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Questo secondo approfondimento riguarda la trasmissione delle opere greco-arabe nella filosofia ebraica, partendo da due estratti di iAbd al- Laṭīf ibn Yūsuf al-Baghdādī (1162 – 1231)

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Appendice B

Questo secondo approfondimento riguarda la trasmissione delle opere greco-arabe nella filosofia ebraica, partendo da due estratti di iAbd al- Laṭīf ibn Yūsuf al-Baghdādī (1162 – 1231)

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, e di Mosè Maimonide (Cordova 1138 – Il Cairo 1204). I due scritti, pur sviluppandosi in modo diverso, sono entrambi un ammonimento agli studiosi correligionari che desiderano avvicinarsi alla filosofia, un consiglio sulla strada giusta da intraprendere. Di seguito riportiamo un estratto della lettere che Maimonide scrisse in risposta al suo traduttore Samuel Ibn Tibbon, il quale gli aveva chiesto un suggerimento riguardo ai testi filosofici della tradizione greca ed araba da leggere, prima di addentrarsi nella traduzione in ebraico della stessa opera di Maimonide, La Guida dei Perplessi:

« [Bada di non leggere i libri di Aristotele senza i loro commenti: il commento di Alessandro (di Afrodisia), il commento di Temistio e il commento (medio) di Averroè.] Quanto ai libri che tu hai menzionato e dei quali tu disponi, il De pomo e il De domo aurea sono tutte fantasie e sciocchezze senza senso. Questi due libri

234 Di cui ho riportato il passo in questione nel corso della ricerca. Vedi nel Capitolo I -

Lo sviluppo della filosofia araba nella Spagna medievale, pp. 31-33

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sono infatti tra quelle opere che sono state attribuite ad Aristotele, ma che sono (in realtà) sue. Quanto al libro La scienza divina di al-Rāzī, non ha alcuna utilità, perchè al-Rāzī era solo un medico. [Anche il Libro delle definizioni e il Libro degli elementi di Isaac Israeli sono tutte sciocchezze, perché anche Israeli era solo un medico.] Il Microcosmo di Yosef Ibn Ṣaddiq non l'ho letto, ma conosco l'autore, il suo valore e il valore del suo libro: egli senza dubbio segue la corrente dei Fratelli della purità, e (il suo libro) contiene moltissime cose. In generale, ti dico: non affaticarti a studiare i testi di logica, se non quelli composti dal sapiente Abū Naṣr al- Fārābī, perché tutto ciò che egli scrisse [in generale, e il trattato Sul regime politico in particolare] è pieno di saggezza. E quale autore egli fosse si può capire dalle sue parole: era davvero uno studioso molto valido.

Anche Abū Bakr Ibn al-Ṣāʼiġ (Ibn Bāǧǧa) era un grande e sapiente filosofo e le sue opere sono tutte rette e giuste.

[I libri di Aristotele sono proprio come le radici e i

fondamenti di tutte queste opere scientifiche, e non si

comprendono, come ho detto, se non con i loro

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commenti... (Invece), le opere di altri autori, come quelle di Empedocle, di Pitagora di Ermes e di Porfirio, contengono tutte una filosofia antiquata: non è dunque il caso di perderci il tempo.] Le parole di Platone, [maestro di Aristotele] sono, nei suoi libri, espresse in termini) difficili e metaforici, e non servono, perché bastano quelle di Aristotele, e non abbiamo bisogno di affaticarci sui libri dei suoi predecessori... ˂ Ma i commenti di Ibn al Ṭayyib, di Yaḥyā Ibn ʻAdī e di Ibn al Biṭrīq sono tutti libri inutili, e chi se ne occupa perde il suo tempo.

Dunque, non se ne occupi nessuno, se non per necessità

˃. I libri di Avicenna, benché siano sottili e difficili, non sono come quelli di al-Fārābī, ma sono utili, ed egli pure è un autore del quale è opportuno studiare e capire a fondo le parole.»

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Maimonide fu un filosofo e medico ebreo nativo spagnolo, uno fra quei tanti ebrei che a causa delle persecuzioni degli Almohadi, furono costretti ad allontanarsi da al-Andalus, dirigendosi dapprima a Fez in Marocco, successivamente in Palestina, per concludere la sua emigrazione in

235 Cfr. in Zonta M., La filosofia antica nel Medioevo ebraico. Le traduzioni ebraiche

medievali dei testi filosofici antichi, Paideia, Brescia, 1996, pp. 139-140.

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Egitto, a Il Cairo. La sua opera più famosa è La Guida dei perplessi, opera scritta in arabo e tradotta poi in ebraico da Samuel Ibn Tibbon.

L'opera è rivolta a coloro che concepiscono le contraddizioni delle Scritture Sacre, rispetto ai dettami della ragione. La Guida si pone come una chiave di volta per la lettura e l'interpretazione della Torah

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, superandone il senso letterale e mettendone a nudo le allegorie

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. Tornando invece alla lettera citata, essa è riconosciuta dagli studiosi come una delle fonti che ci indica il canone di testi facenti parte della cultura filosofica di un dotto ebreo dell'epoca. Maimonide, è senza dubbio una delle massime figure della filosofia ebraica nel tardo Medioevo, e anche un suo innovatore. La lista di opere da lui indicate diventeranno di fatto le auctoritates di una parte del pensiero ebraico dell'epoca successiva. Nonostante il carattere informale della lettera, i consigli dispensati da Maimonide divennero presto una sorta di regola ufficiale , la strada da seguire se si desiderava avvicinarsi alla filosofia.

Oltre alla sua importanza per lo sviluppo successivo della cultura filosofica ebraica, lo scritto indirizzato a Ibn Tibbon si inserisce nel dibattito sulle traduzioni aristoteliche. In ebraico, queste opere infatti, cominciavano ed essere studiate e conosciute dai sapienti ebrei dell'epoca

236 Il termine significa insegnamento e designa i cinque primi libri della Bibbia:

Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronimo. Secondo la tradizione è stata dato ad Israele sul monte Sinai, contiene Leggi e Comandamenti insieme alla storia di Israele prima del suo ingresso nella Terra Promessa.

237 Cfr. Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti Libri s.p.a., Milano, ottobre 2008

pag. 664 – pp. 1325-1326.

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attraverso i commenti di Averroè; questo autore arabo, infatti, ormai aveva preso il posto di tutti quei commentatori aristotelici a lui precedenti, sia greci che arabi. Infatti dopo Maimonide e fino al 1500, la ricezione presso gli ebrei del corpus Aristotelicum, fu pervasa da un approccio averroistico, proprio perché non venivano più studiati e letti i testi originali dello Stagirita, ma si preferiva avvicinarsi ad essi tramite i compendi e i commenti di Averroè. È comunque impossibile individuare solamente in Maimonide la causa o l'origine di questa inclinazione presa dalla filosofia medievale ebraica; infatti, come è possibile notare dal passo che abbiamo riportato, sono molti i commentatori nominati dallo studioso ebreo. Ma come ci dice Mauro Zonta, la scelta di Averroè come strumento fondamentale fu:

« […] il frutto di una presa di posizione autonoma dei dotti ebrei medievali, nata da esigenze tanto di carattere didattico, quanto di carattere più prettamente ideologico. »

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Secondo Zonta, infatti, e i motivi per cui gli ebrei nel medioevo scelsero di vedere in Averroè l'interprete ufficiale di Aristotele, si basarono su due aspetti: il primo era essenzialmente didattico. Infatti, le opere di Averroè si configurano come riassunti delle opere aristoteliche

238 Zonta M., Op. cit. pag. 141.

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ed al contempo compendiano e discutono le tesi di tutti quei commentatori che dalla tarda antichità si erano succeduti fino a lui. Oltre a ciò, si deve tenere a mente che nel XI e XII secolo i dotti ebrei, erano obbligati a studiare tali testi in modo autonomo e senza un'istituzione che si prendesse a carico il compito di dare al verbo aristotelico un'interpretazione autorevole, è più facile capire come Averroè divenne per questi pensatori un maestro ideale, un mediatore di Aristotele. In secondo luogo, si può parlare di un aspetto ideologico. I filosofi ebrei dell'epoca si trovarono in polemica con l'autorità religiosa, essendo incapaci di mediare l'aristotelismo con i dogmi della fede ebraica: questa ragione contribuì al fatto che i pensatori giudei si avvicinarono sempre più alle dottrine averroistiche. Nel filosofo di Cordova trovarono per così dire il giusto mezzo. Tra questi due aspetti, gli studiosi tendono comunque ad affermare che la sostituzione tout court del filosofo di Cordova rispetto allo Stagirita, operata nell'ebraismo medievale, si basi per lo più su di una necessità di ordine didattico. Quali tra gli scritti di Averroè vennero dunque maggiormente tradotti e studiati dai sapienti ebrei?

La prima serie di Commenti di Averroè tradotti in lingua giudaica furono

i commenti medi delle opere : Fisica, Da caelo, De generatione,

Metereologici, De anima, De sensu e Metafisica, che videro la luce tra il

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1244 ed il 1258; tali traduzioni divennero dalla metà dell' XI secolo le fonti principali dell'aristotelismo ebraico definito appunto aristotelismo averroista. Ma non passò molto tempo che i dotti ebrei si accorsero di non poter più soddisfare i loro studi con la semplice conoscenza dei Commenti avverroistici, altre traduzioni vennero condotte da due dotti ebrei in momenti, luoghi e condizioni differenti: il primo fu Zerahyah Gracian (1270 ca – 1290 ca.) a Roma ed il secondo Qalonymos ben Qalonymos (1286 - ?) in Provenza tre decenni dopo.

Per quanto riguarda Zerahyah Gracian vorrei presentarlo attraverso le sue stesse parole:

« […] ho sempre letto i libri di Aristotele, che sono tutti presso di me, il commento medio di Averroè e (il commento) di Temistio, li ho studiati e tradotti dall'arabo all'ebraico, tranne il De animalibus, che non era a mia disposizione (ms. di Cambridge, University Library, Add.

1235, f. 91v; corsivo mio).»

239

A partire da questo passo e da altri dello stesso tenore, alcuni studiosi

239 Cfr. Zonta M., Op. cit. pag.147 . Lo stesso Zonta riprende questa citazione da

Ravitzky A., Mishnato shel r. Zerahyah ben Ishaq ben Shealtiel Hen we-he-hagut

ha-maymonit ba-me' ah ha shelosh ' esreh ( La dottrina di r. Zerahyah ben Isaac ben

Shealtiel Gracian e il pensiero dei seguaci di Maimonide nel secolo XII) tesi di

dottorato, Jerusalem 1977, 93.

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moderni come ad esempio Mauro Zonta, hanno ipotizzato che l'interesse di Gracian, fosse di creare un corpus Aristotelicum a completa disposizione degli studiosi ebrei, e che egli basasse la strutturazione di questo progetto su testi originali di Aristotele, senza mai perdere di vista l'intento didattico di tale corpus, quindi traducendo senza i contenuti originali delle opere aristoteliche. Andremo adesso a semplificare quanto detto riportando di seguito la silloge di Zerahyan, come riportata da Zonta nella sua opera:

« Silloge di Zerahyah Gracian, come compare nel ms. di Londra, Jews College, n.42

240

Fisica, Commento medio di Averroè De caelo, Parafrasi di Temistio De generazione et corruptione De anima

De essentia animae, di al Farabi [De sensu, Compendio di Averroè (nella traduzione di Moshè Ibn Tibbon)]

Metafisica, Commento medio di Averroè De causis »

241

240 Questo manoscritto oggi è parte di una collezione privata.

241 Zonta M., Op. cit., pag 148

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La silloge di Gracian non ebbe molta diffusione all'infuori del territorio italiano, complici di ciò il suo linguaggio astruso e lo stile troppo pedestre.

Con Qalonymos ben Qalonymos, in Provenza, siamo invece in un ambiente in cui si richiedono delle versioni delle opere aristoteliche più semplici e chiare; l'autore realizzò agli inizi del secondo decennio del XII, secolo una serie di versioni ebraiche dei Commenti medi della Fisica, della Metafisica, dei Metereologici, ma anche della Sofistica e dei Topici, in questi compendi si inserirono quello dell'Etica Nicomachea della Retorica e della Poetica.

Le versioni di Qalonymos si diffusero rapidamente nella Francia del Sud, anche perché rispondevano alle esigenze di colmare le lacune nella tradizione della filosofia aristotelica nei circoli filosofici ebraici. Un discorso a parte va fatto per le opere di logica, che corrispondono all'Organon aristotelico. Infatti, per quanto riguarda la logica, venivano considerate di maggiore prestigio i commenti scritti al riguardo da al- Fārābī, o almeno così fu fino a primi decenni del Trecento

242

.

Ed è infatti proprio nel XIV secolo che l'universo filosofico ebraico entrò in contatto con la seconda parte dell'Organon, nella stessa versione di come era conosciuto nel mondo arabo. Le versioni ebraiche di questa

242 Nel quarto capitolo della ricerca e nell'appendice A, infatti si nota come anche nel

programma didattico di Gerardo da Cremona sia predominante l' opera di commento

alla logica aristotelica di al-Fārābī anche nel mondo latino.

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seconda parte erano ben lontane dalla complessità e la completezza degli scritti aristotelici, infatti nel 1315 Yosef Caspi, scrivendo il suo compendio di logica, intitolato Ṣeror ha-kesef (Il fascio d'argento) dovette far riferimento non solo ai commenti di Averroè, ma anche al Compendio farabiano.

Vorrei infine mettere in luce una differenza sia pure marginale che separa

i dotti ebrei e quelli cristiani, riguardo alle loro rispettive posizioni

sull'averroismo. Gli uni e gli altri, infatti, avevano su Averroè due diversi

punti di vista diversi: i primi, abbiamo visto, puntarono allo studio dei

commenti medi; mentre i sapienti cristiani si concentrarono più che altro

sullo studio dei Commenti grandi che riscossero subito un sorprendente

successo, in quanto inglobavano il testo integrale degli scritti di

Aristotele. Per il mondo ebraico non fu prima del 1314 che Qalonymos

ben Qalonymos redasse la sua versione del Commento grande agli

Analitici posteriori. La tradizione ebraica cominciò ad avvicinarsi ai

commenti grandi verso la fine del Quattrocento, in particolare con quelli

sul De caelo e del De anima.

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