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1. LE CELLULE STAMINALI INTRODUZIONE

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INTRODUZIONE

1. LE CELLULE STAMINALI

"Come può essere che da questa sola cellula isolata vengano fuori le parti del corpo di un adulto, costituite da diversi miliardi di cellule armoniosamente ordinate per formare organi diversi e complessi come il cervello, le membra, gli occhi, o il volto?" (N. Le Douarin, Chimere, cloni e geni).

Le cellule staminali sono cellule indifferenziate, in grado di dividersi simmetricamente dando origine a cellule identiche a se stesse, esibendo in tal modo la capacità di autorinnovamento (self-renewal), ma sono anche in grado di dividersi in modo asimmetrico, dando origine a cellule non più identiche che intraprendono un determinato destino differenziativo (Fig. 1).

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Le cellule staminali presentano sia la capacità di self-renewal che di differenziare in diversi tipi cellulari, per consentire lo sviluppo, la crescita, la riproduzione e la sopravvivenza degli organismi multicellulari. Durante le prime fasi dello sviluppo cominciano una serie di divisioni mitotiche con le quali lo zigote accresce le proprie dimensioni. Lo zigote, la cellula staminale per eccellenza, viene definito totipotente, così come i primi blastomeri che si sviluppano fino alla comparsa del blastocele che possono differenziare in tutte le cellule che costituiscono l'organismo adulto. Durante la fase di gastrulazione, le cellule effettuano movimenti altamente coordinati, atti a definire la pluristratificazione del corpo dell'adulto. Il primo evento di differenziamento/differenziazione definisce il destino di due popolazioni cellulari, la massa cellulare esterna (o trofoblasto), che costituisce il guscio della blastula da cui derivano i tessuti extraembrionali, e la massa cellulare interna (Inner Cell Mass, ICM), da cui derivano i tre foglietti embrionali (ectoderma, endoderma e mesoderma) che danno origine ai tessuti dell'intero organismo. Le cellule della ICM non sono più in grado di dare origine ai tessuti extraembrionali, quindi sono cellule staminali

pluripotenti. Le cellule prelevate a questo stadio sono definite Cellule Staminali

Embrionali (Embryonic Stem Cells, ESCs). Infine, vi sono le cellule staminali adulte

(Adult Stem Cells, ASCs), che sono cellule multipotenti. Queste cellule hanno un

ridotto potenziale differenziativo rispetto delle ESCs, e possono dare origine solo a cellule dei tessuti cui esse appartengono. Le ASCs sono responsabili del turnover tissutale, ovvero di assicurare un ricambio continuo di cellule ai tessuti adulti in condizioni omeostatiche e, dividendosi e differenziando consentono la riparazione di eventuali danni che possono colpire un tessuto. Considerate le loro proprietà, negli ultimi decenni, le cellule staminali hanno suscitato un notevole interesse riguardo il loro utilizzo in ambito terapeutico, soprattutto per quel che riguarda la medicina rigenerativa. In particolare hanno assunto una notevole importanza le cellule staminali pluripotenti indotte (induced Pluripotent Stem Cells, iPSCs), ovvero delle cellule staminali pluripotenti generate mediante processi di riprogrammazione in maniera sperimentale direttamente da cellule somatiche differenziate. L‟interesse per queste cellule è molteplice, innanzitutto dato che presentano una potenzialità maggiore rispetto alle ASCs, inoltre, eliminano i fenomeni di rigetto tissutale, essendo cellule prelevate direttamente dall‟individuo da curare e quindi presentano lo stesso immunofenotipo. S. Yamanaka e J. B. Gordonn riescono perfino a dimostrare che è possibile riprogrammare delle cellule somatiche ad uno stadio di pluripotenza, creando le iPSCs (Fig. 2).

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Fig 2. Capacità differenziativa delle cellule staminali

1.1 Le Cellule Staminali Embrionali (ESCs)

I blastomeri totipotenti esprimono strutture di adesione che consentono loro di formare una massa più compatta; successivamente la formazione del blastocele segna il passaggio da morula a blastocisti. Dopo l‟evento di cavitazione, l‟ICM si divide in

epiblasto da cui derivano tutti i tessuti embrionali, ed ipoblasto da cui deriva

l'endoderma extraembrionale. Le ESCs che si originano nell‟ICM possono essere coltivate in vitro e mantenute allo stato indifferenziato, tuttavia sotto specifiche stimolazioni, possono essere indotte a differenziare in differenti tipi cellulari (Fig. 3). Il mantenimento della pluripotenza delle ESC sembra essere determinato da tre fattori, Oct4, Sox2 e Nanog; essi vengono definiti geni master per la pluripotenza dal momento che regolano l'espressione di una serie di geni impegnati nel mantenimento della proliferazione e dello stato indifferenziato (Hitoshi N., 2007).

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Fig. 3. Cellule Staminali Embrionali

Oct4 è un membro della famiglia POU, la cui deplezione non consente il normale

sviluppo embrionale (Nichols et al., 1998); il prodotto genico di questo master gene stimola l‟espressione di altri geni regolatori, instaurando un circuito di autoregolazione necessario per il mantenimento dello stato indifferenziato (Chambers and Tomlinson, 2009). Il fattore di trascrizione Oct4 coopera con Sox2(SRY-related HMG box 2 transcription factor) stimolando l‟espressione dei geni della pluripotenza, tra cui Nanog (Boyer et al., 2005; Kuroda et al., 2005). Sox-2 fa parte della famiglia HMG (high mobility group), la sua totale perdita di funzione non consente il completo sviluppo embrionale (Avilion et al., 2003). Il fattore ad omeodominio Nanog è l‟ultimo master gene per la pluripotenza che è stato scoperto (Chambers et al., 2003), e la perdita della sua funzione stimola il differenziamento delle ESCs (Chambers et al., 2007). Questi geni master stimolano inoltre la propria espressione, ed il conseguente effetto a feedback positivo consente il mantenimento di tale circuito autoregolatorio (Chew et al., 2005). Essi vengono espressi a cominciare dalla formazione dello zigote; a seguito del processo di compattazione, durante il primo evento differenziativo, Oct4 non viene più

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espresso nelle cellule che costituiscono il trofoblasto, al contrario comincia ad essere espresso Cdx2 (Palmieri et al., 1994; Strumpf et al., 2005) Durante il secondo evento differenziativo che avviene nei primi stadi dello sviluppo, il gene master Oct4 continua ad essere espresso nelle cellule che costituiscono l‟ICM, al contempo cominciano ad esprimersi i geni Gata4/6 nelle cellule che costituiranno l‟ipoblasto, e Nanog in quelle che diverranno epiblasto (Fujikura et al., 2002; Mitsui et al., 2003).

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Cellule Staminali Adulte, ASCs

Le cellule staminali sono presenti in tutte gli stadi della vita, da quelli più precoci dello sviluppo fino all‟età adulta. Quelle isolate dai tessuti adulti sono dette Cellule Staminali

Adulte (Adult Stem Cells, ASCs). Le cellule staminali vengono definite sulla base della

potenza che descresce nel passaggio da totipotenza a pluripotenza ed a multipotenza. Le ASCs risiedono in tutti i tessuti adulti ed anch‟esse sono in grado di fare self-renewal e di dividersi asimmetricamente ma, a differenza delle ESCs possono differenziare solamente nei lineages cellulari del tessuto cui esse fanno parte, vengono pertanto definite multipotenti. La loro funzione è quella di mantenere l‟omeostasi nei tessuti adulti quindi sono in uno stato più quiescente e metabolicamente quasi inerte rispetto alle cellule staminali plutripotenti che si dividono più in fretta e che hanno una maggiore attività metabolica (Arai et al., 2004; Cotsarelis et al., 1990; Potten et al., 1997). Il processo di differenziazione è di tipo gerarchico, la cellula staminale si divide generando una popolazione di cellule progenitrici chiamate Transit Amplifying Cells (TAs) con lo scopo di aumentare il numero di cellule differenziate (Fig. 4). Le TAs vengono considerate delle cellule progenitori committed il cui destino differenziativo è già segnato, infatti esse presentano un‟ulteriore riduzione della capacità di autorinnovamento e potenziale differenziativo. L‟attività delle staminali adulte è condizionata dal microambiente in cui risiedono, sito anatomico definito nicchia. Queste cellule possono essere sensibili a determinati stimoli, come per esempio ad un danno tissutale, i quali le inducono ad intraprendere un destino differenziativo. Le ASCs si dividono mediante due modalità, la divisione cellulare asimmetrica e l‟asimmetria

di popolazione, così garantiscono il mantenimento di un pool di cellule indifferenziate e

al contempo danno origine ad una progenie cellulare differenziata (Watt and Hogan, 2000), ciò consente di mantenere l‟equilibrio tra proliferazione e differenziamento.

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Fig. 4. Caratteristiche delle Cellule Staminali Adulte

Mediante la divisione cellulare asimmetrica, la cellula staminale da origine a due cellule figlie, una mantiene la capacità di fare self-renewal, l‟altra (la TA) invece intraprende il destino differenziativo. L‟asimmetria di popolazione non riguarda l‟evento di divisione della singola cellula, bensi dell‟intera popolazione: in questo caso le divisioni con cui le ASCs danno origine a due cellule staminali o a due cellule progenitrici avvengono con la stessa frequenza (Fig. 5)

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Le ASCs studiate più approfonditamente sono le Cellule Staminali Ematopoietiche

(HSCs); la comprensione dei meccanismi che regolano la loro proliferazione e

differenziamento è stata di fondamentale importanza per conoscere le ASCs, rappresentandone un modello di studio. Le HSCs, differenziando, danno origine ai progenitori della linea mieloide e quelli della linea linfoide da cui derivano megacariociti, eritroblasti e mieloblasti e linfociti (Fig. 6).

Fig. 6. Rappresentazione dell’ematopoiesi

Sono state individuate due sottopopolazioni di HSCs, le LT-HSCs (Long Term HSCs) e le ST-HSCs (Short Term HSCs), suggerendo la possibilità che non sia sufficiente una sola popolazione cellulare staminale per il turnover tissutale (Scoville et al., 2008); le LT-HSCs sono più quiescenti, si dividono con una minore frequenza in condizioni fisiologiche, al contrario in seguito a determinati stimoli nel corso di eventi patologici cominciano a dividersi con una maggiore frequenza con meccanismi a feedback positivo (Wilson et al., 2008), regolando pertanto la popolazione cellulare a lungo termine.

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1.2.1 La nicchia

La nicchia, regione anatomica dove risiedono le ASCs, può esser definita come “uno specifico sito anatomico che regola il modo in cui le cellule staminali partecipino alla generazione, al mantenimento e alla riparazione del tessuto” (Scadden, 2006). La nicchia è un microambiente con funzione protettiva per le cellule staminali e concentra una complessa rete di segnali (interazioni cellula-cellula e cellula-matrice) generate in base alle esigenze dell‟intero organismo. Viene influenzata da parametri fisici quali per esempio la rigidità e composizione della matrice extracellulare (Reviewed in Ivanovska et al., 2015), tensione dell‟ossigeno (Jung et al., 2013; Yahata et al., 2011), temperatura e possibili stress causati da ferite. È necessario che le cellule staminali permangano all‟interno della nicchia per ricevere le segnalazioni necessarie affinchè rimangano staminali e non differenzino. Dal momento che la nicchia produce tipicamente dei segnali di mantenimento che sono limitati, così come è limitato lo spazio all‟interno della nicchia, le cellule staminali sono costantemente in competizione con le cellule vicine per l‟occupazione della nicchia (Johnston, 2009; Moore and Lemischka, 2006). Sono stati descritti due modelli per la competizione delle ASCs nella nicchia, la competizione neutrale e la competizione non-neutrale (Reviewed in Stine and Matunis, 2013). Secondo il modello di competizione neutrale, sotto normali condizioni fisiologiche, le cellule staminali vengono perse e rimpiazzate in modo stocastico, questo avverrebbe in equilibrio per mantenere una popolazione stabile di cellule staminali e non vi sarebbero cellule che hanno un vantaggio a lungo termine rispetto alle altre (Klein A.M. et al., 2011). La competizione non-neutrale si verifica tra cellule staminali di un determinato tessuto che mostrano un diverso tasso di crescita; la winner cell, che ha un tasso di crescita maggiore, compromette la vitalità della loser cell sulla quale ha un vantaggio a lungo termine. La cellula staminale “svantaggiata” esce fuori dalla nicchia e differenzia (Zhao R. et al., 2010). Un esempio di competizione non neutrale è

quella che si verifica nella nicchia ematopoietica. La nicchia delle HSCs risiede nel midollo osseo, dove la segnalazione degli osteoblasti contribuisce a regolare la proliferazione ed il differenziamento delle HSCs in varie tipologie di cellule sanguigne (Celso C.L.e Scadden D.T. 2012). Affinchè le HSCs trapiantate siano competitive è necessario che esse siano in grado di migrare, fare homing nella nicchia, aderirvi e farvi self-renewal. Difetti in ciascuna di queste capacità ha effetti negativi per quanto concerne la competizione per la loro occupazione della nicchia. Robo4, una proteina

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recettoriale, è implicata in numerosi processi biologici tra cui anche la migrazione cellulare (Park K.W. et al., 2013), mentre CXCR4 è una chemochina importante sia per l‟homing che per il self-renewal delle HSCs (Smith-Berdan S. et al., 2011; Peled A. et al 1999). È stato osservato che le HSCs mutate per Robo4 non possono aderire del tutto alla nicchia sebbene esse siano in grado di differenziare normalmente (Smith-Berdan S. et al 2011). È interessante sapere che nelle cellule mutate per Robo4 esiste un meccanismo compensatorio che conduce all‟incremento dell‟espressione di CXCR4; le cellule che invece non esprimono sia Robo4 che CXCR4 vengono completamente perse, suggerendo che per la competizione non-neutrale delle HSCs siano necessari non solamente l‟homing signalling ma anche segnali di aderenza per rimanere all‟interno di essa (Smith-Berdan S. et al 2011). Ulteriori saggi di ripopolazione competitiva hanno condotto all‟identificazione di integrine come importanti fattori per la loro competizione non neutrale, alcune di queste avrebbero un ruolo di aderenza per la nicchia, altre invece sembrerebbero agire sulla segnalazione cellulare delle HSCs (Celso C.L. e Scadden D.T. 2012), come per esempio l‟integrina αvβ3, i cui livelli di espressione sembrano essere controllati dal pathway JAK/STAT, e dal recettore per la trombopoietina c-Mp1 (Umemoto T. et al 2012; Wang Z. et al 2009). La competizione non-neutrale fra le HSCs è influenzata anche da altri fattori, come dai danni al DNA e dallo stress cellulare. La presenza di cellule staminali competitive all‟interno della nicchia è sicuramente vantaggioso ma, d‟altra parte, diventare così competitive per l‟occupazione del microambiente può compromettere le loro normali funzioni ed avere conseguenze deleterie. Studi diretti ad indagare la composizione cellulare del midollo osseo nel topo hanno stabilito la presenza di tre regioni anatomiche quali la superficie endosteale, le pareti sinusoidali e il tessuto ematopoietico propriamente detto (P. Bianco, 2011), e diversi tipi cellulari che lo popolerebbero, sia ematopoietici che non-ematopoietici (Alexander B. e Paul S. F., 2017) (Fig. 7). Sono stati fatti numerosi passi avanti per conoscere le relazioni che esistono tra i tipi cellulari che strutturano il microambiente. La nicchia staminale maggiormente caratterizzata nei mammiferi è quella delle HSCs murine, che risiedono nel midollo osseo. Nel topo, il midollo osseo delle ossa lunghe rimane ematopoieticamente attivo per tutta la vita dell‟organismo, al contrario di quanto accade nell‟uomo, dove sembra essere ristretto nelle estremità prossimali. Tra i tipi cellulari ematopoietici presenti nella nicchia midollare vi sono i megacariociti; essi producono TGFβ a livelli elevati, esercitando un effetto regolatorio sulle HSCs (Soderberg S.S. et al., 2009). L‟ablazione dei megacariociti nell‟ambiente midollare

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riduce l‟attecchimento delle HSCs e la loro proliferazione (Nakamura-Ishizu A. et al 2014; Olson T.S. et al., 2013). I linfociti, essenziali sia per l‟immunità cellulo-mediata che mediata da anticorpi, sono ampiamente distribuiti in tutto il parenchima del midollo osseo e costituiscono una frazione rilevante della totalità di cellule mononucleate che lo popolano (Mercier F.E., et al., 2012).

Fig. 7. Rappresentazione schematica della nicchia delle HSCs

I linfociti influenzerebbero l‟ematopoiesi, potenzialmente attraverso l‟interazione diretta con le HSCs; le cellule natural killer (NK) avrebbero un ruolo negativo sulla loro differenziazione (Degliantoni G. et al., 1985) e le citochine secrete dalle cellule T avrebbero un effetto modulatorio sull‟ematopoiesi (Sharara L.I. et al 1997). I neutrofili sono la più abbondante subpopolazione dei leucociti; le proteasi a serina derivate da essi sono in grado di agire su citochine e recettori essenziali per la ritenzione delle HSCs in vitro le quali includono CXCL12 (Petit I. et al 2002), CXCR4 (Valenzuela-Fernandez A. et al., 2002), VCAM (Levesque J.P. et al., 2001), cKit (Levesque J.P. et al., 2003) e SCS (Stem Cell Factor) (Heissig B. et al., 2002), suggerendo che essi siano in grado di

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costituire un microambiente proteolitico che contribuirebbe al rilascio delle HSCs dal midollo. Tre recenti studi hanno messo in luce il ruolo dei macrofagi nel mantenimento e nella ritenzione delle HSCs nella nicchia (Winkler et al., 2010; Chow et al., 2011; Christopher et al., 2011). Gli studi di Chow et al. stabiliscono che la perdita di monociti e/o macrofagi sia associata alla mobilizzazione fuori dal midollo osseo delle HSCs e ad una conseguente riduzione di circa il 40% della proteina CXCL12 nei fluidi midollari del midollo. Dato che la stimolazione del recettore CXCR4 da parte di CXCL12 trasduce un segnale di ritenzione sulle HSCs (Lapidot and Petit, 2002; Broxmeyer H.E., 2008), questi dati forniscono una spiegazione plausibile per il fenotipo osservato. Anche la perdita dei macrofagi CD169+ è critica per la mobilizzazione delle HSCs (Chow et al., 2011). Nella milza, pare che alla ritenzione delle HSCs contribuisca pure VLA-4, un ligando di VCAM-1, che viene espresso dai macrofagi (Williams D.A. et al., 1991; Dutta P. et al., 2012). È stata inoltre individuata una sottopopolazione di macrofagi che sintetizzano la prostaglandina E2 che incrementa l‟espressione di CXCL12 nelle MSCs Nestina+ e di CXCR4 nelle HSCs (Hoggat J. Et al 2009). La perdita dei fagociti determina inoltre una diminuzione dell‟attività degli osteoblasti sulla superficie dell‟osso. Tuttavia questi ultimi risultati sembrano essere in conflitto con quelli prodotti da Chow et al. che non suggeriscono riduzione del numero di cellule del lineage osteo, ne tantomento un decremento dell‟espressione di fattori di mantenimento per le HSCs, secreti dagli osteoblasti. I macrofagi sono inoltre dei mediatori chiave dell‟effetto neuroprotettivo del neuropeptide Y, contribuendo alla sopravvivenza delle HSCs nel midollo osseo.

Gli osteoclasti appartengono alla famiglia dei monociti/macrofagi, essendo coinvolti nell‟erosione della matrice cartilaginea, assumono un ruolo importante nel riassorbimento osseo il quale determina un aumento di TGFβ che agisce direttamente sulle HSCs (Balooch G. et al., 2005). Inoltre, essi secernono degli enzimi proteolitici come la catepsina k che cliva CXCL12 inattivandola, esercitando pertanto un ruolo nella mobilizzazione delle HSCs (Kollet O. et al., 2006). Anche la componente nervosa esercita una serie di effetti nella nicchia delle HSCs. Le cellule di Schwann, le principali cellule gliali dei nervi periferici, sono presenti nel midollo osseo nella loro forma amielinica, associati con le fibre nervose sensoriali del simpatico (Mendez-Ferrer S. et al., 2010; Castaneda-Corral G. et al., 2011; Calvo W., Forteza-Vila J., 1970;). Recenti studi hanno suggerito che nel midollo osseo esse regolino l‟attivazione e la quiescenza delle HSCs (Yamazaki S. et al., 2011). Esperimenti di denervazione

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midollare dimostrano infatti la riduzione di cellule che producono il TGFβ, con una conseguente diminuzione di HSCs (Yamazaki S. et al., 2011). Tra i tipi cellulari presenti nel midollo osseo, quelli del tessuto mesenchimale hanno un ruolo importante sulle staminali ematopoietiche. Il termine osteoblasti, introdotto da Koelliker (Koellinker A. 1850) per indicare quelle cellule impegnate attivamente nella deposizione ossea, è rimasto invariato nella biologia moderna ed assume lo stesso significato funzionale; la loro identificazione è possibile sulla base della loro posizione, morfologia ed attività di deposizione ossea. Nell‟adulto, gli osteoblasti risiedono sulla superficie ossea finchè continua il processo di apposizione della matrice che si verifica tra la fase dello sviluppo e quello della crescita dell‟osso. Nel 2003 sono stati pubblicati due studi sul ruolo degli osteoblasti nella nicchia, la prima popolazione cellulare di cui si è dimostrato il coinvolgimento nella regolazione delle HSCs, quando perturbata in vivo (Calvi L.M. et al., 2003; Zhang J. et al., 2003). Entrambi gli studi hanno documentato, mediante un approccio genetico in vivo, una correlazione tra il numero di HSCs e la dimensione di un pool di cellule identificate come osteoblasti. Un recente studio ha mostrato che cellule del lineage osteocitico Dicer -/-, che esprimono ridotti livelli di

Sbds (Ribosome maturation protein), mostrano un certo effetto sulla proliferazione e differenziazione delle HSCs, fornendo un ulteriore evidenza che la mancanza di una popolazione mesenchimale midollare abbia effetti negativi sull‟ematopoiesi (Raaijmakers et al., 2010). Sono conosciuti due tipi di cellule post-osteoblastiche, gli osteociti che sono sepolti dalla matrice ossea mineralizzata, e le cellule ossee di rivestimento. Nella prospettiva di una nicchia in cui gli osteoblasti siano gli elementi regolatori chiave per le HSCs, si potrebbe ipotizzare che essa esista solamente in quei siti in cui si trovano gli osteoblasti. Si potrebbe pertanto ipotizzare che la nicchia delle HSCs sia transitoria e migratoria anzicchè fissa, oppure, che gli osteoblasti non siano le uniche cellule del lineage osteogenico coinvolti nella regolazione delle HSCs (P. Bianco, 2011). Gli osteoblasti producono un vasto range di fattori di crescita e citochine importanti per la maturazione delle HSCs (Taichman R.S. et al., 2000; Taichman R.S. et al., 1994). L‟Osteopontina, una proteina da essi secreta, ha un ruolo nella localizzazione delle HSCs ed è anche un regolatore negativo della loro proliferazione (Nilsson S.K. et al., 2005; Stier S. et al., 2005). I sinusoidi del midollo osseo sono dei sottili vasi sanguigni foderati dalle cellule endoteliali e coperti da cellule reticolari avventiziali. I sinusoidi non sono localizzati esclusivamente nel midollo osseo ma si trovano anche in altri organi ematopoietici come il fegato e la milza. Si sviluppano durante la formazione

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dell‟osso (Bianco P. et al 1993) mentre avviene l‟escavazione per opera degli osteoclasti; la loro forrmazione è un prerequisito cruciale per l‟ematopoiesi, sia nello sviluppo che nei trapianti (Sacchetti B. et al 2007; Tavassoli M., Crosby W.H., 1968;

Friedenstein A.J. et al 1974). La velocità del flusso ematico diminuisce nei larghi

sinusoidi consentendo l‟emarginazione delle cellule ematiche che possono così interagire con le cellule endoteliali mediante specifiche molecole di adesione (Quesenberry P.J. et al 1998; Franette P.S. et al., 1998). Le cellule endoteliali sono eterogenee nella loro morfologia, espressione genica, composizione antigenica, distribuzione e funzione; i fenotipi endoteliali sono differenti nei vari tessuti, e talvolta lo sono anche in diversi segmenti dello stesso tessuto (Aird W.C., 2007; Aird W.C., 2007), pertanto fare maggiore luce sugli aspetti che possano differenziarle potrebbe aiutare a comprendere il loro ruolo nella nicchia delle HSCs (Aird W.C., 2007). È noto che le cellule endoteliali del midollo osseo producono dei fattori solubili in grado di promuovere il self-renewal delle HSCs (Kobayashi H. et al., 2010; Salter A.B. et al., 2009; Li B. et al., 2010; Zhou B.O. et al., 2015). Le cellule endoteliali isolate da organi adulti non-ematopoietici non mostrano un ruolo di supporto in vitro nei confronti delle HSC (Li W. et al., 2004). Di per sè, il concetto di una nicchia sinusoidale significherebbe anche conciliare la nicchia dell‟osso con quelle in diverse sedi anatomiche, come il fegato e la milza che “operano” in specifiche circostanze, quindi, l‟esistenza di più nicchie per le HSCs (osteoblasti e cellule endoteliali) (Garrett R.W., Emerson S.G. 2009; Kiel M.J., Morrison S.J. 2008). I periciti hanno espansioni digitiformi della propria membrana con cui avvolgono parzialmente i vasi sanguigni in tutti i tessuti (Birbrair A. et al., 2015; Birbrair A. et al., 2014). Vengono definiti sulla base della loro localizzazione anatomica in combinazione con alcuni marcatori come PDGFRβ (platelet-derived growth factor receptor β) CD146, NG2 (neuron glial 2), αSMA, desmina e Nestina. I periciti sembrano influenzare le HSCs sia nel topo che nell‟uomo (Mendez-Ferrer S. et al., 2010; Ding L. et al., 2012; Sacchetti B. et al., 2007) come dimostra la loro ablazione in vivo che ha come effetto la riduzione del numero delle HSCs (Mendez-Ferrer S. et al., 2010). Numerosi esperimenti hanno dimostrato l‟importanza delle MSCs come componenti essenziali delle nicchia delle HSCs. Il loro ruolo di supporto sulla nicchia è evidente sia in modelli murini che nell‟uomo; il co-trapianto di MSCs con HSCs migliora l‟attecchimento in primati non umani (Masuda, Ageyama et al., 2009) e stimola il self-renewal delle HSCs (Ahn, Park et al., 2010). Recentemente è stata identificata nel midollo una popolazione di Cellule Staminali

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Mesenchimali (MSCs) Nestina+ associata con le HSCs (Mendez-Ferrer et al., 2010). Tali cellule esprimono CXCL12, IL-7, Stem Cell Factor 1 (SCF1) e l‟Osteopontina (OPN) che sono fattori di mantenimento importanti per le HSCs. Le MSCs Nestina+ sembrano essere componenti essenziali della nicchia dal momento che la loro ablazione causa la perdita delle HSCs (Mendez-Ferrer et al., 2010). Sono poi state identificate delle cellule bipotenti, in grado di differenziare sia in senso adipogenico che in quello osteogenico, molto affini con le MSCs Nestina+ (Omatsu Y. et al., 2010) localizzate in prossimità dei periciti che sono state definite come CARs (CXCL12 aboundant

reticular) per gli elevati livelli di espressione di CXCL12 (Suguyama T. et al., 2006).

Anche la selettiva ablazione delle CARs in vivo comporta la riduzione del numero di HSCs (Omatsu Y. et al., 2010). Dato che le MSCs Nestina+ sono meno rappresentate delle CAR cells e sono in grado di fare self-renewal si è ipotizzato che fossero una popolazione più primitiva delle CAR cells (Mendez-Ferrer et al., 2010). Gli adipociti sono un tipo cellulare di origine mesenchimale, e sono in grado di esercitare un ruolo repressore sulle HSCs. Per comprendere il loro effetto sulla nicchia ematopoietica è stata confrontata l‟attività ematopoietica di diverse regioni del sistema scheletrico che differissero per la misura del tessuto adiposo midollare in esse presente. I risultati di tale studio hanno dimostrato che le HSCs sono presenti in misura ridotta in regioni in cui vi sono più adipociti (Naveiras et al., 2009), suggerendo una azione inibitoria sulle HSCs da parte degli adipociti. Studi precedenti sembravano supportare l‟ipotesi che gli adipociti occupassero passivamente il midollo osseo (Gimble J.M., 1990), ultimamente sta invece emergendo un loro nuovo ruolo di regolazione (Gimble J.M. et al., 2004; Gimble J.M., 1990; Kawai M. et al., 2012). È bene però considerare che il grasso midollare è diverso sia da quello bruno che da quello bianco (Gimble J.M., et al., 2004; Fazeli p.K. et al., 2013). Gli adipociti del midollo oseo appaiono dispersi all‟interno della cavità midollare, in quanto non sono raggruppati in lobuli, e sono più piccoli rispetto a quelli viscerali e sottocutanei (Abella E. et al., 2002; Cohen A. et al., 2012). È noto che in condizioni patologiche e durante l‟invecchiamento il numero di adipociti diminuisce e aumentano le loro dimensioni (Gimble J.M. et al., 2004; Kawai M. et al., 2012; Devlin M.J. et al., 2010; Lecka-Czernik B. et al., 2010), contestualmente, hHSCs sono meno quiescenti e presentano un aumentato potenziale differenziativo in senso mieloide (Pang W.W. et al., 2011). Analogamente agli adipociti degli altri tessuti, anche quelli del midollo osseo sono in grado di secernere citochine, acidi grassi e ormoni, influenzando le altre cellule che popolano il microambiente midollare mediante

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meccanismi paracrini (Kawai M. et al., 2012; Rosen C.J. et al., 2009; Cao J.J. et al., 2010; Trottier M.D. et al., 2012). Tra i fattori da essi secreti sono inclusi la leptina (Vona-Davis L. et al., 2009; Maffei M. et al., 1995), l‟adipsina, la visfatina, l‟adiponectina che svolge un ruolo antidiabetico, antinfiammatorio ed antisclerotico (Wang S.N. et al., 2011; Cheng S.P. et al., 2011). È stato osservato che in modelli murini di sepsi, l‟adiponectina riduce la mortalità contribuendo a ridurre i livelli di TNFα (Tumor Necrois Factor ) (Li S. et al., 2012). È noto che gli adipociti midollari sono in grado di secernere un quantitativo maggiore di leptina rispetto agli adipociti sottocutanei (Laharrague P. et al., 2000), ed è stato suggerito che tale ormone possa avere un ruolo importante nella mielopoiesi (Claycombe K. et al., 2008). È stato ipotizzato che la loro funzione soppressiva si manifesti anche data la ridotta produzione di GM-CSF (Granulocyte-macrophage colony-stimulating factor) e all‟aumentata secrezione della lipocaina-2 e della nauropilina (Naveiras O. et al., 2009; Belaid-Choucair Z. et al., 2008; Miharada K. et al., 2008). Prendendo come modello la nicchia ematopoietica al fine di comprendere la funzionalità delle ASCs, si può notare che essa sia un sistema estremamente complesso, strutturato da molteplici popolazioni cellulari che contribuiscono, sia direttamente che indirettamente, alla regolazione del mantenimento e della differenziazione delle HSCs. Sono stati condotti numerosi passi avanti che hanno permesso di conoscere i tipi di cellule che strutturano la nicchia, tuttavia mancano dei marcatori specifici identificativi che consentirebbero di purificarli via FACS; ciò di conseguenza faciliterebbe la comprensione dei poco conosciuti meccanismi che governano le segnalazioni intra-nicchia.

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2. Le Cellule Staminali Mesenchimali (MSCs)

Le Cellule Staminali Mesenchimali (Mesenchymal Stem Cells, MSCs) sono delle cellule clonogeniche multipotenti, originariamente isolate dal midollo osseo (Fig. 8).

Fig. 8. Cellule Staminali Mesenchimali (MSCs)

Con il termine "mesenchima" si fa riferimento al tessuto connettivo embrionale che si forma principalmente dal mesoderma, tuttavia può derivare anche da alcune porzioni di ectoderma ed endoderma. L‟esistenza di precursori stromali residenti nel midollo osseo, in grado di dare origine a elementi mesodermici e capaci di rigenerare tessuti danneggiati, viene ipotizzata già alla fine del XIX secolo, in maniera indipendente, da Goujon e Cohnheim. Soltanto molti anni dopo, Friedenstein e colleghi, in una serie di studi condotti fra il 1966 e gli anni „80 dimostrano che il midollo osseo possiede potenziale osteogenico, associato ad una sua sottopopolazione cellulare, dimostrando la generazione de novo di osso ectopico e stroma midollare, in seguito al trapianto in siti

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eterotopici in un modello murino. Lo stesso gruppo ha dimostrato che questi precursori sono un sottoinsieme di cellule eterogenee di forma fibroblastoide, capaci di formare colonie (Colony-Forming Unit Fibroblasts, CFU-F), che possono essere isolate ed espanse in vitro per via della capacità di aderire alla plastica (Friedenstein et al., 1970). Per primo, M. Owen ha proposto un sistema stromale gerarchico, dove all‟apice vi è una cellula staminale che, attraverso diversi stadi di differenziazione, da origine a cellule di tessuti mesenchimali (Owen, 1988; Owen and Friedenstein, 1988). Tale popolazione cellulare era possibile espanderla in coltura e indurla a differenziare in vitro verso diversi lineages, indice di multipotenza e self-renewal in vivo, ovvero di staminalità. Il termine Mesenchymal Stem Cells (MSCs) venne utilizzato da Caplan indicando tali precursori multipotenti presenti nel midollo osseo derivati da una originale MSC embrionale, all‟apice della gerarchia proposta da M. Owen (Caplan, 1991). Successivamente le osservazioni di Friedenstein sono state confermate, dimostrando inoltre che cellule isolate in accordo con il protocollo di Friedenstein sono presenti anche nel midollo osseo umano e hanno le stesse caratteristiche per quanto concerne la proliferazione e la differenziazione (Pittenger et al., 1999). Tuttavia, nonostante i precursori stromali siano studiati da mezzo secolo, molte sono le controversie ancora non risolte sulle loro caratteristiche e proprietà, a partire dal nome da attribuire a tali popolazioni. Infatti l‟acronimo MSCs viene utilizzato anche per denominare i precursori mesenchimali come Multipotent Stromal Cells (Dominici et al., 2006), Mesenchymal Stromal Cells (Horwitz et al., 2005), o anche Medicinal Signalling Cells (Caplan and Correa, 2011). Fondamentalmente i risultati contrastanti ottenuti da diversi gruppi di ricerca possono essere sintetizzati in due modelli, considerando la localizzazione, la capacità differenziativa e i saggi funzionali utilizzati per studiare le MSCs (Reviewed in Bianco, 2014; Bianco et al., 2013). Nel modello di cui i maggiori esponenti sono A. Caplan e D. Prockop, le MSCs sono cellule definite esclusivamente sulla base della loro

abilità differenziativa in vitro verso i lineages adiposo, osseo e cartilagineo, e non è

dato rilievo alle loro funzioni fisiologiche in vivo. Tali cellule sono definite dalle caratteristiche in vitro, hanno un potenziale differenziativo molto maggiore di quello delle altre ASC e possono essere isolate virtualmente da tutti i tessuti connettivi. Caplan suggerisce che le MSCs abbiano delle capacità trofiche e che siano in grado di modulare l‟attività del sistema immunitario dell‟ospite, e di stabilire un microambiente rigenerativo secernendo delle molecole bioattive. Il modello invece sostenuto principalmente da P. Bianco e P. Frenette prevede l‟esistenza di cellule staminali

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natali multipotenti ed in grado di auto-rinnovarsi, capaci di dare origine solo ai tessuti dello scheletro. Per questo motivo, le hanno denominate Skeletal Stem Cells (SSCs). Le SSCs hanno una duplice funzione: nella fisiologia dello scheletro, sono essenziali per la crescita, per il turnover tissutale e per la sua capacità di rigenerazione; invece, nella fisiologia ematopoietica, tali cellule assumono un ruolo fondamentale nel mantenimento delle HSCs nella loro nicchia e nella regolazione del microambiente emopoietico. Secondo Bianco e Frenette, il potenziale scheletogenico è solo di cellule progenitrici/staminali presenti nello scheletro e viene modulato dal signalling di BMP. Al contrario, nelle MSCs isolate da altri tessuti, il potenziale scheletogenico può solamente essere indotto de novo mediante la riprogrammazione ad opera di BMP, quindi non è intrinseco. Questo modello quindi necessita di saggi in vivo che dimostrino la staminalità di tali cellule. La multipotenza deve essere dimostrata a livello di singola cellula ed il self-renewal attraverso trapianti seriali in vivo così da attestare la ricostituzione di una popolazione staminale identica a quella trapiantata; inoltre, quando questi progenitori vengono espiantati in coltura, dovrebbero generare una progenie clonale di cellule stromali che devono essere trapiantabili. Tale popolazione stromale, quando viene trapiantata in vivo, genera organoidi, costituiti da osso e stroma del midollo osseo del donatore e, all‟interno del midollo, vasi sanguigni e tessuto ematopoietico dell‟ospite (Mendez-Ferrer et al., 2010; Sacchetti et al., 2007). L‟utilizzo del termine MSCs sia riferito ai precursori in vivo che alla loro progenie in vitro è stato spesso motivo di incomprensioni. Per questo motivo, la Società Internazionale per la Terapia Cellulare, (Vancouver, Canada), ha suggerito l‟uso del nome Cellule Stromali Mesenchimali multipotenti per indicare le cellule coltivate in vitro, e quello di cellule staminali quando ci si riferiscce ai precursori staminali in vivo (Dominici et al., 2006; Horwitz et al., 2005). Tuttavia il termine ancora più frequentemente utilizzato nella letteratura è Cellule Staminali Mesenchimali e le loro proprietà biologiche, spesso, sono definite in base ad analisi di popolazioni clonali e non clonali in vitro e in misura ridotta mediante i trapianti ectopici in vivo (Ashton et al., 1980; Haynesworth et al., 1992). Attualmente non esistono marcatori specifici che consentono di identificarli in vivo, quindi le questioni riguardanti la loro eterogeneità, la localizzazione ed il loro coinvolgimento nel mantenimento dell‟omeostasi, sono ancora dibattute.

Le MSCs appaiono per la prima volta durante l‟embriogenesi nei tipici siti dell‟ematopoiesi (AGM e fegato fetale), sebbene possano essere precocemente individuate anche come elementi circolanti. Un‟altra sorgente embrionale di staminali

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mesenchimali è stata individuata nelle creste neurali craniali e dal primo arco brachiale possono essere isolate cellule con proprietà differenziative e morfologiche che ricordano le MSCs, capaci di generare i tessuti mesenchimali della regione orofaciale. Nell‟adulto, le MSCs sono state identificate originariamente nel midollo osseo, ma sempre più evidenze indicano che esse siano presenti in molteplici tessuti e organi quali il sangue periferico, il tessuto connettivo muscolare, la polpa dentaria, il tessuto adiposo, il colon e tanti altri. Inoltre, si ritrovano in tessuti fetali quali la placenta (nella quale si possono trovare anche MSCs della madre), nel liquido amniotico e nel cordone ombelicale. Una questione di rilievo riguarda l‟eterogeneità delle MSCs descritte nei numerosi studi presenti in letteratura. Infatti, alcune popolazioni hanno origine embrionale diversa: per esempio, laddove le MSCs derivate dal midollo osseo sono di origine mesodermica, i progenitori mesenchimali identificati nella polpa dentaria e nelle ossa cranio-faciali si sviluppano a partire dalle creste neurali. Inoltre, MSCs provenienti da differenti tessuti e persino nell‟ambito dello stesso tessuto, esibiscono signatures molecolari e potenzialità differenziative diverse. Studi più approfonditi sono necessari per chiarire le relazioni ed i ruoli funzionali delle diverse sotto-popolazioni. Questa elevata eterogeneità ha una notevole rilevanza clinica, in quanto diverse popolazioni di MSCs potrebbero non essere equivalenti per un impiego terapeutico nell‟ingegneria tissutale (Picchi et al., 2012). Il tessuto principale da cui vengono derivate le cellule staminali mesenchimali è il midollo osseo, in cui rappresentano una frazione minore. L‟esatta proporzione è difficile da calcolare, tuttavia si può stimare sull‟ordine di 0,001-0,01% di tutte le cellule nucleate. È importante sottolineare che la frequenza delle MSCs declina con l‟età da 1 ogni 10000 cellule nucleate nel neonato, a 1 ogni 1000000 nei soggetti anziani. Le MSCs possono essere coltivate in vitro per vari passaggi e un metodo classico per quantificarle è il saggio delle Colony Forming Unit-Fibroblasts (CFU-Fs), in cui viene valutata la capacità di singole cellule, piastrate a bassa densità, di formare colonie clonogeniche di cellule fibroblastoidi. Il numero di CFU-Fs correla con il numero di MSCs presenti nel campione di midollo osseo di partenza (Bianco et al., 2008). Un altro metodo per definire le MSCs si basa sull‟analisi in vitro della multipotenzialità e consiste nell‟indurre la differenziazione verso i tre possibili lineages canonici osteogenico, adipogenico e condrogenico. A tutt‟oggi non si conoscono markers specifici delle MSCs che permettano l‟ “isolamento”, per cui le analisi immunofenotipiche si basano su combinazioni di marcatori superficiali. In particolare, le MSCs umane risultano negative per CD45 (marker di cellule ematopoietiche), CD11b

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(marker di cellule del sistema immunitario), CD31 (marker di cellule endoteliali e ematopoietiche), mentre sono positive per CD105, CD73, CD44, CD146 fra i più importanti (Bernardo et al., 2009). Esistono poi delle differenze importanti fra le cellule umane e murine; infatti, le MSCs di topo presentano immunofenotipo CD105+, CD29+, CD44+, Sca-1+, CD3-, CD19-, CD11b-, CD45-, TER119-, Lin- (Sung et al., 2008).

Sempre più evidenze suggeriscono che le MSCs in vivo potrebbero corrispondere ai periciti. Noti anche come cellule murali di Rouget o cellule reticolari avventizie nel midollo osseo (Adventitial Rericular Cells – ARCs), sono elementi perivascolari in stretta connessione con le cellule endoteliali, circondati da una propria membrana basale che può aderire o fondersi con quella dei vasi sia di piccolo che di medio diametro. La loro funzione è molteplice: stabilizzazione strutturale dei vasi, sintesi di proteine della ECM ed attività macrofago–simile nella risposta immunitaria, sebbene in alcuni organi, i periciti espletino funzioni specializzate. Essi mostrano un fenotipo simile a quello delle MSCs (sono infatti CD44+, CD73+, CD90+ e CD105+) ed è stato dimostrato che in vitro possono essere mantenute per lunghi periodi e differenziare in osteociti, condrociti e adipociti (da Silva Meirelles et al., 2008; Augello et al., 2010; Crisan et al., 2008, 2009). Un‟altra evidenza a favore di questa ipotesi d‟identità in vivo è la natura perivascolare della nicchia delle MSCs, sebbene ancora non sia stata chiarita del tutto. Tale posizione è molto funzionale, in quanto permette alle staminali mesenchimali di ricevere segnalazioni per via ematica, sia facilita l‟accesso delle stesse in circolo in seguito a mobilizzazione. Successivamente è stato suggerito che l‟espressione combinata dei marcatori Surface Cell Antigen 1 (SCA1) e Plateled Derived Growth Factor Receptor- (PDGFR) nel topo permette di isolare un sottoinsieme di cellule non-ematopoietiche localizzate in prossimità delle arterie e in grado di dare origine a osteoblasti, adipociti e cellule reticolari in vivo, dopo trapianto in un topo irradiato (Morikawa et al., 2009). Recentemente è stato indicato il marker delle cellule staminali neurali Nestina in grado di marcare MSCs residenti nel midollo osseo, che costituiscono elementi essenziali della nicchia ematopoietica. Le MSCs Nestin+ derivate dal midollo osseo possono essere espanse in coltura in aderenza e successivamente possono essere trapiantate, dimostrando una forte capacità di autorinnovamento (Mendez-Ferrer et al., 2010). Questa serie di studi hanno identificato popolazioni di precursori mesenchimali che in alcuni casi coincidono fra di loro, ed in altri, sembrano rappresentare sottopopolazioni con diversa multi potenza. È ancora da comprendere se e in che misura, tali markers e caratteristiche funzionali delle MSCs presenti nel midollo osseo,

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possano essere utilizzate anche per MSCs di diversi tessuti adulti. Molto recentemente, utilizzando una rigorosa combinazione di analisi unicellulari e tecnologie di lineage tracing, due studi (Chan et al., 2015; Worthley et al., 2015) hanno permesso di fare dei passi in avanti, fornendo una maggior chiarezza sulle controversie esistenti sulle MSCs (Reviewed in Kassem and Bianco, 2015). Innanzitutto, in questi studi sono stati identificati una cellula staminale per i tessuti scheletrici ed un insieme di progenitori a valle con capacità più ristrette, suggerendo così un sistema gerachico simile a quello descritto nel tessuto ematopoietico. Le MSCs sono dotate di proprietà immunologiche sorprendenti, dirette verso diverse cellule del sistema immunitario. In primis, esse possono indurre l‟entrata in quiescenza dei linfociti T, sia citotossici CD8+ che helper CD4+, determinando il blocco della proliferazione anche in presenza di alloantigeni, mitogeni, CD3 e CD28 (Di Nicola M. et al., 2002; Krampera M. et al., 2003). L‟azione è assolutamente indipendente dal complesso HLA (Human Leucocyte Antigen) (Le Blanc K. Et al., 2003; Krampera M. et al., 2003) e viene esercitata attraverso la produzione di TGFβ, Hepathocyte Growth Factor (HGF) (Di Nicola M. et al., 2002), Prostaglandina E2 (PGE2) (Aggarwal S. et al., 2005), Indolamina 2,3-diossigenasi (IDO) (Meisel R. et al., 2004), Ossido Nitrico (iNOS) e Interleuchina-10 (IL10), anche se non si esclude che possano essere necessari meccanismi di interazione cellulare. È interessante notare che alcuni inibitori della GvHD (Graft-versus-Host Desease) quali ciclosporina-A, inibitore della calcineurina e tacrolimus, possono incrementare l‟effetto immunosoppressivo delle MSCs nei confronti dei linfociti T (Nevruz O. et al., 2013). È stato dimostrato che le MSCs possono indurre la differenziazione delle cellule T regolatorie (T-reg cells). Ancora, è stato riportato che le MSCs ostacolino la differenziazione e la maturazione sia dei monociti che dei progenitori CD34+ in cellule dendritiche (Dendritic Cells – DCs, dette anche Antigen Presenting Cells – APCs). Tale azione inibitoria sembra essere espletata tramite i fattori solubili IL-6 (Djouad F. et al., 2007), PGE2 (Aggarwal S. et al., 2005), IL-10 (Batten P. et al., 2006) e M-CSF (Macrophage-Colony Stimulating Factor) (Nauta A.J. et al., 2006).0 Le poche DCs che si ottengono in presenza di MSCs, sono funzionalmente danneggiate, in particolare per ciò che concerne l‟attivazione delle cellule T. Altre evidenze mostrano invece che le MSCs possono favorire la differenziazione delle APCs, questo fatto potrebbe essere alla base dell‟inibizione della proliferazione delle cellule T (Spaggiari G.M. et al., 2009). La capacità di bloccare proliferazione, differenziazione e produzione di anticorpi dei linfociti B murini, è stata ormai dimostrata da tempo. Inoltre, le MSCs sono capaci,

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attraverso interazioni cellulari dirette, di sopprimere la proliferazione delle cellule NK (Natural Killer) (Sotiropoulou P.A. et al., 2006; Rasmusson I. et al., 2003; Aggarwal S.

et al., 2005; Maccario R. et al., 2005; Ryan J.M. et al., 2007). In conclusione, numerosi

studi hanno mostrato che le MSCs sono capaci di modulare la funzione di differenti cellule attive nella risposta immune. È stata inoltre dimostrata la capacità delle MSCs di secernere un ampio spettro di fattori di crescita e, in particolare, è stato registrato che regolano le attività delle HSCs tramite la produzione di fattori trofici come Stem Cell Factor (SCF), Granulocyte Colony Stimulating Factor (G-CSF), M-CSF ed IL-6, SDF1. Sempre più evidenze suggeriscono che le MSCs possano espletare questa azione trofica, anche in seguito a homing, in quanto sono in grado di secernere un ampio spettro di fattori di crescita che agiscono inibendo l‟apoptosi e la cicatrizzazione e stimolando l‟angiogenesi, nonché la divisione e il differenziamento di progenitori endogeni presenti nei tessuti in cui si verifica l‟homing (Caplan, 2007). Infine, le MSCs secernono un‟ampia varietà di molecole chemoattrattive come quelle della famiglia CCL e CXCL (Reviewed in da Silva Meirelles et al., 2008), che agiscono su cellule come monociti, eosinofili, neutrofili, basofili, linfociti T e B, cellule NK, cellule dendritiche e progenitori ematopoietici ed endoteliali (Rollins, 1997).

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2.1 Meccanismi di regolazione nell'adipogenesi

L‟adipogenesi e l‟osteogenesi sono due processi mutualmente esclusivi, il programma adipogenico reprime quello osteogenico e viceversa (Fig. 9) (Beresford et al., 1992; Dorheim et al., 1993; Gimble et al., 1995), pertanto discutere i meccanismi regolatori dell‟adipogenesi implica tenere conto di quelli che regolano il processo osteogenico.

Fig. 9. Differenziazione mutualmente esclusiva delle MSCs in adipociti o osteoblasti

2.1.2 Adipogenesi

L'adipogenesi è il processo di differenziazione cui va incontro la Cellula Staminale Mesenchimale, al termine del quale esibisce le caratteristiche genotipiche e fenotipiche dell'adipocita maturo. Il volume dell'adipocita è in gran parte occupato da formazioni lipidiche, per questa ragione, talvolta, il nucleo non puo assumere una posizione centrale ma viene spinto perifericamente. L'adipocita è circondato da un involucro glicoproteico molto ricco in fibre reticolari, la sua colorazione può virare dal bianco al giallo, in funzione della presenza e della quantità di pigmenti liposolubili, come ad esempio i carotenoidi. La membrana plasmatica presenta delle vescicole di micropinocitosi, invaginazioni ed estroflessioni che variano numericamente in relazione all'attività lipogenica e lipolitica. Queste cellule sembrano non avere attività ameboide ne fagocitaria e sono mitoticamente poco attive. La loro localizzazione è interspersa nell'organismo e può variare in relazione ad età e sesso dell'individuo, per esempio il pannicolo adiposo è uniformemente distribuito nell'infanzia e sembra che la sua

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distribuzione, dopo la pubertà, diventi sesso-specifica; tuttavia, questo non accade nel caso del mediastino, loggia renale, mesenteri, l'omento, le regioni retroperitoneali, quelle ascellari ed inguinali. L'accumulo dei lipidi all'interno dell'adipocita è un fenomeno reversibile e il grado di reversibilità è in funzione dello stato metabolico dell'individuo ed in relazione alla localizzazione tissutale. Nella condizione di digiuno prolungato, l'adipocita si impoverisce dei lipidi accumulati fintanto che la goccia lipidica scompare e la cellula comincia ad assumere un aspetto fibroblastoide, stellato o fusiforme. In seguito all‟apporto alimentare la situazione si reverte, ciò avviene in minore misura nel tessuto adiposo dell'orbita, del palmo della mano, dei piedi e delle articolazioni maggiori. In queste sedi i depositi lipidici non sembrano avere un ruolo diretto nel metabolismo energetico, piuttosto rappresentano una funzione meccanica e di sostegno. (Histology, V. Monesi). Negli ultimi tempi è stato possibile studiare più approfonditamente l‟adipogenesi in vitro, disponendo di modelli di linee cellulari di preadipociti quali 3T3-L1 e 3T3-F442A, in modo da potere riprodurre più o meno fedelmente gli aspetti della differenziazione adipogenica delle MSCs (Fig. 10).

Fig. 10. Rappresentazione schematica della differenziazione adipogenica delle MSCs

È noto che fornendo determinati fattori alle colture di preadipociti, mediante mezzi condizionati, è possibile indurre la loro differenziazione adipogenica (Shillabeer et al., 1989). L'insulina sembrerebbe incrementare la percentuale di cellule che differenziano e la quantità di accumuli lipidici in ciascuna cellula adiposa (Girard et al 1994), inoltre

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espleta una forte attività antiapoptotica (kiess e Gallaher, 1998). L'effetto dell'insulina dovrebbe espletarsi mediante l'interazione con il recettore IGF-1 e la conseguente stimolazione dell‟attività di Ras (Benito et al., 1991), la riduzione della sua attività, d‟altra parte, compromette il processo differenziativo (Porras et al., 1992). Bisogna pure prendere in considerazione che la sua attività stimola fortemente quella delle chinasi MAPs che inibiscono il differenziamento, pertanto l'esatto ruolo di Ras non è stato ancora ben compreso. Altre molecole utilizzate nell‟induzione della differenziazione adipogenica dei preadipociti sono i glucocorticoidi in forma di Desametasone (Dex) che interagiscono con il recettore nucleare dei glucocorticoidi (GR), che fa parte della superfamiglia di PPAR-γ, tuttavia i target di questo pathway non sembrano essere del tutto definiti. L'effetto di alcuni ormoni è stato poco compreso, per esempio il GH, ormone della crescita, sembra stimolare l'adipogenesi in una varietà di linee cellulari di preadipociti, ciò non accade nelle colture primarie (Catalioto et al 1992, Green et al 1985, Hausman e Martin 1989, Wabitsch et al 1995), manifestando pertanto una certa ambiguità per quanto concerne la sua funzione stimolatoria. Altre molecole sembrano avere un determinato effetto in vitro, tra queste gli ormoni tiroidei (Garbi-Chihi et al 1981), l'acido retinoico (Safonava et al 1994), alcune prostaglandine (Negrel et al 1981, Reginato et al 1998). I risultati dello studio della differenziazione adipocitica di altre linee cellulari di preadipociti non sono dissimili rispetto a quelli ottenuti dalle due linee cellulari sopra citate. La differenziazione adipogenica può essere considerata un processo multifasico caratterizzato da cambiamenti che avvengono in modo cronologico che includono l‟espressione di geni precoci, intermedi, tardivi e l‟accumulo di trigliceridi (Gregoire F.M., et al., 1998). L‟adipogenesi consta di quattro fasi: l‟arresto della crescita cellulare, l‟espanzione mitotica clonale (MCE), la differenziazione precoce e quella terminale (Farmer S.R., 2006; Gregoire F.M., et al., 1998). Le colture di preadipociti proliferano prima di subire l‟arresto della crescita cellulare, successivamente cominciano ad esprimere i marcatori precoci della differenziazione e in questa fase, il contatto cellula-cellula potrebbe giocare un ruolo importante (Tong Q. et al., 2001; Dani C. et al., 1990). Per procedere allo stadio dell‟espansione clonale e alla susseguente differenziazione sono richiesti specifici induttori (MacDougald O.A. et al., 1995). I fibroblasti 3T3-L1 sono in grado di differenziare quando indotti con

Dexametasone (Dex), Isobutirrilmetilxantina (IBMX) ed Insulina (Farmer S.R., 2006;

Green H. et al., 1975). L‟espansione mitotica clonale è cruciale per la differenziazione terminale, durante questa fase le cellule esprimono i fattori master PPARγ e C/EBPα

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(Yeh W.C. et al., 1995; Cao Z. et al., 1991) che stimolano l‟espressione dei geni coinvolti nell‟adipogenesi. Successivamente si instaura un circuito autoregolatorio tra PPARγ e C/EBPα (Tontonoz P. et al., 2008). Durante la fase terminale si espleta l‟azione dell‟insulina, avviene la sintesi e trasporto dei lipidi e la secrezione di proteine specifiche per gli adipociti (Farmer S.R., 2006).

2.1.2 Regolazione della segnalazione cellulare

Le proteine morfogenetiche dell'osso, BMPs, che fanno parte della superfamiglia del

TGF-β, svolgono importanti funzioni nello sviluppo del tessuto muscolare, cartilagineo, cerebrale, vascolare, ma anche in quello adiposo ed osseo (Chen D. Et al 2004). Tra le circa venti proteine BMP identificate, BMP-2, BMP-4, BMP-6 eBMP-7 sembrano avere un importante ruolo nella differenziazione adipogenica ed osteogenica delle MSCs (Neumann K., et al 2007; Friedman M. S. et al 2006); in studi passati si era stabilito che promuovessero entrambi i processi differenziativi con un meccanismo mutualmente esclusivo (Kang Q. Et al 2009). Le proteine BMPs interagiscono con le BMPR, proteine recettoriali (esistono due distinti sottotipi di BMPR, di tipo I e di tipo II) ad attività Ser/Thr chinasica. Tra le sette differenti proteine BMPR-I identificate, BMPR-IA, BMPR-IB ed il recettore dell'attivina I sembrerebbero avere un ruolo nell'adipogenesi e nella formazione dello scheletro (Chen D. et al., 1998). La via BMP, attraverso l'attività di proteine come Smad, p38 e JNK (Chen D. Et al 1998, Celil A. B. Et al 2005, Hullinger T. G. Et al 2001) conduce alla regolazione dell'espressione di una serie di geni specifici per i due processi differenziativi, per esempio, mediante il pathway Runx-2 dipendente e indipendente, converge nella regolazione di Osterix (Matsubara T. Et al 2008; Lee K. S. et al 2002). Tuttavia questo non significa che il signalling di BMP rappresenti un segnale solamente osteogenico, infatti il pathway che viene innescato a seguito della stimolazione di BMPR-IA potrebbe supportare l'adipogenesi (Chen D. et al 1998), mentre quello di BMPR-IB invece l'osteognesi (Muruganadan S. et al 2009). Il signalling canonico di Wnt comincia con il legame dei ligandi Wnt al recettore di membrana Frizzled, formando dei complessi con altre proteine che includono corecettori come LRP5/6 e proteine appartenenti alla famiglia DSH. Una volta attivata disheveled, si ha l'inibizione dell‟attività di un complesso di proteine di cui fa parte l'axina, la GSK-3 e APC. Gsk3 è una chinasi la cui attività è costitutiva, catalizza la

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fosforilazione della beta-catenina citoplasmatica modulandone la sua emivita, quindi la segnalazione Wnt a monte inibisce l'attività del complesso axina/GSK3/APC, permettendo in questo modo la costituzione di un pool di beta-catenina citoplasmatica che quindi può migrare nel nucleo, dove interagendo con la famiglia di fattori trascrizionali Tcf/Lef, ne spiazza i corepressori (Pandur P. Et al 2002). In questo modo la via canonica di Wnt è in grado di regolare l'espressione di una serie di geni che sono importanti nella crescita e nel differenziamento cellulare. È stata suggerita una chiara relazione tra il signalling di Wnt e il processo di formazione dell'osso. Sembrerebbe promuoverlo attraverso tre meccanismi, stimolando il self-renewal delle cellule precursori (Reya T. et., al 2005) e la prolifererazione cellulare (Kato M. et., al 2002), e inducendo l'osteoblastogenesi (Kato M. et., al 2002). L'effetto della beta-catenina sull'osteogenesi appare evidente dai risultati di esperimenti della sua perdita di funzione in precursori mesenchimali di condrociti ed osteoblasti, da cui si evincono severe deficienze nella formazione dello scheletro (Hu H. et al 2005). D'altra parte invece la mancanza della funzionalità della beta-catenina manifesta un maggiore supporto dell'adipogenesi, sia in vivo che in vitro (Bennett C. N. Et al 2002; Ross S. E. Et al 2000). I meccanismi non canonici di Wnt cominciano allo stesso modo di quello canonico ma divergono dato che, a seguito del legame ligando-recettore, la beta-catenina non funge da mediatore della segnalazione (Wang H. Y. Et al 2004). La via non canonica sembra essere comunque determinante nell'osteogenesi delle MSCs. Un esempio è il pathway Wnt/Ca2+ che conduce alla stimolazione dell'attività di enzimi calcio-sensitivi, come la PKC che, fra l‟altro, ha differenti ruoli nell‟adipogenesi (Zhou Y. et al., 2006). La modulazione della differenziazione adipogenica ed osteogenica è molto più complessa di quanto possa sembrare, poichè dipende da un intenso cross-tolk tra le varie vie di trasduzione del segnale, infatti a quelle menzionate precedentemente si aggiunge pure la segnalazione hedgehog, delta-jagged, FGF, e IGF. Tra queste vie, quella maggiormente descritta pare essere il pathway Hedgehog (Fontaine C. Et al 2008; Spinella-Jaegle S. Et al 2001). I membri della famiglia Ci-Gli sono delle proteine zinc-finger, classicalmente considerati effettori del signalling hedgehog. L'interazione di hedgehog con il recettore di superficie Patched, impedisce che i fattori trascrizionali Ci-Gli vengano degradati, quindi aumenta la loro emivita, una volta che migrano e si accumulano nel nucleo svolgono la loro attività transattivamente. Nelle cellule staminali mesenchimali Sonic Hedgehog (SHH), indian Hedgehog e Desert Hedgehog sono considerevolmente espressi (Fontaine C. Et al 2008), tuttavia non si ha molta chiarezza

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riguardo i cross-talk di questa via di segnalazione. La famiglia Delta-Jagged comprende dei ligandi extracellulari per il recettore Notch. Il ruolo di questo signalling nella regolazione dei due processi differenziativi delle MSCs appare molto complesso e poco chiarito (Ross D. A. Et al 2004). Sia l'over-espressione di Hes-1 (gene target del signalling Notch) che l'esposizione delle cellule 3T3-L1 a Jagged1 inibisce l'espressione dei principali geni dell‟adipogenesi, ma è importante che le cellule siano in una condizione colturale pro-differenziativa (Ross D. A. Et al 2004). L'overespressione del dominio intracellulare di Notch in fibroblasti murini MC3T3 e nelle mesenchinali ST-2 è associata alla promozione del la loro differenziazione in adipociti piuttosto che in osteoblasti (Sciaudone M. Et al 2003). Nelle 3T3-L1, Notch1 sarebbe pure implicato nell'adipogenesi con un meccanismo che coinvolge DLK/Pref1 (Garces C. Et al 1997; Ross D. A. Et al 2004). Il signalling FGF stimola entrambi i processi differenziativi, anche se questo pathway dovrebbe essere maggiormente definito per comprenderne appieno in che modo e in che misura. In alcuni studi si evince che FGF1, FGF2 e FGF10 promuoverebbero l'adipogenesi, in condizioni colturali pro-differenziative (Neubauer M. Et al 2004; Sakaue H. Et al 2002), in altri studi invece che lo stesso FGF2 invece stimolerebbe l'osteoblastogenesi delle MSCs estratte da midollo e poste in condizioni prodifferenziative osteoblastogeniche (Hanada K. Et al 1997; Dupree M. A. Et al 2006). Anche in questa via di trasduzione del segnale vi sono non indifferenti discrepanze. La via IGF/IR influenza processi importanti come la proliferazione e il differenziamento (Rosen et al., 1998). IGF1 stimola l'espressione di Osterix nelle mesenchimali attraverso il pathway dipendente da MAPK e PDK, e sembra che sia in grado di farlo sia agendo da solo che in sinergismo con BMP-1 (Celil A. B. Et al 2005), la perdita di funzione di IRS-1 e IRS-2 viene associata ad osteopenia (Ogata N. Et al 2000). È importante considerare che, nei topi, parallelamente all'overespressione di IGF1, si verifica l'incremento della formazione ossea pur rimanendo immutato il numero degli osteoblasti (Zhao G. Et al 2000). L'espressione forzata di Pref-1 nelle 3T3-L1 riduce l'espressione di IGF1 e l'attivazione delle MAPK dipendente da IGFR (Zhang H. Et al 2003).

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2.1.3 Regolazione dell'espressione genica nell'adipogenesi

Gli studi mirati a comprendere in che modo venisse regolata l‟adipogenesi hanno messo in luce dei geni i cui prodotti controllano l‟espressione di una serie di fattori che, a sua volta, orchestrano l‟intero processo di differenziazione, sono stati pertanto definiti geni master dell‟adipogenesi. L'analisi di un enhancer di circa 5Kb, localizzato a monte del sito di inizio della trascrizione, ha permesso di conoscere il complesso trans-agente definito ARF6 (Graves et al., 1992). Esso si costituisce di due recettori nucleari, quali PPAR

γ e RXR (Tontonoz et al 1994a,b); PPARγ, a sua volta, comprende due sottogruppi di recettori nucleari, PPARα e PPARδ (Dreyer et al 1992). Esiste un'isoforma di PPARγ prodotta per splicing alternativo, entrambe sembrano essere espresse in modo tessuto-specifico (Tontonoz et al 1994). Il ruolo biologico di PPARγ (Peroxisome

Proliferator-Activated Receptor gamma) è stato compreso mediante studi funzionali. Il modello

murino omozigote nullo esibisce un fenotipo letale durante gli stadi precoci dello sviluppo e difetti nella placenta (Barak et al 1999, Kubota et al., 1999). Considerando i difetti riscontrati nello sviluppo della placenta hanno cercato di creare un embrione chimerico usando una cellula tetraploide wild-type e cellule dal genotipo omozigote negativo, generando un omozigote mutante che, seppure mostrasse un fenotipo letale dopo la nascita, esibiva una significativa perdita di depositi di tessuto adiposo (Barak et al 1999). L‟ulteriore studio è stato compiuto da Rosen et al, nel 1999, creando un embrione con cellule embrionali staminali wild-type e cellule PPARγ-/-. Questo

esperimento ha consentito di quantificare l'effetto delle cellule nulle per PPARγ nei tessuti adulti dimostrando la sua importanza per l'adipogenesi in vivo (Kubota et al 1999). Nell‟ambito degli studi funzionali su PPARγ sono stati analizzati anche gli effetti del suo guadagno di funzione; l'over-espressione di questo fattore trascrizionale in fibroblasti non adipogenici che la somministrazione di un suo agonista stimolano la differenziazione adipogenica (Tontonoz et al 1994c). Sono stati individuati una serie di ligandi per il recettore nucleare, sia già esistenti in natura che sintetitizzati artificialmente, alcuni tra questi avrebbero mostrato un importante effetto antidiabetico. A conferma di tale implicazione vi sarebbe l'evidenza di alcuni individui insulino-resistenti che presentano una mutazione in eterozigosi per PPARγ (Barroso et al., 1999) e non mostrano squilibri nella produzione di tessuto adiposo. Questo può far supporre che esiste un dosaggio richiesto per la formazione di cellule adipose nell'uomo e che

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possa essere differente per quanto concerne la regolazione della sensibilità all'insulina. Tali studi hanno evidenziato il ruolo di molecole appartenenti alla classe degli ecosanoidi; in particolare è stato scoperto che PPARγ può essere legato da un prostanoide che fa parte della sottoclasse degli eicosanoidi, conosciuto come 15dPGJ2 (Forman et al 1995, Kliewer et al 1995). Esso sembra inoltre essere legato anche da altri acidi grassi polinsaturi e derivati che comprendono oleati e linoleati (Forman et al 1995, Kliewer er al 1995), tuttavia è importante sottolineare che la costante di dissociazione relativa all'interazione tra alcuni di questi ligandi e PPARγ sembra oscillare all'interno di un range che va da 2 a 50 µM. Il fattore di trascrizione C/EBPα

(CCAAT/enhancer-binding Proteins) fa parte di una classe di proteine basic-leucine-zipper che agiscono

sia da omodimeri che da eterodimeri (Lekstrom-Himes & Xanthopoulos 1998). Il ruolo biologico di C/EBPα nell‟adipogenesi è supportato sia da studi in vitro che in vivo. La sua sovraespressione nella linea cellulare di preadipociti 3T3-L1 ne stimola la differenziazione in adipociti maturi (Freytag et al., 1994; Lin & Lane, 1992), in vivo una sua delezione in omozigosi è associata alla perdita di tessuto adiposo (Wang et al., 1995). Esisterebbe un circuito a feedback positivo che assicuri il mantenimento dell‟espressione di C/EBPα e PPARγ nella differenziazione adipogenica (Wu et al., 1999). Entrambi vengono considerati master gene dell‟adipogenesi poichè svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dell‟espressione dei principali geni implicati durante l‟intero processo differenziativo e che caratterizzano l‟adipocita terminalmente differenziato quali la glicerolfosfato deidrogenasi, l‟enzima malico, il trasportatore del glucosio Glut4, l‟acido grasso sintasi, l‟acetil coenzima A carbossilasi, l‟AP2 (Spiegelman et al., 1993) ed altre proteine come l‟adiponectina che viene considerato un marker per l‟attività di PPARγ (Lakota K. et al., 2012). Il trasportatore per il glucosio GLUT4 è espresso nel tessuto muscolare e in quello adiposo; all‟interno della cellula è internalizzato in vescicole il cui trasporto verso la membrana viene promosso dal signalling dell‟insulina, determinando in questo modo un aumento di permeabilità di membrana al glucosio, favorendone l‟uptake. L‟adiponectina è un‟adipochina abbondantemente prodotta e secreta dal tessuto adiposo, annoverata per il suo effetto antidiabetico, antinfiammatorio e cardioprotettivo (Kern P.A. et al., 2003; Ohashi K. et al., 2012). L‟adiponectina viene sintetizzata come monomero che si assembla in omoligomeri di diverso peso molecolare ( Schraw T. et al., 2008); è un ormone proteico che, in condizioni fisiologiche, è presente ad alte concentrazioni, che invece decrementano in condizioni di obesità (Daniele A. et al., 2008; De Rosa A. et al., 2013).

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