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Uno dei modelli che si sono rivelati utili a tale scopo è l’infezione da virus dell’immunodeficienza felina (FIV) nel suo ospite naturale, il gatto domestico

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CAPITOLO 1:

INTRODUZIONE

1.1 FIV come modello animale per lo studio di HIV

Nello studio di un vaccino contro virus patogeni per l’uomo si è reso necessario l’impiego di modelli animali adeguati per testare nuove strategie di vaccinazione e valutarne l’efficacia protettiva in vivo.

Il diffondersi della pandemia dell’AIDS e l’identificazione del suo agente eziologico, il virus HIV, hanno reso necessaria la ricerca di adeguati modelli animali per lo studio sia dei meccanismi patogenetici della malattia sia per mettere a punto strategie preventive in grado di bloccare, o quantomeno contenere, la diffusione della pandemia.

Uno dei modelli che si sono rivelati utili a tale scopo è l’infezione da virus dell’immunodeficienza felina (FIV) nel suo ospite naturale, il gatto domestico.

Per definizione nessuno dei modelli animali a disposizione rappresenta l’esatta controparte dell’infezione prodotta da HIV nell’uomo, ma il sistema FIV/gatto possiede numerosi vantaggi che lo rendono un valido modello di studio.

La sindrome causata da FIV nel gatto ricorda da vicino l’immunodeficienza indotta da HIV sia dal punto di vista immunopatogenetico che dal punto di vista clinico. La sindrome infatti è caratterizzata da una progressiva compromissione del sistema immunitario dell’ospite che porta alla morte dell’animale in seguito ad infezioni di tipo opportunistico.

FIV inoltre presenta numerose omologie con HIV anche dal punto di vista molecolare come l’organizzazione del genoma, il meccanismo di replicazione, l’effetto citopatico in vitro ed il tropismo per macrofagi e linfociti T.

Altro vantaggio è rappresentato dal fatto che esistono per FIV come per HIV diversi sottotipi virali, cosa che consente di testare l’efficacia di vaccini nei confronti di challenge eterologhi .

Non meno importanti sono gli aspetti che riguardano la specie-specificità di FIV e quindi il ridotto rischio biologico per l’operatore nonché i contenuti costi di

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acquisto e di gestione degli animali che permettono di lavorare con gruppi più numerosi di questi ultimi.

1.2 Classificazione

FIV fa parte della famiglia Retroviridae e appartiene al genere Lentivirus (Tabella 1). Questo genere può essere a sua volta suddiviso in due gruppi, in funzione del tropismo cellulare e delle manifestazioni patogenetiche.

Al primo gruppo appartengono quei lentivirus che infettano prevalentemente linfociti T e cellule della linea monocito-macrofagica causando immunodeficienza. Ne fanno parte HIV-1 e 2, il virus dell’immunodeficienza delle scimmie (SIV), il virus dell’immunodeficienza bovina (BIV) e FIV.

Del secondo gruppo fanno parte invece i lentivirus che infettano le cellule della linea monocito-macrofagica determinando patologie di tipo immuno-mediato come il virus Visna Maedi (VMV) della pecora, il virus dell’artrite encefalite caprina (CAEV) ed il virus dell’anemia infettiva equina (EIAV).

I Retrovirus

Genere Esempio Morfologia del virione

Alfaretrovirus Virus del sarcoma di

Rous Tipo C

Betaretrovirus Virus del tumore

mammario del topo Tipo B e D

Gammaretrovirus Virus della leucemia felina

Deltaretrovirus Virus linfotropico T umano (HTLV)

Epsilonretrovirus Virus del sarcoma

del derma Tipo C

Lentivirus HIV 1 capside a forma conica

Spumavirus Spumavirus umano

Spumavirus felino particella immatura

Tabella 1: Classificazione dei retrovirus in base alla morfologia del virione

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1.3 Morfologia

FIV presenta una struttura morfogenetica molto simile ai lentivirus che causano sindromi di immunodeficienza acquisita nell’uomo e nei primati (HIV, SIV).

Il virione maturo appare come una particella di forma sferica del diametro di 80-125 nm. Si possono individuare un involucro esterno, l’envelope, dal quale emergono le glicoproteine virali di superficie (SU) e transmembrana (TM), ed un core centrale elettrondenso che racchiude il genoma virale e le proteine ad esso associate (Figura 1.1).

Figura 1.1: Virione maturo di FIV

L’envelope ha una composizione lipidica derivante dalla membrana plasmatica delle cellule da cui il virione è gemmato, mentre le glicoproteine SU e TM sono codificate dal genoma virale.

La proteina SU è altamente glicosilata. Ha una massa molecolare di 95 KDa (viene indicata come gp95) ed ha un ruolo fondamentale sia nello svolgimento del ciclo replicativo che nel tropismo virale in quanto è implicata nel riconoscimento del recettore della cellula target.

La proteina TM ha una massa molecolare di 36 KDa (gp36), attraversa il doppio strato lipidico dell’envelope e presenta un dominio amino-terminale esterno che prende contatto con la proteina SU.

Associata all’envelope nella parte interna si trova una proteina strutturale di matrice (MA, p15) che ha la probabile funzione di garantire la corretta associazione delle glicoproteine sulla superficie del virione maturo.

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Il capside ha una simmetria icosaedrica ed è formato da numerose unità proteiche la cui componente principale è la proteina capsidica (CA p25), che racchiude il genoma, i due filamenti di RNA a polarità positiva, e la proteine enzimatiche ad esso associate. Queste ultime sono utilizzate dal virus sia nella fase iniziale di infezione che in quella di assemblaggio del virione e comprendono la trascrittasi inversa (RT) un polipeptide di 65 KDa comune a tutti i membri della famiglia delle Retroviridae, la nucleocapsidica (NC) una proteina di 7 KDa (p7), l’integrasi (IN) di 32 KDa (p32) e la proteasi virale (PR).

In FIV ed in altri lentivirus che non infettano i primati come EIAV e CAEV è presente un altro enzima, la deossiuridina trifosfatasi (DU) il cui ruolo non è stato ancora del tutto chiarito.

1.4 Organizzazione del genoma

In generale il genoma dei retrovirus è costituito da due filamenti di RNA a polarità positiva uniti mediante le estremità al 3’, come dimostrato dalle microfotografie elettroniche dell’RNA estratto da diversi virus di tipo C, nelle quali sono visibili le due molecole di RNA contenute in ogni virione. E’ stato inoltre dimostrato che queste due molecole di RNA sono geneticamente identiche, quindi il genoma è diploide. A differenza degli altri virus ad RNA conosciuti il genoma dei retrovirus, pur essendo a polarità positiva, non funziona direttamente come messaggero ma deve venir retrotrascritto dalla RT virale in DNA, prima a singolo poi a doppio filamento, che si integra quindi nella cellula ospite.

Il genoma ha una lunghezza di circa 10 Kb, contiene un CAP all’estremità 5’ ed una coda di poli(A) all’estremità 3’. L’estremità 5’ oltre al CAP contiene una sequenza detta ridondanza terminale (R), ed una sequenza unica, U5. Nell’estremità 3’ è presente una regione di innesco del filamento positivo ricca di purine (poli purine tract, ppt), la sequenza unica U3, una sequenza R identica a quella che si trova al 5’.

Durante la retrotrascrizione le sequenze U3 ed U5 vengono duplicate: nel DNA provirale le due estremità conterranno ognuna le regioni U3/R/U5, chiamate long terminal repeats (LTR), lunghe circa 360 bp, nelle quali sono contenuti i siti necessari per l'integrazione del DNA provirale nel genoma dell'ospite. L'LTR al 5' serve anche

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da promotore per il controllo dell'espressione genica nelle cellule infette e include segnali che dirigono il corretto processamento dei trascritti virali (Sparger et al., 1992; Ikeda et al., 1996).

Nel genoma di tutti i retrovirus sono presenti tre open reading frame (ORF) principali denominate, dal 5’ al 3’: gag, pol, env. Queste codificano per proteine strutturali ed enzimatiche fondamentali per lo svolgimento del ciclo vitale virale. Il genoma dei lentivirus contiene, oltre alle tre ORF principali, numerose short ORF, che codificano per proteine ausiliarie. In HIV ne sono state identificate sei (vif, vpu, vpr, tat, rev, nef) mentre in FIV sono presenti tre ORFs: vif, ORF-A, rev (Tomonaga e Mikami, 1994). (Figura 1.2)

Figura 1.2 Organizzazione del genoma provirale e mappa dei trascritti di FIV

1.5 LTR

L'LTR di FIV è lunga circa 360 bp similmente a quella di CAEV, VMV ed EIAV ma di dimensioni inferiori a quelle dei lentivirus dei primati. Inoltre a differenza dell'LTR di HIV, quella di FIV è un promotore con una forte attività basale in tutti i tipi cellulari in cui è stata studiata, felini e non (Poeshla et al. 1998; Johnston et al.

1999). Oltre ad una TATA box, il promotore contiene diverse sequenze regolatorie tra cui un sito AP-1, due siti AP-4, un sito ATF-1 e uno NF-κB. Mutazioni in ognuno di

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questi siti portano ad una riduzione dell'attività basale del promotore. A differenza di HIV e SIV, che presentano nella regione R un elemento responsivo a Tat (TAR), in FIV non è presente questo elemento come non è presente un analogo meccanismo di transattivazione da parte di Tat (de Parseval e Elder, 1999).

1.6 GENI STRUTTURALI

Gag il gene gag è localizzato all’estremità 5’ del genoma. Codifica per una poliproteina che viene in seguito processata nelle tre maggiori proteine strutturali del core del virione, ossia MA, CA, NC (Elder e Phillips, 1994).

La sequenza di questo gene è abbastanza conservata sia nell’ambito di lentivirus di specie diverse che tra isolati diversi di FIV. È stato dimostrato che esiste un’omologia aminoacidica approssimativamente del 40% tra Gag di FIV e Gag di HIV (Elder e Phillips, 1995). La proteina MA costituisce la maggior parte dell’estremità N- terminale di Gag; MA di FIV è miristilata in posizione Gly-2, una modificazione che sembra permettere un legame più stabile con lo strato lipidico dell’envelope (Elder e Phillips 1994). Questa caratteristica è condivisa con gli altri lentivirus che infettano i primati, ma è unica rispetto ai lentivirus che non infettano i primati.

Pol il gene pol si trova parzialmente sovrapposto a gag per circa 109 nucleotidi. La regione pol di FIV viene tradotta come poliproteina Gag-Pol attraverso lo slittamento della cornice di lettura da parte dei ribosomi (Morikawa e Bishop, 1992), in maniera simile a quello che avviene per HIV. Come nel caso di altri lentivirus, questo spostamento della cornice di lettura non avviene in ogni traduzione, quindi non sempre viene prodotta la poliproteina (Elder e Phillips, 1994). Il successivo processamento da parte della proteasi virale determina la formazione delle quattro proteine enzimatiche necessarie per la replicazione e l’integrazione del genoma virale: la PR, l’RT, l’IN, la DU (Elder e Phillips 1994; Miyazawa et al. 1993).

Proteasi: pemette il taglio della poliproteina Gag-Pol nelle proteine strutturali ed enzimatiche risultanti, se stessa compresa.

Trascrittasi inversa: è un polipeptide di 65 KDa con attività enzimatica multifunzionale. Rappresenta l’enzima chiave del meccanismo di replicazione dei

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retrovirus ed è infatti comune a tutti i membri della famiglia Retroviridae. Possiede le seguenti attività:

DNA polimerasi RNA dipendente che catalizza la sintesi di un filamento di DNA complementare allo stampo di RNA positivo come estensione del tRNA specifico associato all’RNA genomico che agisce come innesco.

DNA polimerasi DNA dipendente che catalizza la sintesi di un filamento di DNA complementare a quello neosintetizzato generando un DNA a doppio filamento.

RNasi H che catalizza la reazione di degradazione della catena di RNA negli ibridi RNA-DNA lasciando un oligonucleotide come innesco per la sintesi del filamento di DNA a polarità positiva .

A differenza delle altre DNA polimerasi l’RT di FIV, come quella di HIV, non possiede attività proof-reading (esonucleasi in direzione da 3’ a 5’, o correzione di bozze) per il filamento nascente ed ha quindi un elevato tasso di incorporazione di nucleotidi errati ogni ciclo di replicazione. Questo fenomeno è alla base dell’elevata variabilità genomica che consente al virus di evolversi rapidamente eludendo le difese immunitarie dell’ospite.

Integrasi: la proteina integrasi di FIV è il maggior componente della parte carbossi- terminale della poliproteina Gag-Pol.

Ha una massa molecolare di 32 Kd ed è un enzima abbastanza conservato soprattutto nell’ambito dei lentivirus non infettanti i primati. Possiede un’attività endonucleasica che consente l’integrazione del DNA provirale retrotrascritto all’interno del genoma cellulare.

Deossiuridina trifosfatasi: si trova immediatamente adiacente all’RT verso l’estremità carbossi terminale della poliproteina Gag-Pol. E’ stato riscontrato nei lentivirus degli ungulati come EIAV, Visna Maedi, CAEV, ma è assente nei lentivirus che interessano i primati (HIV, SIV).

È stato dimostrato che questo enzima catalizza l’idrolisi di dUTP in dUMP per mantenere bassi i livelli di uracile nella cellula ospite in modo che non venga incorporato erroneamente nel DNA. Non è stato ancora però chiarito quale sia il suo ruolo nel ciclo vitale del virus.

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Env il gene env codifica per un unico precursore (in FIV di 145 Kd) a cui vengono tagliati a livello del reticolo endoplasmatico i residui glicosidici terminali.

Dopo questo primo taglio si forma una proteina di 130 Kd che subisce a sua volta un processamento da parte delle proteasi del Golgi le quali permettono la liberazione della proteina SU e la proteina TM . In generale per i Retrovirus queste glicoproteine rivestono un’importanza fondamentale nel tropismo virale in quanto sono coinvolte nell’interazione col recettore cellulare e nell’attività di fusione con la cellula ospite;

sono inoltre gli obiettivi primari per la risposta anticorpale.

Il gene env codifica anche per una lunga sequenza aminoterminale che comprende il primo esone del gene rev ed un peptide idrofobico di circa 20 aminoacidi coinvolto nel processamento e nel trasporto della SU (Elder e Phillips 1994, Miyazawa et al. 1993, Bendinelli et al. 1995).

La sequenza di env è la meno conservata tra gli isolati di FIV. Il livello di mutazioni nucleotidiche non sono però distribuite casualmente lungo il gene ma si concentrano in specifiche regioni, chiamate ipervariabili ed identificate come domini V (Pancino et al. 1993).

1.7 Geni Accessori

Il genoma dei lentivirus, a differenza di quello degli altri retrovirus, è caratterizzato dalla presenza di numerose piccole ORF implicate nella regolazione dell’attività e dell’infettività virale nonché nella determinazione del tropismo, nella persistenza dell’infezione virale nell’ospite e nell’induzione della patologia cronica (Tomonaga, Mikami 1996).

In FIV sono stati identificati tre geni accessori denominati rispettivamente:

vif, ORF-A, rev.

Vif il gene vif codifica per il cosiddetto fattore di infettività virale ed è localizzato tra i geni pol ed env. Viene tradotto in una proteina di 29 Kd a partire da un RNA messaggero parzialmente processato. È stato dimostrato che la proteina si localizza nel nucleo delle cellule infette e da qui esplica il suo ruolo primario nell’infezione virale (Chatterji et al. 2002). Studi effettuati su mutanti vif-negativi hanno dimostrato anche per FIV che il fattore di

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infettività virale è necessario per garantire una piena capacità replicativa e l’infettività su determinati tipi cellulari (Tomonaga e Mikami; 1996).

Rev il gene rev è presente e abbastanza conservato in tutti i gruppi di lentivirus conosciuti. È costituito da due esoni il primo dei quali si trova all’estremità 5’ di env ed il secondo vicino all’estremità al 3’. Viene trascritto in un RNA messaggero che successivamente subisce due o tre eventi di splicing. Il prodotto di rev di FIV è una proteina con una massa molecolare di 23 Kd, che , come nel caso di HIV (Felber et al. 1989), si localizza nel nucleolo delle cellule infette (Phillips et al. 1992). La sua funzione è quella di aumentare la stabilità dei trascritti non processati o processati parzialmente promuovendone l’esportazione nel citoplasma (Tomonaga e Mikami 1996). L’attività di Rev è fondamentale nel determinare quando l’infezione è latente o produttiva: nelle fasi iniziali dell’infezione la sua concentrazione è bassa e la maggior parte dell’mRNA virale è multiprocessato determinando la produzione di geni regolatori (Phillips et al. 1992); quando la sua concentrazione cellulare raggiunge un livello soglia aumenta il numero dei trascritti non processati (genoma virale e precursore Gag-Pol) o parzialmente processati (Env). L’infezione procede quindi verso le fasi tardive di assemblaggio e liberazione dei virioni progenie (Phillips et al. 1992; Tomonaga e Mikami, 1996).

L’attività di Rev viene esplicata sui trascritti che contengono un determinato segnale, il rev responsive element (RRE) che rappresenta la sequenza di riconoscimento con la quale la proteina è in grado di interagire. La sequenza RRE è localizzata al 3’ di env e possiede una specifica struttura secondaria. Nei lentivirus che non infettano i primati, FIV compreso, l’attività di Rev è analoga a quella di Rev di HIV. (Phillips et al. 1992 ; Tomonaga e Mikami, 1996).

ORF-A il gene ORF-A di FIV è localizzato tra vif ed il primo esone di rev.

Codifica per una proteina di 78 aminoacidi tradotta da mRNA policistronici che originano da eventi di splicing multipli; essi sono espressi sia nella fase iniziale del ciclo di replicazione virale che nelle fasi più tardive (Tomonaga et al. 1996;

Elder e Phillips, 1994; Gemeniano et al. 2003). Le dimensioni e la localizzazione di ORF-A all’interno del genoma sono simili a quelle del gene tat di altri lentivirus come HIV e SIV. Questa caratteristica ha condotto ad ipotizzare per la proteina Orf-A un ruolo nella transattivazione della espressione genica.

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In HIV e negli altri lentivirus dei primati l’azione di Tat si esplica attraverso l’interazione con TAR, un RNA con struttura secondaria stem loop codificato dall’LTR (Caputo et al. 1999). Tuttavia in FIV ed in altri lentivirus che non infettano i primati non è stata identificata nessuna regione simile a TAR (De Parseval e Elder, 1999; Gemeniano et al. 2003; Chatterji et al. 2002). Studi condotti su FIV hanno dimostrato che la proteina codificata da ORF-A è un debole transattivante (De Parseval e Elder, 1999) ma ha un importante ruolo in vitro ed in vivo sulla capacità di crescita su linfociti primari e linee cellulari T feline ( Waters et al. 1996; Pistello et al. 2002).

Recentemente è stato sottolineato il ruolo di ORF-A nelle fasi tardive di assemblaggio, dove sembra promuovere l’infettività del virione maturo. Inoltre, sempre in base agli ultimi studi, la proteina si localizzerebbe nel nucleo delle cellule e sembrerebbe provocare l’arresto in G2, suggerendo una funzione simile a quella posseduta da Vpr di HIV-1 (Gemeniano et al. 2004).

1.8 Ciclo vitale e replicazione

Il ciclo replicativo di FIV non è noto in dettaglio ma si ritiene tuttavia simile a quello di altri lentivirus, in particolare HIV (Figura 1.3)

La fase iniziale dell’infezione consiste nell’interazione delle glicoproteine dell’envelope con un recettore situato sulla membrane cellulare. La specificità di questa interazione determina sia il tropismo cellulare che il meccanismo patogenetico indotto dall’infezione virale. Per quel che riguarda i lentivirus dei primati, HIV in particolare, il recettore cellulare primario è rappresentato dal CD4 che si trova sulle cellule T helper, bersaglio principale del virus. Tuttavia è stato dimostrato che l’espressione di CD4 da solo è insufficiente a conferire suscettibilità all’infezione da HIV, che dipende anche dall’espressione di co-recettori che si ritengono essere i recettori per le chemochine CXCR4 e CCR5 (Berger et al. 1999).

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Figura 1.3: Fasi del ciclo vitale di HIV( da

hiv.buffalo.edu/assets/images/hiv_virus_in_action, modificata).

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Il legame col CD4 provoca un cambiamento conformazionale della proteina SU che determina l’esposizione dei siti di legame per i recettori delle chemochine.

Un’ulteriore variazione strutturale espone i domini di fusione della TM e porta all’ingresso del virione, attraverso la membrana plasmatica, nella cellula ospite.

Per quanto riguarda FIV, nonostante l’infezione sia accompagnata da un graduale declino del numero dei linfociti CD4+, l’omologo felino del CD4 sembra non essere il recettore primario per l’ingresso del virus nella cellula ospite, e la sua sovraespressione non conferisce suscettibilità all’infezione (Norimine et al. 1993).

Inoltre l’espressione di CD4 nel gatto è ristretta ai linfociti T helper ed ai loro precursori del timo e, a differenza di quello umano non è espresso sulle cellule della linea monocito-macrofagica che sono comunque suscettibili all’infezione di FIV (Ackley et al. 1990).

Recenti lavori hanno fornito evidenze riguardo all’uso del recettore CD134 (Shimojina et al. 2004; De Parseval et al. 2004). Il CD134 (descritto inizialmente come MRC OX-40 in linfociti T attivati di ratto) è un membro della famiglia dei recettori del tumor necrosis factor (TNF) e nerve growth factor (NGF). Gli esperimenti recentemente effettuati da questi autori dimostrerebbero che il CD134 felino ha un alto grado di similarità con quello umano e la sua espressione rende le cellule feline (ma anche quelle umane stabilmente trasdotte) permissive all’infezione con FIV. Nonostante l’espressione del CD134 sia abbastanza ristretta ai linfociti CD4+ ci sono evidenze, nell’uomo e nel topo, che venga espresso a più bassi livelli anche nelle cellule T CD8+ attivate, nei macrofagi, nelle cellule B attivate (Al Shamkhani et al. 1996; Durkop et al. 1995). Il tropismo di FIV in vivo andrebbe di pari passo con la predetta espressione di CD134 in quanto le cellule CD4+ sono il bersaglio primario di FIV nell’infezione precoce mentre nella fase cronica sono infettate anche cellule CD8+ e cellule B attivate.

Analogamente ad HIV, per l’infezione dei ceppi virali primari è necessario un corecettore che, assieme al CD134 e la glicoproteina virale di superficie, permette la formazione di un complesso e l’entrata del virus nella cellula target. Tra i vari corecettori identificati quello che sembra essere di gran lunga il più utilizzato nel caso di FIV è il CXCR4 (Willett et al. 2002; Richardson et al. 1999). Il CXCR4 è espresso ampiamente nel gatto in linfociti T e B attivati e monociti (Willett et al.

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2002) e si ritiene indispensabile per l’infezione virale durante la fase acuta. Il fatto che il virus presenti un tropismo più ampio durante la fase cronica e l’osservazione che ceppi adattati alla crescita in vitro replichino in cellule CD134 negative suggerisce che l’ingresso del virus, in particolari condizioni, possa avvenire attraverso un meccanismo CD134 indipendente (Shimojina et al. 2004). Una volta che è avvenuta la fusione con la membrana cellulare segue il disassemblamento del core ed il rilascio dell’RNA virale che entra nel citosol associato alle proteine del virione.

Qui l’RT catalizza la sintesi del DNA sullo stampo dell’RNA virale, prima a singolo poi a doppio filamento.

Si forma il pre-integration-complex, costituito dal DNA a doppio filamento e da alcune proteine virali, che viene traslocato nel nucleo dove per azione dell’IN si inserisce nel genoma cellulare in maniera apparentemente casuale. In questa forma prende il nome di provirus. A questo punto inizia la sintesi dell’RNA virale ad opera dell’RNA polimerasi II della cellula ospite, che trascrive un unico RNA a partire dall’LTR al 5’ fino a quella al 3’. Il trascritto risultante è utilizzato sia come RNA messaggero che viene successivamente processato per la produzione delle diverse proteine, che come genoma da incorporare nel capside della progenie virale.

L’mRNA può essere processato in vari modi determinando la formazione di tre classi di trascritti prodotti secondo un preciso ordine temporale. La prima classe comprende il trascritto full length che rappresenta sia il genoma virale che l’mRNA per il precursore Gag-Pol; una seconda classe è costituita da mRNA parzialmente processati con singoli eventi di splicing che codificano per Env e Vif. Infine l’ultima classe di mRNA multiply spliced genera le proteine accessorie ORF-A e Rev (Figura 1.2).

I genomi progenie vengono incapsidati, insieme alle proteine virali neosintetizzate, vicino alla membrana cellulare in prossimità dei siti dove si è verificata l’incorporazione delle glicoproteine dell’envelope nel plasmalemma. In questa zona si verificano i processi di gemmazione e rilascio della progenie virale.

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1.9 Epidemiologia

Il virus FIV è stato isolato per la prima volta nel 1987 in un gruppo di gatti domestici della California che presentavano caratteristiche cliniche correlate a quelle provocate dall’infezione da HIV nell’uomo (Pedersen et al. 1987).

Successivamente è stato stabilito che il virus è endemico in tutto il mondo con una prevalenza in Giappone ed in Australia (Bendinelli et al. 1995).

Sono stati documentati casi di virus FIV-simili in felini non domestici (leoni, pantere) ma sembra certo che questi non siano il serbatoio naturale dell’infezione, in quanto è troppo grande la divergenza genomica che li separa (Lutz et al. 1992).

FIV in natura comunque sembra possedere una bassa efficienza di trasmissione. Il modo di trasmissione più accreditato è attraverso il morso: è stata dimostrata la presenza di RNA e DNA virale nella saliva di gatti naturalmente o sperimentalmente infettati anche se pare che la maggior parte di questo non sia infettante (Bendinelli et al. 1995; Matteucci et al. 1993). Questo confermerebbe la bassa efficienza di trasmissione di FIV in natura.

Non è stata ancora dimostrata in via definitiva una via di trasmissione sessuale (Hosie et al. 1989) mentre per quanto riguarda quella verticale è stato isolato il virus in embrioni abortiti (Harbour, 1992), ma non nella placenta o nel colostro (Callanan et al. 1991).

L’aspettativa di vita dei soggetti infettati è variabile ed è stato riscontrato che la maggior parte delle nuove infezioni avviene in gatti da uno a dieci anni di vita dopodiché il rischio declina (Bendinelli et al. 1995). I maschi sono infettati in percentuale maggiore che le femmine (Hosie et al. 1989; Bandecchi et al. 1992) e questo si pensa dovuto in parte alla modalità di trasmissione (i maschi sono più aggressivi delle femmine e quindi più soggetti ad essere morsi) ed in parte al comportamento sociale dei gatti (i maschi tendono a lottare tra loro per questioni territoriali).

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1.10 Patogenesi

FIV determina nel gatto domestico un’infezione naturale caratterizzata da una cronica e progressiva sindrome da immunodeficienza simile a quella causata dal virus HIV nell’uomo (Pedersen et al. 1987). L’infezione coinvolge vari organi e persiste per tutta la vita dell’animale.

Tropismo d’ospite: rispetto ad HIV, FIV ha dimostrato di possedere un tropismo più ampio. Le cellule suscettibili all’infezione da FIV in vitro sono i linfociti T e le cellule della linea monocito-macrofagica (English et al. 1993; Beebe et al. 1994), ma l’infezione in vivo è estesa anche ai linfociti B, astrociti microglia e cellule dendritiche, soprattutto nelle fasi più tardive (Dean et al. 1996; Patrick et al. 2002).

Caratteristiche cliniche: come per HIV, il marchio distintivo dell’infezione causata da FIV è la progressiva deplezione dei linfociti T CD4+ con conseguente inversione del rapporto CD4/CD8, dovuto in parte anche all’aumento dei linfociti CD8+ (Willett et al. 1991). Queste anormalità conducono progressivamente ad un danneggiamento delle funzioni immuni con alterazioni soprattutto a carico della popolazione T helper (Siebelink et al. 1990; Torten et al. 1991). La deplezione dei CD4+ è speculare al livello di replicazione di FIV: durante la fase acuta dell’infezione si ha un brusco abbassamento del numero dei CD4+ a cui segue un parziale recupero nella fase di latenza clinica ed un graduale declino nelle fasi più tardive (Dua et al. 1994;

Bendinelli et al. 1995). Gli effetti patogenetici osservati nei gatti infettati da FIV possono essere interpretati come conseguenza sia dell’infezione che dello stato di immunodeficienza causato dal virus (Burkhard e Dean, 2003; Bendinelli et al. 1995).

Dall’osservazione di gatti sperimentalmente infettati è stato proposto un modello di andamento della malattia in cinque stadi sulla base del tipo e della severità delle manifestazioni cliniche (Ishida e Tomoda 1990). Questa classificazione riflette quella usata per descrivere la patologia indotta da HIV nell’uomo.

Stadio uno: Fase acuta consiste nell’infezione primaria che in molti casi risulta silente, o è accompagnata da una breve malattia caratterizzata principalmente da linfoadenopatia, anoressia, neutropenia. Questi disordini possono essere seguiti dallo sviluppo di infezioni di tipo batterico.

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Stadio due: Fase asintomatica dopo le manifestazioni iniziali l’infezione di solito rimane clinicamente silente per un lungo periodo di tempo.

Stadio tre: linfoadenopatia persistente generalizzata questa fase è caratterizzata da un lungo e generalizzato rigonfiamento dei linfonodi accompagnato talvolta da febbre, anoressia, perdita di peso.

Stadio quattro: ARC acronimo per AIDS related complex: questa definizione è stata ormai abbandonata per quel che riguarda l’HIV nell’uomo, ma è ancora in uso in merito alla sindrome felina. Gli animali in questa fase di solito presentano infezioni secondarie del cavo orale e delle vie respiratorie, causate da diversi tipi di virus o batteri. Non si parla però di infezioni opportunistiche.

Stadio cinque: FAIDS in questa fase la sindrome è molto simile a quella causata da HIV nell’uomo (AIDS). Persistono le caratteristiche cliniche della ARC a cui si aggiungono però disordini neurologici e neoplastici. In gatti FIV infetti sono stati descritti diversi tipi di tumori, come linfosarcomi e fibrosarcomi. I disordini neurologici comprendono alterazioni del comportamento, convulsioni, atassia. In questa fase le infezioni sono spesso multiple e sostenute da agenti opportunisti resistenti al trattamento.

1.11 Risposta immune

L’infezione provocata da FIV evoca una risposta immunitaria sia di tipo umorale che cellulo-mediato. La risposta immune contribuisce a mantenere l’infezione sotto controllo, come suggerito dalla lunga latenza clinica, ma fallisce nell’eliminare completamente il virus. La persistenza di quest’ultimo porta ad un progressivo indebolimento delle funzioni immuni che, nel tempo, rendono l’ospite privo di difese.

L’infezione diviene quindi fatale, come nel caso di HIV, anche per l’insorgere di patologie opportunistiche (Burkhard e Dean, 2003).

Risposta umorale

Dopo l’esposizione sperimentale al virus la sieroconversione è rilevabile in 2-6 settimane, raggiunge un plateau in 3-4 mesi e persiste, per tutta la vita dell’animale,

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ad elevati titoli (Bendinelli et al. 1995). Per primi compaiono anticorpi diretti contro le maggiori proteine del core e le glicoproteine dell’envelope: anti-Env ed anti- Gag/p25; a questi seguono gli anticorpi diretti verso proteine minori di Gag e le proteine di Pol (come l’RT) (Willett et al. 1997).

Gli anticorpi contro Env svolgono un ruolo di fondamentale importanza in quanto SU e TM sono entrambe implicate nell’adesione e fusione con le cellule target.

La proteina SU di FIV presenta una serie di domini ipervariabili (V3, V5) tra i quali riveste particolare importanza il dominio V3 che, come nel caso di HIV, è un target primario per gli anticorpi virus neutralizzanti (Willett et al. 1997; Pancino et al.

1993). Gli anticorpi anti-Env esplicano la loro funzione con diversi meccanismi, quale ad esempio l’ingombro sterico creato dal legame degli anticorpi al corecettore virale, che impedisce al virione di entrare nelle cellule target (Parren et al. 1999), e possono inoltre ridurre il numero delle particelle virali circolanti mediante aggregazione, induzione di alterazioni strutturali, attivazione del complemento con conseguente lisi della cellula infetta (Bendinelli et al. 1995).

Risposta cellulo-mediata

I principali effettori della risposta immune cellulo-mediata sono i linfociti T citotossici (CTL) il cui ruolo chiave nel controllo dell’infezione è stato dimostrato sia nel caso di HIV che per FIV. Nel caso di HIV la risposta CTL è implicata nella riduzione della viremia nelle fasi iniziali di infezione e nel mantenimento dello stato asintomatico nella fase di latenza, mentre un declino dell’attività CTL è associato con la progressione dell’AIDS (Borrow et al. 1994; Rinaldo et al. 1995).

La distribuzione della risposta CTL FIV-specifica varia in funzione della progressione della malattia: è stata riscontrata nel sangue periferico di gatti infettati sperimentalmente già poche settimane dopo l’infezione, ma diventa più facilmente rilevabile nei linfonodi e nella milza, sedi di attiva replicazione, dopo un anno dall’infezione (Beatty et al. 1996; Flynn et al. 1996). Queste osservazioni hanno suggerito che l’elevata attività CTL in questi tessuti, conosciuti essere per HIV i siti principali di replicazione virale, potrebbe essere un tentativo da parte del sistema immunitario dell’ospite di controllare la diffusione dell’infezione virale (Willett et al.

1997a). La risposta cellulo-mediata, nonostante sia robusta e presente sia nelle fasi

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precoci che in quelle tardive di infezione, non impedisce la progressione e l’esito della malattia.

Meccanismi di elusione

FIV ed HIV hanno evoluto simili meccanismi per evadere alla sorveglianza del sistema immunitario e persistere nell’ospite. Si conoscono numerosi meccanismi messi in atto dal virus tra i quali l’infezione delle cellule del sistema immunitario stesso, la bassa sensibilità del virus all’azione degli anticorpi neutralizzanti, la presenza di riserve di infezione come i macrofagi e l’elevata variabilità genetica (Vahlenkamp et al. 1999).

La comparsa di varianti virali resistenti alla neutralizzazione è uno degli ostacoli che impedisce lo sviluppo di un efficace vaccino o terapia antivirale. È stato dimostrato per HIV che il virus riesce a sfuggire alla neutralizzazione mediante sostituzioni aminoacidiche nell’epitopo stesso o in siti correlati che possono causare modificazioni strutturali che mascherano l’epitopo (Park et al. 1998). Nel caso di HIV e SIV gli epitopi che rappresentano il bersaglio per anticorpi neutralizzanti e risposta CTL risiedono nella regione variabile delle glicoproteine di superficie dell’envelope (Parren et al. 1999). Anche la glicosilazione della proteina Env è una delle strategie più frequentemente utilizzate dal virus per nascondere epitopi neutralizzanti, come le regioni più conservate della superficie, che altrimenti risulterebbero sensibili all’attacco degli anticorpi (Wei et al. 2003; Parren et al.

1999). Riguardo a FIV, studi effettuati su diversi isolati primari, hanno dimostrato che poche mutazioni aminoacidiche all’interno della SU sarebbero capaci di conferire resistenza alla neutralizzazione o comunque di alterare la suscettibilità del virus agli anticorpi neutralizzanti (Bendinelli et al. 2001; Beaumont et al. 2001).

Riguardo alla variabilità genetica dell’Env di FIV sono stati effettuati numerosi studi che hanno riscontrato che questa, come nel caso di HIV, è particolarmente elevata in alcune regioni ipervariabili (Vahlenkamp et al. 1999), i cosiddetti domini V. Ne sono stati identificati nove, due localizzati all’estremità aminoterminale (V1 e V2), quattro nella SU (V3, V4, V5, V6), tre nella TM (V7, V8) (Pancino et al. 1993). L’analisi genetica di FIV ha mostrato un’elevata eterogeneità tra i diversi isolati in base alla quale si possono suddividere in almeno 5 sottotipi con

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prevalenza variabile in funzione della regione geografica considerata (Pistello et al.

1997).

1.12 Esperimenti di vaccinazione condotti per FIV

Lo sviluppo di un efficace vaccino contro il virus FIV non riveste importanza solo in ambito veterinario, ma anche in quello medico, in quanto potrebbe fornire fondamentali delucidazioni riguardo ai meccanismi protettivi messi in atto durante le infezioni lentivirali, in particolare per l’infezione causata da HIV nell’uomo. Lo sviluppo di un vaccino sicuro in grado di conferire protezione duratura contro HIV è un obiettivo che è stato perseguito fin dall’esordio della pandemia di AIDS e dalla seguente identificazione del lentivirus che la provocava; questa impresa si è rivelata però oltremodo ardua e ancor oggi, dopo anni di ricerche, rimangono molte questioni da risolvere. Non è stato ancora del tutto chiarito il ruolo degli anticorpi virus neutralizzanti né quale tipo di risposta immune è preferibile ottenere con la vaccinazione. Ci sono pareri discordanti inoltre, riguardo al tipo di obiettivo da perseguire, e cioè se mirare ad una totale protezione dall’infezione o al controllo della progressione della malattia. In questa ottica l’utilizzo di un modello animale adatto si rivela un valido strumento per disegnare e testare strategie di vaccinazione contro il virus.

L’infezione causata da FIV nel gatto domestico è simile a quella che HIV provoca nell’uomo dal punto di vista sia clinico che immunopatogenetico, tanto che il modello FIV fornisce un sistema unico per valutare nuovi approcci vaccinali ed identificare i meccanismi immunitari essenziali per una protezione vaccinale antivirale (Bennet et al. 1995; Bendinelli et al. 1995; Jarrett et al. 1990).

Gli approcci vaccinali testati sul modello FIV hanno fornito numerosi risultati che variano da completa a parziale protezione fino ad enhancement dell’infezione stessa. Il primo esperimento di successo contro FIV, riportato nel 1991, ha utilizzato un approccio vaccinale convenzionale con virus intero inattivato o cellule infette inattivate, come antigeni vaccinali (Yamamoto et al. 1991). Questo tipo di approccio ha dimostrato di fornire un’elevata percentuale di protezione contro ceppi omologhi o leggermente eterologhi cresciuti in vitro (Yamamoto et al. 1993). Entrambi i tipi di

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vaccino, virus intero inattivato e cellule infette inattivate, inducono una forte immunità umorale e cellulo mediata contro il virus; alti livelli di anticorpi anti-Env, anti-core, e virus neutralizzanti sono stati isolati da questi autori nel sangue di gatti immunizzati.

Altri studi hanno mostrato che questo tipo di vaccino determina inoltre lo sviluppo di una risposta T citotossica (CTL) contro ceppi sfidanti cresciuti in vitro (Flynn et al. 1995). Una simile formulazione vaccinale si è però successivamente rivelata inefficace verso ceppi antigenicamente più distinti (Johnson et al. 1994). È stato dimostrato anche che la protezione conferita da simili vaccini può essere estesa ad isolati primari virulenti (Matteucci et al. 1996) e che sembra efficace nell’indurre risposta immune e protezione in vivo (Matteucci et al. 2000) ma la protezione conferita è di breve durata (meno di anno dalla data di vaccinazione), non facilmente rilevabile con una dose di booster, e limitata ad un ceppo sfidante omologo (Matteucci et al. 1997).

Recentemente è stato messo a punto un nuovo approccio vaccinale che prevede la combinazione di ceppi di FIV appartenenti a diversi sottotipi. Esperimenti effettuati con questo vaccino hanno dato risultati incoraggianti: gatti vaccinati con due virus inattivati appartenenti ai sottogruppi A e D si sono dimostrati protetti da infezioni provocate sia da virus omologhi che eterologhi isolati in vivo (Pu et al. 2001).

Un altro approccio di vaccinazione attualmente investigato coinvolge l’uso di subunità ricombinanti tra le quali proteine virali purificate, peptici sintetici, vettori ricombinanti (Hosie et al. 1992; Gonin et al. 1995; Lombardi et al. 1994). Sono state testate, ad esempio, diverse combinazioni di proteine del core, peptidi sintetici contenenti la regione V3 di Env, la proteina Env ricombinante in forma glicosilata e non, e sistemi basati sull’uso di vettori (Flynn et al. 1995; Hosie et al. 1992; Gonin et al. 1995). Esperimenti condotti con challenge omologhi in vitro-derivati hanno mostrato che in generale questo tipo di vaccini inducono significativi livelli anticorpali, anche ad attività neutralizzante, diretti come logico attendersi contro epitoti di Env, ma sono incapaci di conferire protezione contro l’infezione. Il fallimento di questo tipo di approccio ha permesso però di fare alcune considerazioni interessanti tra le quali il fatto che la proteina Env da sola può non essere sufficiente per una protezione efficace contro FIV o, probabilmente, che è

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necessario utilizzarla nella sua conformazione nativa (Giannecchini et al. 2001) come già evidenziato anche negli approcci vaccinali contro HIV e SIV.

Altro metodica è rappresentata dalla vaccinazione a DNA che combina numerosi vantaggi rispetto alle tradizionali strategie di vaccinazione. Infatti questo tipo di vaccini rappresentano una formulazione più sicura rispetto a quelli vivi attenuati o a virus intero inattivato, sono di facile preparazione, sono capaci di presentare la proteina virale desiderata nella conformazione nativa molto più efficacemente dei vaccini a subunità e possono evocare una forte risposta cellulare.

La vaccinazione a DNA consiste nell’utilizzo di DNA plasmidico codificante per un immunogeno. Quando iniettato nell’animale viene captato da alcune cellule dove il plasmide rimane sotto forma di episoma; qui può avvenire l’espressione delle proteine codificate (e quindi dell’immunogeno), direttamente dalle cellule che presentano l’antigene in maniera naturale associato a MHC di classe I (Gurnathan et al., 2000; Leitner et al., 2000). La sintesi dell’antigene in vivo può aumentare l’induzione dell’immunità cellulo mediata e può garantire la sua presentazione nella corretta conformazione e glicosilazione. Il tipo di risposta immunitaria ottenuta sembra dipendere non solo dal tipo di immunogeno usato, ma anche dal tipo di adiuvante che può modificare la risposta generata dalla vaccinazione. In particolar modo gli adiuvanti genetici possono aumentare l’efficacia della vaccinazione (Moore et al., 2002). La potenzialità della co-somministrazione di DNA esprimente un immunogeno insieme ad una citochina e/o un fattore di crescita ematopoietico è stata dimostrata da numerosi gruppi (Moore et al. 2001; Barouch et al. 2000; Boyer et al. 1999; Kusakabe et al. 2000). Sono stati presi in considerazione diversi potenziali adiuvanti immunologici naturali tra i quali numerose citochine, come l’interleuchina-12 (IL-12), l’ IL-2, l’ IL-15, il granulocyte-macrophage colony- stimulating factor (GM-CSF), l’interferon γ (IFN γ). Proprio in merito al GM-CSF esistono risultati incoraggianti riguardo al suo utilizzo: esperimenti condotti sia in saggi in vitro che in vivo hanno suggerito che questa citochina possa costituire un valido ausilio negli approcci di vaccinazione (Warren et al. 2000); il GM-CSF, oltre ad essere stato testato per migliorare l’efficacia della vaccinazione basata sul DNA, è stato utilizzato come adiuvante in numerosi sistemi di immunizzazione, anche in ambito antitumorale (Sun et al. 2001; Borrello e Pardoll, 2002). È stato proposto che uno dei principali target di azione del GM-CSF in vivo siano le cellule che presentano

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l’antigene, in particolar modo le cellule dendritiche (DC) (Haddad et al. 2000).

Queste ultime giocano un ruolo fondamentale nell’induzione della risposta immune:

queste cellule possono captare direttamente il DNA-vaccino per esprimere e presentare l’antigene codificato; sono infatti considerate forse le più importanti effettrici coinvolte nell’immunizzazione con DNA (Zarei et al. 2004; Gurunathan et al. 2000; Bowne et al. 1999; Kim et al. 2000). Per di più il GM-CSF stimola il differenziamento e la maturazione non solo delle DC, ma ha simili effetti anche sui macrofagi che rappresentano un altro tipo di cellule che presentano l’antigene (Tadokoro et al. 2001). È quindi logico supporre che la co-espressione di un antigene con una citochina come il GM-CSF possa in vivo stabilire un microambiente più favorevole alla captazione e presentazione dell’antigene da parte delle DC o dei macrofagi (Sun et al. 2001).

Bisogna sottolineare però che il tipo di immunostimolante da utilizzare non può essere stabilito a priori con sicurezza poiché è stato osservato che anche la minor o maggior efficacia di questo è dipendente dal tipo di immunogeno utilizzato e dal tipo di risposta evocata. Proprio nel lavoro effettuato da Moore e collaboratori viene evidenziato come due differenti antigeni virali (Nef ed Env di HIV) siano in grado di generare risposta immunitaria di tipo diverso, un antigene di tipo prevalentemente umorale, mentre l’altro evoca risposta cellulo-mediata stimolando l’attività CTL (Moore et al. 2001).

Negli ultimi anni è stato proposto e sviluppato un nuovo modello di approccio vaccinale che mira a combinare due o più modalità vaccinali, con l’obiettivo di indurre entrambi i tipi di risposta immunitaria. Questa strategia utilizza un protocollo denominato prime-boost, che combina un priming (pre-immunizzazione) del sistema immune con DNA veicolante l’antigene target, che ha l’obiettivo di innescare una forte risposta immunitaria soprattutto di tipo cellulo-mediato, seguita da un boost costituito da peptici sintetici od un vettore ricombinante ad alta efficienza (Woodland, 2004; McShane, 2002; Estcourt et al. 2002; McShane et al. 2001;

Takeda et al. 2003). È stato proposto che la strategia di vaccinazione prime-boost amplifichi in maniera sinergica l’immunità cellulare di tipo T verso antigeni specifici (McShane, 2002). In generale il priming determina la presentazione dell’antigene target da parte delle antigen presenting cells (APCs) presenti al sito di inoculo, queste ultime dovrebbero stimolare le cellule T immature nei linfonodi e guidare

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l’espansione delle cellule T specifiche. Il boosting seguente porta invece alla ripresentazione dello stesso antigene alle APCs che in questo caso portano all’espansione delle cellule T di memoria e, sinergicamente, alla selezione delle cellule T che hanno maggior avidità per l’antigene target (Woodland, 2004) (Figura 1.5).

Figura 1.5: Strategia di vaccinazione prime-boost. I triangoli rossi rappresentano gli antigeni target, i triangoli blu gli antigeni del primo vettore, i triangoli verdi gli antigeni del secondo vettore. In basso sono rappresentate le cellule

T di memoria. (Da Woodland D.L., 2004).

L’uso di questo approccio di vaccinazione ha fornito risultati apprezzabili nel modello SIV, dove sembra capace di evocare una risposta immune protettiva contro challenge patogeni (Amara et al. 2001; Barouch et al. 2001; Hanke et al. 1999; Levtin et al. 2004; O’Neill et al. 2002). Esperimenti effettuati da O’Neill e collaboratori hanno evidenziato un aumento di risposta antivirale, in scimmie sfidate con SIV, utilizzando come priming un plasmide a DNA codificante per virus-like particles (VLP) seguito da un boost costituito dalle proteine VLP insieme ad un plasmide esprimente IL-12 e GM-CSF (O’Neill et al. 2002). Altri autori utilizzando una simile strategia hanno sottolineato il ruolo critico rivestito da Env nell’evocazione della risposta

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immune e nella protezione delle cellule CD4+ dall’apoptosi indotta dall’infezione provocata da HIV e SIV (Amara et al. 2002; Letvin et al. 2004).

1.13 FIV come vettore per veicolazione di geni eterologhi

I virus si sono evoluti perfezionando efficienti meccanismi per rilasciare ed esprimere il loro acido nucleico all’interno delle cellule target, limitando al tempo stesso la risposta immunitaria dell’ospite. Queste caratteristiche fanno dei virus dei candidati ideali quali vettori nella terapia genica, possono infatti permettere l’espressione di un gene terapeutico all’interno di uno specifico tessuto per il trattamento o la prevenzione di una particolare patologia. Numerosi tipi di virus, opportunamente modificati, sono utilizzabili per questo scopo; sono stati utilizzati virus sia con genoma a DNA che ad RNA tra cui adenovirus, virus adeno associati, herpesvirus, retrovirus (Van Tendeloo et al. 2001).

Tra i vari modelli utilizzati, i retrovirus sono senza dubbio degli ottimi candidati e quindi uno dei sistemi vettore più studiati, in quanto possono integrare stabilmente un gene di interesse e permettere la sua espressione duratura nella cellula target.

Esistono diversi tipi di vettori retrovirali come, ad esempio, quelli basati sul virus della leucemia murina, che hanno però l’inconveniente di poter trasdurre solo cellule in attiva replicazione; questa caratteristica infatti preclude il loro utilizzo in vivo per il trasferimento genico su tessuti non proliferanti come il fegato, il tessuto muscolare, le cellule staminali ematopoietiche, il tessuto nervoso (Naldini et al.

1996).

Questo svantaggio può però essere superato utilizzando vettori basati sui lentivirus, che hanno sviluppato un meccanismo attivo di trasporto al nucleo del complesso di pre-integrazione e sono quindi in grado di trasdurre sia cellule in divisione che cellule quiescenti (Bloomer et al. 1997). Inoltre i vettori di ultima generazione non contengono geni virali residui che potrebbero causare l’espressione nella cellula target di prodotti potenzialmente tossici o immunogenici (Curran et al.

2000).

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Per poter produrre un vettore lentivirale è necessario utilizzare una strategia che permetta la formazione di particelle virali con incorporato un genoma modificato con gran parte dei geni virali deleti e contenente il gene terapeutico di interesse. L’introduzione del gene eterologo (transgene), contenuto nel vettore lentivirale ricombinante, all’interno della cellula target avviene per mezzo della trasduzione, un’infezione virale che, dipendentemente dal vettore utilizzato, è abortiva o non replicativa. Il genoma dei lentivirus contiene, oltre ai geni, delle sequenze regolatorie in cis che rappresentano segnali per la retrotrascrizione, l’integrazione e l’incapsidamento, la maggior parte delle quali si trova al di fuori delle sequenze codificanti, per lo più contenute all’interno delle due LTR. Questa segregazione spaziale rappresenta un vantaggio nel disegno della strategia per la produzione del vettore lentivirale, è possibile infatti inserire fino ad 8 kb di DNA esogeno, introdotto al posto dei geni virali, fiancheggiato dalle sole sequenze regolatorie in cis.

Per la produzione della particella i geni strutturali necessari sono forniti in trans ed espressi da segnali trascrizionali eterologhi posti su costrutti separati, privi delle sequenze regolatorie in cis, oppure stabilmente integrati nella linea cellulare produttrice (Miller et al. 2000) (Figura 1.6).

Questo tipo di strategia, a più plasmidi, è necessaria per la biosicurezza del vettore in quanto diminuisce il rischio di un evento di ricombinazione che potrebbe ricostituire un genoma replicazione competente (Chong et al. 1994).

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Particelle virali vettore Trasfezione

Linea cellulare di complementazione

Linea cellulare di packaging

Cellula target

Fig.1.6: Schema generico di produzione di un vettore retro/lentivirale replicazione difettivo (da Van Tendeloo et al., 2001, modificata).

È possibile espandere o limitare lo spettro d’ospite del virus, incorporando una proteina dell’envelope eterologa nella particella virale, un processo detto di pseudotipizzazione. Tra le proteine dell’envelope più utilizzate c’è la proteina G del virus della stomatite vescicolare (VSV-G), che può interagire con recettori di membrana ubiquitari permettendo così ai vettori pseudotipizzati un largo impiego su numerose specie animali (Friedmann and Yee, 1995).

Numerosi studi sono stati effettuati con vettori basati su HIV. Questo sistema ha permesso la trasduzione di diversi tipi cellulari come i macrofagi (Naldini et al. 1996), linfociti e cellule staminali ematopoietiche (Akkina et al. 1996), neuroni (Naldini et al. 1996), cellule della retina (Miyoshi et al. 1997), cellule dell’epitelio bronchiale (Goldman et al. 1997), epatociti e cellule del tessuto muscolare (Kafri et

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al. 1997). Inoltre la capacità dei vettori basati su HIV di trasdurre cellule non proliferanti è stata recentemente rinforzata dalla scoperta di un central DNA flap sequence nel genoma virale, che è coinvolta nel trasporto e l’entrata nel nucleo del DNA virale (Zennou et al. 2000; Withwan et al).

Precedenti studi hanno dimostrato che FIV ha capacità di veicolazione simile a quella di HIV, considerato il miglior vettore lentivirale ad oggi prodotto (Price et al.

2002; Curran et al. 2000).

Per poter superare le limitazioni del tropismo virale ed utilizzare i vettori FIV-derivati anche in cellule diverse da quelle feline sono stati sviluppati vettori contenenti opportune modificazioni strutturali. Ad esempio per superare la bassa attività trascrizionale dell’LTR di FIV sono stati sviluppati vettori contenenti il promotore del citomegalovirus umano (CMV) al posto dell’intera regione U3 dell’LTR (Poeschla et al. 1998). Questa singola modificazione ha permesso l’efficiente produzione di particelle FIV in cellule umane, un requisito necessario per acquisire la resistenza all’inattivazione da parte del complemento (Takeuchi et al. 1994). Dai risultati emersi da questi studi iniziali è nato l’interesse per la creazione di vettori FIV di seconda generazione e terza generazione. Esistono numerosi lavori che analizzano le caratteristiche necessarie per un’efficiente produzione del vettore ed un’efficiente trasduzione delle cellule target (Price et al. 2002; Johnston et al. 1999;

Curran et al. 2000). Da questi studi è emerso che due geni accessori, Vif ed ORF-A, non sono necessari per l’efficienza del vettore mentre il sistema Rev-RRE è invece indispensabile per la produzione di alti titoli di particelle virali presumibilmente per permettere un adeguato trasporto dal nucleo al citoplasma dell’RNA virale (Johnston et al. 1999).

Nei vettori FIV di prima generazione, costituiti da due plasmidi, era stata stabilita la capacità di trasferimento genico ed il bisogno di un promotore più efficiente dell’LTR; questi studi iniziali avevano portato allo sviluppo di vettori FIV di seconda generazione, realizzati da un sistema a tre plasmidi; studi più recenti hanno permesso la realizzazione di vettori FIV di terza generazione nei quali tutte le proteine accessorie del virus sono assenti ed il sistema Rev-RRE è sostituito dall’elemento di trasporto costitutivo del Mazon-Pfizer monkey virus (CTE citoplasmatic trasport element) (Curran et al., 2000).

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In questo sistema la produzione del vettore è ottenuta con tre plasmidi: il costrutto vettore contiene entrambe le LTR con le sequenze regolatorie in cis e trasporta la sola cassetta di espressione del transgene; un altro costrutto, il packaging, codifica per le proteine strutturali ed enzimatiche di Gag-Pol indispensabili per la formazione della particella virale, e contiene il CTE per il trasporto al nucleo; il terzo plasmide fornisce la proteina dell’envelope eterologa, generalmente appartenente al VSV.

Numerosi lavori hanno dimostrato l’efficienza di espressione di questi vettori sia in cellule in attiva divisione che in cellule quiescenti tra le quali cellule dell’epitelio respiratorio (Wang et al., 1999), cellule muscolari, epatociti primari, cellule dendritiche (Curran et al., 2000), progenitori delle cellule ematopoietiche feline (Price et al., 2002), sinoviociti umani primari (Lin et al., 2004), ma anche neuroni ed epatociti grazie ad una pseudotipizzazione del vettore FIV con le glicoproteine di superficie del Ross River Virus (Kang et al., 2002).

In conclusione questi sistemi vettore basati su FIV hanno dimostrato di offrire alta efficienza e stabilità di trasporto dei geni in numerose linee cellulari, aprendo nuove e promettenti strategie di vaccinazione e terapia genica.

1.14 Progetto di vaccinazione per FIV

E’ in corso di sviluppo un progetto di vaccinazione per FIV contro le glicoproteine virali di superficie basato su una strategia di tipo prime-boost. In generale il progetto si compone di due fasi, un priming a DNA che utilizza un plasmide codificante Env di FIV in combinazione con una citochina ed un boost costituito da linfociti autologhi degli animali vaccinali trasdotti in vitro con un vettore FIV-derivato veicolante il gene env e quello di un secondo immunostimolante.

Per quanto riguarda la prima fase gli animali verranno immunizzati con un plasmide a DNA esprimente Env di FIV clonato da un isolato primario linfotropico, simile a quelli circolanti nell’infezione naturale, allo scopo di indurre una risposta immunitaria attiva soprattutto verso ceppi primari. Lo stesso costrutto codifica per il fGM-CSF, una citochina che stimola il differenziamento di progenitori della linea

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mieloide e che è coinvolta principalmente nell’attivazione e proliferazione di cellule dendritiche, potenti antigen presenting cell, che giocano un ruolo chiave nell’innesco della risposta immunitaria specifica verso un determinato antigene.

La seconda fase del progetto prevede l’utilizzo di un vettore FIV-derivato replicazione difettivo, in grado di esprimere Env ed fIFN-γ, con il quale verranno trasdotti in vitro linfociti autologhi degli animali precedentemente immunizzati contro Env. I linfociti processeranno Env e la esprimeranno sulla superficie cellulare in modo simile a quanto avviene nell’infezione naturale. Il boost sarà quindi eseguito mediante purificazione dei leucociti dal sangue periferico, stimolazione e trasduzione con il vettore FIV derivato e successiva reinfusione negli animali. I linfoblasti trasdotti potranno essere riconosciuti come cellule naturalmente infettate ed eliminate dal sistema immunitario dell’ospite, già istruito al riconoscimento di Env.

Inoltre la produzione in vivo dell’ fIFNγ da parte delle stesse cellule che forniscono lo stimolo antigenico, dovrebbe potenziare la risposta verso l’antigene virale ed aumentare quella cellulo-mediata.

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