Pechino. È allora che vedremo la cosciente realizzazione del nostro reale destino» .3

La specificità di questa definizione, rispe o a quella proposta da altri filoni del transumanesimo, è che l'enfasi è sull'uomo in quan- to essere biologico. Vi sono altri transumanisti che sognano la sconfi a della morte non a raverso la modifica del sostrato biologico umano, ma a raverso la sostituzione dell'uomo con una macchina perfe a, grazie agli sviluppi della robotica e dell'in- telligenza artificiale. Perciò si parla di un transumanesimo “wet”, bagnato, che vede l'uomo del futuro non dissimile dall'uomo odierno, ma eternamente giovane e immune alle mala ie, e un transumanesimo “dry”, asciu o, che vede l'uomo soppiantato da una macchina intelligente nella quale le coscienze umane verreb-

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bero “caricate”, come oggi si trasferisce un file da un computer a un altro.

Il transumanesimo, pur entrando spesso in confli o con le religio- ni monoteiste per ragioni bioetiche, è da alcuni considerato una religione esso stesso. In effe i, se qualche diatriba (in particolare con la “bioetica ca olica”) è nata in rapporto ai mezzi moralmente leciti, sul piano dei fini il transumanesimo condivide con le reli- gioni il desiderio di eternità, l'amore per l'essere, la sete di vita.

Opposta è la relazione con la cosidde a “bioetica laica”, con la quale si nota una convergenza sull'a eggiamento libertario, ossia sulla valutazione etica dei mezzi, ma non necessariamente sulle finalità generali. I “laici” tendono a dare enfasi a tu e le pratiche che contrastano con l'espansione della vita (contraccezione, abor- to, controllo delle nascite, eutanasia, ecc.), e tra l'altro in una dimensione individualistica, ossia incentrata sul caso singolo, mentre pochissima a enzione è da essi dedicata all'evoluzione biologica delle comunità umane e dell'intera specie. Perciò, i loro avversari li accusano di essere portatori di una cultura di morte, o promotori di una visione nichilistica della vita.

La bioetica transumanista, che so ende anche il libro di De Grey, rappresenta dunque una terza via, una bioetica sui generis, ove non c'è spazio per il nichilismo, ma neppure per sensi di colpa lega- ti al proprio potenziamento. Domina il discorso la speranza di vita, ma questo sentimento resta legato a una concezione scientifi- ca del mondo. È un a eggiamento che, come vedremo tra poco, i transumanisti ereditano dal passato e proie ano verso il futuro.

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L'E G

Fece grande scalpore, nell'O ocento, la scoperta di quella che ancora oggi è considerata l'opera le eraria più antica prodo a dall'uomo: L'Epopea di Gilgamesh. Correva l'anno 1853 quando un archeologo assiro, Hormuzd Rassam, trovò dodici tavole e d'argilla, scri e in cara eri cuneiformi, nella biblioteca di Assur- banipal, a Ninive. Il testo era stato scri o, tra il 1300 e il 1000 a. C., in lingua accadica da un sacerdote esorcista di nome Sîn-lēqi- unninni. Fu trado o in inglese e fa o conoscere in Occidente dall'assirologo britannico George Smith, nel 1870. Poi si scoprì che l'opera accadica era in realtà una rielaborazione di testi molto più antichi. Vennero, infa i, successivamente ritrovate tavole e scri e in lingua sumerica, che parlavano delle gesta di Gilgamesh e risalivano ad almeno 4500 anni orsono.

Che cosa c'era di così sconvolgente in quella scoperta archeologi- ca? Fino ad allora si era pensato che il libro più antico al mondo fos- se la Bibbia, insidiata in questa gara dalla sola le eratura greca antica. Tanto che Isaac Newton, il padre della fisica moderna, ave- va datato la creazione del mondo nel 4000 a.C., sulla scorta della Torah, mentre James Husser, basandosi sul racconto biblico, aveva leggermente corre o la datazione, fissando l'inizio della creazio- ne in un giorno ben preciso: domenica 23 o obre 4004 a. C., al tra- monto.

Ora si scopriva un testo che non solo era antecedente, ma parlava anche di “fa i” presenti nella Bibbia. Veniva così a cadere una nar- rativa millenaria che voleva i testi religiosi non rientranti nella tra- dizione giudeo-cristiana essere prodo i di fantasia di popoli cul- turalmente arretrati. Per la vulgata, prima c'erano i pagani, che adoravano dèi falsi e bugiardi, si prostravano davanti a idoli di pie- tra, si gingillavano con miti inventati, e sopra u o non avevano

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capito che Dio è uno. Poi arrivarono ebrei e cristiani, con libri sacri che parlavano di verità “storiche”: la rivelazione del Dio Padre e del Dio Figlio.

Se, di primo acchito, la scoperta sembrava rafforzare questa con- vinzione, perché si possedeva finalmente una fonte indipendente in grado di confermare i racconti dell'Eden e del diluvio universale, un dubbio atroce iniziava a insidiarsi nelle menti dei credenti più eruditi. Come si potrà ancora sostenere che la Bibbia è un testo sacro ispirato da Dio – e dunque “parola di Dio” –, mentre i libri pagani sono null'altro che favole, quando è ormai evidente che proprio i testi pagani sono la fonte primaria alla quale gli stessi compilatori della Bibbia hanno a into? Su che base, se non un arbi- trario a o di fede, si potrà ancora affermare la realtà storica di Yawheh, Abramo e Mosè, e negare quella di Enki, Enlil, o dello stesso Gilgamesh? O sono tu e leggende o sono tu e verità, o – più probabilmente – vi sono leggende e verità mischiate insieme, in entrambi i racconti.

Anche se la questione resta controversa, non pochi storici sono ormai convinti che Gilgamesh, re di Uruk, sia un personaggio real- mente esistito. Ma sono, altresì, convinti che le gesta eroiche nar- rate nell'Epopea siano da prendere con il beneficio del dubbio, o da interpretare in termini simbolici.

Raccontare l'intera storia ci porterebbe ora fuori strada. Andiamo, dunque, subito alle vicende relative all'eterna giovinezza. Gilga- mesh è odiato dal popolo per la sua prepotenza. Invocata dal popolo di Uruk, una dea crea Enkidu, uomo-bestia dalla forza sovrumana, allo scopo di fermarlo. Tu avia, al termine del com- ba imento, i due avversari diventano amici e intraprendono un lungo viaggio insieme. Dopo una serie di tumultuose vicissitudi- ni, Enkidu muore. Il re di Uruk grida disperato al cielo il suo dolo-

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re: «L'amico mio che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure (…) ha seguito il destino dell'umani- tà» . La sua morte stupisce e addolora particolarmente Gilga-4

mesh. Enkidu si era incivilito, umanizzato, grazie a Sahmat, una sacerdotessa-prostituta. Ora la morte ne rivela l'intima natura umana e mortale.

Gilgamesh, che pure è figlio di una dea, e ha perciò l'eternità scri a nel cuore, inizia a preoccuparsi della propria sorte. Nel profondo del suo animo, forse a causa di quel frammento di seme divino, prima si sentiva immortale. Ora, improvvisamente, sco- pre la morte: «Per sei giorni e se e no i io ho pianto su di lui, né ho permesso che fosse seppellito, fino a che un verme non è uscito fuori dalle sue narici. Io ho avuto paura della morte, ho comincia- to a tremare e ho vagato nella steppa. L'amico mio che amo è diventato argilla; Enkidu, l'amico mio che amo, è diventato argil- la. Ed io non sono come lui? Non dovrò giacere pure io e non alzarmi mai più per sempre?».

Gilgamesh prosegue in solitudine il lungo viaggio, in preda all'angoscia, ma senza abbandonare la speranza. Cerca e trova Utnapishtim, colui che ha salvato il genere umano e le altre crea- ture terrestri dal diluvio universale, costruendo un'arca. Se ne par- la come di un immortale e il re di Uruk vuole conoscere il segreto della sua longevità sovrumana. Le parole di Utnapishtim non sono però rassicuranti: «Perché, o Gilgamesh, vuoi prolungare il tuo dolore? Tu, che gli dei hanno creato con la carne degli dei e di uomini; tu, che gli dei hanno fa o simile a tuo padre e a tua madre, proprio tu, Gilgamesh, ti sei rido o come un vagabondo! Eppure, per te un trono è stato deciso nell'assemblea degli dei…».

Avendo anche “carne di uomini”, Gilgamesh è mortale. E il patriarca gli rammenta la sorte di questa stirpe: «L'umanità è reci-

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sa come canne in un canneto. Sia il giovane nobile, come la giova- ne nobile sono preda della morte. Eppure nessuno vede la morte, nessuno vede la faccia della morte, nessuno sente la voce della morte» .5

Quello della morte è un pensiero rimosso dai più, ma Gilgamesh non può liberarsene. Ha avvertito nel suo intimo la vertigine della non esistenza. Che cosa sono pochi anni di vita, pur vissuti inten- samente, di fronte all'abisso dell'eternità che precede e segue la misera esistenza di un uomo? Ma la speranza del re è ancora viva, a maggior ragione, per il fa o che ha di fronte un uomo estrema- mente longevo e forse immortale. Lo interroga: «Guardo a te, Utnapishtim, le tue fa ezze non sono diverse, tu sei uguale a me - sì, tu non sei diverso, uguale a me sei tu! Perciò dimmi: come sei entrato nella schiera degli dei, o enendo la vita?» .6

A questo punto, Utnapishtim racconta la storia del diluvio uni- versale, la costruzione dell'arca, la distruzione dell'umanità, l'arca che si incaglia sul Monte Nisir, la liberazione della colomba che torna, della rondine che torna, del corvo che non torna. Una storia che conosciamo, sebbene da altra fonte. L'uomo svela infine che è stato Enlil a dargli l'immortalità. Dopo il diluvio, il dio è salito sull'arca, ha toccato la sua fronte e quella di sua moglie, e li ha benede i dicendo: «Prima Utnapishtim era uomo, ora Utnapi- shtim e sua moglie siano simili a noi dei».

Gilgamesh precipita nello sconforto, perché comprende l'eccezio- nalità del dono. Sconfi o, si prepara a tornare nella sua ci à. Il patriarca chiede a Urshanabi, il ba elliere che dovrà traghe arlo, di lavare e vestire l'ospite, affinché il suo popolo non lo veda rido o in quello stato. A causa del lungo viaggio e delle disavven- ture, «il suo corpo è pieno di sporcizia»; le pelli che indossa hanno rovinato «la bellezza del suo corpo». Il ba elliere conduce Gilga-

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mesh al lavatoio, ge a le pelli in mare, lo lava con acqua fino a farlo diventare «bianco come la neve», strofina il suo corpo fino a farlo tornare bello, pone sul suo capo un turbante nuovo e lo aiuta a indossare un vestito che ne rinobilita l'aspe o.

Nonostante abbia riacquistato la sua bellezza, Gilgamesh è visi- bilmente triste. La moglie del patriarca chiede, perciò, al marito di dare all'ospite almeno un dono. Utnapishtim decide allora di rive- largli una verità nascosta, nientemeno che “il segreto degli dei”.

Gli svela l'esistenza di una pianta in grado di ridargli vigore e gio- vinezza. Ha radici simili a un rovo e spine simili a quelle di una rosa. Per impadronirsene, dovrà afferrarla, pungendosi le mani.

Il resto della storia lo facciamo raccontare a Sîn-lēqi-unninni:

«Appena Gilgamesh udì ciò, egli aprì un foro, si legò ai piedi gran- di pietre, e si immerse nell'Apsu, la dimora di Enki; egli prese la pianta sebbene questa pungesse le sue mani, slegò quindi le gran- di pietre che aveva ai piedi, e così il mare lo fece risalire fino alla sponda. Gilgamesh parlò a lui, ad Urshanabi il ba elliere: “Ursha- nabi, questa pianta è la pianta dell'irrequietezza; grazie ad essa l'uomo o iene la vita. Voglio portarla ad Uruk, e voglio darla da mangiare ai vecchi e così provare la pianta. Il suo nome sarà: 'Un uomo vecchio si trasforma in uomo nella sua piena virilità'.

Anch'io voglio mangiare la pianta e così ritornerò giovane”» .7

Si tra a, come si può vedere, di un rimedio per o enere l'instau- ratio juventutis, il ringiovanimento, e dunque la vita illimitata. La storia non è, però, a lieto fine. Dopo essere venuto in possesso del- la pianta della vita, Gilgamesh vede un pozzo dalle fresche acque.

Vi si tuffa, per lavarsi. A quel punto, un serpente avverte il profu- mo della pianta, si avvicina silenziosamente, a irato dalla fra- granza, e porta via il prezioso dono. Il re ile, nell'istante in cui tocca la pianta miracolosa, perde la vecchia pelle e ringiovanisce.

E a Gilgamesh non resta che piangere.

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I 'E

Diversi conce i che troviamo nella le eratura sumero-accadica li ritroviamo nell'Antico Testamento. È possibile che il travaso di idee sia avvenuto quando il popolo ebraico era schiavo a Babilonia. Di nuovo, so olineare il debito intelle uale non significa sminuire l'importanza storica della Bibbia, perché è a raverso libro sacro degli ebrei che quelle idee sono giunte fino a noi. Sappiamo, però, che si tra a di un argomento delicato, perché è in a o da millenni una guerra esegetica. Per i credenti tradizionali (ebrei, cristiani, musulmani) l'Antico Testamento rappresenta un racconto a endi- bile che, opportunamente interpretato, rivela il rapporto di crea- zione e alleanza tra Dio e l'uomo. Per gli spiriti esoterici (mistici, gnostici, cabalisti, ecc.) la Bibbia è un libro che contiene messaggi segreti che vanno decifrati per accedere a una sapienza originale.

Per gli atei si tra a invece di una raccolta di leggende e favole, non dissimili da quelle che affollano i testi di altre religioni antiche, che non hanno particolare significato per il mondo contempora- neo. Per i le eralisti non confessionali, infine, la Bibbia è un libro che non parla di Dio, ma di gruppi di esseri di provenienza ignota (Elohim, Malachim, Nephilim), particolarmente potenti, che coin- volgono gli esseri umani in terribili guerre, massacri e crudeli pra- tiche rituali.

Sarà sicuramente irritante per tu i i gruppi esegetici in lo a, ma per uno storico delle idee è tu o sommato secondario, se non pro- prio irrilevante, sapere chi ha ragione. Per lo storico delle idee con- ta sopra u o sapere da dove vengono e dove vanno a finire le idee contenute in un documento. Più che la verità delle idee, inte- ressa il percorso delle idee. E sempre con la consapevolezza che un'idea non corrisponde necessariamente a un fa o.

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È chiaro che interpretazioni diverse costituiscono idee diverse.

Tu avia, quale che sia la prospe iva interpretativa ado ata, è innegabile che nella Genesi si trovi l'idea di una vita sovrumana, ossia eterna o molto lunga (a seconda di come viene trado o il termine ebraico “olam”). Si badi: non c'è ancora l'idea di una vita post mortem, o l'idea della resurrezione cristiana, ma l'idea di una vita sovrumana che precede la morte. Richiamiamo alla memoria il testo che contiene questa idea. La Bibbia è forse il libro più diffu- so al mondo, ma è anche uno dei meno le i. Perciò, molti credono di ricordare che al centro del giardino dell'Eden ci sia l'albero del- la conoscenza del bene e del male. In realtà, gli alberi che contano sono due, non uno. E, in mezzo al giardino, c'è l'albero della vita.

«Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi gra- diti alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mez- zo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. […]

Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: 'Tu potrai mangiare di tu i gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangia- re, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti'» .8

Innanzitu o, all'uomo è vietato mangiare dall'albero della cono- scenza del bene e del male, non da quello della vita. Il fru o proi- bito è dunque la conoscenza, la capacità di discernimento morale, non la vita. Eppure, c'è un legame inscindibile tra vita e conoscen- za. Dopo che Adamo ed Eva – tentati dal serpente – disobbedisco- no all'ordine, il divieto viene esteso anche al fru o dell'albero del- la vita: «Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, per la cono- scenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dall'albero della vita, ne mangi e viva per sempre!» .9

Il frammento può naturalmente essere interpretato in molti modi.

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In senso teologico, si può comprendere che l'uomo era in origine immortale, proprio perché creato a “immagine e somiglianza” di un essere eterno, ma ha perso questa cara eristica a causa del pec- cato originale. Sicché, solo da Dio può ricevere di nuovo la vita eterna. In senso magico-alchemico, si può inferire che davvero il fru o dell'albero della vita era miracoloso e chi se ne nutriva vive- va per sempre. Il che significa che l'uomo potrebbe riconquistare l'eternità con le proprie forze, qualora ritrovasse quell'albero (o la pietra filosofale). In senso antropologico, si può pensare che si tra i semplicemente di un'allegoria per dire che, acquisendo cono- scenza, gli uomini acquistano anche l'amara consapevolezza di esseri mortali. In senso le erale, non è Dio (al singolare) a parlare, ma un gruppo di esseri (Elohim, plurale di Eloah), tanto è vero che la voce narrante non afferma “l'uomo è diventato come me”, ma

“l'uomo è diventato come uno di noi”. E, dunque, tu e le interpre- tazioni teologiche monoteiste andrebbero gambe all'aria, se solo si traducesse corre amente il testo.

Come abbiamo chiarito sopra, nel momento in cui assumiamo il ruolo di storici delle idee, a noi non interessa sapere qual è l'interpretazione “vera”, semmai qualcuno la conosca. Ci interes- sa constatare che, nelle versioni moderne di quell'antico testo, Adamo passa da una condizione edenica in cui vive per sempre, ad una condizione punitiva in cui vive soltanto – si fa per dire – nove- centrotrenta anni, superato in longevità da Noè (l'ater ego di Utna- pishtim), che muore all'età di novecentocinquanta anni, e natural- mente da Matusalemme, che superò tu i raggiungendo i nove- centosessantanove anni di vita.

L'idea biblica di longevità estrema continua ad essere feconda, tan- to che Aubrey De Gray, nel 2003, ha deciso di chiamare la sua fon- dazione “Metuselah Foundation”.

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

L’

Racconti simili si trovano nei miti greci. Anche in essi si narra del diluvio universale e di un uomo anziano (Deucalione) che, avver- tito da Prometeo, salva se stesso e la moglie Pirra dalla catastrofe, costruendo un'arca, per garantire la rinascita del genere umano.

Si narra anche di un primordiale giardino delle delizie o, più pre- cisamente, di una mitica Età dell'oro, alla quale sarebbero seguite solo epoche di progressiva decadenza (l'età dell'argento, l'età del bronzo, l'età degli eroi e l'età del ferro). Una progressiva caduta dovuta alla disobbedienza degli uomini, all'influsso nefasto di una donna (Pandora), e ad una punizione del Dio Padre (Zeus).

È in un poema di Esiodo, Le opere e i giorni, che si trova la concezio- ne di un'aurea aetas in cui gli uomini, per essendo sogge i a morte, hanno perlomeno il dono dell'eterna giovinezza. Scrive Esiodo:

«Se vuoi, un altro racconto ti esporrò in breve, bene e sapiente- mente, e tu tieni bene a mente che da una stessa origine vengono dei e mortali. D'oro primamente fecero la stirpe degli uomini mor- tali gli immortali che abitano le dimore olimpie. Questi furono al tempo di Crono, quando egli regnava in cielo. Come dei vivevano, il cuore sgombro da pena, distanti ed esenti da fatica e pianto, né la misera vecchiezza li sovrastava, ma sempre ugualmente (vigo- rosi) nei piedi e nelle mani, si allietavano nelle feste, scevri da tu i quanti i mali» . 10

Gli uomini d'oro morivano, ma il loro trapasso avveniva nel son- no e, dunque, anche la morte era dolce. Disponevano di tu o ciò che desideravano. La terra dava loro ogni fru o, spontaneamente e in grande quantità. Molte erano le greggi a loro disposizione.

Vivevano sani, benevoli, pacifici, ricchi, e amati anche dagli “dei felici”.

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

Il tema dell'eterna giovinezza è presente anche nel mito di Prome- teo. Del titano parlano molti autori antichi. In primis Eschilo, nelle sue tragedie, e Platone, nel dialogo Protagora. Sulla scorta di que- ste le ure, tu i ricordiamo i fa i essenziali della storia. Guidati dal loro creatore Prometeo, gli uomini lanciano una sfida agli dèi olimpici, sogge i all'autorità di Zeus. Prometeo, allo scopo di favorire il genere umano, inganna Zeus. Gli offre il grasso e le ossa di un bue, mentre tiene per gli uomini la carne. A causa del raggi- ro, gli uomini vengono puniti dal Padre celeste e perdono l'im- mortalità, che rimane una prerogativa divina. La sfida, tu avia, prosegue. Per compensare la perdita, Prometeo ruba il fuoco agli dèi e ne fa dono agli uomini. Il fuoco è la tecnica primordiale che rende possibili ulteriori progressi tecnici, come la lavorazione dei metalli. Per punizione, il titano viene incatenato ad una roccia del Caucaso, ove un rapace gli divora il fegato durante il giorno. Il tor- mento è infinito perché l'organo gli ricresce di no e. Alla fine, con il consenso di Zeus, Eracle provvederà a liberarlo.

La storia, però, non finisce qui. In altre versioni del racconto, irri- conoscenti per il dono ricevuto, gli uomini avrebbero denunciato Prometeo a Zeus. E il re degli Olimpi, a sua volta, avrebbe premia- to il genere umano con un nuovo dono. Il prosieguo lo lasciamo raccontare ad Apollodoro: «Ma è strano ciò che Eliano sulla scorta di Sofocle, d'Ibisco e d'altri aggiunge: cioè, che Giove per ricom- pensare gli uomini, i quali gli avevano rivelato il furto del fuoco fa o a Vulcano, loro diede un secreto per preservarsi dalla vec- chiaia. Essi posero questo rimedio addosso ad un asino. Era allora la stagione estiva: l'asino, che si moriva di sete, giunse presso una fontana per bere; ma essa era custodita da un serpente, che non glielo permise. L'asino venne a pa eggiare, offrendo al serpente quel rimedio, perché lo lasciasse bere. Il serpente acconsentì; e da quel tempo in poi ebbe la virtù di ringiovanire» . 11

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

Gli uomini persero così, stupidamente, il dono divino dell'eterna giovinezza. Quello che più colpisce è, tu avia, la presenza di sim- boli ricorrenti, di archetipi, intorno alla questione della vita illimi- tata, come la fonte d'acqua fresca (nei racconti sumero-accadici e greci), dell'albero della vita (nei racconti sumero-accadici e in quel- lo biblico), e del serpente (in tu i e tre i racconti).

L’ R B

Nel Basso Medioevo le principali fonti di conoscenza erano le Scri ure giudeo-cristiane e le opere di Aristotele. Non bisogna, però, dimenticare che godeva allora di particolare prestigio anche una “scienza sperimentale” di origine araba e cinese: l'alchimia.

Spesso si pensa all'alchimista come a un ciarlatano o a un sognato- re, intento a gingillarsi con l'uovo filosofico, dimenticando che dai laboratori degli alchimisti sono uscite invenzioni come la polvere da sparo e gli occhiali. Certamente, in epoca moderna, è apparsa come una chimera la missione prima di questa disciplina: la sco- perta della pietra filosofale. A questo leggendario “ogge o”, da alcuni cristiani identificato con il Sacro Graal, erano a ribuite proprietà straordinarie. La più nota è la capacità di trasformare i metalli vili in oro – metallo lucente, eterno, incorru ibile. La seconda è la capacità di garantire l'onniscienza, ossia tanto la cono- scenza morale (del bene e del male) quanto la conoscenza dei fa i (passati e futuri). Di qui, il riferimento alla filosofia – allora sinoni- mo di scienza – nel nome della pietra. Infine, il lapis philosophorum doveva fornire all'umanità – o a parte di essa – l'elisir di lunga vita, la panacea capace di guarire ogni male, se non addiri ura garanti- re l'immortalità terrena, frenando la corruzione e l'invecchiamen- to dei corpi.

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

Questa ricerca ha molte sfacce ature e molti protagonisti. Oltre al leggendario Ermete Trismegistus, che conosciamo tramite le tra- duzioni di Marsilio Ficino, possiamo menzionare il greco Zosimo e gli arabi Rhazes, Geber, Avicenna e Averroè. In Europa, i nomi più celebri sono quelli di Alberto Magno, Ruggero Bacone, Rai- mondo Lullo, Nicolas Flamel, Giorgio Agricola, Basilio Valentino e Paracelso. Per esemplificare la prospe iva alchemica, ci limite- remo a qualche cenno sul francescano Ruggero Bacone.

In una le era a papa Clemente IV, il monaco giustifica la scienza sperimentale sulla base dell'idea di longevità estrema. «Questa disciplina [la scienza sperimentale] ha anche una seconda cara e- ristica che riguarda profondissime verità che possono essere o e- nute... Tale è il prolungamento della vita a raverso opportuni rimedi che correggono il regime di salute seguito fin dall'infanzia e la debolezza della complessione ereditata dai genitori, che non hanno seguito un opportuno regime di vita. Questo prolunga- mento della vita è o enibile ben oltre la consueta lunghezza della vita... Ma gli uomini, proprio per aver trascurato il corre o regime di vita, si affre ano verso la vecchiaia in maniera innaturale e muoiono assai prima di quanto Dio consentirebbe loro» .12

Sebbene l'alchimia sia sempre stata in odore di eresia, per suppor- tare le proprie idee, Bacone si appoggia all'autorità delle Sacre Scri ure. Ne La scienza sperimentale so olinea che Adamo «restò a o a conseguire l'immortalità purché avesse continuato a man- giare il fru o dell'albero della vita. Si ritiene che questo fru o sia costituito di elementi abbastanza equilibrati e che perciò avrebbe potuto perfezionare l'incorru ibilità che già c'era in Adamo, il che sarebbe avvenuto se non avesse peccato» .13

Abbiamo dunque un'esegesi le eralista, non simbolista, delle Scri ure. L'uomo è potenzialmente immortale, ma per realizzare

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

questa potenzialità ha bisogno del fru o dell'Eden. Non solo il peccato originale, ma anche una serie di errori nello stile di vita e nell'alimentazione hanno condo o l'uomo all'a uale condizione, che lo vede morire dopo pochi decenni. Il filosofo oxoniense osserva, del resto, che anche senza albero della vita Adamo e i suoi primi discendenti godono di vite millenarie.

Basandosi anche sulla teoria della corruzione dei corpi di Aristo- tele, il monaco oxoniense arriva alla conclusione che il problema della longevità estrema è un problema sperimentale, non teologi- co. Ovvero, un problema che si può risolvere, sintetizzando l'elisir di lunga vita. Bacone è pure convinto che la formula sia già nota. I sapienti dell'Antichità dovevano conoscerla, ma purtroppo non l'hanno resa pubblica, o forse non è ancora stato trovato il docu- mento in cui è stata pubblicata. Scrive Bacone: «Coloro che riusci- rono a protrarre la loro vita per centinaia di anni, dei quali si è fa a menzione, erano in possesso di questa medicina preparata in modo più o meno conveniente. Infa i Artefio, del quale si legge che sia vissuto 1025 anni, era in possesso di una medicina migliore di quella del vecchio bifolco che vide rinnovare la sua giovinezza solo per 60 anni» .14

Non si tra a di un'osservazione occasionale. Il francescano è dav- vero convinto che si possa vivere almeno fino a mille anni, come i profeti biblici, e ribadisce questa convinzione anche in altre opere.

Per esempio, ne I segreti dell'arte e della natura, afferma che «l'ulti- mo gradino al quale può pervenire l'arte, servendosi di ogni pote- re naturale, è il prolungamento per un lungo periodo della vita umana; ci sono molte prove concrete che ciò sia possibile» . 15

Non la preghiera e il miracolo, ma l'arte e la natura sono chiamate a risolvere il problema, perché alla base della brevità della nostra vita non c'è un castigo divino. Bacone parte sempre dal presuppo-

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

sto che l'uomo sia per sua natura immortale, cioè non sogge o a morte, tanto è vero che «anche dopo il peccato originale poteva vivere circa mille anni». Il problema è che «da allora la lunghezza della vita è andata accorciandosi un po' alla volta, è dunque evi- dente che l'a uale brevità della vita è accidentale e che può essere, in parte o in tu o, ripristinata. Se poi andiamo a cercare la causa accidentale di questa defezione, troveremo che essa non dipende [da un castigo] del cielo o da altro, ma dal venir meno di un ade- guato regime di salute» .16

Propone perciò dei rimedi concreti ai danni dell'invecchiamento, anche se ai nostri occhi non sembrano soluzioni particolarmente efficaci. So olinea, per esempio, l'utilità di cospargersi la pelle di olio. Consiglia di bere ogni giorno una bevanda chiamata “mul- so” e composta da o o parti di acqua e nove di miele. Sostiene che condire i cibi con il rosmarino allunga la vita. Propone rice e per preparare ele uari miracolosi. In particolare, consiglia la sommi- nistrazione di un infuso semidenso a base di acqua, miele e rosma- rino. Di più la farmacopea medievale non poteva offrire. Ma a noi preme sopra u o so olineare la persistenza di un'idea, la cui prima traccia abbiamo trovato a Sumer e che ora ritroviamo ad Oxford: esiste una soluzione tecnica al problema dell'invecchia- mento e, forse, della morte.

L N A F B

Un altro filosofo che, in questa storia, merita di essere menzionato è Francesco Bacone, barone di Verulamio. La ragione è semplice:

questo riferimento ci offre il senso effe ivo delle connessioni storiche. Qualcuno penserà che, con la fine del Medioevo e l'inizio dell'Età moderna, segnato da quella rivoluzione scientifica che vede anche il lord inglese protagonista, insieme a Copernico,

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

Keplero, Galileo, Newton e altri, le chimere degli alchimisti ven- gano definitivamente ge ate nella pa umiera della storia, mentre il nuovo modo di pensare – il metodo scientifico – spazza via i miti e apre finalmente la porta alla conquista della “verità”. Nulla di più falso. Questa è una narrazione prodo a dai positivisti dell'O ocento che non trova alcuna conferma in prove documen- tali. I lavori dei protagonisti della rivoluzione scientifica sono imbevuti di astrologia, esoterismo, mitologia, religione e alchimia non meno di quelli dei loro predecessori.

Parlavamo di connessioni storiche. Francesco Bacone non può ancora conoscere l'Epopea di Gilgamesh, ma conosce bene le altre fonti dell'idea: la Bibbia, innanzitu o, e questo non può sorpren- dere; la versione di Apollodoro del mito di Prometeo, il che è già meno scontato; e infine le opere del compatriota e quasi omonimo Ruggero Bacone. Andiamo per ordine.

Nell'Antico Testamento, dopo la cacciata di Adamo ed Eva, Dio pone i cherubini e la fiamma della spada folgorante a oriente del giardino di Eden, «per custodire la via all'albero della vita» . Si 17

ricorderà che i nostri due progenitori erano inizialmente simili agli dèi perché potevano vivere per sempre, ma differivano da essi perché mancava loro la conoscenza. Dopo aver mangiato il fru o proibito, diventano simili agli dèi, ma in senso simmetricamente opposto. Acquistano la sapienza, ma vengono privati del dono dell'eternità. Dunque, se tornassero in possesso anche della vita eterna sarebbero simili agli dèi in tu o e per tu o. I minacciosi angeli armati posti a guardia dell'Eden debbono impedire il com- pleto indiamento dell'uomo.

Agli occhi dei più, lanciare una nuova sfida a Dio e ai cherubini si configurerebbe come un grave a o di presunzione. Sarebbe come duplicare il peccato originale. Come disobbedire al Signore per la

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

seconda volta, proprio sulla questione che ha provocato la nostra caduta. Non così la pensa Francesco Bacone che, al riguardo, offre la più sorprendente delle interpretazioni teologiche. Nella prefa- zione al suo capolavoro filosofico, La grande instaurazione, il baro- ne di Verulamio ribalta di centoo anta gradi la tradizionale narra- zione legata alla peccaminosità della scienza e respinge ogni accu- sa di hybris. Sostiene che Dio non è arrabbiato con l'uomo per il fa o che questi vuole conoscere i segreti del mondo. Anzi, ne è divertito. Lo schieramento dei cherubini armati non andrebbe, dunque, interpretato come una minaccia, perché l'interde o divi- no riguarda soltanto l'albero della conoscenza del bene e del male, ovvero la convinzione dell'uomo di potersi dare da solo le leggi morali. Il divieto non vale per le scienze naturali, ossia per «quella scienza innocente e immacolata della natura, per la quale Adamo impose i nomi alle cose secondo le proprietà naturali» . In sostan-18

za, Dio avrebbe invitato gli uomini a partecipare a un gioco, a una sfida amorevole, per vedere fino a che punto essi riescono a cam- minare sulle proprie gambe.

Scrive Bacone: «Delle scienze che contemplano la natura il santo filosofo dice: “È gloria di Dio nascondere la verità nella natura, gloria di re rintracciarla”; come se Dio si dile asse di quel gioco innocente dei fanciulli, che si nascondono per farsi scoprire, e aves- se scelto, per Sua indulgenza e benevolenza, l'anima umana a com- pagna di questo gioco» . Il santo filosofo è Salomone.19

Anche se non molti vi hanno prestato a enzione, questo è un pas- so fondamentale nella storia del pensiero moderno. È qui che nasce l'idea che l'Eden può essere creato in Terra, dall'uomo, a ra- verso la scienza. Un'idea che ritroveremo nell'Illuminismo, nel Positivismo e nel Socialismo. Non a caso, Benede o XVI indivi- dua proprio in Francesco Bacone il pensatore cruciale della storia

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

europea, seppure in senso negativo da un punto di vista ca olico, perché cambia completamente la concezione della redenzione, portandola da un piano trascendente a un piano immanente, affi- dando la salvezza non più alle preghiere e alla provvidenza divi- na quanto all'uomo stesso e alle sue tecnologie . 20

A conforto dell'idea, Bacone invoca anche fonti pagane. Nell'ope- ra La sapienza degli antichi, il lord inglese reinterpreta in chiave moderna diversi miti dell'Antica Grecia. Nell'interpretare “la favola di Orfeo” sostiene che essa rappresenta la filosofia univer- sale e, riprendendo il tema fondamentale dell'alchimia, conclude che «il più nobile scopo della filosofia naturale è la restaurazione e il rinnovamento delle cose corru ibili, e (di esso quasi gradi mino- ri) la conservazione dei corpi nel loro stato e il ritardo della disso- luzione e putrefazione. Ora, ammesso che questo scopo possa essere raggiunto, esso non si può certo a uare in altro modo che per debiti e so ili temperamenti apportati alla natura» .21

Nello stesso libro, offre anche un'interpretazione del mito di Pro- meteo, che ai suoi occhi rappresenta lo stato dell'umanità. Ebbene, qui fa riferimento alle versioni della storia prodo e da Apollodo- ro (Bibliotheca, II, 5, 10), Omero (Iliade, I, 396), ed Esiodo (Teogonia, 633) e parla esplicitamente di instauratio juventutis . Scrive che, 22

dopo il furto del fuoco da parte di Prometeo e la delazione degli uomini, «Giove e gli altri dèi furono molto contenti dell'accusa fa a, e per loro benevolenza non solo concessero agli uomini il libero uso del fuoco, ma ancora aggiunsero un nuovo dono, assai gradito e ambìto, cioè la perpetua giovinezza». Sappiamo già cosa successe in seguito. Gli uomini «trionfanti e sciocchi» misero il dono sul dorso di un asinello che, assetato, lo cede e a un serpente di guardia a una fonte, sicché «l'instaurazione della giovinezza passò dagli uomini ai serpenti per un sorso d'acqua».

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

Che al terribile errore dei nostri antenati si possa ancora rimedia- re, Bacone inizialmente pare poco convinto. Le promesse degli alchimisti gli paiono poco plausibili. Dopo la le ura di Ruggero Bacone, la sua posizione sembra però cambiare e farsi possibilista.

Che anche qui vi sia un travaso di idee pare abbastanza assodato.

Enrico De Mas, uno dei massimi studiosi delle opere del barone di Verulamio, scrive che «Rogero Bacone (1214-1292), francescano inglese, filosofo e naturalista insigne, per il suo spirito aperto alle indagini fisiche è annoverato fra i precursori di Bacone [France- sco], il quale conosceva e stimava le sue opere fisiche che erano state pubblicate da poco». Le opere in questione sono: De prolon- gatione vitae (Oxford, 1590), Epistola de secretis operibus artis et natu- rae (Basilea, 1593), Thesaurus chemicus (Francoforte, 1603), Perspec- tiva (Francoforte 1614), Breve breviarium de dono Dei, Verbum abbre- viatum de Leone Viridi, Secretum secretorum naturae, Tractatus trium verborum, Alchimista major (editi nel 1620).

De Mas aggiunge che non si sa se F. Bacone conoscesse R. Bacone come filosofo, dato che le opere filosofiche del secondo non vennero pubblicate prima del XVIII secolo, tu avia non si può escludere che «egli possa averle le e manoscri e» . Ma a noi, in 23

questo contesto, basta sapere che conosceva l'alchimista.

È, tu avia, nello scri o utopico Nuova Atlantide che il barone di Verulamio rompe ogni indugio e prefigura un mondo in cui l'uomo ha acquistato un controllo quasi completo sulla natura, inclusa quella del proprio corpo. Tra andosi di un'opera di fin- zione le eraria, Bacone può finalmente fare cadere ogni reticenza e scrupolo scientifico, per dare libero spazio alla fantasia.

Racconta di un luogo immaginario, l'isola di Bensalem, conosciu- ta anche come Nuova Atlantide, ove gli abitanti hanno finalmente ritrovato lo stato di Adamo prima della caduta. A Bensalem vi

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

sono macchine meravigliose, tra le quali aerei e sommergibili, ma sono le scoperte nel campo della medicina e della biologia a tenere banco nel racconto del Padre della Casa di Salomone, che illustra a uno dei visitatori le meraviglie del suo paese.

Il Padre racconta che sull'isola vi sono caverne artificiali a e all'indurimento, alla refrigerazione e alla conservazione dei corpi.

Esse vengono usate per creare nuovi metalli, o per curare certe mala ie, o ancora per svolgere esperimenti sul prolungamento della vita. Gli esperimenti vengono svolti su eremiti che dimostra- no una straordinaria longevità. Inoltre, narra di un'acqua oppor- tunamente modificata, che gli abitanti chiamano “acqua del Para- diso” e che «è veramente sovrana per ridare la salute e prolungare la vita» .24

Il visitatore viene a sapere anche che nell'isola esistono «bagni bel- li e spaziosi, con diverse mescolanze, per la cura delle mala ie e la restaurazione del corpo umano dalla aridità, e altri per il rinvigo- rimento dei muscoli, delle parti vitali, e dello stesso succo o sostanza del corpo» .25

Bacone mostra una straordinaria immaginazione futurologica, al punto che riesce a prefigurare molte delle invenzioni dei nostri giorni. Con mezzo millennio d'anticipo, descrive persino le bio- tecnologie. L'abitante di Bensalem che fa da guida al visitatore par- la in questi termini degli esperimenti che si svolgono sull'isola:

«In questo campo abbiamo raggiunto straordinari risultati, come la continuazione della vita anche quando diversi organi, che voi considerate vitali, sono morti e asportati, la resurrezione dei corpi che all'apparenza sembrano morti, e così via. Esperimentiamo anche su di essi tu i i veleni e altri medicinali, tanto per via chirur- gica che medica. Riusciamo a renderli artificialmente più grossi e più alti di quanto comporti la loro specie, e viceversa più piccoli,

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

arrestando il loro sviluppo. Li rendiamo più fecondi e prolifici del normale, oppure al contrario sterili e infecondi. Possiamo variar- ne il colore, la forma, l'a ività, in molti modi» .26

I progressi o enuti nella Nuova Atlantide non si fermano qui. I bioingegneri riescono ad o enere non soltanto modifiche inter- specie, agendo sugli individui. Sono anche in grado di generare ibridi, chimere, nuove specie. Ovvero, quelli che oggi chiamiamo

“organismi geneticamente modificati”. Così si esprime il Padre della Casa di Salomone: «Abbiamo scoperto mezzi per o enere incroci e accoppiamenti diversi che generano nuove specie, e non sono infecondi, come reputa l'opinione comune. O eniamo nume- rose specie di serpenti, vermi, mosche e pesci dalla putrefazione, e alcuni di questi animali sono arrivati ad essere animali perfe i, come le bestie e gli uccelli, provvisti di sesso e capaci di propagar- si. E ciò che noi facciamo non avviene per caso, giacché sappiamo in precedenza quale specie di creatura nascerà da ciascuna mate- ria o incrocio» .27

Seppure a livello soltanto prefigurativo, siamo ormai più vicini all'approccio tecnico-scientifico di De Grey che non a quello magi- co-misterico di Gilgamesh.

I N C

Non pochi pensano che quelle scorie magico-alchemiche ancora tenacemente vitali durante la rivoluzione scientifica siano defini- tivamente scomparse durante l'epoca dei Lumi. Non è forse l'Illuminismo che ha fa o piazza pulita di ogni superstizione, ina- ugurando l'era della secolarizzazione e del disincanto del mon- do? In realtà, l'idea della vita illimitata è ancora presente nel Se e- cento. Così come l'alchimia. Basti pensare che le scienze esoteri- che sono coltivate in quel secolo da personaggi come il conte di

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

Cagliostro, Giacomo Casanova e persino da Isaac Newton. Va però ammesso che la ricerca dell'eterna giovinezza si consolida sempre più nel quadro di una prospe iva medica e scientifica.

Esemplare è, in questo contesto, il pensiero di Nicolas de Condor- cet – il philosophe passato alla storia come l'inventore del conce o di “progresso”. Il suo Quadro storico dei progressi dello spirito umano rappresenta una pietra miliare del pensiero europeo. Condorcet divide la storia umana in dieci epoche che rappresentano altre ante tappe di uno sviluppo progressivo. Sul finire del Se e- cento, propone, in altre parole, quello schema di ragionamento che informerà molte filosofie della storia dell'O ocento, da quella positivista a quella marxiana, passando per quella idealista.

In questo contesto, a noi interessa particolarmente la decima ed ultima epoca del Quadro. È un'epoca, locata nel futuro, in cui la specie umana tende finalmente verso la perfezione. Alla base del moto progressivo c'è, infa i, l'idea dell'infinita perfe ibilità della specie umana. L'uomo è chiamato a perfezionarsi tanto nello spirito quanto nel corpo. La perfezione dello spirito è conseguita a ra- verso l'educazione morale e scientifica. La perfezione del corpo è invece conseguita a raverso il potenziamento dell'organismo, il rallentamento dell'invecchiamento, la sconfi a delle mala ie.

Seguendo queste rice e, tanto la saggezza quanto la longevità umana potranno crescere indefinitamente.

Si badi che Condorcet prende esplicitamente le distanze dagli alchimisti. Così facendo, mostra però di conoscerne bene il pen- siero e gli obie ivi. Secondo il filosofo francese, l'alchimia non ha preparato il terreno per la nascita della chimica, come gran parte degli storici della scienza oggi ritiene, ma ne ha ostacolato la nascita, proprio perché ci si aspe ava «che essa dovesse fornire il segreto di fabbricare l'oro e quello di rendere immortali». E con-

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clude che «i grandi interessi rendono l'uomo superstizioso». La

«credulità in delirio» degli alchimisti viene spazzata via dalla «fi- losofia meccanica di Cartesio», che, seppure superata da quella di Newton, secondo Condorcet, apre finalmente la strada a «una chimica veramente sperimentale» .28

Se è vero che scompare del tu o l'idea che la vita illimitata possa essere conseguita grazie al ritrovamento o la creazione di un ogge o “magico”, come il Sacro Graal o il lapis philosophorum, è anche vero che i rimedi scientifici di Condorcet non sono poi così distanti dai rimedi pratici che già proponevano gli alchimisti. Il filosofo francese afferma, infa i, che la durata della vita dell'uomo può essere prolungata grazie ai progressi della medicina, a una sana alimentazione, all'uso di abitazioni ben costruite, a uno stile di vita che contempli anche un moderato esercizio fisico. Una lista di buone intenzioni che avrebbe probabilmente so oscri o anche Ruggero Bacone. Condorcet aggiunge – seguendo in questo la regola del mezzo d'oro tanto cara alla filosofia greca – che andrebbe- ro anche abolite le due cause più pericolose di distruzione dei cor- pi: la miseria e l'eccessiva ricchezza.

Ma, di nuovo, quello che conta è l'idea. Ecco, allora, le tre doman- de che introducono il discorso di Condorcet sull'allungamento illi- mitato della vita: «Sarebbe ora assurdo supporre che questo per- fezionamento della specie umana debba essere considerato susce ibile di un progresso infinito, e che un giorno la morte non sarebbe più che l'effe o o di cause eccezionali o del logorio sem- pre e via via più lento delle forze vitali? E specialmente che alla durata media di questa esistenza vitale non potrebbe più essere assegnato un termine preciso? Senza dubbio l'uomo non divente- rà immortale. Ma la distanza fra il momento in cui comincia a vive- re e il momento in cui naturalmente, senza mala ie né casi ecce-

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zionali, comincia a sentire la difficoltà di sopravvivere, non potrebbe allungarsi continuamente?» .29

Il filosofo si premura poi di spiegare il senso preciso che a ribui- sce a conce i come quelli di indefinito o illimitato. Ci tiene a fare presente che non predice il futuro alla maniera dei profeti del pas- sato, ma si pone di fronte all'avvenire come un moderno analista di trend, rappresentando il progresso «con precisione, con quanti- tà numeriche o con diagrammi» . 30

Secondo Condorcet, la durata media della vita è destinata a cre- scere continuamente a mano a mano che ci inoltriamo nel futuro.

Tale durata «può essere aumentata secondo una legge in base alla quale essa si avvicini tendenzialmente ad una dimensione illimi- tata, pur senza raggiungerla mai, o meglio secondo una legge in base alla quale proprio questa durata possa acquisire, nel prosie- guo dei secoli, una lunghezza maggiore di quella, quantitativa- mente determinata, che le sarebbe stata assegnata come limite. In quest'ultimo caso, gli aumenti sono realmente non definiti nel senso più assoluto, dato che non esiste limite al di qua del quale debbano fermarsi» .31

Se Ruggero Bacone pensava a un limite naturale della vita umana di mille anni circa, sulla base dell'esempio biblico e in assenza del ritrovamento dell'albero della vita, Condorcet dice che non abbia- mo ragioni per porre limiti alla provvidenza scientifica. Non si avrà un salto discreto da un essere imperfe o e mortale ad un esse- re perfe o e immortale, come per magia o per effe o della pietra filosofale. Tu avia, l'inaugurazione dell'Era dei Lumi accende la speranza di un graduale ed inesorabile perfezionamento della natura umana. Un processo il cui esito finale, per quanto lontano nel tempo, è comunque una condizione semidivina.

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

L' F T M

Con l'O ocento, arriva la rivoluzione industriale, che sconvolge i modi di vita dell'intero continente europeo e nordamericano.

All'alba del Novecento, un movimento culturale e politico italia- no trae le naturali conseguenze da questo evento epocale. È il momento di abbracciare la tecnologia, di votarsi all'azione, di immergersi nel tumultuoso mondo delle fabbriche e delle rivolu- zioni. Parliamo del movimento futurista, fondato da Filippo Tom- maso Marine i nel 1909.

Tu i sanno che si tra a di un movimento tecnofilo, dissacrante, modernizzante. Non tu i sanno, però, che nemmeno il futurismo recide il cordone ombelicale con le scienze esoteriche. Dei rappor- ti con l'occulto e con la ricerca di poteri sovrannaturali che coin- volgono i futuristi del primo Novecento, ha già parlato diffusa- mente Simona Cigliana nel libro Futurismo esoterico e sono torna-32

to io stesso nel mio Tra ato di filosofia futurista . Nel futurismo, la 33

ricerca dell'immortalità ha dunque due facce. Marine i sviluppa un discorso pubblico sul potenziamento umano e sulla lo a all'invecchiamento, in cui misteri arcani e teorie scientifiche si fondono senza soluzione di continuità.

Per cominciare, ne L'Uomo Moltiplicato ed il Regno della Macchina, impresso nel 1910, il poeta italiano afferma perentoriamente che l'obie ivo dei futuristi è la creazione di un essere sovrumano, di un ibrido uomo-macchina illogorabile: «Certo è che amme endo l'ipotesi trasformistica di Lamarck, si deve riconoscere che noi aspiriamo alla creazione di un tipo non umano nel quale saranno aboliti il dolore morale, la bontà, l'affe o e l'amore, soli veleni corrosivi dell'inesauribile energia vitale, soli interru ori della nostra possente ele ricità fisiologica. Noi crediamo alla possibi- lità di un numero incalcolabile di trasformazioni umane, e dichia- riamo senza sorridere che nella carne dell'uomo dormono delle

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

ali. […] Potrete facilmente concepire queste ipotesi apparente- mente paradossali, studiando i fenomeni di volontà esteriorizzata che si manifestano continuamente nelle sedute spiritiche». Dulcis in fundo, Marine i annuncia che «l'uomo moltiplicato che noi sogniamo, non conoscerà la tragedia della vecchiaia!» .34

Nel 1912, Marine i dà alle stampe il Manifesto tecnico della le era- tura futurista. In esso proclama che «mediante l'intuizione, vince- remo l'ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori. Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l'amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell'uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall'idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell'intelligenza logica» .35

Scoppia la Grande Guerra. Nel 1917, Marine i pubblica un libro destinato a diventare un bestseller: Come si seducono le donne. Il futu- rismo si è schierato senza titubanze per l'interventismo, ma ora i morti si contano a centinaia di migliaia e dal fronte tornano corpi straziati, feriti, mutilati. Marine i, invece di fare dietrofront sulla retorica bellicistica, afferma che la guerra è un'occasione per modi- ficare l'uomo. Si appella dire amente all'altra metà del cielo:

«Donne, Fate che ogni italiano dica partendo: Voglio offrirle al mio ritorno una bella ferita degna di lei!… Voglio che la ba aglia mi riplasmi il corpo per lei!… Voglio essere così modificato dalle granate e dalle baione e nemiche per lei!». Chiede alle donne di non respingere, ma di amare a maggior ragione i corpi dei maschi martoriati e si affre a a chiarire che il suo «non è Romanticismo che disprezza il corpo in nome d'una astrazione ascetica», ma «fu- turismo che glorifica il corpo modificato e abbellito della guer- ra» .36

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

Il capo del futurismo non fa mancare un motivo scientifico nel suo argomento. Il chirurgo e biologo francese Alexis Carrel era stato insignito, nel 1912, del premio Nobel per la medicina e la fisiologia per i suoi lavori sulle suture vascolari, sul trapianto degli organi e sulla coltivazione a lunga scadenza di tessuti in vitro. È alla tecno- logia dei trapianti che pensa quando parla di uomo moltiplicato dalle parti intercambiabili. Ne lascia traccia in questo scri o: «La chirurgia ha già iniziato la grande trasformazione. Dopo Carrel la guerra chirurgica compie fulmineamente la rivoluzione fisiologi- ca. Fusione dell'Acciaio e della Carne. Umanizzazione dell'acciaio e metallizzazione della carne nell'uomo moltiplicato. Corpo moto- re alle diverse parti intercambiabili e rimpiazzabili. Immortalità dell'uomo!» .37

Il tema del “cyborg” eternamente giovane e forse immortale pene- tra dagli scri i di Marine i a quelli di altri futuristi. Per esempio, Fedele Azari scrive: «Quando la chirurgia meccanica e la chimica biologica avranno prodo o un tipo standardizzato di uomo- macchina resistente, illogorabile e quasi eterno, i problemi della velocità saranno meno assillanti d'oggi» .38

Che l'ideale dell'eterna giovinezza e della vita illimitata sia da vedere come un obie ivo fondamentale del programma futurista di ricostruzione dell'universo, e non come una mera provocazio- ne le eraria, è opinione condivisa da molti interpreti . Il sogno 39

che fu di Gilgamesh e di Adamo, degli antichi Greci e dei cristiani medievali, degli alchimisti e degli illuministi, diventa anche il sogno dei futuristi e prome e finalmente di realizzarsi con l'instaurazione del Regno della Macchina.

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Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

C

Dopo il futurismo, arriva il tempo del transumanesimo. Un tema di cui non parlerò qui, perché, da un lato, ne ho già parlato diffu- samente in altre opere e, dall'altro, ne offre già una perfe a esem-40

plificazione il libro che avete tra le mani: La fine dell'invecchiame- nto. Questo breve excursus nelle pieghe della storia ha voluto mostrare che De Grey e gli altri biogerontologi convinti che l'invecchiamento sia una mala ia curabile non sono apprendisti stregoni in preda a un delirio ma utino. L'idea dell'eterna giovi- nezza non nasce a Cambridge, all'alba del nuovo millennio. La pri- ma traccia l'abbiamo trovata a Sumer, nella più antica opera le e- raria conosciuta. Poi, l'abbiamo ritrovata in Giudea, nell'antica Grecia, nella Oxford medievale, nella Londra del XVII secolo, nel- la Parigi dei Lumi e, infine, nella Milano della Belle Époque. Se De Grey, o qualche altro scienziato dei nostri giorni, riuscirà a realiz- zare questo sogno millenario non lo sappiamo. Sappiamo, però, che cresce negli ambienti scientifici l'a enzione a questa idea e sono sempre più potenti i mezzi per realizzarla.

Riccardo Campa

(33)

Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano

N P

1) A. De Grey, M. Rae, La fine dell'invecchiamento, D Editore, Roma 2016.

2) Benede o XIV, Spe salvi, <vatican.va>, 30 novembre 2007.

3) Huxley J., Nuove bo iglie per vino nuovo, (trad. di: New Bo les for New Wine, Londra, Cha o & Windus, 1957, pp. 13-17),

< h p://www.estropico.com/id218.htm >, (accesso: 9 novembre 2016).

4) L'Epopea di Gilgamesh, <www.homolaicus.com>, (accesso: 9 novembre 2016).

Versione online basata su: La saga di Gilgamesh, a cura di Giovanni Pe inato, Rusconi, Milano 1992.

5) Ibidem.

6) Ibidem.

7) Ibidem.

8) La Bibbia. Antico Testamento, a cura di Diego Mane i e Stefano Zuffi, Mondado- ri, Milano 2006, p. 30.

9) Ivi, p. 31.

10) Esiodo, Tu e le opere e i frammenti, Bompiani, Milano 2009, p. 185.

11) Apollodoro Ateniese, Biblioteca, Sonzogno, Milano 1826, pp. 213-214.

12) R. Bacone, La scienza sperimentale, Rusconi, Milano 1990, p. 111.

13) Ivi, p. 188.

14) Ivi, pp. 188-189.

15) Ivi, p. 224.

16) Ivi, p. 225.

17) La Bibbia. Antico Testamento, cit., p. 31.

18) F. Bacone, Uomo e natura. Scri i filosofici, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 227.

19) Ivi, p. 227-228.

20) Cfr. R. Campa, La rivincita del paganesimo. Una teoria della modernità, D Editore, Roma 2013, pp. 159-194.

21) F. Bacone, Uomo e natura, cit., p. 161.

22) Ivi, pp. 187-188.

23) Ivi, p. 45.

24) F. Bacone, Nuova Atlantide, in Id., Scri i politici, giuridici e storici, a cura di Enri- co de Mas, Utet, Torino 1971, p. 816.

25) Ibidem.

26) Ivi, p. 817.

(34)

Prefazione - Eterna giovinezza. Un’idea che viene da lontano 27) Ibidem.

28)(Condorcet Quadro storico dei progressi dello spirito umano 1989: 279-280).

29) (Condorcet 1989: 329).

30) Ibidem.

31) Ibidem.

32) S. Cigliana, Futurismo esoterico. Contributi per una storia dell'irrazionalismo ita- liano tra O o e Novecento, Liguori, Napoli 2002.

33) R. Campa, Tra ato di filosofia futurista, Avanguardia 21, Roma 2012.

34) F. T. Marine i, L'uomo moltiplicato e il regno della macchina,

<www.homolaicus.com>, 10 novembre 2016 (accesso).

35) F. T. Marine i, Manifesto tecnico della le eratura futurista, in F. Grisi (a cura di), I futuristi, Newton, Roma 1990, p. 41.

36) F. T. Marine i, Come si seducono le donne, Edizioni da centomila copie, Firenze 1917.

37) Ibidem.

38) F. Azari, Vita simultanea futurista (Manifesto futurista), Direzione del Movi- mento Futurista, Roma 1927.

39) Cfr. E. Gentile, “La nostra sfida alle stelle”. Futuristi in politica, Laterza, Bari 2009; M. Verdone, La religione della velocità, in F. Grisi (a cura di), I futuristi, cit., p.

124; M. Verdone, Il futurismo, Newton, Roma 1994, p. 62-63; G. de Turris, Futuri- smo e fantascienza, «Uraniablog», 10 febbraio 2010.

40) R. Campa, Mutare o perire. La sfida del transumanesimo, Sestante Edizioni, Bergamo 2010; R. Campa, La specie artificiale. Saggio di bioetica evolutiva, D Editore, Roma 2013.

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