• Non ci sono risultati.

Facoltà di Giurisprudenza. Cattedra di Macroeconomia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Facoltà di Giurisprudenza. Cattedra di Macroeconomia"

Copied!
69
0
0

Testo completo

(1)

Facoltà di Giurisprudenza

Corso di laurea triennale in:

Economia aziendale e bancaria Percorso in: Esperto di Management

Cattedra di Macroeconomia

“Modelli di crescita e sviluppo economico:

confronto tra Cina e India”

RELATORE

LAUREANDO

Chiar.ma Prof.ssa Ruggero Rinaldin Valentina Sabato

Anno accademico 2006/2007

(2)
(3)

INDICE

Introduzione p. 5

CAPITOLO 1 - Modelli di sviluppo e crescita p. 7

1. Introduzione p. 7

2. Le teorie economiche della crescita p. 8

CAPITOLO 2 - Confronto tra Cina e India p. 17

1. Cina p. 17

1.1 Territorio e ambiente p. 17

1.2 Caratteristiche demografiche p. 20

1.3 Economia p. 23

2. India p. 32

2.1 Territorio e ambiente p. 32

2.2 Caratteristiche demografiche p. 34

2.3 Economia p. 37

3. Cina e India a confronto p. 40

4. Fattori critici dello sviluppo p. 51

CAPITOLO 3 - Effetti dello sviluppo di Cina e India

sull’economia mondiale p. 54

1. Nel contesto mondiale p. 54

2. Nel contesto italiano p. 55

3. Prospettive future p. 58

4. India e Cina oggi p. 61

(4)

Conclusioni p. 64

Bibliografia p. 67

(5)

INTRODUZIONE

Oggetto del presente lavoro è il confronto tra le economie dei due principali Paesi emergenti a livello mondiale: Cina e India. La Cina e l’India rappresentano due potenze locali che si stanno imponendo come i nuovi colossi del mercato, non solo nel proprio continente, ma in tutto il globo. La motivazione di tale studio sta nell’interesse di comprendere lo sviluppo e l’evoluzione reale dei meccanismi regolatori del mondo economico, soprattutto in periodi temporali non certamente “tranquilli”del ciclo evolutivo economico mondiale, come quello in cui stiamo vivendo.

A tal fine il capitolo 1 rappresenta la base teorica di riferimento della successiva analisi dei percorsi di crescita e sviluppo di Cina e India. In tale capitolo infatti verranno presentate le principali teorie economiche della crescita, che possono essere utilmente considerate da guida nell’interpretazione dello sviluppo di Cina e India.

Il capitolo 2 presenta un’approfondita indagine storica della posizione di Cina e India nel contesto mondiale e un’analisi dei dati economici degli ultimi anni al fine di evidenziare le variabili che hanno principalmente inciso e favorito l’impressionante sviluppo di questi due Paesi.

Inizialmente descriverò le varie fasi storico-evolutive dei due Paesi presi in esame, fino ad arrivare alla situazione interna attuale analizzata da un punto di vista territoriale, strutturale, politico ed economico.

A tale analisi seguirà un confronto tra le diverse variabili influenti lo sviluppo, quali il prodotto interno lordo, il capitale prodotto ed accumulato, la percentuale del reddito interno dedicata agli investimenti e la reale crescita della popolazione, sia numericamente sia come capitale umano. Continuerò, quindi, analizzando i fattori critici che maggiormente hanno inciso sullo sviluppo di Cina e India: capitale umano, tecnologia e risorse energetiche, e esaminando le

(6)

caratteristiche di quelle che sono le variabili che hanno già influenzato il passato e che saranno presumibilmente determinanti nel futuro dei due Paesi.

Il capitolo 3 presenta una breve analisi dell’influenza che Cina e India hanno sul sistema economico mondiale, dei possibili risvolti e delle probabili conseguenze della loro presenza nel contesto del mondo del libero mercato e non.

Visto e considerato che da sole rappresentano il quaranta per cento della popolazione del globo, le conseguenti riflessioni che ne possono discendere facilmente saranno trasferite nell’ambito più esteso dell’economia mondiale.

Infine il presente lavoro si conclude con l’esame dei riflessi attuali e futuri dello sviluppo di Cina e India sull’economia del nostro Paese, che è pur sempre di limitate proporzioni rispetto ai succitati contesti e non solo per le entità numeriche di riferimento. Tentando di spiegare come percepiamo direttamente o di riflesso la loro influenza e come il condizionamento dei due nascenti colossi dell’economia mondiale ci induce nel contesto della più marcata globalizzazione, è possibile giungere ad evidenziare gli aspetti determinanti o almeno di rilievo che potrebbero caratterizzare la loro inevitabile futura “ingerenza”.

(7)

CAPITOLO 1

MODELLI DI SVILUPPO E CRESCITA

1. Introduzione

In questo capitolo presenterò le teorie e i modelli, sviluppati nella letteratura economica, che meglio spiegano i percorsi di sviluppo e crescita avvenuti nei Paesi che saranno oggetto di questa analisi: la Cina e l’India.

Dapprima farò riferimento alla crescita esogena, che prende in considerazione principalmente il capitale, trattato marginalmente nel presente elaborato; in seconda battuta parlerò della crescita endogena che inserisce il capitale umano come motore dello sviluppo. L’analisi sarà centrata in particolare sul capitale umano, visto e considerato che è la base di partenza dello sviluppo e della crescita economica della Cina e dell’India.

Verranno presentate diverse teorie di sviluppo: la teoria degli stadi di Rostow, che spiega l’evoluzione da un’economia arretrata ad una progredita; la teoria di Smith della divisione del lavoro, che spiega il benessere di un Paese; la teoria demografica di Malthus, che individua nella crescita della popolazione un limite allo sviluppo; la teoria dello sviluppo economico di Schumpeter, che mostra come l’innovazione tecnologica influisce sulla crescita; il modello di Lewis, che illustra l’influenza della popolazione nel passaggio da un’economia prevalentemente agricola ad una industrializzata; il modello di Solow, che spiega lo sviluppo attraverso la crescita del capitale e della popolazione e il progresso tecnologico.

Dal momento che lo sviluppo economico attuale, sia della Cina che dell’India, può essere spiegato nelle diverse fasi storiche attraverso ciascuna di queste teorie, una loro iniziale presentazione è fondamentale per comprendere al

(8)

meglio il contributo che ognuna ha dato all’evoluzione storico-economica di entrambi i sistemi Paese.

2. Le teorie economiche della crescita

Per iniziare bisogna comprendere come lo sviluppo e la crescita passano attraverso la storia, ossia l’evoluzione economica all’interno di un Paese. La Teoria degli stadi di Rostow1 ci dà un esempio di come ciò avviene, in particolare di come un’economia arretrata giunga ad essere un’economia progredita. Rostow individua le condizioni per ciò che lui chiama “il decollo in fase di crescita autosostenuta”2 in un alto livello degli investimenti e nel trasferimento su larga scala di lavoratori dalla campagna. Secondo questa teoria, i processi di sviluppo economico e modernizzazione di una società si verificano in ogni Paese attraverso diversi stadi di sviluppo. Questi stadi partono dalla cosiddetta società tradizionale, cioè una società nella quale la maggioranza della popolazione opera nel settore primario, in un’economia di sussistenza e autoconsumo basata su rapporti di reciprocità e di ridistribuzione. In seguito a questo primo stadio si passa al secondo, che è caratterizzato da una massiccia industrializzazione, la quale in seguito, a sua volta, viene sostituita dallo sviluppo del settore terziario, in un contesto dominato da un’economia integrata basata su legami di interdipendenza.

Lo stadio finale del processo di sviluppo economico descritto da Rostow è l’era dei consumi di massa.

Nel libro primo della Ricchezza delle nazioni Adam Smith3 analizza le cause che migliorano il “potere produttivo del lavoro” e il modo con il quale la ricchezza prodotta si distribuisce naturalmente fra le classi sociali. La ricchezza di una Nazione viene identificata con l’insieme dei beni prodotti suddivisi per l’intera popolazione: si può quindi parlare di reddito pro capite. La ricchezza

1 Si veda Rostow (1960).

2 Si veda Smith (2007).

3 Si veda Smith (1776).

(9)

viene prodotta attraverso il lavoro e può essere incrementata aumentando la produttività del lavoro o il numero di lavoratori.

L’incremento della produttività del lavoro viene realizzato attraverso la divisione del lavoro che comporta: a) l’aumento dell’abilità manuale di ogni lavoratore (specializzazione), b) la riduzione del tempo perso per passare da un’azione o da un’attività ad un’altra, c) la diffusione, per il desiderio di ognuno di ridurre la propria pena lavorativa, ma anche per l’emergere di un’industria di costruttori di macchinari, dell’invenzione e dell’utilizzo di macchine che facilitano e riducono il lavoro, permettendo ad un solo lavoratore di realizzare l’attività di più persone. Questi vantaggi sono più facilmente visibili nell’industria che nell’agricoltura e si applicano sia all’interno di un’attività (divisione tecnica) sia fra settori (divisione sociale).

La divisione del lavoro porta i suoi benefici in termini produttivi anche quando induce la differenziazione fra mestieri e professioni. Questo genera un’interdipendenza sociale e presuppone lo scambio e il mercato, attraverso i quali un individuo cede beni da lui prodotti in sovrappiù rispetto ai propri bisogni per acquisire prodotti realizzati da altri e necessari per soddisfare gli altri bisogni.

La divisione del lavoro comporta però anche conseguenze negative: la specializzazione su un’unica attività e la realizzazione di operazioni semplici, ripetitive e meccaniche non sviluppa l’immaginazione e riduce le capacità intellettuali dell’individuo. Per compensare questo effetto, Adam Smith sostiene lo sviluppo dell’istruzione finanziata dallo Stato.

Infine, la divisione del lavoro dipende dal livello di risparmio: per incrementare la divisione del lavoro è necessario disporre di maggiore capitale fisso e circolante, entrambi finanziati con il risparmio realizzato nel periodo precedente. Il risparmio, essendo una condizione per la divisione del lavoro, è dunque un elemento determinante per lo sviluppo economico.

Un’altra teoria classica, che rappresenta una visione critica e pessimista circa l’eccessivo incremento della popolazione e i problemi ad esso connessi, ci

(10)

viene offerta da Malthus e dalla sua Teoria demografica4. L’autore sostenne che l’incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno fertili con conseguente penuria di generi di sussistenza, fino a giungere all’arresto dello sviluppo economico, poiché la popolazione tenderebbe a crescere più velocemente delle disponibilità alimentari. La teoria demografica di Malthus ispirò la corrente del malthusianesimo che sostiene il ricorso al controllo delle nascite per impedire l’impoverimento dell’umanità. Questa teoria demografica è stata oggetto di varie critiche, esemplificate da Ralph Waldo Emerson5, quando disse: “Malthus, affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, dimenticò che la mente umana era anch’essa un fattore nell’economia politica, e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere di invenzione”.

Un’altra teoria rilevante ai fini della comprensione del processo di crescita e sviluppo della Cina e dell’India è rappresentata dal modello di Lewis6, che ha analizzato il processo di industrializzazione di un Paese arretrato. Alla base dello sviluppo nel modello di Lewis c’è l’abbondante disponibilità di manodopera che mantiene bassi i salari. L’ipotesi è che vi sia un’agricoltura povera e poco meccanizzata, per cui la popolazione è disposta a trasferirsi dalla campagna in città se trova occupazione nell’industria, dato che i salari industriali, anche se bassi, sono comunque maggiori di quelli che si realizzano nel settore agricolo.

Quando inizia un processo di sviluppo, i lavoratori cominciano ad abbandonare le campagne per trasferirsi in città. Finché c’è popolazione che si trasferisce dall’agricoltura all’industria, l’offerta di manodopera è abbondante, per cui i salari industriali non aumentano o crescono lentamente. Il fatto che la popolazione in agricoltura è sovrabbondante fa sì che il suo trasferimento al settore industriale non determini una diminuzione della produzione agricola, ossia la produttività marginale del lavoro nel settore agricolo è nulla.

4 Si veda Malthus (1798).

5 Filosofo statunitense del XIX secolo.

6 Si veda Lewis (1954).

(11)

In questa situazione, in cui la popolazione si trasferisce e i salari non crescono, i profitti delle industrie sono alti e le imprese li reinvestono continuamente. Questo processo di alti profitti, alti investimenti e quindi elevati saggi di aumento della produzione industriale e del reddito nazionale (processo che comporta una continua espansione del settore industriale) dura fino a quando ci sono persone disposte a trasferirsi dall’agricoltura all’industria.

L’incentivo al trasferimento cessa quando, essendo rimasta una parte assai limitata di popolazione nelle campagne, il guadagno che un individuo può realizzare lavorando in agricoltura è all’incirca pari al salario che percepirebbe nell’industria.

Quando questa riserva di forza lavoro si esaurisce, la domanda di lavoro supera l’offerta, per cui i salari aumentano: si verifica allora una diminuzione dei profitti e una conseguente diminuzione del ritmo di sviluppo del reddito nazionale.

L’esperienza storica ha mostrato però che il processo descritto da Lewis può interrompersi prima che sia esaurita la riserva di forza lavoro presente nelle campagne. Le motivazioni possibili sono l’aumento della domanda di generi alimentari, che causa un innalzamento dei prezzi dei beni provenienti dall’agricoltura, con conseguenti benefici per chi lavora nel settore, e l’aumento dei salari, causato da forme di organizzazioni sindacali.

L’innovazione tecnologica è invece oggetto della Teoria dello sviluppo economico di Schumpeter7.

In un’ipotetica economia basata su un modello statico, i beni vengono prodotti e venduti secondo la domanda dei consumatori, ma i prodotti scambiati rimangono sempre gli stessi e le strutture economiche non mutano. Schumpeter fa notare che questo modello di economia non corrisponde alla realtà e lo supera passando ad un approccio dinamico, in cui un nuovo soggetto, l’imprenditore, introduce nuovi prodotti, sfrutta le innovazioni tecnologiche, apre nuovi mercati e cambia le modalità organizzative della produzione. L’imprenditore può fare

7 Si veda Schumpeter (1911).

(12)

questo in quanto dispone di capitali messi a disposizione dalle banche, che remunera con l’interesse, ossia una parte del profitto aggiuntivo realizzato grazie all’innovazione.

La teoria delle innovazioni consente a Schumpeter di spiegare l’alternarsi, nel ciclo economico, di fasi espansive e recessive. Le innovazioni, infatti, non vengono introdotte in misura costante, ma si concentrano in alcuni periodi di tempo, che, per questo, sono caratterizzati da una forte espansione, a cui seguono le recessioni, in cui l’economia rientra nell’equilibrio di flusso circolare, non uguale a quello precedente, ma mutato dall’innovazione.

La teoria neoclassica della crescita economica è rappresentata dal noto modello di Solow8, che dimostra come la crescita dello stock di capitale, della forza lavoro e il progresso tecnologico interagiscono nell’economia e determinano la crescita del prodotto aggregato di beni e servizi.

Nel modello di Solow la domanda di beni deriva da consumo e investimenti. Ipotizzando che ogni lavoratore risparmi una frazione costante del suo reddito e consumi l’altra parte, dato che l’equilibrio richiede l’uguaglianza tra investimenti e risparmio, il tasso di risparmio corrisponde alla quota di reddito dedicata agli investimenti.

Lo stock di capitale è influenzato da due forze: gli investimenti, che lo fanno aumentare, e gli ammortamenti, che lo fanno ridurre. Esiste un solo livello di capitale in corrispondenza del quale gli investimenti sono uguali agli ammortamenti (stato stazionario) e, in corrispondenza di tale livello, lo stock di capitale non varia nel tempo perché le due forze che agiscono su di esso si equilibrano.

Il modello di Solow dimostra che un aumento del tasso di risparmio, a parità di tutte le altre variabili, porta a un’accelerazione della crescita, ma solo temporanea, fino al momento in cui l’economia raggiunge un nuovo stato stazionario. Quindi un’economia caratterizzata da un elevato tasso di risparmio

8 Si veda Solow (1956).

(13)

avrà stock di capitale e livello di prodotto aggregato elevati, perchè elevato è il livello degli investimenti, ma non necessariamente una crescita elevata.

Prendendo in considerazione il fattore lavoro, Solow spiega poi come la crescita della popolazione influenza lo stock di capitale di stato stazionario.

L’aumento del numero di lavoratori provoca una diminuzione della quantità di capitale per lavoratore. Gli investimenti, oltre che coprire la quota di ammortamenti, dovranno essere tali da formare il capitale per ogni nuovo lavoratore, per cui un aumento del tasso di crescita della popolazione va a ridurre lo stock di capitale di stato stazionario. I Paesi con tassi di crescita della popolazione più elevati, quindi, hanno livelli di PIL pro capite più bassi.

Consideriamo infine l’ultima variabile del modello: il progresso tecnologico. Se la tecnologia disponibile migliora, aumenta l’efficienza del lavoro. L’ipotesi di Solow prevede che il progresso tecnologico faccia aumentare l’efficienza del lavoro ad un tasso costante (ipotesi di progresso tecnologico labour-augmenting). Lo stato stazionario viene ulteriormente influenzato da questa nuova variabile.

Secondo il modello di Solow, l’entità del risparmio e degli investimenti di un Paese, quindi, è una delle determinanti fondamentali del tenore di vita dei suoi cittadini. Il modo più diretto con cui i governi possono influenzare il risparmio nazionale è attraverso il risparmio pubblico, cioè la differenza tra quanto il governo raccoglie attraverso le imposte e quanto spende. Se la spesa eccede i ricavi, si dice che lo Stato genera un disavanzo (o deficit) di bilancio, che si traduce in un risparmio pubblico negativo. Un disavanzo induce un aumento dei tassi di interessi e spiazza gli investimenti privati; la conseguente riduzione dello stock di capitale è parte dell’onere che graverà sulle future generazioni. Al contrario, se lo Stato genera un avanzo, può ridurre parzialmente il debito pubblico e stimolare gli investimenti. Il governo può influenzare il risparmio anche agendo sul risparmio privato di individui e imprese. Le decisioni di risparmio degli individui, infatti, dipendono da un sistema di incentivi che può essere alterato da provvedimenti di politica economica. Aliquote fiscali sui redditi da capitale, riducendo il rendimento che si può trarre dal risparmio, scoraggiano il

(14)

risparmio privato, mentre le agevolazioni e le esenzioni fiscali sui piani di risparmio previdenziale incoraggiano il risparmio privato attraverso un trattamento preferenziale della quota di reddito destinata a tali piani. Molti economisti sostengono che lo Stato dovrebbe limitarsi semplicemente a definire regole uguali per tutti, ad esempio uniformando la tassazione, affidandosi al mercato per allocare il capitale; altri suggeriscono che lo Stato invece dovrebbe incentivare gli investimenti.

Il modello di Solow si fonda sull’ipotesi semplificata che esista un solo tipo di capitale, ma nel mondo ne esistono tanti, come ad esempio le infrastrutture per lo Stato, gli immobili e i beni per le imprese, il capitale umano.

Il capitale umano è costituito dall’insieme delle facoltà e delle risorse umane, in particolare conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche, che danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di trasformazione e di creazione.

L’istruzione viene definita come un vasto insieme di attività connesse con l’acquisizione di conoscenze e capacità tecniche, dette anche investimenti in capitale umano. Si assume che un aumento della scolarità della popolazione possa non solo aumentare la capacità produttiva della forza lavoro e quindi avere un impatto positivo sulla crescita economica, ma abbia anche ricadute positive sul resto della società per effetto di cambiamenti associati alla domanda di beni e servizi. Gli Stati che investono maggiormente in istruzione devono avere, a parità di altre condizioni, più elevati livelli di crescita economica di lungo periodo, questo perché l’istruzione va a influenzare le conoscenze che il capitale umano acquisisce, aumentando le sue capacità.

La conoscenza rappresenta il punto di rottura tra le teorie della crescita esogena e quelle della crescita endogena.

Il punto centrale di questa teoria, evidenziato in particolare da Romer (1986), è che il capitale non è solo capitale fisico, ma anche capitale intangibile, prima di tutto conoscenza. Le caratteristiche che definiscono il capitale sono infatti due: a) si può immagazzinare nel tempo, nel senso che non è usato

(15)

completamente nel corso di un processo produttivo; b) il suo acquisto implica un atto di rinuncia al consumo corrente.

Il capitale, dunque, è sia capitale fisico che conoscenza e la produzione di conoscenza genera esternalità positive, in quanto, considerando le invenzioni per esempio, esse possono essere utilizzate da tutti con un conseguente miglioramento generale.

In generale possiamo perciò affermare che la produzione di ciascuna impresa dipende a) dal capitale fisico, b) dal lavoro, c) dalla conoscenza pagata (spese in Ricerca e Sviluppo) e d) dalla conoscenza non pagata, quella di cui si beneficia grazie al meccanismo dell’esternalità. Immaginiamo allora un’economia popolata dalle imprese, ciascuna delle quali produce lo stesso bene composito attraverso una funzione di produzione a rendimenti di scala costanti.

L’impresa sceglie quante attrezzature comprare, quanto investire in Ricerca e Sviluppo e quanti lavoratori assumere. Essa tuttavia non sceglie totalmente la conoscenza prodotta nell’ambiente ed è per questo che la conoscenza appare come fattore moltiplicativo (di scala) nella funzione di produzione dell’impresa. È un parametro esterno all’impresa, nel senso che il suo valore dipende anche da scelte compiute da altre imprese. Sappiamo che la conoscenza è, per ciascuna singola impresa, conoscenza acquisita investendo in Ricerca e Sviluppo o copiata da quella già esistente. In generale, la conoscenza fa parte del capitale su cui qualcuno ha investito e quindi è una funzione crescente del capitale dell’economia: quanto maggiori sono gli investimenti in Ricerca e Sviluppo realizzati nell’economia, tanto maggiori saranno le opportunità per ciascun singolo imprenditore di copiare, emulare, ispirarsi e,in generale, di acquisire conoscenza, intesa come insieme di sapere che gli individui acquisiscono nel corso della loro vita ed usano per elaborare ed implementare idee, teorie, concetti, iniziative di vario genere, incluse le attività produttive di beni e servizi, orientate al mercato o fuori di esso.

Analizzando i processi di sviluppo di Cina e India, avendo in mente le teorie appena ricordate, è possibile fare alcune considerazioni preliminari, che verranno poi approfondite nei capitoli successivi.

(16)

La Cina, ricordando la teoria degli stadi di Rostow, sembra essersi fermata ad oggi, al secondo stadio, essendo un’economia molto più industriale che terziaria; l’India, invece, che dimostra di essere a cavallo tra gli ultimi due stadi evolutivi, dato il forte sviluppo del settore dei servizi.

Sotto un altro aspetto, il controllo demografico, attuato da molti anni dal governo cinese, appare riconducibile alla teoria demografica di Malthus. Inoltre sia la Cina che l’India, avendo una popolazione ancora abbondantemente impiegata in agricoltura, presentano molti punti di contatto con la teoria di Lewis.

Il governo di Pechino ha già attuato un processo di spostamento dalle campagne alle città attraverso un programma di incentivi, Nuova Delhi lo sta attuando in questo periodo.

Peraltro, lo sviluppo e la crescita economica della Cina e dell’India passano, e sono passati, attraverso le variabili analizzate da Solow: lo stock di capitale, la forza lavoro e l’innovazione tecnologica. Entrambi i Paesi, poveri di capitali, hanno dovuto cercare all’estero gli investitori per realizzare i loro progetti; la forza lavoro, presente in abbondanza in entrambe le Nazioni, è la variabile che influenza maggiormente i costi di produzione; infine, l’innovazione tecnologica è il motore fondamentale dell’avanzata nel futuro di entrambi i Paesi.

L’innovazione tecnologica, come abbiamo detto, viene analizzata da Schumpeter e attraverso la sua teoria si giunge a comprendere il punto di partenza, la scintilla iniziale della Cina, che, attraverso le riforme attuate agli inizi degli anni ottanta dall’allora ministro dell’economia Deng, è passata da un’economia prettamente socialista a un’economia mista tra privati e Stato.

Infine il capitale umano è sicuramente la variabile più importante nel confronto tra Cina e India, con molti punti di contatto, ma anche di divergenza, accomunati, però, da un fattore unico e valido per entrambi: l’abbondanza.

(17)

CAPITOLO 2

CONFRONTO TRA CINA E INDIA

1. Cina9

La Repubblica Popolare Cinese, sorta nel 1949 alla fine di una lunga guerra civile, si basa su una Costituzione promulgata nel 198210, che la definisce

“Stato socialista sotto la guida del Partito comunista”. Negli anni novanta sono state introdotte misure a garanzia dei diritti civili dei cittadini e della proprietà privata; le più rilevanti modifiche hanno riguardato il sistema economico del Paese, sul quale è fortemente diminuito il controllo dello Stato.

1.1 Territorio e ambiente

La vasta estensione longitudinale e latitudinale del Paese (rispettivamente di 5.200 e 5.800 km) rende conto della grande diversità delle regioni fisiche che compongono il territorio cinese. Questo è in larga parte montuoso: oltre il 43% del territorio supera i 2.000 m di altitudine e circa l’84% si trova al di sopra dei 500 m. I rilievi più imponenti si trovano nelle zone più sud-occidentali e centrali del Paese. Nella parte orientale i rilievi si abbassano, fino a raggiungere le regioni pianeggianti, le quali costituiscono poco più del 12% della superficie complessiva del Paese. Sono queste pianure alluvionali le aree più popolate, cuore storico del Paese, percorse da alcuni dei fiumi più lunghi dell’Asia, come il Chang Jiang e lo Huang He.

A partire dagli anni settanta la crescita della popolazione, lo sviluppo dell’economia e il continuo miglioramento del livello di vita hanno avuto come

9 La fonte dei dati citati è il Ministero della Difesa (2007a), se non diversamente indicato.

10La Costituzione del 1982 è la quarta; le altre tre furono redatte nel 1954, nel 1975 e nel 1978.

(18)

conseguenza una forte pressione sulle risorse e sull’ambiente, dando inizio a quello che solo oggi sta concretamente imponendosi come il problema dello sviluppo sostenibile in questo grande Paese. Entro tempi brevi, l’aumento della richiesta idrica potrebbe provocare un grave problema di disponibilità d’acqua, che andrebbe ad aggiungersi al problema dell’inquinamento della maggior parte dei fiumi, soprattutto nelle aree urbane, e a quello delle già presenti mutazioni ambientali derivanti dalla costruzione di grandi bacini idrici.

La principale fonte d’energia del Paese, il carbone, utilizzato nelle centrali elettriche, nelle abitazioni e nelle industrie, è responsabile del grave inquinamento atmosferico e del fenomeno delle piogge acide che affliggono i centri urbani. Nel 1990 il consumo energetico della Cina era responsabile dell’11% delle emissioni di anidride carbonica di tutto il pianeta, più di qualsiasi altra Nazione. In Cina vive circa un quinto della popolazione mondiale e in futuro l’innalzamento del tenore di vita potrebbe determinare un drammatico incremento dell’inquinamento atmosferico e dei problemi ad esso connessi. La prima centrale nucleare del Paese è stata completata nel 1991; nel 1992 erano due le centrali nucleari operative e almeno un’altra decina erano pronte a entrare in funzione. Negli ultimi anni si sta tuttavia diffondendo un crescente scetticismo nei confronti dei benefici economici derivanti dallo sfruttamento dell’energia nucleare. Poiché però il Paese dispone di limitate riserve di petrolio e di gas naturale e il grande potenziale idroelettrico è sfruttato solo in parte, in quanto la costruzione di nuove dighe determinerebbe l’inondazione di intere vallate coltivate che costituiscono la principale fonte di reddito della popolazione rurale, la Cina è interessata allo sviluppo di fonti di energia alternative. Il governo partecipa inoltre al programma per lo sviluppo dell’energia solare dell’UNESCO (Organizzazione per l’Educazione, Scienza e Cultura delle Nazioni Unite) che prevede il finanziamento di numerosi progetti rivolti allo sfruttamento dell’energia solare su vasta scala nelle zone rurali.

Il 21,2% del territorio del Paese è coperto da foreste e terreni boscosi. La deforestazione sta minacciando gli habitat di numerose specie, alcuni dei quali definitivamente, mentre la rapida diffusione della desertificazione e dell’erosione del suolo ha ridotto notevolmente i terreni agricoli disponibili. Per far fronte a tali

(19)

problemi sono stati avviati programmi intensivi di rimboschimento, che tra il 1985 e il 1990 hanno interessato 400 milioni di ettari di terreno desertico nelle regioni di confine, ma sono ancora ben distanti dalla soluzione ottimale ricercata dagli studiosi del settore.

La Cina ha comunque un’antichissima tradizione in materia di protezione ambientale. Il principio della salvaguardia del patrimonio naturale è già presente negli insegnamenti di Confucio, di Lao Tze, del taoismo, del confucianesimo e del buddhismo. L’attuale governo ha istituito 400 nuove aree protette nazionali, che occupano l’11,3% del territorio. La Cina possiede sette riserve della biosfera sotto la tutela dell’UNESCO, la più famosa delle quali è la riserva naturale nazionale Wolong, istituita nel 1975 per proteggere l’habitat del panda. Nel 1985 il Paese ha ratificato la convenzione sui luoghi patrimonio dell’umanità; tra i 30 World Heritage Sites del Paese ricordiamo il parco nazionale di Lushan (1996), le grotte di Mogao (1987), i monti Wuyi (1999), la riserva naturale Jiuzhaigou (1992).

Il governo cinese ha inoltre sottoscritto alcuni accordi internazionali sull’ambiente concernenti la biodiversità, la desertificazione, le specie in via d’estinzione, la protezione dell’ozonosfera, le zone umide, la convenzione sul Diritto del mare, il Trattato Antartico ed i Trattati per il Legname tropicale del 1983 e del 1994, ma non il famoso Protocollo di Kyoto. Questo potrebbe compromettere a lungo andare lo sviluppo dell’economia di tutto il Paese se non riuscirà a sostenere il proprio ambiente naturale compatibilmente con la progressione del proprio sviluppo.

Lo Sviluppo sostenibile è definito dall’UNESCO11 come lo sviluppo che garantisce i bisogni, in termini di consumo, delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri, attraverso un uso non eccessivo delle risorse ambientali non rinnovabili e nel rispetto e nella tutela dell’ambiente, garantendo l’equilibrio naturale.

Infine, nello scorso agosto 2007, il governo cinese ha firmato numerosi accordi con il governo indiano evidenziando che, oltre ad intensificare gli

11 UNESCO (2001).

(20)

approvvigionamenti di petrolio, gas e carbone, India e Cina sembrano intenzionate a cooperare anche in campo ambientale, per ridurre le emissioni di gas serra, causa del surriscaldamento globale e dei principali cambiamenti climatici.

Buoni propositi in tal senso hanno anche espresso i rappresentanti dei due Paesi nel corso del G8 di giugno 2007 in Germania. Inevitabile lo scetticismo di tanti, ma, visti i ritmi con cui interagiscono i due giganti asiatici, non stupirebbe poi tanto se i primi veri risultati nella salvaguardia del clima giungessero proprio da Cina e India.

1.2 Caratteristiche demografiche

La Cina ha una popolazione di 1.321.851.900 abitanti12, con una densità media di 141 unità per km². Il dato rappresenta la media di una distribuzione geografica in realtà molto irregolare. La maggior parte della popolazione è infatti concentrata nelle province orientali, teatro dei maggiori eventi della storia cinese.

Nonostante la diffusione dell’industria e la recente costituzione di grandi poli produttivi, la Cina continua a essere un Paese principalmente rurale e agricolo. L’urbanizzazione è avvenuta attraverso un processo lento e graduale, intensificatosi solo a partire dagli anni ottanta del XX secolo; nel 2006 circa il 60% della popolazione viveva in insediamenti rurali rispetto all’80% del 1970.

Nella seconda metà del XX secolo la Cina ha vissuto un impetuoso processo di transizione demografica. La prima fase, iniziata negli anni cinquanta del XX secolo e durata fino agli anni ottanta, si è tradotta in una fortissima crescita della popolazione, che ha raggiunto il miliardo di individui intorno al 1990. Il calo della fecondità, passata da 6 figli per donna nei primi anni cinquanta a 3,26 nel 1975, a 2,4 nel 1985 e a 1,8 nel 1998, è stato in parte bilanciato dalla

12 Dato del 2006. Il 93% della popolazione cinese appartiene al gruppo degli han, le cui caratteristiche culturali sono relativamente omogenee grazie alla millenaria storia unitaria del Paese; il resto della popolazione, oltre cinquanta diverse etnie, si distingue da essi più per ragioni linguistiche e religiose che per precise caratteristiche somatiche.

(21)

diminuzione della mortalità; tra il 1950 e il 2000 la speranza di vita alla nascita è passata infatti da 35/40 a 70 anni.

Il netto calo del tasso di crescita della popolazione registratosi negli ultimi anni è dovuto alla drastica strategia di contenimento delle nascite, inaugurata negli anni ottanta, e soprattutto alle norme che penalizzano le famiglie con più di un figlio; politica questa coerente con la teoria demografica di Malthus ricordata nel primo capitolo. Oltre a introdurre disincentivi fiscali, il governo cinese ha favorito un rafforzamento della sanità pubblica rivolto alla diffusione di pratiche contraccettive. Il controllo delle nascite fa oggi parte del costume cinese con la conseguenza che la contraccezione è largamente diffusa e vi fa ricorso circa il 90% delle donne sposate.

La Tabella 1 riporta la distribuzione della popolazione per fasce d’età.

L’età media della popolazione e l’aspettativa di vita alla nascita sono riportate nelle Tabelle 2 e 3, rispettivamente. In tutte e tre le tabelle, nell’ultima colonna viene indicato il corrispondente dato italiano. Dalle tabelle, che verranno riprese nei prossimi paragrafi, si nota che l’aspettativa di vita è inferiore a quella del nostro Paese e che la popolazione cinese è più giovane di quella italiana.

Il tasso di crescita della popolazione nel 2006 è stato dello 0,59% (in Italia 0,04%).

Tabella 1 – Distribuzione della popolazione per fasce d’età

Età Cina Italia

0-14 anni 20,8% 13,8%

15-64 anni 71,4% 66,5%

65 anni o più 7,7% 19,7%

Fonte: Ministero della Difesa (2007a)

(22)

Tabella 2 – Età media della popolazione

Età media Cina Italia

Totale popolazione 32,7 42,2

Maschi 32,3 40,7 Femmine 33,2 43,7

Fonte: Ministero della Difesa (2007a)

Tabella 3 – Aspettativa di vita alla nascita Aspettativa di vita Cina Italia

Totale popolazione 72,58 79,81

Maschi 70,89 76,88 Femmine 74,46 82,94

Fonte: Ministero della Difesa (2007a)

La Cina ha una lunga e ricca tradizione culturale, in cui l’istruzione ha avuto un ruolo importante; al riguardo si evidenzia come la conoscenza risulti uno dei fattori più importanti nella crescita economica di un Paese, poiché direttamente coinvolta nella formazione del capitale umano, questa rappresenta una delle maggiori differenze con l’India, come analizzeremo meglio nei prossimi paragrafi. Nel 1949 l’80% della popolazione adulta era analfabeta, mentre nel 2005 il tasso di alfabetizzazione raggiungeva l’87,3%. Uno dei più ambiziosi programmi governativi è stato quello di garantire un buon livello di istruzione a tutta la popolazione: tra il 1949 e il 1951, più di 60 milioni di contadini hanno frequentato le “scuole d’inverno” organizzate nei mesi in cui essi non erano occupati nel lavoro dei campi.

Il sistema educativo cinese si struttura in due primi cicli di base: la scuola primaria, della durata di sei anni, e quella secondaria, composta da due cicli di corsi triennali. Nell’attuale sistema, gli studenti più capaci che frequentano le scuole superiori vengono ammessi a corsi di specializzazione mirati a formare un’élite accademica. Dopo la scuola secondaria gli studenti possono accedere a

(23)

istituti di istruzione superiore, soprattutto a indirizzo tecnico-scientifico, o universitari.

1.3 Economia

L’agricoltura è da millenni il tradizionale caposaldo dell’economia cinese.

Essa si impose sulle pratiche pastorali delle popolazioni nomadi turche e mongole, acquisendo nel tempo un rilevante significato sociale oltre che economico;

l’agricoltura e la classe dei contadini, nella visione confuciana, erano infatti centrali per il mantenimento dell’ordine cosmico.

L’agricoltura cinese ebbe un forte sviluppo iniziale grazie all’introduzione di innovazioni tecniche sconosciute in Europa e allo sviluppo delle opere per l’irrigazione e il controllo delle acque, di norma realizzate dal potere centrale, per poi mantenersi invece, per molti secoli, scarsamente meccanizzata e fortemente condizionata dai fenomeni naturali.

A partire dall’XI secolo, sotto la dinastia Sung, si sviluppò un’economia basata, oltre che sull’attività agricola, sul commercio e su forme sofisticate di artigianato, i cui prodotti erano conosciuti anche in Europa. Alla crescita dell’attività scientifica corrispose peraltro un forte sviluppo delle tecniche agricole e in particolare di quelle per la coltivazione del riso, della seta e del cotone. Sotto la dinastia Sung la popolazione cinese passò in meno di due secoli da poche decine di milioni a più di cento milioni. Con i Ching la Cina conobbe un altro periodo di grande prosperità e di espansione demografica; verso la metà del XIX secolo contava infatti più di 300 milioni di abitanti.

Sconfitta nelle guerre dell’oppio, la Cina fu costretta a concedere alle potenze occidentali consistenti privilegi commerciali e territoriali. L’influenza occidentale, dalle sue basi nelle maggiori città portuali, si spinse verso l’interno del Paese. La penetrazione occidentale ebbe effetti deleteri per la società e l’economia cinesi gettando il Paese in una profonda crisi, che nemmeno l’istituzione della Repubblica nel 1912 avrebbe risolto. La frammentazione della Cina in una miriade di potentati controllati e difesi dai cosiddetti signori della

(24)

guerra, l’esplosione del conflitto civile e l’occupazione giapponese peggiorarono la già gravissima situazione.

Nel 1949 la guerra, durata quasi trent’anni, si concluse con la vittoria delle forze comuniste guidate da Mao Zedong. Imposto un regime socialista e nazionalizzate tutte le risorse, il Partito comunista cinese avviò la ricostruzione della struttura economica del Paese, rivolgendo una particolare attenzione alle aree rurali e all’agricoltura. Il nuovo governo diede infatti avvio a una riforma agraria che portò alla redistribuzione della terra a 300 milioni di contadini che furono organizzati in cooperative agricole. Il primo piano quinquennale (1953- 1958) cambiò il volto dell’economia cinese, apportando profonde modifiche in tutti i settori e in particolare in quello industriale, con la creazione di una potente industria pesante.

Conclusa la collettivizzazione dell’agricoltura nel 1956 con la creazione di comuni rurali (“Comuni del popolo”), nel 1958 il governo cinese avviò un secondo piano quinquennale dagli ambiziosi obiettivi. Negli anni successivi, gli effetti delle lotte al vertice del potere e una serie di clamorosi errori condussero al fallimento del cosiddetto “Grande balzo in avanti”, che gettò il Paese nel caos e provocò una drammatica carestia nella quale trovarono la morte diversi milioni di persone.

Dopo il 1960 l’economia cinese entrò in un periodo di riassestamento; nel 1965 la produzione, fortemente sostenuta dal governo, raggiunse livelli paragonabili a quelli del precedente decennio. Un terzo piano quinquennale fu avviato nel 1966, ma la sua efficacia fu compromessa dalla contemporanea esplosione dello scontro politico della rivoluzione culturale.

Alla morte di Mao Zedong, avvenuta nel 1976, la Cina si era ormai affermata come uno dei maggiori Paesi agricoli e industriali del mondo; in poco più di vent’anni, nonostante i drammatici periodi di crisi economica e politica, aveva raggiunto l’autosufficienza alimentare e creato un forte apparato industriale;

inoltre, alla maggioranza dei cittadini erano garantiti i diritti all’istruzione e alla sanità. Rinsaldatosi sotto la guida di Deng Xiaoping, il governo cinese promosse una campagna di sviluppo chiamata delle “quattro modernizzazioni”

(25)

(dell’agricoltura, dell’industria, della ricerca scientifica, dell’esercito), che si proponeva di introdurre, attraverso una profonda ristrutturazione dei comparti produttivi, elementi di mercato nell’economia socialista. Altre misure introdotte negli anni ottanta favorirono un ulteriore decentramento della pianificazione economica e la liberalizzazione dei prezzi al consumo.

La fase di espansione economica inaugurata alla fine degli anni settanta fece della Cina la più grande potenza asiatica e una delle maggiori potenze economiche del mondo. Dopo il XIV congresso del Partito comunista cinese, svoltosi nel 1992, la Cina adottò ufficialmente un sistema economico “socialista”, un sistema, cioè, in cui lo Stato non ha più il compito di detenere la proprietà dell’apparato produttivo, né di occuparsi direttamente della sua gestione, ma quello di far sì che lo sviluppo interessi tutte le regioni del Paese e di garantire l’efficiente funzionamento dei servizi pubblici e un’equa distribuzione della ricchezza tra le classi sociali.

Nel 1999 venne introdotta l’ultima importante innovazione, con il riconoscimento ufficiale della proprietà privata. La grande trasformazione economica, se ha fatto della Cina una formidabile potenza economica, ha tuttavia portato in pochi anni alla diffusione di nuovi fenomeni che espongono il Paese a forti rischi di destabilizzazione: l’abbandono delle campagne e la concentrazione della popolazione nelle periferie delle città e nei poli industriali; l’aumento della disoccupazione, provocato dalla chiusura di molte industrie statali e dalla ristrutturazione dell’apparato amministrativo; la concentrazione della ricchezza nelle mani di una classe imprenditoriale non sempre all’altezza del suo ruolo; la comparsa di un esteso ceto di poveri; lo sviluppo di acute tensioni sociali, culturali, religiose nella società e tra le diverse regioni dell’immenso Stato cinese.

Il PIL nel 2004 è stato di 1.932 miliardi di dollari americani, pari a un reddito pro capite di 1.500 dollari. Nei primi quattro anni del 2000 la Cina ha registrato un tasso di crescita del PIL uguale e superiore al 10%.

(26)

Secondo il “Comunicato statistico dello sviluppo economico e sociale della Repubblica popolare cinese nel 2006” 13, pubblicato dall’Ufficio nazionale di statistica della Cina, il 2006 per la Cina è stato un altro anno di alta crescita.

Il PIL del Paese nel 2006 è stato pari a circa 2.094 miliardi di dollari americani, con un incremento del 10,7% rispetto al 2005. L’alta crescita del PIL nel 2006 è principalmente dovuta al consistente incremento (12,5%) del valore aggiunto del settore secondario (industria e edilizia), mentre il settore primario ha avuto una crescita solo del 5% e il settore terziario del 10,3%. Il PIL della Cina ha raggiunto i 653 miliardi di dollari americani nel primo trimestre del 2007, l’11,1%

in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il settore secondario ha registrato un incremento del 13,2% nel periodo gennaio-marzo 2007, mentre il settore primario ha avuto una crescita del 4,4%. Il terziario, che include anche il turismo, le telecomunicazioni e le assicurazioni, ha registrato un aumento del 9,9%.

Il primo semestre del 2007 è stato decisamente positivo per i mercati cinesi. Nonostante la Banca centrale cinese abbia, per sei volte nel corso dell’anno, aumentato la quota di riserve obbligatorie delle istituzioni bancarie, portandole ora al 12%, la liquidità sui mercati ha continuato a crescere. La misura è stata interpretata dal mercato come diretta a limitare il rischio di inflazione e a stabilizzare la crescita e non è stata in grado di cambiare il momento positivo, dovuto anche ai rosei dati sui profitti di metà anno delle imprese.

Analizzando più nello specifico l’agricoltura, essa rappresenta una tradizionale risorsa economica del Paese e rimane un settore importante dell’economia. I terreni coltivabili non coprono più del 16,5% della superficie complessiva del Paese e si trovano soprattutto nelle regioni orientali. Il consistente aumento della produzione agricola avvenuto a partire dal 1949 e il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare furono dovuti all’introduzione di moderne tecniche di coltivazione e ai cambiamenti apportati all’organizzazione

13 Si veda China Business (2007).

(27)

dell’attività. Le comuni create nel 1958 divennero le nuove unità socio- economiche e garantirono il raggiungimento degli obiettivi posti dal governo.

Il sistema permise di condurre esperimenti su grande scala, quali lo sviluppo di nuovi metodi di irrigazione e drenaggio, che, assieme a un uso massiccio di fertilizzanti, permisero di ottenere fino a tre raccolti l’anno, soprattutto nelle valli del bassopiano cinese e nel medio e basso corso del Chang Jiang, causando tuttavia l’impoverimento dei suoli. All’inizio degli anni novanta il governo, per combattere la carenza di derrate alimentari conseguente all’aumento della media dei consumi pro capite, riorganizzò il metodo collocando la famiglia al centro del sistema di produzione, concedendole di concordare singolarmente con le autorità locali i quantitativi da produrre e le eccedenze da vendere liberamente. La rigida pianificazione precedente, dettata dalla forte pressione esercitata sui terreni arabili, divenne più elastica e fu promossa un’economia di tipo misto, più rispettosa dell’ambiente e maggiormente remunerativa.

Per integrare la produzione, sono state recentemente create più di 2.000 aziende agricole statali, alcune delle quali a scopo sperimentale o per la produzione di raccolti destinati ai mercati urbani o esteri. Queste aziende si trovano spesso in zone vergini dove la densità di popolazione rurale è bassa e dove attrezzature moderne, normalmente poco diffuse, possono essere utilizzate con efficacia.

Circa l’80% dei terreni agricoli è destinato alla produzione alimentare. La Cina è il primo produttore mondiale di cereali e di riso, che rappresenta la principale coltura del Paese. Un altro cereale di cui il Paese è primo produttore mondiale è il frumento. Sono importanti inoltre le produzioni di miglio e di soia, di cui la Cina è il quarto produttore mondiale, sorgo e caoliang (un’altra specie di sorgo). Il mais occupa circa il 20% delle aree coltivate; anche la produzione di avena è importante.

Uno dei principali prodotti da esportazione è il tè. Fiorente è inoltre la coltivazione di piante tessili, tra cui il cotone, di cui la Cina è il maggiore produttore mondiale, ramiè, iuta, canapa, lino. Il Paese è infine primo produttore

(28)

mondiale di seta naturale, la cui produzione si basa sulla sericoltura, attività tradizionale del Paese.

In Cina l’allevamento costituisce un’altra risorsa molto importante. Nelle zone agricole più sfruttate, la povertà dei terreni destinabili al pascolo limita fortemente l’allevamento di bovini, ovini e caprini, ma in compenso è notevolmente diffuso quello dei suini, fondamentale per l’alimentazione.

Nonostante la pesca sia praticata tuttora con metodi piuttosto antiquati, la Cina è tra i primissimi produttori di pesce del mondo. Nel Paese sono presenti numerosi allevamenti ittici, in particolare di carpe, uno degli elementi base dell’alimentazione cinese.

Inoltre la Cina possiede una grande varietà di risorse minerarie: nel sottosuolo cinese sono presenti circa 150 tipi di minerali diversi. Il settore dell’estrazione mineraria occupa il 4% della popolazione attiva. Sono presenti anche ingenti risorse energetiche. Le riserve di carbone, di cui il Paese è il primo produttore al mondo, sono calcolate in 126.215 milioni di tonnellate e le riserve di petrolio sono stimate in 18 miliardi di barili. Sono presenti inoltre giacimenti di olio di scisto, riserve di minerali di ferro, giacimenti di ematite e di minerali di alluminio. La produzione di stagno raffinato copre l’8% della produzione mondiale e si trovano ricchissimi giacimenti di antimonio e tungsteno. Sono presenti inoltre magnesite, molibdeno, mercurio, manganese, piombo, zinco e rame; infine sono stati scoperti giacimenti di uranio. Altre risorse minerarie importanti sono il sale, il talco, la mica, il quarzo e la silice.

L’industria cinese iniziò a svilupparsi solo a partire dagli anni cinquanta.

Inizialmente la Cina si ispirò al modello sovietico, basando quindi lo sviluppo del settore sull’industria pesante. L’industria conobbe una grave crisi in seguito al fallimento del “Grande balzo in avanti” e alla sospensione, risalente al 1960-61, dell’assistenza economica e tecnica da parte dell’Unione Sovietica. Il settore riprese a crescere nel 1965, ma fu solo alla fine degli anni settanta che iniziò il suo impetuoso sviluppo, favorito dalle riforme introdotte dalle “quattro modernizzazioni”.

(29)

La ristrutturazione del settore favorì l’espansione della produzione dei beni di consumo e dell’industria edile, incentivata per migliorare le condizioni delle abitazioni urbane.

Nel 1979, nell’intento di limitare il forte deficit, venne esteso al settore industriale la riforma sperimentata nell’agricoltura. Tra le misure più importanti adottate nel periodo successivo, vi fu la liberalizzazione dei prezzi e la costituzione, sul modello capitalistico, di quattro zone economiche specializzate.

Dal 1995 il comparto industriale subì ulteriori ristrutturazioni, anche se il previsto progetto di dismissione o di riconversione di migliaia di fabbriche statali fu realizzato solo in parte per i drammatici effetti che avrebbe avuto sull’occupazione con la stima di perdere in poco tempo circa 30 milioni di posti di lavoro.

Oggi il settore industriale cinese è costituito ancora da molte imprese statali, in via di ristrutturazione e di vendita a investitori privati, e dal nuovo comparto privato, concentrato in gran parte nelle quattro zone economiche speciali, la cui produzione è destinata in massima parte al mercato estero. Queste zone sono molto competitive, non solo per i cospicui privilegi fiscali di cui godono, ma anche perché, in esse, non si applica la normativa del lavoro e permangono, quindi, le possibilità di sfruttamento della forza lavoro ancora in forma considerevole. Si pensi che un salario operaio è mediamente più basso di quello del resto della Cina ed equivale a circa un decimo di un salario operaio europeo.

Lo sviluppo dell’industria del ferro e dell’acciaio nel Paese è stato prioritario fin dal 1949, l’industria pesante più rilevante è rappresentata dalla cantieristica e dalle fabbriche di locomotive, trattori, macchinari per l’industria estrattiva e per la raffinazione del petrolio.

L’industria petrolchimica dispone di stabilimenti nella maggior parte delle province e delle regioni autonome cinesi. La produzione comprende fibre sintetiche, prodotti farmaceutici e materiale plastico. Una caratteristica dell’industria petrolchimica cinese è la presenza molto diffusa di piccoli stabilimenti che producono concime azotato utilizzando una tecnica di

(30)

produzione, sviluppata nel Paese, essenziale per mantenere fertili i terreni agricoli, anche se ora messa parzialmente in discussione per i conseguenti problemi all’ambiente.

Particolarmente fiorente nel Paese è l’industria tessile (cotone, seta, lana, lino, fibre sintetiche) che impiega più di quattro milioni di lavoratori. Altre industrie importanti producono cemento, carta, biciclette, macchine da cucire, veicoli a motore e apparecchi televisivi.

La Cina inoltre è uno dei principali Paesi produttori di elettricità del mondo; nonostante questo, il fabbisogno del Paese non viene soddisfatto, principalmente nelle città, e per questo il governo ha dato priorità, come già accennato, allo sviluppo del settore, avviando la realizzazione di una serie di dighe, di cui le principali – e le più critiche da un punto di vista ecologico e sociale, poiché causeranno l’evacuazione di migliaia di villaggi e il trasferimento di diverse centinaia di migliaia di persone – sono previste sul fiume Chang Jiang.

L’energia viene fornita soprattutto da centrali termoelettriche alimentate a carbone (78,77% del totale dell’energia prodotta), mentre le centrali idroelettriche coprono il 19,61% della produzione annua. A partire dagli anni cinquanta nel Paese si è sviluppata una dinamica industria aerea, rivolta soprattutto alla costruzione di velivoli per l’aviazione militare; a partire dagli anni settanta, con la costruzione del razzo Lunga Marcia, si è sviluppata l’industria spaziale, che finora ha messo in orbita circa 130 satelliti.

La Cina degli anni duemila si conferma quindi un Paese caratterizzato da una crescita che si sviluppa all’interno di un mercato che via via diventa sempre più competitivo, sebbene non ancora al massimo delle sue potenzialità. I settori produttivi tradizionali dell’economia cinese sono rappresentati dall’agricoltura, settore fondamentale dell’economia cinese, nonostante la contrazione registrata nel corso degli ultimi anni, dal settore manifatturiero, in fase di progressiva ulteriore espansione, e da quello energetico. Nel corso degli ultimi anni, la struttura economica cinese si è però progressivamente diversificata, fino a comprendere ormai tutti i principali settori produttivi. Relativamente importante è anche il settore dei servizi, con particolare riguardo al settore finanziario,

(31)

assicurativo e commerciale. La ricchezza delle risorse naturali e la grande disponibilità di manodopera portano a considerare la Cina una potenziale forza economica a livello mondiale, ma per il momento l’agricoltura presenta un grado di meccanizzazione ancora troppo basso, mentre l’industria appare in buona parte tecnologicamente arretrata. L’attenzione delle più alte autorità del Paese appare pertanto attualmente incentrata sulla ricerca di un nuovo modello di crescita economica per la Cina, rispetto a quello finora perseguito, maggiormente equo e sostenibile anche negli aspetti socio-ambientali. In termini pratici, la Cina ha individuato per il prossimo futuro la necessità di ridurre il gap esistente tra i redditi delle aree urbane e quelli delle aree rurali e, più in generale, si pone l’obiettivo di migliorare gli standard di vita delle fasce più povere della popolazione; il governo è poi in particolare impegnato nella creazione di nuova occupazione, in gran parte incoraggiando la crescita del settore privato.

Un tempo il commercio interno cinese obbediva a leggi di pianificazione statale. Fino alla fine degli anni settanta il governo forniva alle imprese di Stato macchinari e materie prime e la distribuzione della merce era affidata ad agenzie statali. I prodotti di consumo richiesti dalla popolazione rurale venivano forniti da cooperative incaricate della commercializzazione dei prodotti. Olio, carne, zucchero, cereali e tessuti di cotone erano razionati e venduti a prezzi politici; i cereali venivano distribuiti nelle zone rurali come remunerazione per il lavoro effettuato.

Dal 1979 le imprese dello Stato hanno una maggiore autonomia e sono libere di commercializzare parte dei loro prodotti. Nei centri urbani tale riorganizzazione ha portato alla rapida crescita di attività private, soprattutto nel settore dei servizi; nelle campagne sono stati riaperti i mercati, dove le famiglie possono vendere le eccedenze della propria produzione e acquistare altri prodotti.

Per quanto riguarda il commercio estero, nel 1979 la Cina abolì alcune restrizioni aprendo la strada all’investimento e a un aumento degli scambi commerciali. Nel 2006 il valore totale delle esportazioni è stato di 869 miliardi di

(32)

dollari, a fronte di importazioni per 796 miliardi di dollari14. I prodotti esportati sono tessuti di cotone, seta, abbigliamento, riso, suini, prodotti ittici e tè; i prodotti di importazione comprendono macchinari, automobili, fertilizzanti, caucciù e frumento. Il Giappone è il Paese con cui la Cina realizza il maggior numero di scambi commerciali, seguito dagli Stati Uniti; tra gli altri si citano la Germania e Singapore. Un notevole impulso al commercio estero proviene dall’ingresso del Paese nell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO), avvenuto nel dicembre del 2001.

2. India15

L’Unione Indiana è uno Stato dell’Asia meridionale che comprende parte della regione himalayana e l’intera penisola indiana. Nata insieme al Pakistan nel 1947 dalla divisione del territorio dell’Impero britannico delle Indie, è, in base alla Costituzione adottata nel 1950, una repubblica parlamentare di tipo federale.

2.1 Territorio e ambiente

L’India può essere suddivisa in quattro principali regioni naturali: la regione dell’Himalaya, la pianura indogangetica, l’altopiano del Deccan e i Ghati orientali e occidentali.

Ai piedi dell’Himalaya è situata la piana indogangetica, la più estesa pianura alluvionale della terra, formata dai depositi dei fiumi Indo, Gange e Brahmaputra, che grazie all’abbondante presenza di acque e di ricchi suoli, è oggi la zona più fertile e densamente popolata dell’India, che sviluppò qui le sue prime civiltà. Queste pianure si estendono da ovest a est, dal confine con il Pakistan al confine con il Bangladesh, per proseguire nell’estrema zona nordorientale del Paese attraverso uno stretto corridoio di terra nei pressi di Darjeeling.

14 I dati citati sono forniti dal Consolato cinese, Sezione Economica Commerciale, http://milan2.mofcom.gov.cn.

15 La fonte dei dati citati è il Ministero della Difesa (2007b), se non diversamente indicato.

(33)

Per ovviare ai drammatici problemi della sovrappopolazione e della carenze di risorse alimentari l’India, che conta circa 1 miliardo di abitanti, ovvero circa un quinto della popolazione mondiale, ha dovuto adottare strategie di sviluppo agricolo e industriale che hanno comportato e comportano pesanti ripercussioni in ambito ecologico. Benché il Paese abbia fatto molto per limitare gli abusi sull’ambiente, l’India si trova ancora oggi a dover affrontare gravi minacce ambientali, quali la deforestazione, dovuta in gran parte alla raccolta di legname impiegato come combustibile, lo sfruttamento eccessivo dei pascoli e la desertificazione, causata principalmente dalla pratica della monocoltura. Fra gli altri problemi ambientali vi sono l’erosione e l’inquinamento idrico, causato, tra l’altro, dal mancato trattamento delle acque di scolo e dallo scarico dei pesticidi agricoli. Problema rilevante è infine l’inquinamento atmosferico, causato dagli scarichi industriali e dai gas di scarico dei veicoli.

Nel 2004 il 4,9% della superficie territoriale era sotto tutela ambientale. In India il concetto di protezione delle aree naturali, in particolare delle foreste, risale a migliaia di anni fa, con l’istituzione di boschetti sacri e riserve di caccia. Le prime leggi forestali furono approvate intorno alla metà del XIX secolo. La legislazione moderna ha incorporato un certo numero di leggi in materia di diritto ambientale, continuando così a considerare la conservazione ambientale uno dei problemi prioritari della Nazione. Tra i numerosi parchi nazionali e riserve naturali del Paese si ricordano il Parco nazionale Gir e il Parco nazionale Corbett.

L’India ha ratificato la Convenzione per la protezione dei luoghi patrimonio dell’umanità e la Convenzione di Ramsar sulle zone umide.

Nell’ambito del programma “L’uomo e la biosfera” dell’UNESCO sono previste tredici riserve della biosfera. Tra i numerosi progetti di tutela ambientale adottati dal governo indiano vi sono il Progetto Tigre, che ha istituito nove riserve speciali per questo animale, e il Progetto per l’allevamento e la tutela dei coccodrilli. È inoltre previsto un Progetto per la conservazione del leopardo delle nevi per la regione dell’Himalaya. Il Paese ha firmato e ratificato inoltre molti accordi internazionali per la tutela dell’ambiente, fra cui la Convenzione sul Diritto del mare, il Trattato per il Legname tropicale, il Trattato Antartico e quelli relativi alla

(34)

biodiversità, al cambiamento del clima, alle specie in via d’estinzione, alle modificazioni dell’ambiente, ai rifiuti pericolosi, alla messa al bando dei test nucleari, alla protezione dello strato di ozono e all’inquinamento di origine navale.

2.2 Caratteristiche demografiche

Con 1.095.352.000 abitanti nel 2006 l’India è per popolazione il secondo Paese del mondo dopo la Cina. La densità media è di 368 abitanti per km². Nel 2003 il 72% degli abitanti del Paese viveva in zone rurali e un terzo della popolazione totale viveva al di sotto della soglia di povertà stabilita dai parametri delle Nazioni Unite.

Il rapido incremento demografico che l’India ha conosciuto a partire dagli anni quaranta del XX secolo fu determinato dai ragguardevoli risultati raggiunti nella lotta contro le carestie locali e dal miglioramento delle condizioni igienico e sanitarie, che portarono a una forte riduzione del tasso di mortalità. Con un tasso di incremento demografico annuo pari all’1,38%, l’India registra attualmente una crescita demografica costante, tuttavia notevolmente inferiore ai picchi raggiunti tra gli anni cinquanta e settanta del XX secolo, che richiesero l’intervento di drastiche misure di pianificazione familiare, tra cui impopolari campagne di sterilizzazione.

La composizione etnica dell’India, estremamente eterogenea, è frutto di un continuo flusso di migrazioni che nei millenni ha portato sul suolo indiano popoli con culture, lingue e religioni estremamente diverse tra loro16. La crescita del nazionalismo e del fondamentalismo religiosi nel corso degli anni ottanta e

16 Attualmente, i principali gruppi etnici presenti sul territorio indiano sono quelli indo-ariani (72%), dravidi (25%) e mongoli (3%). I principali gruppi religiosi del Paese sono costituiti da induisti (che rappresentano circa l’82% della popolazione), musulmani (12%), cristiani (2,3%) e sikh (2%). Altre importanti minoranze sono rappresentate dai buddhisti (0,7%), dai giainisti e dai parsi.

(35)

novanta ha fomentato in alcune zone del Paese tensioni di natura politica e sociale, manifestandosi talora in forma violenta, come nel caso delle rivolte avvenute nel Punjab nel 1992 e nel 1993; ciò costituisce una seria minaccia per il futuro dello Stato laico in India.

La Costituzione indiana esprime il proposito di sradicare l’antico sistema della casta che per secoli ha negato ogni possibilità di progresso sociale agli strati inferiori del sistema, i cosiddetti ‘intoccabili’. All’indomani dell’indipendenza furono intraprese importanti misure per promuovere attivamente l’istruzione e migliorare le condizioni di vita di queste classi marginali, la cui origine si collega alla sovrapposizione di gruppi etnici economicamente e culturalmente superiori su popolazioni sottomesse.

Dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1947, l’India cercò di sviluppare un sistema scolastico unico e integrato, ma l’acculturazione della giovane popolazione indiana, con la complessità sociale e religiosa che la caratterizza, non fu opera facile. Ciononostante sono stati intrapresi, e largamente realizzati, cambiamenti radicali e strutturali e dall’epoca dell’indipendenza il numero delle scuole e degli studenti è notevolmente cresciuto.

Dopo le riforme degli anni ottanta il sistema scolastico, quasi interamente gestito dai governi dei singoli Stati, prevede l’istruzione obbligatoria e gratuita dai 6 ai 14 anni; recentemente è stato inoltre istituito un programma nazionale di alfabetizzazione degli adulti. Nel 2005 il tasso di alfabetizzazione della popolazione adulta era del 56,6%, contro il 43% degli anni ottanta del XX secolo.

Il Paese conta circa 200 atenei, tra cui i più antichi sono le università di Kolkata, Mumbai e Chennai, sorte nel 1857.

In India la popolazione rappresenta la maggior fonte di vantaggio, perché giovane, come si evince dalle tabelle, e in continua crescita, ma questo sarà un argomento del prossimo paragrafo. La Tabella 4 riporta la distribuzione della popolazione per fasce d’età. L’età media della popolazione e l’aspettativa di vita alla nascita sono riportate nelle Tabelle 5 e 6, rispettivamente. In tutte e tre le tabelle, nell’ultima colonna viene indicato il corrispondente dato italiano.

(36)

Il tasso di crescita della popolazione nel 2006 è stato dell’1,51% (in Italia 0,07%).

Tabella 4 – Distribuzione della popolazione per fasce d’età

Età India Italia

0-14 anni 30,8% 13,8%

15-64 anni 64,3% 66,5%

65 anni o più 4,9% 19,7%

Fonte: Ministero della Difesa (2007b)

Tabella 5 – Età media della popolazione

Età media India Italia

Totale popolazione 26,2 42,2

Maschi 24,9 40,7

Femmine 27,3 43,7

Fonte: Ministero della Difesa (2007b)

Tabella 6 – Aspettativa di vita alla nascita Aspettativa di vita India Italia

Totale popolazione 64,71 79,81

Maschi 63,90 76,88

Femmine 65,57 82,94

Fonte: Ministero della Difesa (2007b)

L’India è il secondo Paese al mondo per numero di abitanti dopo la Cina.

Ciò comporta una forte domanda di alimenti e rende necessaria una crescita rapida della produzione agricola; infatti un tasso di crescita di circa 1,5%, applicato ad un miliardo di individui, significa circa 15 milioni di persone in più ogni anno.

Inoltre i problemi principali della popolazione sono la scarsa disponibilità di acqua potabile, le condizioni igieniche scadenti, causate dal forte inquinamento

(37)

idrico, il ridotto accesso all’acqua e alla rete fognaria, la scarsità di medici e ospedali. Tra le riforme prioritarie indicate dalla Banca mondiale vi sono quelle rivolte a migliorare il grado di salute e di istruzione della popolazione. È la stessa Banca mondiale a suggerire la cooperazione con le comunità locali e le organizzazioni non governative.

2.3 Economia

L’India ha un’economia di tipo misto in cui il governo, sia a livello federale sia nei singoli Stati, svolge un importante ruolo di regolazione e pianificazione, oltre a essere titolare di numerose imprese pubbliche. L’intervento su larga scala dello Stato nell’economia risale agli anni cinquanta e all’impostazione nazionalistica e socialista del primo governo che seguì all’indipendenza, guidato da Jawaharlal Nehru, che intese promuovere la crescita e lo sviluppo economico per far fronte al rapido incremento della popolazione. Il primo piano economico quinquennale fu varato nel 1952; nei decenni che seguirono lo Stato nazionalizzò alcuni settori-chiave dell’economia, sostenendone altri con forti investimenti, e sottopose il settore privato a un ampio controllo.

Vennero imposte barriere tariffarie e doganali allo scopo di proteggere le industrie nazionali e furono avviati alcuni programmi di riforma agraria. I risultati, nel corso dei decenni seguenti, sono stati generalmente positivi: nel trentennio 1950- 1980 la produzione agricola è significativamente cresciuta, allontanando lo spettro delle grandi carestie. Il Paese ha da tempo gettato le basi di un moderno Stato industriale e l’India è oggi un importante produttore mondiale di acciaio. Tali progressi sono stati tuttavia insufficienti e non hanno avuto che effetti marginali sul reddito della maggioranza della popolazione.

Nel 2006 il PIL è stato di 783.750 milioni di dollari americani, pari a un PIL pro capite di 750 dollari.

Riferimenti

Documenti correlati

Due nazioni che hanno a lungo primeggiato nella scienza e nella tecnica, che hanno dato al mondo alcuni dei più sublimi tesori dell’arte, dove sono nate grandi religioni e

In area asiatica, prima dell’avvento della navigazione oceanica, la circo- lazione del corallo rosso e di quello raccolto nell’area del Golfo Persico e del Mar Rosso – per lo

In fact, the MNPs entrapped in the neurites exert a force vector when exposed to an external magnetic field ( Fig. 1 B): the angular component b q, being responsible for rotating

directly  related  to  the  quality  of  this  food.  However,  the  concentration  of  pigments  can  vary  significantly  depending  on  the  climate 

Nel Deccan è presente anche una savana particolarmente umida, mentre le zone più aride sono in gran parte ricoperte dalla steppa.. Nel III millennio a.C., nella valle dell’Indo

convergenza di interessi con gli Stati Uniti in agende specialmente riguardanti la difesa, agisce in questo contesto come sostenitrice dell’ordine ed aspira a bilanciare l’azione e

Relativamente più numerose sono a Torino le persone con licenza elementare (39 per cento a fronte del 33 di Milano), senza titolo di studio e, sia pure su valori molto modesti, anche