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1 Introduzione
Olea europaea L. subs. europaea è la più importante pianta coltivata per la produzione di olio nei paesi del bacino del Mediterraneo, soprattutto in Italia, Spagna, Grecia e Portogallo.
Questa specie, come molte angiosperme, produce fiori ermafroditi in cui gli organi riproduttivi femminili (pistilli) e maschili (antere) si trovano in stretta prossimità, si avvale di un meccanismo di impollinazione di tipo anemofilo e produce una grandissima quantità di polline (Ferrara et al., 2007) Tutte queste caratteristiche potrebbero far pensare ad una forte tendenza all’autoimpollinazione per questa specie e di conseguenza all’autogamia.
In realtà l’olivo è parzialmente autoincompatibile (Androulakis and Loupassaki, 1990; Cuevas et al., 2001; Lavee and Datt, 1978; Lavee et al., 2002), ossia può evidenziare fenomeni di sterilità fattoriale che ostacolano la fecondazione e che rendono questa specie, così come molte altre angiosperme, una specie preferenzialmente allogama (Moutier, 2002; Tombesi, 2003).
Il patrimonio olivicolo del bacino del Mediterraneo è quindi caratterizzato da cultivar che, in molti casi, sono autoincompatibili e di conseguenza richiedono un’impollinazione incrociata per ottenere una buona produzione. Solo poche cultivar locali sono comunemente considerate autocompatibili, anche se beneficiano molto di impollinazioni incrociate (Lavee e Datt, 1978; Androulakis and Loupassaki, 1990).
Accade così che in alcuni paesi del Mediterraneo come la Spagna e la Grecia, gli impianti sono molto spesso monocultivar, perché le varietà locali sono solitamente considerate autocompatibili (Lavee e Datt, 1978), mentre in Italia la maggior parte delle cultivar di olivo sono autoincompatibili (Basso a Natali, 1962;
Bellini et a., 2003).
E’ noto ormai da molti studi, che l’olivo presenta notevoli fenomeni di autosterilità e/o di incompatibilità pollinica, per cui gli ovuli non si fecondano con il polline del proprio fiore né con quello di altri fiori della stessa pianta o di piante appartenenti alla stessa cultivar; questo fenomeno, molto spesso trascurato, si ripercuote in una bassa produzione di drupe.
4 Questi studi hanno evidenziato come la causa dell’autoincompatibilità ed ipofertilità sia imputabile alle delicate relazioni tra polline e pistillo delle diverse cultivar. In questa specie il fenomeno dell’autoincompatibilità si evidenzia o con la mancata germinabilità del granulo pollinico sullo stigma o l’interrotto sviluppo del tubetto pollinico lungo lo stilo, che causa un ritardo ed una riduzione della fecondazione (Cuevas, 1992).
Nell’olivo la bassa percentuale di allegagione dei fiori non è unicamente correlata a fenomeni di autoincompatibilità ma anche alla elevata presenza di fiori staminiferi, ossia di fiori che si differenziano dai normali fiori per la parziale o totale necrosi del pistillo (Cuevas et al. 1999).
La presenza di questi fiori “maschili” incrementa la quantità di polline disponibile per l’impollinazione (Cuevas and Polito, 2004), sebbene senza effetti significativi sull’allegagione, e implica un minore dispendio di nutrienti per la pianta, che deve differenziare unicamente le porzioni perianziali del fiore e gli stami.
La produttività di un impianto di olivo dipende quindi dal livello di autocompatibilità, dall’efficacia riproduttiva degli impollinatori e dalla combinazione delle cultivar presenti nell’impianto. Ecco quindi che è di fondamentale importanza la conoscenza delle relazioni di autofertilità e di interfertilità fra le diverse varietà coltivate; questo infatti ci permette di individuare le migliori combinazioni al momento della predisposizione dell’impianto. Uno studio attento di questi parametri permette anche di limitare il fenomeno dell’alternanza di produzione che affligge l’olivo.
1.1 Morfologia e biologia fiorale dell’olivo
I fiori dell’olivo sono piccoli, di colore bianco-giallognolo ed attinomorfi. Il calice, formato da quattro sepali riuniti a forma di coppa, è di tipo persistente, ossia resta saldato alla base dell’ovario dopo la caduta della corolla. Questa comprende quattro petali uniti alla base (corolla gamopetala).
Il gineceo è formato da un ovario supero e biloculare, con due ovuli per loggia, uno stilo grosso e breve ed uno stigma abbastanza grande, bifido e papilloso. Dei quattro ovuli contenuti nell’ovario, di norma, solo uno verrà fecondato proseguendo il suo sviluppo.
5 L’androceo è costituito da due stami brevi ed opposti che sorreggono due antere gialle di grandi dimensioni, deiscenti longitudinalmente a maturità.
La forma del calice, della corolla e dello stigma possono essere assunti quali caratteri distintivi tra le cultivar (Morettini, 1972).
I granuli pollinici contenuti all’interno di ciascuna antera sono a forma di barile, gialli, assai numerosi, dotati di esina reticolata e provvista di solchi. Il loro diametro equatoriale è dell’ordine medio di 25 micron, quello polare di ca. 17 micron. La loro forma e dimensioni, così come le trame e le sculture presenti sull’esina dei granuli pollinici, possono essere utili a fini tassonomici per il riconoscimento delle cultivar (Roselli, 1979). Il numero di granuli pollinici complessivo per infiorescenza è molto elevato potendo oscillare tra 4 e 8 milioni (Villemur, 1983).
Il fiore perfetto (Fig. 1), composto da stami e pistillo regolarmente conformati e sviluppati è frequentemente affiancato, anche nella stessa infiorescenza, da fiori imperfetti contenenti ovari parzialmente o totalmente abortiti, detti anche fiori staminiferi, che pertanto risultano infruttiferi. La frequenza con cui questo fenomeno abbastanza comune di sterilità morfologica si manifesta dipende da fattori genetici ed ambientali e di norma non influisce sulla produttività finale della pianta.
Figura 1 - Fiori perfetti di olivo.
Il numero totale di fiori per pianta può essere molto grande e arrivare a superare anche il mezzo milione (Martin, 1990). Di questi solo l’1-2% completerà il
6 processo di fruttificazione, assicurando una regolare produzione alla pianta; gli altri invece abscinderanno precocemente, già 1-2 settimane dopo la fioritura.
1.2 Induzione e differenziazione delle gemme a fiore
La produzione dell’olivo deriva dai fiori portati da una infiorescenza a grappolo chiamata “mignola”, che si trova, di norma, all’ascella delle foglie, su germogli formatisi l’anno precedente. È necessario pertanto che le piante abbiano una buona quantità di germogli e abbastanza lunghi sui quali le gemme possano trasformarsi in infiorescenze e fiori (Fig. 2).
Ogni infiorescenza è composta da un numero variabile di fiori, da 7-8 a 35-40 circa a seconda delle varietà.
Figura 2 – Ciclo biennale di fruttificazione dell’olivo.
La transizione degli apici meristematici dallo stadio vegetativo a quello riproduttivo è considerata una delle fasi più importanti dell’ontogenesi delle specie da frutto (Mehri e Crabbé, 2002). Nell’olivo, in origine, si pensava che l’induzione delle gemme a fiore avvenisse all’incirca due mesi prima della fioritura (Hartmann, 1951; Monselise e Goldschmidt, 1982). Successivamente altri autori (Tomaselli, 1960; Milella, 1961) introdussero lo stadio ad orceolo, il caratteristico livellamento dell’apice della gemma, come un indice della condizione irreversibile della
7 differenziazione a fiore. In seguito Troncoso (1966, 1967) dimostrò che lo stadio ad orceolo era tipico delle gemme vegetative e che la differenziazione di quelle a fiore avveniva quando l’apice meristematico si suddivideva in tre protuberanze. Alla fine degli anni ’80 numerosi studi avallarono l’ipotesi che l’induzione a fiore delle gemme potesse avvenire durante l’estate, più precisamente prima della sclerificazione dell’endocarpo (Stutte e Martin 1986; Tombesi e Cartechini 1986;
Navarro et al. 1990; Fernandez-Escobar et al. 1992). Successivamente Lavee (1996) propose la teoria a “due step”: il primo stimolo induttivo avviene durante l’estate in concomitanza della fase di indurimento dell’endocarpo, mentre un secondo input sarebbe necessario durante l’inverno, e comunque il processo viene completato solo se le condizioni ambientali induttive (basse temperature durante l’inverno ed un ampio accumulo di unità di calore durante l’estate) si manifestano in entrambe le stagioni (Orlandi et al., 2005).
Questa teoria è stata dimostrata nell’olivo, come pure in altre Drupacee, da studi citochimici (Andreini et al., 2008) che hanno accompagnato quelli classici anatomici (Mazzolani 1955; Troncoso 1966, 1967; Fabbri e Alerci 1999), con l’individuazione di marker specifici come RNA (Pinney e Polito 1990) e citochinine (Corbesier et al., 2003) che giocano un ruolo nella transizione a fiore delle gemme.
Osservazioni sullo sviluppo delle gemme indicano come esse non siano fortemente stabili nella loro natura, ma che esistano forme di passaggio fra la forma riproduttiva e quella vegetativa. Questi eventi sono influenzati da fattori ormonali, nutrizionali ed ambientali (Lavee, 1996). In piante con un elevato carico di raccolto, la forte competizione per gli assimilati potrebbe contribuire a modificare il regolare percorso del processo di induzione (Proietti e Tombesi, 1997).
1.3 Sviluppo del fiore e fioritura
La mignolatura è il periodo compreso tra la fuoriuscita dell’infiorescenza e l’antesi, ha inizio e decorso in funzione dei fattori climatici e sulla base di caratteristiche varietali. Nell’Italia centrale la mignolatura comincia al sopravvenire delle condizioni climatiche favorevoli, solitamente verso la metà di aprile e termina tra la fine di maggio e la prima decade di giugno.
Sulla stessa pianta l’emissione delle mignole comincia dalla parte della chioma esposta a sud e sui rami avviene senza un ordine prestabilito; il colore
8 dell’infiorescenza evolve dal verdastro al biancastro col procedere dell’accrescimento e diventa bianco giallastro all’avvicinarsi dell’epoca di fioritura.
L’asse dell’infiorescenza, racchiuso nella gemma, comincia ad accrescersi e fuoriesce dalle perule; sull’asse principale si inseriscono gli assi secondari opposti, di lunghezza decrescente dalla base verso l’apice. I fiori sono disposti all’apice degli assi principali, secondari e nelle parti intermedie, abbinati ed opposti; di frequente si riscontrano fiori soprannumerari nel punto di inserzione degli assi secondari.
L’infiorescenza dell’olivo è un racemo ed è portata normalmente sui rami dell’anno precedente, anche se si può osservare sui rami di due o tre anni.
Occasionalmente si può avere l’emissione di un germoglio che termina con un’infiorescenza sul quale si trovano foglie normali alla cui ascella si inseriscono altrettante singole mignole di solito di dimensioni complessive più ridotte delle mignole normali. Le infiorescenze sono sufficientemente diverse tra le varie cultivar e nella stessa cultivar presentano un più o meno accentuato polimorfismo con prevalenza del tipo caratteristico della varietà.
L’inizio dell’antesi si colloca, a seconda delle condizioni climatiche e delle cultivar, dall’ultima decade di aprile fino alla prima metà di giugno; questa non è contemporanea nelle infiorescenze della stessa pianta o nei fiori della stessa mignola e dura in genere 5-6 giorni per prolungarsi fino a 10-15, qualora si verifichino giornate fresche e abbassamenti di temperatura. Al momento della fioritura, il processo di maturazione del granulo pollinico (microsporogenesi) e quello di maturazione del sacco embrionale all’interno dell’ovulo (macrosporogenesi), si sono ormai completati.
Il processo di maturazione del granulo (microsporogenesi) si compie nelle sei settimane antecedenti la fioritura, completandosi pienamente all’antesi (Rapoport, 1998) e determinando la formazione di gameti aploidi a partire dalle cellule diploidi della pianta madre. Ogni antera è costituita a partire dall’esterno da uno o più strati di cellule sterili, che contiene la sacca pollinica in cui, un mese prima dell’antesi, si evidenziano le cellule madri del polline, tutte diploidi. Ogni cellula diploide subisce la meiosi con formazione di quattro cellule aploidi, avvolte da una parete di callosio, che successivamente viene assorbito ed il granulo di polline si avvolge di due pareti, una interna (intina) e da una esterna (esina). Durante la fase finale di accrescimento il nucleo del polline si divide con la formazione di due nuclei di cui uno con funzione vegetativa e l’altro con attività riproduttiva.
9 Nella macrosporogenesi, che si completa nelle tre settimane precedenti la fioritura (Extremera et al., 1988), la parte fertile del pistillo è rappresentata dagli ovuli che sono dislocati all’interno dell’ovario. Ciascuno ha nella parte centrale la nucella, protetta da due tegumenti, che all’apice lasciano un piccolo foro, il micropilo. Nella nucella si differenzia la cellula madre diploide, che attraverso due successive divisioni meiotiche origina quattro cellule aploidi di cui una sola risulta essere funzionale e che darà origine all’ovocellula.
Fra le anomalie più importanti che colpiscono gli organi fiorali dell’olivo è da ricordare l’aborto dell’ovario (Fig. 3), cioè la presenza di fiori con pistilli atrofici, oppure con ovario devitalizzato (fiori “staminiferi”), ma anche l’aborto della parte maschile (fiori “pistilliferi”).
Tutte le cultivar presentano una percentuale variabile di fiori staminiferi.
L’olivo è una specie monoica e porta pertanto sia fiori ermafroditi perfetti sia fiori imperfetti (“staminiferi”); la proporzione tra questi due tipi di fiori dipende dalla varietà (componente genetica) ed è leggermente influenzata dalle condizioni climatiche e nutritive (luce, temperatura, umidità, disponibilità d’acqua) (Seifi et al., 2008).
Figura 3 - Mignola in prossimità dell'apertura con fiori dotati di ovario abortito e normale.
Più raro è, invece, il fenomeno opposto cioè quello conosciuto come androsterilità (fiori “pistilliferi”, Cerasuola e Maurino tra le cultivar italiane)
10 (AA.VV., 2003), dove le antere possono avvizzire prima della schiusura del fiore, essere incapaci di produrre polline o essere incapaci di produrre polline vitale.
1.4 Impollinazione
Al momento della schiusura del fiore, le due antere si discostano provocando l’allontanamento della corolla che le ricopre; successivamente le logge deiscono, liberando nell’aria una grandissima quantità di polline che viene trasportato dal vento anche per grandi distanze; tale trasporto è favorito dal tempo buono, con leggera brezza, mentre è ostacolato dalle piogge.
L’emissione del polline, nel fiore di olivo, avviene dopo un giorno dalla schiusura e si esaurisce in 24-48 ore. Per effetto della scalarità di fioritura nell’ambito della mignola e tra le infiorescenze, la massima emissione del polline nella pianta si ha 3-4 giorni dopo l’inizio della fioritura. Lo stimma ha una ricettività di 5-7 giorni a partire dalla schiusura del fiore e la maggiore quantità di stimmi ricettivi si riscontra o contemporaneamente al periodo di massima emissione del polline o in ritardo di un giorno circa. Nella pianta la ricettività degli stimmi si esaurisce 1-2 giorni più tardi rispetto all’esaurimento del polline. Tra l’inizio e la fine del periodo di fioritura vi è un tempo medio di 10-12 giorni.
Una buona impollinazione richiede numerosi granuli di polline per amplificare l’azione degli enzimi e delle proteine da essi liberati e che partecipano al riconoscimento ed alla affermazione della compatibilità.
Figura 4 – Fasi di sviluppo fiorale dal momento dell’apertura fino alla caduta dei petali (A-F) (tratto da Enciclopedia mondiale dell’olivo, 1997).
11 1.5 Fecondazione e allegagione
1.5.1 Fecondazione
Nelle combinazioni interfertili ed in quelle autofertili, il granulo pollinico emette il budello germinativo, il quale penetra attraverso il parenchima stilare per raggiungere l’ovulo dove si origina lo zigoto da cui si sviluppa il seme che promuove la formazione del frutto. Le condizioni ambientali ed in particolare le temperature favorevoli per la germinazione del polline e per l’allungamento dei tubuli pollinici possono facilitare la fecondazione.
Nell’ovario sono presenti quattro ovuli, due per ogni loculo, con ciascuno una ovocellula; di norma un solo ovulo viene fecondato, generando un solo seme. Lo sviluppo dell’ovulo fecondato per primo, esercita un forte richiamo di sostanze nutritive e causa l’arresto dell’accrescimento e poi l’aborto degli altri tre. Nell’ovulo, dopo la fecondazione dell’ovocellula, si sviluppa l’embrione circondato dall’endosperma secondario ed i tegumenti dell’ovulo si apprestano a diventare tegumenti seminali. Vi sono cultivar che raramente portano più di un frutto per mignola, mentre altre possono formare grappoli di 5-7 frutti per infiorescenza.
Durante questo periodo vi è un intenso scambio di ormoni e di sostanze nutritive tra l’embrione, il frutto in formazione ed il ramo, cosicché, di norma, solo i frutti che contengono il seme in via di sviluppo si accrescono regolarmente.
Dopo l’impollinazione e la fecondazione, nei fiori fecondati cadono la corolla e i residui degli stami, lo stimma annerisce e l’ovario si ingrossa gradualmente.
L’allegagione non è contemporanea sulla stessa pianta e nella stessa mignola e i primi frutticini si distinguono circa 10-15 giorni dopo l’antesi. Fino a tutto luglio numerosi frutticini apparentemente allegati e già parzialmente ingrossati raggrinziscono e cadono, dando luogo ad una cascola di rilevanti proporzioni.
Rimangono quelli meglio inseriti nella mignola, che successivamente fino a settembre, subiscono una ulteriore consistente riduzione.
1.5.2 Allegagione
L’abscissione è un fenomeno naturale complesso, controllato da numerosi fattori ambientali, genetici e fisiologici che regolano il distacco di parti di pianta,
12 quali fiori e frutti (Tromp et al, 2005) in base alla disponibilità di metaboliti da parte della pianta.
Pertanto su 100 fiori posseduti dalle mignole, secondo dati di Morettini, dopo un mese circa dalla fioritura, solo il 7,5% è allegato ed in settembre, della quantità di fiori allegati rimane solo il 26% dei frutticini. Pertanto l’allegagione complessiva, valutata in settembre, nell’olivo è generalmente compresa tra 1-3% e questo valore non cambia molto tra anni di “carica” o di “scarica” (Camposeo et al., 2012).
Le cause che provocano la prima ridotta allegagione sono da riportare alle carenze nutritive verificatesi durante il periodo precedente l’antesi, che influiscono sulla vitalità degli organi sessuali, alle condizioni climatiche avverse durante l’impollinazione, alle condizioni di sterilità fattoriale, alla presenza di un inadeguato numero di impollinatori ed ai danni provocati dalla generazione antofaga della tignola.
Sul secondo periodo di cascola incidono i fenomeni relativi a fecondazioni imperfette, a competitività nutritive ed ormonali fra i frutticini, a carenze idriche e ad attacchi parassitari, per cui la pianta, attraverso l’eliminazione dei frutti, adegua la produzione alle sue capacità nutritive.
Tutti questi fattori competitivi determinano l’inizio dell’abscissione dei fiori non fecondati e di quelli meno sviluppati (Rapoport et al, 1990), periodo che termina approssimativamente con la sclerificazione dell’endocarpo e con il periodo di rapido sviluppo dell’embrione.
1.6 Anomalie della biologia fiorale
La fecondazione dei fiori può essere impedita od ostacolata da fattori estrinseci, come carenza di elementi nutritivi o condizioni ambientali sfavorevoli, oppure da fattori intrinseci alla pianta, ossia di origine genetica (sterilità morfologica, citologica e fattoriale).
Possono però intervenire dei meccanismi attraverso i quali questi ostacoli possono essere superati od aggirati, permettendo l’ottenimento della fruttificazione sia mediante l’atto fecondativo (pseudocompatibilità) sia senza (partenocarpia).
13 1.6.1 Il fenomeno della pseudocompatibilità
La pseudocompatibilità nelle angiosperme consiste nell’elusione del fenomeno dell’autoincompatibilità; è stata studiata in diversi generi ma desta particolare interesse nelle piante da frutto, dove rappresenta la base per l’ottenimento di raccolti più omogenei e il mantenimento di cultivar interessanti dal punto di vista agronomico. In molti taxa è stato osservato che condizioni sub-optimali di crescita come la diminuzione dell’intensità della luce, una maggiore umidità relativa, basse o alte temperature e fattori nutrizionali possono indebolire la reazione di incompatibilità.
Il fenomeno della pseudocompatibilità nell’olivo fu descritto per la prima volta da Bradley et al. nel 1961. I fattori ambientali come le temperature favorevoli e le condizioni nutritive possono influire sulla germinazione del polline e sull’allungamento dei tubetti pollinici, facilitando la fecondazione e contrastando il fenomeno della sterilità fisiologica che affligge l’olivo (AA. VV., 1978). In seguito a primavere fresche la percentuale di fruttificazione aumenta ed il numero di frutti per infiorescenza, che di solito è 1, può arrivare a 5-7. Sotto tali condizioni però il numero di infiorescenze si riduce cosicché il numero totale di frutti rimane pressoché invariato. Alte temperature durante la fioritura non influenzano la fruttificazione, ma la combinazione di elevata temperatura e bassa umidità relativa può causare l’aborto dell’embrione ed il conseguente arresto dello sviluppo del frutticino (Solfanelli, 2003).
La cultivar “Leccino”, una delle più diffuse cultivar di olivo da olio nell’Italia centrale, è comunemente classificata autoincompatibile, come la maggior parte delle cultivar italiane (Bellini et al., 2003). Studi di selezione clonale effettuati per un periodo di cinque anni, hanno dimostrato che alcuni cloni di questa cultivar, mostrarono un soddisfacente tasso di fruttificazione in seguito ad autoimpollinazione, anche se questa capacità variava negli anni (Bartolini et al., 1995). I frutti ottenuti erano di dimensioni normali e contenevano sempre semi vitali.
Le osservazioni al microscopio a fluorescenza della crescita del tubetto pollinico “in vivo”, dimostrarono che, indipendentemente dal tasso di fruttificazione, questo era capace di raggiungere l’ovario in tre dei sei cloni studiati, mentre nei restanti cloni, così come nella cultivar standard di “Leccino”, il tubetto penetrava nello stilo soltanto per un breve tratto. Tali risultati sono stati confermati da uno studio
14 successivo (Bartolini et al., 2002) volto ad indagare, sulla cultivar standard di
“Leccino”, l’influenza di differenti temperature sulla fase pre-gamica, sulla fecondazione e sulla fruttificazione. Tale studio ha confermato che il “Leccino” non è completamente autoincompatibile, infatti i dati dimostrarono la penetrazione del tubetto pollinico attraverso il micropilo e lo sviluppo dei pro-embrioni in tutte le condizioni ambientali testate. In questo caso, i meccanismi di autoincompatibilità non interrompono l’allungamento nello stigma e nello stilo del tubetto pollinico, cioè il locus-S, normalmente attivo, in certe condizioni, può essere disattivato con il conseguente blocco della sintesi delle RNasi o dei ricettori di membrana (Lewin, 1990). La stessa ricerca dimostrò l’assenza di fruttificazione in seguito ad autoimpollinazione in alcune annate, evidenziando la presenza di problemi durante la fase zigotica o post-zigotica e che la penetrazione nell’ovulo del tubetto pollinico non assicura la fecondazione e lo sviluppo del frutto.
In uno studio più recente (Bartolini e Andreini, 2010), in cui lo scopo è stato quello di estendere le osservazioni sulla compatibilità pollinica su un numero più ampio di cultivar, appartenenti prevalentemente al germoplasma toscano e ritenute autoincompatibili o parzialmente autoincompatibili, è risultato che in tutte le cultivar studiate, e descritte dalla letteratura come autoincompatibili, non sono emersi fenomeni ascrivibili ad una incompatibilità gametofitica dovuta al meccanismo genetico di tipo SI.
L’insieme di questi risultati contrastano con la classificazione di cultivar completamente autoincompatibile data al “Leccino” da diversi autori del passato (Morettini A.,1939; Baldini E., 1953; Basso e Natali, 1962; AA. VV., 1978).
La pseudocompatibilità interessa anche alcune cultivar di melo e pero quali la
“Cox’s Orange Pippin” (Williams e Maier, 1977) e “William” (Lombardi et al, 1972). Queste cultivar sono di norma autoincompatibili, ma nelle località e nelle annate in cui le temperature durante l’antesi sono relativamente elevate (15-20°C), si comportano come se fossero autofertili, con lo stesso meccanismo precedentemente visto per l’olivo.
L’influenza della temperatura varia non solo col variare delle specie, ma a seconda del momento in cui essa viene considerata, cioè se prima o dopo l’impollinazione.
15 Anche l’età dello stilo può influenzare la reazione di autoincompatibilità; essa è più debole se l’impollinazione avviene quando lo stilo e lo stigma non sono ancora completamente sviluppati o i fiori sono vicini alla senescenza.
Nel caso del melo “Cox’s Orange Pippin” la pseudocompatibilità può essere massimizzata attraverso l’impollinazione di fiori senescenti con larghe quantità di polline e mantenendo una temperatura di almeno 20°C (Williams e Maier, 1977).
È stato mostrato che fattori endogeni, come i fitormoni, giocano un importante ruolo nello sviluppo dell’ovario e del frutto prima, durante e dopo l’impollinazione.
In alcuni casi, applicazioni di ormoni esogeni possono ripristinare la fecondazione e permettere lo sviluppo del frutto (Goodwin, 1978). Recenti studi riportano il coinvolgimento dell’IAA (acido indol-acetico), ABA (acido abscissico), citochinine ed etilene nelle impollinazioni compatibili (Kovaleva et al., 2002).
Il ruolo delle auxine nell’impollinazione di Olea europea, in particolare dell’IAA, è stato analizzato per la prima volta attraverso analisi biochimiche e di immunolocalizzazione (Solfanelli et al, 2006); da queste è emerso che la concentrazione dell’IAA è più bassa nei pistilli non impollinati ed in quelli autoimpollinati rispetto a quelli lasciati alla libera impollinazione. I risultati dell’immunolocalizzazione hanno permesso poi di evidenziare la diversa distribuzione dell’IAA nei pistilli auto e libero-impollinati, dimostrando che nei pistilli libero-impollinati delle cultivar esaminate (“Pendolino” e “Leccino Millennio”), il segnale dell’IAA è ben evidente e uniformemente distribuito nell’intero pistillo, mentre nei pistilli autoimpollinati si evidenzia una differenza di distribuzione tra le cultivar. Nel “Leccino Millennio” autoimpollinato il segnale dell’IAA è diffuso dallo stigma fino all’ovario; nel pistillo di “Pendolino”
autoimpollinato il segnale dell’IAA si ferma a livello dello stilo. Il fatto che il segnale in “Leccino Millennio” autoimpollinato, ma non in “Pendolino”, arrivi all’ovario e la maggiore percentuale di allegagione nel “Leccino Millennio”
autoimpollinato confermerebbe un ruolo determinante dell’IAA nel superamento dell’incompatibilità.
La procedura immunocitochimica, usata per monitorare il livello e la distribuzione dell’IAA, conferma il ruolo fondamentale di questo ormone durante i processi di impollinazione e fecondazione. L’incremento nel segnale dell’IAA dopo l’autoimpollinazione ha dimostrato che, in Olea europea L., la sintesi delle auxine è
16 correlata con la crescita del tubetto pollinico nello stilo, suggerendo che questo ormone è necessario per il buon esito dei processi zigotici (Zhang e O’Neill, 1993).
Una gran varietà di molecole sono state testate per studiarne l’influenza sull’incompatibilità: aminoacidi, vitamine, proteine, inibitori della sintesi di RNA, zuccheri e lecitine. Inibitori della trascrizione dell’RNA e della sintesi proteica sono stati applicati con successo a diversi generi per superare l’incompatibilità; gli inibitori possono disturbare il meccanismo di riconoscimento e rigetto del polline (Ascher, 1971).
Per il superamento dell’incompatibilità tra specie può essere utilizzata una tecnica che consiste nell’impollinazione con una mescolanza di pollini compatibili (“mentor”) ed autoincompatibili. Tale tecnica è basata sul principio di devitalizzazione dei nuclei dei pollini autocompatibili a mezzo di agenti fisici o chimici (radiazioni, basse temperature, metanolo, ecc.) in modo da impedire la fecondazione per mezzo di questi pollini. In presenza di pollini autocompatibili trattati, i pollini autoincompatibili sono capaci di crescere e fecondare la cellula uovo, grazie al rilascio di particolari sostanze da parte dei pollini autocompatibili, che stimolano la crescita dei tubetti pollinici autoincompatibili. Nel melo è stato riportato da Dayton (1973) come a seguito di autoimpollinazione della cultivar “Mc Intosh” con mescolanze di polline della cultivar “Delicious” (“mentor pollen”) trattato con metanolo, la percentuale di produzione dei frutti è stata del 21%, mentre nessun frutto è stato ottenuto nella stessa cultivar per autofecondazione.
In seguito a mutazioni spontanee o indotte si possono avere fenomeni di pseudocompatibilità o il passaggio di alcune specie da autoincompatibili ad autocompatibili. Molto noto è il caso della cultivar di ciliegio “Stella”, ottenuta per incrocio con un mutante, dalla quale poi, per successivi incroci, sono state ottenute altre varietà autofertili (AA. VV., 1978).
1.6.2 Il fenomeno della partenocarpia
In alcune specie la formazione dei frutti può avvenire anche senza l’atto fecondativo. Questa fruttificazione è detta partenocarpica e i frutti che da essa derivano sono caratterizzati dalla totale assenza di semi. La formazione di frutti apireni (senza semi) può avvenire anche quando, in cultivar autoincompatibili, particolari condizioni climatiche e trofiche provocano un inizio di sviluppo dei
17 budelli pollinici i quali, pur non raggiungendo gli ovuli, stimolano ugualmente lo sviluppo degli ovari: in questo caso si parla più propriamente di partenocarpia stimolativa o indotta.
L’attitudine alla fruttificazione partenocarpica varia da specie a specie: in alcune piante arboree tropicali, come il banano e l’ananas, essa è abituale, in altre subtropicali, come gli agrumi, o dei climi temperati, come il melo, il pero o la vite, assai frequente; nelle Drupacee, invece, i fiori non fecondati cadono durante l’antesi o dopo modesto accrescimento inziale degli ovari, oppure danno origine a frutti deformi, più piccoli del normale e privi di qualsiasi interesse commerciale.
Ad esempio nell’olivo, in condizioni di carente impollinazione e fecondazione, i frutticini, anziché abscindere, possono persistere a lungo sulle piante senza peraltro accrescersi e talora anche senza maturare. È il caso delle cosiddette “pseudodrupe” o
“olive passerine” (Fig. 5). In alcune cultivar (“Gordales”) questi frutti partenocarpici possono raggiungere dimensioni accettabili e, talora, sono oleificati (“Coratina”).
Figura 5 - Olive partenocarpiche "passerine" derivate da pistilli non fecondati.
Come già detto, la fruttificazione partenocarpica è piuttosto frequente nel pero, di cui varie cultivar (“Conference”, “Butirra Hardy”, “Passa Crassana”, “William”,
18 ecc.) possono allegare frutti anche in assenza di fecondazione o con ovuli fecondati ma successivamente abortiti per cause intrinseche od indotte da avversità atmosferiche (pseudopartenocarpia) (Lewis, 1942). Anche le temperature miti primaverili possono talora creare le condizioni per una fruttificazione in assenza di fecondazione come nel caso del pero “William” in California, che fruttifica normalmente senza presenza di impollinatori (Lombardi et al., 1972).
Nel melo invece, la partenocarpia è piuttosto eccezionale ma non rara. Per esempio nel melo “Renetta del Canada” la partenocarpia può assicurare un discreto raccolto in annate in cui manca l’impollinazione, a patto che le condizioni nutrizionali delle piante siano buone.
La presenza dei semi impedisce la cascola e influenza dimensioni e forma del frutto; a causa dell’assenza dei semi i frutti partenocarpici tendono infatti ad essere più allungati di quelli gamici; questo fatto è evidente nelle pere, dove i frutti sono più affusolati, più stretti e sempre irregolari. Anche le mele con pochi semi o senza semi risultano di minor calibro; sono generalmente di forma irregolare, meno allungata, più appiattita. In ogni caso, sia nel melo che nel pero, la produzione partenocarpica è più aleatoria e quindi è utile promuovere la buona impollinazione, che dà frutti più resistenti alla cascola e normali (Barbier, 1977; Callan e Lombard, 1978).
La partenocarpia è un fenomeno poco frequente nel pesco e nell’albicocco ed in ogni caso non è sfruttabile da un punto di vista agronomico (Sansavini e Filiti, 1972).
Nel ciliegio, per effetto dello sviluppo partenocarpico, i frutticini possono accrescersi inizialmente anche in mancanza di fecondazione e possono raggiungere dimensioni anche notevoli a seconda della cultivar ed in annate in cui l’andamento stagionale procede con temperature relativamente basse dopo la fioritura.
Successivamente, durante la ripresa del rapido accrescimento da parte dei frutti normali, essi cadono in seguito all’abscissione del peduncolo in corrispondenza del punto d’inserzione del pedicello (AA. VV., 1978).
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2 Il fenomeno dell’incompatibilità nell’olivo
L’olivo, può presentare problemi di incompatibilità, uno dei fenomeni principali che può determinare scarsa allegagione. Infatti, evidenzia fenomeni di sterilità fattoriale che ostacolano la fecondazione (incompatibilità di tipo gametofitico) (Morettini, 1972) e che di fatto rendono tale specie autoincompatibile oppure parzialmente o totalmente interincompatibile (AA. VV., 1978).
Di qui sorge la necessità di introdurre impollinatori, che possono anche avere una valenza produttiva di per sé, ma che soprattutto devono presentare caratteristiche particolari, come una lunga fioritura, un’abbondante produzione di polline, granuli pollinici dotati di elevata vitalità e germinabilità, che permettano di ottenere soddisfacenti produzioni. Pertanto nella fase iniziale della realizzazione degli impianti, bisogna tener conto di questi parametri per garantire l’ottimizzazione della produttività. A tale scopo le varietà coltivate sono state sottoposte a numerose prove di autofecondazione e di fecondazione incrociata, attraverso le quali è stato possibile individuare le migliori cultivar autocompatibili ed i migliori impollinatori per quelle autoincompatibili, valutati sulla scorta dei risultati avuti dagli incroci effettuati (Fig.
6).
Figura 6 - Isolamento con sacchetti impermeabili al polline di branchette per prove di autofertilità e di interfertilità.
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Tabella 1 - Grado di fertilità delle cultivar di olivo (in ordine alfabetico)1
Autofertili Parzialmente autofertili Autosterili Androsterili Azeradj Biancolilla Ascolana Tenera Cerasuola
Adramitini Chalkidikis Aglandau Chemlal en Kabylie Ascolana Tenera Chondrolia Bella di Spagna Lucques
Bella di Cerignola Dolce Agogia Bosana Maurino
Biancolilla Giarraffa Canino Olivière
Bosana Gordal Carboncella Zarazi
Bouteillan Grossanne Carmelitana Tanche*
Buscionetto Karydolia Carolea
Cailletier Manzanilla Carpinetana
Casaliva Oliva di Cerignola Cellina di Nardò
Chemlali Picholine Coratina
Cordai Razzo Cucco, dritta
Corsicano Sargano Dritta di Moscufo
Frantoio Taggiasca Francavillese
Gentile di Cheti Uovo di Piccione Gentile di Chieti
Giaraffa Gordal
Gremignolo Grossa di Cassano
Grossa di Gerace Intosso
Kothreiki Itrana
Manna Leccino2
Nera di gonnos Maiatica di Ferrandina Ogliarola Messinese Manzanilla
Palma Moraiolo
Passulunara Moresca
Picual Nocellara del Belice
Pizz’e Garroga Ogliarola Barese
Procanica Ortice
Raja Pasola
Rossellino Cerretano Pendolino
Sassarese Picholine
Sigoise Pisciottana
Taggiasca Provenzale
Tonda di Cagliari Rosciola
Verdale Salonenque
Zaituna Sant'Agostino
Santa Caterina
Santagatese
Sargano
Tanche
Tonda Iblea
Verdale
1: Le cultivar in corsivo sembrano manifestare una diversa risposta alla fertilità in funzione dell’ambiente.
2: Presenta cloni che variano notevolmente nel grado di autocompatibilità, in funzione anche dell’andamento climatico. *: Parzialmente androsterile.
21 La maggior parte delle cultivar di olivo presenti in Italia sono autoincompatibili (Bellini et al., 2003), per cui gli ovuli non si fecondano con il polline del proprio fiore né con quello di altri fiori della stessa pianta o di piante appartenenti alla stessa cultivar, mentre soltanto poche cultivar sono state riconosciute autocompatibili (Tab. 1) e comunque tutte si avvantaggiano dall’impollinazione incrociata.
Secondo recenti analisi cito-istologiche, tuttora in corso, sembra che in olivo sia presente un sistema di autoincompatibilità di tipo sporofitico (SSI) in disaccordo con il modello di autoincompatibilità attualmente riconosciuto per questa specie (GSI) (Farinelli et al., 2015).
2.1 Il fenomeno dell’incompatibilità
La prima descrizione di un caso di incompatibilità risale al 1764 quando Koelreuter osservò che i fiori di Verbascum phoeniceum non producevano semi dopo autoimpollinazione, ma producevano abbondanti semi quando incrociati con individui vicini. Il fenomeno fu ampiamente studiato da Darwin, che definì con il termine "autosterilità" l'incapacità delle piante di riprodursi in seguito ad autoimpollinazione.
Questa terminologia, a lungo utilizzata, è stata recentemente ridefinita:
la "sterilità" è l’incapacità di un individuo di dare progenie vitali, dovuta all'assenza o alla non funzionalità dei gameti;
l'"incompatibilità" è invece l’incapacità per una pianta, dotata di polline ed ovuli funzionali, di formare semi in presenza di impollinazione, dovuta ad ostacoli fisiologici e morfologici che si oppongono alla fecondazione.
In particolare, l’autoincompatibilità consiste nell’incapacità di una pianta di formare semi se autoimpollinata, pur essendo il polline vitale, capace di germinare e portatore di gameti funzionanti.
Nelle ultime due decadi gli scienziati sono stati in grado di affiancare agli studi di genetica classica di Darwin, studi di biologia molecolare e biochimica, che hanno ampiamente contribuito a chiarire quella complessa serie di reazioni che avvengono tra polline e pistillo.
22 I meccanismi attraverso i quali viene impedita l'autofecondazione possono essere di natura morfologica o genetica.
Il primo caso si basa sulla morfologia fiorale per cui l’autoincompatibilità può essere di tipo:
omomorfico, quando i fiori della specie sono morfologicamente identici fra di loro e quindi la barriera intraspecifica è di natura genetica;
eteromorfico, quando la specie produce fiori morfologicamente diversi, dal punto di vista anatomico o della relativa posizione degli organi riproduttivi, al punto da ostacolarne l'autoimpollinazione. I sistemi eteromorfici sono poco comuni nelle piante coltivate (es. lino e primula).
Il secondo meccanismo (genetico) si basa invece sul controllo genetico e sul numero di geni coinvolti (monofattoriale o polifattoriale). Nella maggior parte dei casi l'autoincompatibilità è controllata da un singolo locus multiallelico detto locus-S (dall'iniziale della parola inglese self-incompatibility) e i singoli alleli sono contrassegnati da un numero (S1, S2, S3, ...) (Hiscock, 2002). Ogni individuo (che nella angiosperme rappresenta lo sporofito diploide) ha due geni S per quanto riguarda i geni dell'autoincompatibilità: un determinante femminile (espresso nel pistillo) ed uno maschile (espresso nel polline), in stretta associazione fra loro e trasmessi alla progenie come un'unica entità nella segregazione, detta allele S o, più correttamente, aplotipo S (Franceschi, 2009).
Il meccanismo di autoincompatibilità impedisce al polline incompatibile, prodotto dalla stessa pianta o da piante imparentate, di penetrare lo stigma o di accrescere il tubetto pollinico lungo lo stilo ed effettuare la fecondazione.
23
Figura 7 – (A) Genetica dei sistemi di incompatibilità gametofitica; (B) Genetica dei sistemi di incompatibilità sporofitica. Tratto da Silva and Goring, 2001.
La distinzione principale tra i vari sistemi di autoincompatibilità (Fig. 7), si basa sul fatto che si può avere interazione o tra genoma aploide del polline e genoma diploide del pistillo (autoincompatibilità gametofitica) o tra sostanze prodotte dal genoma diploide della pianta che ha prodotto il polline (sostanze proteiche che vengono trasferite dal tappeto dell’antera nelle cavità dell’esina del granello pollinico) e genoma diploide del pistillo (autoincompatibilità sporofitica).
2.2 Autoincompatibilità sporofitica
Nell’autoincompatibilità sporofitica il rigetto del polline è determinato da sostanze inibitrici, o dai loro precursori, prodotte nella cellula madre del polline prima che avvenga la meiosi. Proprio perché prodotte prima dalla meiosi tali sostanze si ripartiscono uniformemente nei quattro granuli finali. Da qui deriva il fatto che i pollini, per quanto riguarda i determinanti della risposta di autoincompatibilità, sono tutti uguali.
Nell’autoincompatibilità di tipo sporofitico, il fenotipo del polline è determinato dal corredo diploide della pianta madre che lo ha prodotto e sulla quale è
24 maturato. Quando uno degli alleli S del corredo diploide della pianta madre del polline coincide con uno degli alleli del pistillo la crescita del granulo pollinico si arresta sulla superficie dello stigma. La fecondazione potrà essere portata a termine con successo solo quando il pistillo e la pianta madre del polline hanno aplotipi differenti.
Inoltre nei sistemi sporofitici gli alleli possono mostrare dominanza e dar luogo a molti tipi di interazione; le reazioni di incompatibilità diventano pertanto molto complesse.
2.3 Autoincompatibilità gametofitica
L’autoincompatibilità di tipo gametofitico è la più diffusa ed è stata descritta in più di 60 famiglie di angiosperme, tra cui Solanacee, Liliacee, Leguminose, Graminacee, Oleacee e Rosacee.
Questo tipo di autoincompatibilità, viene definita gametofitica perché comincia (almeno come momento di inizio della sintesi delle sostanze dell’incompatibilità o dei loro precursori) alla prima divisione della meiosi ed in particolare durante l’anafase.
Nei sistemi gametofitici la reazione di incompatibilità è sotto il controllo dei geni al locus S che possono essere costituiti da serie alleliche numerose e che non manifestano tra loro rapporti di dominanza e recessività. Il meccanismo genetico di questo sistema gametofitico monofattoriale è semplice e si basa sul fatto che ogni granulo di polline può germinare e compiere la fecondazione a patto che il particolare allele S del suo corredo cromosomico aploide non sia presente nel tessuto diploide del pistillo. La crescita del tubetto pollinico è inibita quando l’allele S del polline corrisponde ad uno dei due alleli espressi nel pistillo. Dato che tale incompatibilità è legata alla presenza dei relativi geni, questi, come qualsiasi altro carattere, alla meiosi vengono segregati. Nell’autoincompatibilità di tipo gametofitico il fenotipo del polline è determinato dal suo corredo aploide.
Il sistema gametofitico dà luogo a tre tipi principali di impollinazione (Fig.
7A):
1) pienamente incompatibile (S1 S2 x S1 S2) quando entrambi gli alleli sono comuni;
25 2) parzialmente compatibile (S1 S2 x S1 S3) quando solamente uno degli
alleli è in comune;
3) pienamente compatibile (S1 S2 x S3 S4) quando tutti gli alleli sono diversi tra loro.
Dato che tutte le cellule di un individuo hanno i medesimi geni, necessariamente ogni granulo di polline di un individuo conterrà sempre uno dei due geni S presenti anche sulle cellule stigmatiche della medesima pianta, per cui nel caso dell’autoimpollinazione in cultivar autoincompatibili, la crescita del tubetto pollinico sarà sempre rallentata o bloccata più o meno rapidamente.
Questo tipo di sistema di incompatibilità (gametofitico a controllo monofattoriale), è caratteristico dell’olivo, ed è stato individuato anche in altre specie da frutto come le principali Pomacee (Malus communis e Pyrus communis) e di alcune specie del genere Prunus, in particolare ciliegio, mandorlo e susino.
I sistemi gametofitici oltre che essere omomorfici, possono anche presentare un controllo bifattoriale o polifattoriale, cioè coinvolgere due o più loci differenti; è il caso di diverse Graminacee in cui la reazione di incompatibilità coinvolge due loci indipendenti, S e Z.
Dal punto di vista molecolare l’autoincompatibilità gametofitica si può esplicare con due diversi meccanismi: il primo caratterizzato inizialmente nelle Solanaceae e recentemente nelle Rosaceae, il secondo evidenziato in Papaver rhoeas.
Il meccanismo di autoincompatibilità che regola l’interazione tra polline e pistillo nella famiglia delle Solanaceae è caratterizzato dalla capacità sia del polline compatibile che di quello incompatibile di germinare normalmente sulla superficie dello stigma. Man mano che i tubetti pollinici crescono vengono depositati, ad intervalli regolari, tappi di callosio lungo il tessuto interno dello stilo. Inizialmente i tubetti pollinici sono indistinguibili, ma l’arresto dell’allungamento dei tubetti incompatibili si manifesta ben presto: la loro crescita rallenta, il callosio viene depositato in modo irregolare, si ha ispessimento della parete cellulare insieme all’ingrossamento ed alla rottura dell’apice del tubetto nel primo terzo dello stilo. In questo modo i tubetti del polline incompatibile non sono in grado di fecondare. Nella famiglia delle Solanaceae l’autoincompatibilità è geneticamente regolata dal locus
26 polimorfico S, dove due geni strettamente correlati controllano uno la proteina S nel pistillo e l’altro la proteina S nel polline (De Nettancourt, 1977).
In Papaver Rhoeas inizialmente il sistema di autoincompatibilità sembrava essere controllato da un singolo gene nel locus-S, studi successivi hanno dimostrato l’esistenza di due geni S multiallelici codificanti una proteina stigmatica ed una del polline. Il gene S stigmatico codifica per una proteina di dimensioni ridotte che attiva un meccanismo di trasduzione del segnale che causa l’inibizione della germinazione del granulo pollinico.
La reazione di rigetto in Papaver avviene a livello di superficie stigmatica e non nello stilo come nelle Solanaceae, inoltre l’inibizione della crescita del polline incompatibile si manifesta molto rapidamente nell’ordine di minuti e non di ore.
2.4 Il fenomeno dell’autoincompatibilità nelle piante da frutto L'autoincompatibilità è un fenomeno diffuso tra le piante da frutto, che favorisce l’impollinazione incrociata all'interno di una popolazione, ma il suo meccanismo non è uguale in tutte le specie.
Nei fruttiferi che differenziano fiori ermafroditi (melo, pero, albicocco, ciliegio, olivo, ecc.) o fiori unisessuali di ambedue i tipi (pistilliferi e staminiferi) sul medesimo individuo (nocciolo) è molto diffusa l’autoincompatibilità, la presenza cioè di ostacoli che impediscono che si possa arrivare all’allegagione di fiori che vengono impollinati con polline proveniente dal medesimo fiore o da fiori del medesimo individuo o di fiori di individui appartenenti alla medesima cultivar. In queste piante, nei casi di impollinazione appena descritti, il polline è incapace di germinare o produce un tubetto pollinico che precocemente si arresta, prima di arrivare al sacco embrionale.
Tutti gli individui di una stessa cultivar di piante, essendo stati moltiplicati per semplici processi di innesto o di talea, hanno naturalmente lo stesso genoma e quindi, se esiste una autoincompatibilità, sono tutti autoincompatibili. Se ciò rappresenta un vantaggio notevole in natura, in agricoltura, invece, questo fatto rende più difficile una valida impollinazione.
L’autoincompatibilità può comunque avere un ruolo importante nella produzione agraria, ad esempio può essere uno strumento utile nella produzione di
27 ibridi e produzione di frutti partenocarpici, mentre rappresenta un ostacolo per il mantenimento in purezza di cultivar e la produzione di frutti e semi alimentari.
Nel caso specifico delle piante arboree da frutto, l’incompatibilità è presente nelle diverse specie appartenenti alle famiglie delle: Rosaceae, Rutaceae, Oleaceae, Betulaceae, ecc. Tuttavia, nell’ambito della stessa specie possono esistere cultivar autocompatibili, autoincompatibili oltre che partenocarpiche (Tabella 2). Vediamo i vari casi di autoincompatibilità delle piante arboree da frutto, dividendoli tra Pomacee, Drupacee.
È noto come nelle Pomacee, sia nel melo che nel pero, a causa dell’autoincompatibilità, raramente si hanno possibilità di autofecondazione (Carlone, 1948) ad eccezione delle cultivar tetraploidi (pero “Double William”), che sono di solito autocompatibili (Crane e Brown, 1954; Johansson, 1946), e per qualche altra diploide (“Kaiser”) (Nyeki, 1974).
Nel pero, di norma autoincompatibile e raramente androsterile, come nella cultivar “Magness” (Layne e Quamme, 1975), vi sono anche cultivar tra loro incompatibili. Rare sono poi le cultivar triploidi.
Nel melo, invece, vi sono numerose cultivar triploidi, alcune delle quali non vengono fecondate da certe cultivar diploidi (es. “Jonagold”, “Golden Delicious”,
“Bella di Boskoop” X “Trasparente di Croncels”); oppure cultivar diploidi a polline fertile ma interincompatibile il che è certamente legato alla presenza di fattori di sterilità, di solito in cloni derivati dalla medesima linea parentale.
Nel melo e nel pero è risaputo che l’incompatibilità è di tipo gametofitico, con arresto del tubetto pollinico ad un terzo circa dello stilo (Lewis e Modlibowska, 1942), sebbene in certi casi si sia manifestata una inibizione nella germinazione del polline a livello dello stigma. Di regola, nei casi di incompatibilità, il tubetto rallenta la crescita e finisce per biforcarsi e rigonfiarsi all’estremità; poi può scoppiare con effetti analoghi nel melo e nel pero: talvolta si è osservato che nonostante questo rallentamento il tubetto incompatibile riesce a raggiungere ugualmente l’ovario e a compiere anche la fecondazione.
Tra le Drupacee, le cultivar di pesco e albicocco sono generalmente autofertili anche se in letteratura sono riportati numerosi casi di androsterilità nel pesco:
“Alamar”, “Aurora”, “Fidai”, “J. H. Hale”, “June Elberta”, “Kondoka”, “La Gold”,
“Pacemaker”, “Summerqueen”.
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Tabella 2 - Numero di cultivar classificate come autocompatibili, autoincompatibili e partenocarpiche nelle diverse piante da frutto (il segno + sta per un numero imprecisato di
cultivar) (tratto da “La fertilità nelle piante da frutto”, Società Orticola Italiana).
29 La maggior parte delle cultivar appartenenti alla specie Prunus avium sono caratterizzate da autoincompatibilità. Conseguenza pratica della sterilità fattoriale nel ciliegio dolce è l’impossibilità della monocoltura varietale, almeno con le cultivar diffuse nel nostro ambiente e la necessità assoluta di una consociazione fra cultivar interfertili. Infatti, pur potendosi avere anche la formazione di frutti per autofecondazione (Lewis, 1948), il fenomeno è così raro da non offrire alcuna possibilità di pratico sfruttamento. L’autosterilità del ciliegio dolce, analogamente a quanto avviene nelle specie con polline binucleato, è di tipo gametofitico, e si manifesta dopo la germinazione del polline, durante la crescita del tubetto pollinico nello stilo (Brewbaker, 1957; Straub, 1959). I fattori climatici, in particolare la temperatura e l’umidità, possono accentuare il fenomeno della sterilità nel ciliegio dolce. Essi possono intervenire prima, durante e dopo l’antesi, sia danneggiando gli organi fiorali ed i gameti, sia ostacolando (indirettamente) il trasferimento del polline incompatibile dalle antere agli stigmi.
30 2.5 Miglioramento genetico e selezione clonale
L’olivo (Olea europaea L. subs. europaea) è una delle più antiche e importanti piante coltivate nell’area del Mediterraneo.
L’Italia è il paese con il più ampio patrimonio genetico della forma coltivata di Olea europaea, rappresentato da più di 1200 cultivar, che sono state selezionate nei secoli per la loro adattabilità ai microclimi ed ai suoli locali, con innumerevoli sinonimi ed omonimi che rendono piuttosto difficile la loro distinzione e identificazione, e da numerosi “ecotipi” locali non ancora adeguatamente caratterizzati (Bartolini et al., 2005). Molteplici sono i fenomeni che hanno portato a una cosi grande variabilità genetica: innanzitutto l'olivo è una specie allogama con elevato grado di impollinazione incrociata che conduce ad alti livelli di eterozigosi e polimorfismo del DNA tra gli individui. Nel corso dei millenni si sono originate, per incrocio spontaneo e successiva disseminazione naturale dei noccioli, nuove cultivar che, qualora apprezzate dall'uomo, sono state fissate per via vegetativa. Un altro fattore che ha contribuito ad aumentare la biodiversità di questa specie è che l'ampia variabilità genetica dell'olivo è stata fissata e diffusa liberamente senza preoccupazione di fedeltà a un archetipo morfologicamente definito, in quanto il prodotto finale non è il frutto intero, come per la maggior parte degli altri fruttiferi, ma il risultato della sua spremitura, l'olio.
La longevità di questa pianta e la selezione di un gran numero di varietà hanno poi contribuito alla conservazione della sua variabilità, e hanno permesso di tramandare una quota consistente di questa diversità genetica. Infine, la diffusione della specie è stata possibile grazie alla facilità di moltiplicazione della pianta con tecniche di uso antico e tradizionali. Questo ha portato, nel tempo, alla costituzione di cultivar policlonali a fenotipo eterogeneo piuttosto che di cultivar monoclonali.
Polimorfismi intra-varietali infatti, sono stati riportati in letteratura, in cui le differenze osservate all'interno della stessa cultivar sono state considerate come mutazioni somatiche avvenute nella propagazione vegetativa (Muzzalupo et al., 2010)
La diversità di microambienti di cui la Toscana è ricca e le antiche origini di coltivazione dell’olivo in questa regione, hanno permesso di recuperare 178 genotipi di olivo, di cui 78 accessioni iscritte al Repertorio regionale toscano (tratto da “Le collezioni del germoplasma vegetale toscano”, ed. Arsia 2005), rendendo lo studio
31 delle varietà toscane interessante ai fini della conoscenza, della conservazione e del mantenimento del germoplasma nonché della valorizzazione delle produzioni locali.
Proprio per questo elevato grado di biodiversità e per l’importanza che la specie ha assunto negli ultimi decenni in ambito economico, paesaggistico e salutistico, nella maggior parte dei Paesi olivicoli e non, sono stati intrapresi programmi atti da un lato all’identificazione e alla caratterizzazione del germoplasma esistente e dall’altro alla conservazione della diversità genetica (Beghè et al., 2010).
Il riconoscimento delle cultivar di olivo è reso difficoltoso dall’ampia variabilità esistente nell’ambito delle stesse, dalla mancanza di uno standard di riferimento e di elementi certi di discriminazione dei diversi genotipi. Le differenze tra le cultivar di olivo sono tradizionalmente valutate attraverso caratteri morfo- agronomici i quali sono spesso influenzati da fattori ambientali. Quindi per l’identificazione delle cultivar si è resa necessaria l’utilizzazione di marcatori molecolari in grado di mettere in evidenza differenze genetiche sia tra diverse cultivar sia tra diversi genotipi entro le cultivar nel caso in cui queste, come spesso accade nell’olivo, siano popolazioni (policlonali).
Vista la pressante competizione mondiale nel settore oleario, diviene fondamentale promuovere un approccio innovativo all’olivicoltura italiana, basato sulla riduzione dei costi produttivi, sulla precisa identificazione dei parametri qualitativi nutrizionali e sensoriali degli oli e sulla disponibilità di tecniche per la tracciabilità e la rintracciabilità della loro origine botanica, varietale e territoriale.
Quindi un’olivicoltura competitiva necessita di genotipi, ottenuti attraverso il miglioramento genetico, in grado di garantire l’aumento del potenziale produttivo in termini quantitativi e qualitativi, la resistenza ai parassiti ed agli stress, l’adattamento a specifiche tecniche colturali ed a determinate condizioni pedo-climatiche.
Ai fini produttivi sono da prediligere piante autofertili, con elevata entità di fioritura ed allegagione, cascola contenuta, poco predisposte al fenomeno dell’alternanza e di veloce entrata in fruttificazione. Per quanto l’analisi dei fattori che intervengono nelle interazioni genotipo-ambiente risulti complessa, l’adattabilità ambientale, sia in termini generali che in funzione di specifiche situazioni pedo- climatiche, quali quelle delle aree marginali (basse temperature, ridotta disponibilità idrica, salinità, ecc.), rimane uno degli obiettivi principali per il miglioramento dell’olivo.