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Academic year: 2021

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CAPITOLO III

Se in Francia si deve costruire un grande aeroporto. Se nel regno Unito si deve realizzare un’autostrada. Se negli Stati Uniti si deve costruire un impianto nucleare. Se nell’Unione europea si debbono assegnare quote di emissione di gas ad effetto serra. Se l’International Finance Corporation finanzia il progetto nazionale di una grande opera pubblica. In tutti questi casi, apposite norme impongono all’amministrazione di consultare i privati.

Così, l’amministrazione fa entrare il privato nel suo processo di decisione. Rinuncia alla esclusività dei suoi poteri1.

La realizzazione di grandi opere che abbiano un impatto diretto sull’ambiente e sulla salute di una comunità locale richiede il coinvolgimento di varie entità – sia umane che non – e alla fine, l’andamento e il risultato di una controversia ambientale dipende dalla particolare combinazione di tutti questi elementi2.

Benché il potere decisionale rimanga in capo all’amministrazione, essa ha il dovere di assumere decisioni non soltanto legittime, ma anche legittimate, ovvero accettate – e il più possibile condivise – dalla comunità di riferimento. Questo implica per la nostra analisi la necessità di muovere da alcuni quesiti di fondo: qual è la sede procedimentale di definizione dell’interesse generale quando è in gioco la realizzazione di un’opera considerata strategica che però porta con sé un impatto sull’ambiente?

La comunità locale che ospiterà quell’opera – e quindi che si interroga sulla sua sostenibilità – non difende forse l’interesse delle collettività presenti e future? In merito alla realizzazione di grandi opere fortemente impattanti, attualmente le normative lasciano ridotti spazi partecipativi (e decisionali) proprio in capo agli enti locali che spesso vengono semplicemente sentiti, ma la decisione viene rimessa all’amministrazione centrale. Benché l’opera sia considerata strategica per l’interesse generale, è giusto soffocare lo spazio decisionale dell’ente locale che si troverà ad ospitarla?

1 S. Cassese, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, op. cit., p. 14.

2 Cfr. N. Magnani, Attori sociali e fattori materiali nei conflitti ambientali. Il caso

dell’inceneritore di Trento, in L. Pellizzoni (a cura di), Conflitti ambientali. Esperti, politica, istituzioni nelle controversie ecologiche, Il Mulino, 2011, pp. 60 ss.

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103 E ancora, stabilito che dovrà essere attuato un processo partecipativo, chi deve essere posto alla sua regia? La stessa autorità che poi determinerà la realizzazione di quell’opera? Un’autorità indipendente e imparziale?

Cercheremo di sviscerare queste questioni, in merito all’ordinamento francese, nel corso del presente lavoro.

Come premessa va detto che l’amministrazione chiede la partecipazione dei privati alla formazione di questo tipo di decisioni essenzialmente per tre ragioni. La prima è ottenere una migliore conoscenza dei fatti e degli interessi su cui basare la decisione stessa. La seconda è permettere ai privati di far valere i propri diritti fin dalla fase preparatoria. La terza è garantire ai privati un certo coinvolgimento nel processo decisionale.

La partecipazione dei privati ha dunque una doppia funzione, una orizzontale e una verticale: da un lato, si mette al servizio della pubblica amministrazione aiutandola a prendere la decisione, dall’altro, consente alla società civile di esprimere le proprie opinioni e difendersi da decisioni che potrebbero essere lesive dei suoi interessi. In questo modo, la volontà dei privati viene quantomeno ascoltata nel processo di decisione collettivo: lo Stato si apre al cittadino e lo fa entrare nel processo di decisione pubblico.

Possiamo affermare che la partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche permette di stabilire un equilibrio tra Stato e cittadino. Si tratta però di un equilibrio piuttosto precario poiché, qualora la partecipazione non sia garantita (o sia garantita in modo minimo o artificioso), si rischia un deficit democratico; viceversa, se l’amministrazione fa eccessivo affidamento sulla partecipazione dei cittadini, rischia di cadere ostaggio degli interessi organizzati più forti, di indebolirsi e perdere efficacia.

La costruzione di opere pubbliche, soprattutto se grandi, tende ad incontrare una duplice opposizione: quella dei residenti coinvolti (la cosiddetta sindrome NINBY-Not In My Back Yard, vale a dire una contestazione della localizzazione di una certa opera, ma non necessariamente dell’opera in quanto tale) e quella dei gruppi ambientalisti. I primi temono l’invasione del “loro” territorio, lo sconvolgimento dei loro ritmi di vita, i pericoli per la salute, la perdita di valore delle loro case. I secondi, più in generale, contestano l’utilità delle opere e il modello di sviluppo al

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104 quale esse si ispirano, proponendo soluzioni meno invasive. Assai frequentemente, le argomentazioni degli ambientalisti e i timori dei residenti finiscono per saldarsi e sovrapporsi dando luogo ad una protesta che non sempre è in grado di bloccare il progetto, ma riesce comunque a mettere i bastoni tra le ruote ai proponenti. Data l’accresciuta sensibilità ambientale, l’opposizione ai progetti infrastrutturali è ormai un fenomeno endemico, in Italia come altrove3, e ad essere coinvolte sono sia le infrastrutture in senso proprio che gli impianti produttivi.

In merito alle procedure di partecipazione, le questioni da analizzare sono varie. In prima battuta dobbiamo accertare la presenza di un obbligo di consultazione e capire di quale natura sia (nazionale, sovranazionale, legislativa ecc.). In seguito dobbiamo chiederci quale ne sia lo scopo e se l’amministrazione abbia la facoltà di sottrarsi a tale obbligo. A questo punto dobbiamo vedere quali siano i contenuti, in quale fase della procedura sia prevista la consultazione e quanto sia il tempo concesso ai privati per apportare i commenti. Dobbiamo poi chiederci chi siano i soggetti aventi diritto a partecipare al processo decisionale: solamente i soggetti direttamente interessati? Una collettività più ampia? Il “chiunque”? Infine dobbiamo verificare quali siano gli effetti della consultazione ed eventualmente della mancata consultazione.

È importante che i momenti di confronto tra gli attori coinvolti siano organizzati secondo modalità chiare, con tempi certi e regole di accesso e di discussione condivise. L’inquadramento normativo del processo partecipativo, come è stato fatto in Francia, può rivelarsi particolarmente utile per garantire efficacia al processo e stabilità alle decisioni.

Il diverso modo in cui è regolata la partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche rivela il posto riconosciuto al privato nei confronti dell’amministrazione e in un certo senso, anche il peso assegnato rispettivamente ai tre poteri dello Stato: ciò è particolarmente evidente in Francia.

Nell’ordinamento francese troviamo quello che Sabino Cassese, nel suo saggio di diritto comparato, ha definito il “tipo della separazione”4. Il controllo della

3 R. Occhilupo, G. Palumbo, P. Sestito, Le scelte di localizzazione delle opere pubbliche: il

fenomeno Nimby, op. cit., p. 5.

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105 procedura partecipativa rimane di esclusivo dominio dell’amministrazione e viene pertanto sottratto ai giudici. Esiste in Francia una chiara separazione di compiti tra amministrazione e giudice, il quale giudica la decisione raggiunta soltanto al termine del procedimento. La sottrazione della procedura di partecipazione al controllo giurisdizionale rispecchia le caratteristiche fondamentali del diritto francese e rientra nella tipica tendenza francese volta a limitare il ricorso giurisdizionale via via che si ampliano e perfezionano le procedure partecipative. In Francia, la fase di audizione dei privati è affidata interamente all’amministrazione, anche se tale compito è svolto da un’autorità amministrativa indipendente; ciò significa che l’amministrazione che ascolta i privati è svincolata dalla gerarchia burocratica e contemporaneamente sottoposta ad un controllo meno penetrante del giudice.

Dato il centralismo dell’amministrazione, tipico della tradizione costituzionale francese, la partecipazione dei privati non poteva che essere configurata in funzione della sola amministrazione. Fin dalla Rivoluzione infatti, la visione costituzionale francese è dominata dal monolitismo dell’esecutivo e dal timore che i giudici possano troubler lo svolgimento dell’attività amministrativa. Questo spiega perché – una volta introdotta la democrazia nell’amministrazione e garantita l’indipendenza del soggetto incaricato di dirigere il dibattimento e l’imparzialità del dibattimento stesso – si sottrae l’esercizio della democrazia al controllo del giudice. E senza un controllo giurisdizionale, l’effettività degli istituti partecipativi rischia di essere ridotta. Pertanto la tesi avanzata da Cassese è che le misure di partecipazione siano «meno uno strumento di democrazia partecipativa che un mezzo per legittimare l’azione della pubblica amministrazione»5.

1. L’ENQUÊTE PUBLIQUE

Il modello francese è piuttosto complesso, ma garantisce un buon grado di partecipazione dei privati ai processi decisionali pubblici.

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106 La soluzione più antica è l’enquête publique (inchiesta pubblica), utilizzata fin dai primi anni dell’Ottocento con riferimento alle procedure espropriative, sia in materia urbanistica che relativamente ai terreni ad uso agricolo. L’inchiesta pubblica è uno strumento che viene introdotto per la prima volta in Francia dalla legge 8 marzo 18106, allo scopo di garantire la partecipazione ai procedimenti in cui veniva sacrificato il diritto inviolabile et sacré alla proprietà privata.

Con la legge 21 aprile 1810 relativa a miniere e cave, si introduce un’inchiesta pubblica precedente al rilascio delle concessioni; con il Decreto imperiale 15 ottobre 1810, concernente le officine e le manifatture, si prevede un’inchiesta pubblica per raccogliere informazioni prima dell’apertura degli stabilimenti. Nel 1983 si prese la decisione di fare ordine a livello normativo: la sistemazione della disciplina si tradusse in una nuova legge con cui si intendeva estendere la procedura di partecipazione definita enquête publique, istituita in origine per le espropriazioni, alla tutela dell’ambiente.

La legge 83-630, del 12 luglio 1983, relativa alla democratizzazione delle inchieste pubbliche e alla tutela dell’ambiente, cosiddetta loi Bouchardeau, è stata ampiamente criticata per aver introdotto una procedura deficitaria. Tale procedura, oltre ad essere tardiva – poiché interviene quando il progetto di un’opera si trova già in uno stadio avanzato7 – non attribuirebbe poteri sufficienti a coloro che vi partecipano. Per questo motivo, la disciplina relativa all’inchiesta pubblica è stata rivista attraverso varie riforme contenute nella legge 93-24, dell’8 gennaio 1993, cosiddetta loi paysages, nella legge finanziaria 93-1352, del 30 dicembre 1993, art. 109 e nel decreto 85-453, del 23 aprile 1985, di attuazione della l. n. 85-630. Infine la normativa è stata aggiornata con la legge 95-101, del 2 febbraio 1995, con cui si è introdotto un nuovo strumento partecipativo, vale a dire il dibattito pubblico: con la presente normativa si è stabilito di far precede la procedura di inchiesta pubblica, per i soli grandi progetti di interventi

6 Perfezionata con la legge 7 luglio 1833 e riformata nel 1959. Sulle origini dell’inchiesta pubblica

francese si legga J-L. Autin, Inchieste pubbliche e débat public nell’ordinamento francese, in Dir. gest. amb., 2001, pp. 67 ss.; J. Caillosse, Enquête publique et protection de l’environment, in Revue Juridique de l’Environnement., 1986, pp. 151 ss.

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È importante che il confronto non venga attivato né troppo tardi, né troppo presto. Non troppo tardi, perché il progetto non sarebbe più negoziabile se già fossero state prese decisioni circa le principali variabili; non troppo presto, perché quando il progetto è ancora vago gli attori non emergono, gli amministratori tendono a non prendere posizione di fronte alle prime opposizioni e il progetto è ancora troppo debole.

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107 infrastrutturali, da una procedura di consultazione più ampia denominata débat public.

L’inchiesta pubblica, poi perfezionata insieme al dibattito pubblico dalla legge 2002-276, del 27 febbraio 2002, «Relative à la démocratie de proximité», con l’obiettivo di avvicinare i cittadini all’amministrazione pubblica, è un sub-procedimento previsto dal Code de l’urbanisme, il quale sottopone a inchiesta pubblica tutti i procedimenti con finalità relative al governo del territorio.

L’inchiesta pubblica è preceduta da una fase di concertazione che riguarda l’amministrazione decidente e i cittadini, al termine della quale il sindaco presenta un rapporto finale contenente una proposta da sottoporre al Consiglio comunale per l’approvazione. Se l’idea contenuta nel rapporto finale del sindaco viene approvata dal Consiglio comunale, essa viene resa pubblica ai cittadini e il dossier contenente la proposta diviene l’oggetto della discussione.

Dopo l’approvazione da parte del Consiglio, si apre la procedura di inchiesta vera e propria indetta dal sindaco o dal presidente dell’établissement public. Il sindaco, o il presidente dell’établissement public, invia al presidente del Tribunale amministrativo territorialmente competente la richiesta di designare una Commissione di inchiesta preposta alla guida della fase di inchiesta pubblica. Si tratta di un giudice amministrativo, una figura terza e garante dell’imparzialità nello svolgimento della procedura.

Al termine di tale procedura, l’organo imparziale consegna all’amministrazione competente un rapporto finale contenente gli esiti dell’inchiesta pubblica. Tale procedura presenta però due limiti significativi: in primo luogo, si tratta di una modalità che si applica soltanto ai processi decisionali relativi alla materia urbanistica, in secondo luogo, tale procedura consente una partecipazione esclusivamente in forma documentale, anche se la Commissione d’inchiesta potrebbe decidere di convocare una riunione pubblica, qualora lo ritenesse opportuno.

Con l’emergere nella società civile di numerosi conflitti ambientali e movimenti associativi volti a proteggere i valori legati all’ambiente, la crisi dell’inchiesta pubblica si è acutizzata; oltre ad intervenire nel processo decisionale con eccessivo ritardo, si trattava ancora di una procedura alla cui regia era posto un

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108 commissario troppo legato all’amministrazione. È sufficiente leggere l’art. L. 123-3 della versione originaria del Code de l’environnement per avere una chiara percezione dei limiti che affliggevano questo istituto, dato che la partecipazione del pubblico non sembrava neanche essere l’oggetto principale della procedura: l’enquête «a pour objet d’informer le public et de recueillir ses appréciations, suggestions et contre-proposition, […] afin de permettre à l’autorité compétente de disposer de tous éléments nécessaires à son information».

Per questo motivo, la procedura d’inchiesta pubblica ha subito una nuova serie di riforme: l’art. 60 della legge 2004-1343, del 9 dicembre 2004, loi de simplification du droit, ha assegnato al Governo il compito di emanare un’ordonnance allo scopo di «regrouper les différentes procédures d’enquête publique et simplifier et harmoniser les règles: autoriser les recours à une procedure d’enquête unique ou conjointe en cas de pluralité de maîtres de l’ouvrage ou de réglamentations distinctes; coordonner les procédures d’enquête publique et de débat public». Tuttavia, lo schema relativo all’ordonnance predisposto nel 2006 è rimasto sempre in sospeso a causa delle numerose critiche. Intanto, nel novembre del 2005, i Ministeri dei Trasporti, dell’Ambiente e dell’Economia avevano redatto un rapporto concernente la semplificazione delle inchieste pubbliche proprio allo scopo di denunciare i limiti della procedura francese.

È così che vide la luce la legge 2009-967, del 3 agosto 2009, la legge «de programmation relative à la mise en oeuvre du Grenelle de l’environnement», la cosiddetta loi Grenelle 1; in particolare l’art. 52, nel tentativo di superare la farraginosità dell’istituto, aveva previsto che le procedure d’inchiesta pubblica venissero modificate «afin de les simplifier, de les regrouper, d’harmoniser leur règles et d’améliorer le dispositif de participation du public».

Sulla scia di Grenelle 1, la disciplina è stata rivista ancora nel 2010 con la legge 2010-788, del 12 luglio 2010, «portant engagement National pour l’environment», la cosiddetta loi Grenelle 2. La novità più importante introdotta da questa normativa consiste nel fatto di lasciare l’autorità decidente libera di decidere in modo diverso rispetto agli esiti della procedura d’inchiesta pubblica, ma in tal caso ha l’obbligo di motivare le proprie scelte. Inoltre la riforma del

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109 2010 ha previsto che l’autorità pubblica debba motivare la decisione adottata non soltanto in relazione alle conclusioni contenute nel rapporto finale (qualora se ne discosti): anche le osservazioni che non sono contenute nel dossier devono essere prese in considerazione e perciò, discostarsi dalle risultanze dell’inchiesta pubblica può risultare piuttosto difficoltoso.

Inoltre, introducendo il nuovo art. L. 123-1 del Code de l’environnement, la riforma del 2010 ha ridefinito l’obiettivo dell’inchiesta pubblica, ossia quello di «assurer l’information et la participation du public ainsi que la prise en compte des intérêts des tiers lors de l’élaboration de décisions susceptibles d’affecter l’environnement».

Di conseguenza, le modifiche introdotte dalla riforma del 2010, da un lato, hanno esplicitamente inteso l’inchiesta pubblica come istituto per la partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche e dall’altro, hanno elevato le osservazioni emerse nel corso della procedura d’inchiesta pubblica – e non le mere conclusioni del commissario o della commissione d’inchiesta – a elemento vincolante per l’esercizio del potere decisionale; in questo modo l’ordinamento giuridico francese ha recepito il contenuto dell’art. 6, par. 8, della Convenzione di Aarhus. Grazie all’approvazione di Grenelle 2, la procedura d’inchiesta pubblica che precedentemente era relegata al settore della pianificazione territoriale, è stata istituzionalizzata nel settore ambientale.

In base al Codice dell’Ambiente francese e in particolare all’art. L. 123-2 rivisto nel 2010, prima della loro autorizzazione, approvazione e adozione, devono essere sottoposti alla procedura d’inchiesta pubblica tutti i progetti di lavori e opere proposte da soggetti pubblici o privati suscettibili di impatto ambientale, gli strumenti di pianificazione del territorio sottoposti a valutazione di impatto ambientale ai sensi degli artt. L. 122-4 – L. 122-11 del Code de l’environnement e degli artt. L. 121-10 – L. 121-15 del Code de l’urbanisme e i progetti per l’istituzione dei parchi nazionali e regionali e dei parchi naturali marini.

Lo svolgimento dell’inchiesta pubblica, così come modificata nel 2010, è disciplinato dal Code de l’environnement: l’art. L. 123-3 distingue l’iter in quattro fasi diverse, ovvero la fase di avvio, la fase istruttoria e di svolgimento

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110 dell’inchiesta, la fase in cui avviene la stesura e la pubblicazione del rapporto, infine la fase successiva all’inchiesta relativa agli effetti sulla decisione.

L’inchiesta viene indetta e organizzata dall’ente competente ad adottare la decisione in vista della quale la procedura è stata richiesta, cioè dal Presidente dell’Etablissement public de cooperation intercomunale (organismi pubblici composti da più amministrazioni locali il cui organo deliberante è composto da delegati scelti all’interno dei Consigli comunali dei Comuni partecipanti).

Presso ogni Dipartimento, una commissione presieduta dal Presidente del Tribunale amministrativo o da un consigliere da lui stesso delegato, stila l’elenco dei commissari di inchiesta, il quale viene pubblicato ed è oggetto di revisione con cadenza almeno annuale. Dunque ogni inchiesta viene condotta, a seconda della natura e dell’importanza dell’intervento, da un commissario oppure da una commissione.

L’art. L. 123-5 del Codice dell’Ambiente dispone che non possano essere nominati commissari o membri della commissione d’inchiesta quei soggetti che vantino interessi di natura personale o in ragione delle loro funzioni in relazione al progetto.

La durata minima dell’inchiesta pubblica consiste in trenta giorni; il commissario d’inchiesta può decidere di prolungare la procedura per una durata massima di trenta giorni optando per il ricorso alla réunion d’information et d’échange avec le public, ma deve motivare tale provvedimento.

Almeno quindici giorni prima dell’apertura dell’inchiesta pubblica e durante il suo svolgimento, l’autorità competente deve informare il pubblico circa l’oggetto dell’inchiesta stessa, le modalità, i tempi e il luogo dello svolgimento.

L’informazione deve essere garantita mediante tutti i mezzi idonei, tra i quali la pubblicazione di avvisi sui quotidiani e l’installazione di manifesti nei luoghi interessati dal progetto e in forma telematica; i costi relativi alla pubblicità dell’inchiesta sono a carico del soggetto responsabile del progetto.

Il dossier dell’inchiesta deve contenere lo studio dell’impatto ambientale, documenti richiesti dalla normativa di settore, una sintesi non tecnica e, se il

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111 progetto in questione è stato oggetto di una procedura di débat public o di concertation préalable, anche un bilan di queste procedure8.

Il pubblico può accedere a tale dossier: in base all’art. L. 123-11, del Code de l’environnement, il dossier può essere trasmesso a chiunque ne abbia interesse, a sue spese. Inoltre il pubblico ha il diritto di presentare osservazioni scritte e proposte da inserire negli appositi registri oppure inviare direttamente al commissario, dal quale può anche essere ricevuto in udienza.

Qualora lo ritenga opportuno, il commissario, alla presenza del responsabile del progetto, può convocare una réunion d’information et d’échange avec le public in cui prevale la partecipazione in forma orale, benché in generale la modalità ancora dominante sia la partecipazione in forma scritta.

Entro trenta giorni dal termine dell’inchiesta pubblica, il commissario deve consegnare il rapporto finale contenente le conclusioni motivate; se non è in grado di consegnare il rapport nei termini previsti, può chiedere all’autorità competente una proroga che dovrà essere accordata e notificata al responsabile del progetto. In caso di ingiustificato sforamento dei termini, l’autorità competente metterà in mora il commissario inadempiente e, in accordo con il responsabile del progetto, chiederà al Presidente del Tribunale amministrativo di sostituirlo con un commissario supplente, al quale sarà affidato il compito di consegnare, entro trenta giorni dalla sua nomina, il rapporto con le conclusioni motivate.

L’art. L. 123-17 dispone che, se i lavori relativi al progetto che è stato oggetto di inchiesta pubblica non vengono avviati entro cinque anni dalla decisione, è necessario indire una nuova procedura di inchiesta.

Per quanto riguarda gli effetti dell’inchiesta pubblica sulla decisione finale, abbiamo già detto che l’amministrazione decidente non è obbligata ad accogliere le risultanze del rapport d’enquête, tuttavia l’interazione dialogica che si sviluppa tra gli interessati durante la procedura condiziona le scelte dell’autorità pubblica. A dichiarare la pubblica utilità dell’opera oggetto dell’inchiesta deve essere un organo dell’amministrazione centrale: in particolare, la dichiarazione di pubblica autorità deve essere contenuta in un decreto del Primo Ministro, previo parere del Conseil d’État, nel caso in cui l’espropriazione si riferisca alle grandi opere di

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112 interesse nazionale, oppure, nei casi in cui il commissario si sia espresso contro il progetto oggetto dell’esame, sarà contenuta in un decreto prefettizio.

Ricapitolando, le inchieste pubbliche francesi sono caratterizzate dai seguenti elementi: la collocazione in una fase già avanzata del procedimento, infatti per i piani urbanistici c’è già una proposta di piano e per le opere pubbliche un progetto; l’imparzialità e l’indipendenza del soggetto posto alla regia della procedura; la forma prevalentemente documentale con cui vengono presentate osservazioni e proposte; l’alto grado di pubblicità della procedura; l’ampia legittimazione partecipativa; la natura istruttoria dell’inchiesta.

È bene ricordare, infine, che la partecipazione dei privati ai procedimenti ad interesse ambientale ha trovato ad oggi un riconoscimento costituzionale. Infatti, nel 2005, la legge costituzionale 205-2005, del 1 marzo 2005, inserisce tra i documenti costituzionali la Charte de l’environnement del 2004, che all’art. 7 prevede il diritto di ciascuna persona, alle condizioni e nei limiti stabiliti dalla legge, di partecipare all’elaborazione delle decisioni pubbliche che abbiano un’incidenza sull’ambiente.

Detto questo però, occorre sottolineare che per tutti i processi partecipativi sussiste il rischio concreto di essere “addomesticati” o manipolati, poiché non sempre si riesce a fare in modo che chi li gestisce si trovi in una condizione di sufficiente autonomia rispetto ai promotori. Si è cercato però di tutelare questa esigenza nel caso del débat public, dato che in Francia è stata istituita, sotto forma di autorità indipendente, una Commissione nazionale per il dibattito pubblico con il compito di stabilire quali casi aprire. Una volta aperto il procedimento, la commissione nominerà una commission particulière affinché ne assuma concretamente la gestione.

Sull’effettiva indipendenza e imparzialità di suddetta commissione, è possibile, ovviamente, sollevare dei dubbi, dal momento che i suoi membri sono di nomina governativa. Tuttavia, dobbiamo tenere in considerazione la sua composizione variegata: ne fanno parte infatti, rappresentanti di ministeri, dell’imprenditoria, ma anche di associazioni ambientaliste. Inoltre si tratta di un’istituzione separata dal Governo e dotata di una specifica missione, cosa che di rado avviene in altri procedimenti partecipativi.

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2. LE DÉBAT PUBLIC

Un caso di dialogo e confronto preventivo sulle opportunità di realizzare l’opera e sulle sue caratteristiche principali è il débat public, una procedura di partecipazione introdotta dalla legge 95-101, del 2 febbraio 1995, «relative au renforcement de la protection de l’environnement», detta loi Barnier, successivamente rivista dalla legge 2002-276, del 27 febbraio 2002, «relative à la démocratie de proximité», con cui l’istituto del dibattito pubblico viene strutturato in modo più organico e rafforzato.

Il dibattito pubblico origina da un conflitto ambientale nato nel Sud della Francia relativamente al progetto per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità in una zona sede di importanti vigneti. La forte opposizione che si era creata aveva indotto il Ministro dei trasporti a prevedere, per soltanto questo caso, la sperimentazione di un dibattito pubblico in cui promotori e residenti potessero confrontarsi. In quella occasione fu trovata una soluzione e dato che l’esperimento aveva funzionato, si decise di applicare questo modello a tutti i progetti di infrastrutture impattanti.

L’art. 2 della L. 95-101, laddove istituisce la Commission nationale du débat public (CNDP), parla di “participation” e di “consultation du public et des associations en amont des décisions d’aménagement”. L’art. 134 della L. 2002-276 configura come un’autorità amministrativa indipendente la Commissione nazionale del dibattito pubblico alla quale è affidato il compito di organizzare e gestire il dibattito pubblico, controllando il rispetto dei principi di informazione del pubblico e della sua partecipazione al processo di elaborazione dei progetti delle opere ad interesse nazionale.

La Commissione si compone di ventuno membri che rimangono in carica per cinque anni o per la durata del loro mandato: un Presidente e due Vice Presidenti nominati con decreto del Presidente della Repubblica; un deputato e un senatore nominati rispettivamente dal Presidente dell’Assemblea nazionale e dal Presidente del Senato; sei membri eletti a livello locale «nommés par décret sur proposition

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114 des associations représentatives des élus concernés»9; quattro alti magistrati, di cui un membro del Consiglio di Stato, uno della Corte di Cassazione, uno della Corte dei Conti, designati dalle rispettive assemblee ed un membro appartenente ai Tribunali Amministrativi e alle Corti amministrative d’appello, nominato per decreto su proposta del Consiglio superiore di questi ultimi; due rappresentanti di associazioni ambientaliste; due rappresentanti dei consumatori e degli utenti; due personalità qualificate. Questi ultimi sei membri sono nominati tramite decreto del Primo Ministro su proposta, rispettivamente, del Ministro dell’Ambiente, dell’Economia e dei Trasporti, dell’Industria e delle Infrastrutture.

Come possiamo notare, prevalgono nomine di responsabilità dell’esecutivo, o comunque della maggioranza parlamentare; si tratta pertanto di una Commissione nominata “dall’alto”, composta da rappresentanti delle istituzioni centrali più che della società autorganizzata, nonostante i quattro rappresentanti dell’associazionismo ambientale (di nomina governativa).

La Commissione decide se attivare la procedura di débat public: essa «apprécie, pour chaque projet, si le débat public doit être organisé en fonction de l’intérêt national du projet, de son incidence territoriale, des enjeux socioéconomiques qui s’y attachent et de ses impacts sur l’environnement ou l’aménagement du territoire»10. Inoltre, la CNDP può decidere se far proseguire il progetto fino all’inchiesta pubblica e invitare il responsabile del progetto ad avviare una concertazione.

Proprio sul grado di concertazione presente si basa in concreto uno dei criteri seguiti dalla Commissione: «quando la concertazione pregressa ha già consentito di dirimere la questione dell’opportunità del progetto, e quindi di definirne le caratteristiche, si considera che il momento del dibattito pubblico sia ormai superato; d’altra parte, anche un progetto già in fase avanzata può giustificare un dibattito pubblico se la popolazione interessata non è stata sufficientemente consultata»11.

La Commissione ha il compito di mettere a disposizione del pubblico le dovute informazioni, determinare le modalità della partecipazione, stabilire se il dibattito

9 L. 2002-276, art. 134. 10 Ibidem.

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115 debba essere svolto di fronte ad una commissione che essa stessa istituisce oppure se debba essere organizzato dal cosiddetto “maître d’ouvrage”, o direttamente dall’ente pubblico responsabile dell’opera. Inoltre, ha il compito di definire il calendario di svolgimento che, salvo proroga di due mesi, non può superare i quattro mesi. Infine, la CNDP può domandare informazioni supplementari.

Per quanto concerne i contenuti del débat public, va chiarito subito che dalla lettura delle norme emerge distintamente che si tratta di una partecipazione “all’elaborazione” e non dunque “alle decisioni”. Il dibattito pubblico non è che una tappa del processo decisionale, ascrivibile al processo di elaborazione di un progetto: non è né il luogo della decisione, né della negoziazione, ma un’occasione di apertura e di dialogo nel corso della quale la popolazione può informarsi ed esprimersi sul progetto, secondo le regole stabilite dalla CNDP12. Stiamo parlando di un meccanismo di consultazione e di dialogo: «la partecipazione si configura come diritto di essere ascoltati, non come diritto di costruire insieme e condividere scelte. La differenza è sottile? Potrebbe anche esserlo, dipende dalla qualità dell’ascolto e, in particolare, dagli obiettivi che si propone»13. La stessa Alessandra Algostino, autrice dell’inciso, ci tiene però a precisare che non intende criticare uno strumento di democrazia partecipativa, come lo è il débat public, in quanto privo di potere decisionale, poiché se così non fosse «sorgerebbero difficili questioni di raccordo con la democrazia rappresentativa e si rischierebbe di attribuire scelte politiche ad una minoranza, dando vita ad una connotazione elitaria della partecipazione, in violazione del principio di eguaglianza politica e di sovranità popolare»14.

Ci pare ovvio, tuttavia, che tra le finalità di simili strumenti partecipativi non rientrino soltanto la partecipazione, il confronto e l’ascolto, ma anche il preciso intento di ridurre il ricorso alla coercizione ed ammorbidire i conflitti, o addirittura prevenirli incanalando il dissenso attraverso tali forme di ascolto e di dialogo. Poiché i conflitti territoriali sono essenzialmente conflitti per il possesso e l’uso di risorse scarse15 (quali le risorse ambientali, economiche, spaziali ecc.),

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Si veda il sito internet www.debatpublic.fr/notions_generales/information.html.

13 A. Algostino, Democrazia, rappresentanza, partecipazione, op. cit., p. 209. 14 Ivi, p. 210.

15 M. Bartolomeo et al., Libro Bianco su Conflitti territoriali e Infrastrutture di Trasporto, 2009,

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116 pensare di eliminarli definitivamente sarebbe utopico da un lato e dannoso dall’altro. I conflitti consentono infatti di far emergere e valorizzare conoscenze diffuse che, se opportunamente integrate quando ancora l’opera si trova in fase di progettazione, possono permettere di migliorarne la qualità. Di conseguenza, legittimare gli attori locali come interlocutori, potrebbe contribuire ad evitare che si arrivi a quelle situazioni di muro contro muro che spesso conducono alla paralisi del sistema.

Entro due mesi dalla chiusura del débat, il Presidente della Commissione ne fa un bilancio e la procedura si conclude con l’adozione di un rapporto finale che sarà consegnato all’amministrazione decidente, la quale dovrà tenere in considerazione le osservazioni presentate: può chiaramente discostarsene, ma con l’obbligo di motivazione.

Poiché l’espletamento del dibattito pubblico non esclude la successiva realizzazione dell’inchiesta pubblica, il bilancio e il rendiconto devono trovarsi nella disponibilità del commissario incaricato della successiva enquête publique. Entro tre mesi dalla pubblicazione del bilancio e del rendiconto, il maître d’ouvrage o l’ente pubblico responsabile del progetto devono adottare la decisione in merito alla realizzazione dell’opera e inviare tale decisione alla Commissione nazionale del dibattito pubblico. L’art. L. 121-14 del Code de l’environnement prevede che, una volta divenuta definitiva la decisione, le eventuali irregolarità relative alla procedura di dibattito pubblico non possano più essere fatte valere. Su tale aspetto, il Conseil d’État ha assunto un atteggiamento estremamente rigido: in particolare, non ha osato discostarsi da questa posizione in due decisioni, una del 200216 e una del 200417. La prima era relativa al progetto di costruzione dell’autostrada A 32, la seconda era relativa al progetto di costruzione di un aeroporto nei pressi di Nantes.

Entrambe le situazioni danno origine ad una procedura di débat public: nel primo caso, un’associazione locale chiede alla commission particulière documenti supplementari, nel secondo caso, due associazioni chiedono alla CNDP di

16 14 giugno 2002, n. 215154, Association pour garantir l’integrité rurale restante.

17 5 aprile 2004, n. 254775, Association citoyenne intercomunale des populations concernées par

le projet d’aéroport de Notre-Dame-des-Landes, Union française contre les nuisances de aéronefs.

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117 ordinare una perizia supplementare sospendendo la procedura. Ottenuto un rifiuto, in entrambi i casi, si è presentato ricorso al Conseil d’État, il quale ha stabilito che tali rifiuti non sono impugnabili: «ne sont pas recevables».

Nella seconda delle decisioni sopracitate, si legge che «les différentes décisions que la commission peut être appelée à prendre après qu’elle a décidé d’ouvrir un débat public et qui peuvent notamment porter sur ces modalités, le calendrier et les conditions de son déroulement ne constituent pas des décisions faisant grief»18.

Al contrario, la decisione di attivare o meno la procedura di dibattito pubblico può essere oggetto di ricorso giurisdizionale.

Il decreto 22 ottobre 2002 (codificato all’art. R. 121-2, Code de l’environnement) contiene le liste dei progetti in relazione ai quali è necessaria la procedura di débat public, ovvero limitatamente ai grandi progetti di interesse nazionale. Nel 2010 però, con le modifiche apportate all’art. 121-8 del Code de l’environnement, si è previsto che i progetti impattanti, il cui costo sia inferiore alle soglie fissate dal decreto, siano resi pubblici a carico del responsabile del progetto, rendendo nota la decisione sull’apertura (o meno) della procedura di dibattito pubblico.

Come si può ben immaginare, non è possibile ricorrere ad una procedura tanto lunga e costosa per ogni opera, di conseguenza il decreto attuativo della legge del 2002 ha distinto due casi: l’attivazione della procedura di débat public è obbligatoria (saisine obligatoire) quando il valore economico dell’opera superi una certa soglia, ossia trecento milioni di euro (si tratta ovviamente di costi stimati). Sotto tale soglia, la seduta della CNDP è considerata facoltativa (saisine facoltative): il dibattito pubblico può essere adito da alcuni soggetti e i legittimati a richiederne l’attivazione sono il promotore dell’opera19, o il responsabile del progetto – maître d’ouvrage –; un gruppo di dieci parlamentari; una o più collettività territoriali interessate ed in particolare un consiglio comunale o un organismo pubblico di cooperazione intercomunale con competenza di

18 Questa sentenza ha avuto seguito con la decisione 28 dicembre 2005, n. 267287, relativa al

decreto ministeriale emanato per dare applicazione alle conclusioni del débat public.

19 È evidente come il committente sia interessato ad evitare imprevisti e conflitti e ad impedire che

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118 pianificazione e gestione territoriale; le associazioni che operino per la protezione dell’ambiente riconosciute a livello nazionale.

L’invito all’apertura della procedura di débat public deve essere presentato entro due mesi dal giorno in cui il progetto è stato reso pubblico dal soggetto promotore.

Le categorie assoggettate alla procedura di débat public che la normativa regolamentare richiama sono le autostrade, le vie navigabili, le linee ferroviarie, gli impianti nucleari, le infrastrutture aeroportuali e le piste di atterraggio, le dighe serbatoio e idroelettriche, gli oleodotti, i gasdotti, i trasferimenti delle acque di bacino fluviale, la costruzione di grandi impianti industriali, culturali, sportivi, scientifici o turistici20.

Il grado di apertura del processo è un elemento spinoso. Nel dibattito pubblico, il metodo di coinvolgimento è classico e poco sofisticato poiché esso consiste semplicemente nella convocazione di assemblee aperte a tutti. In linea teorica, a tutti è riconosciuta la possibilità di intervenire, senza alcuna discriminazione: il criterio di selezione seguito è quello della “porta aperta” e l’accesso alle assemblee è assolutamente libero. Il dibattito si svolge in contraddittorio mediante incontri sul territorio durante i quali qualunque associazione, gruppo o comitato può presentare le proprie osservazioni e le proprie proposte. Basandosi sull’autoselezione dei partecipanti però, il metodo assembleare tende a produrre uno squilibrio nella composizione dei partecipanti: la partecipazione che puntualmente troviamo in queste assemblee è certamente appassionata e intensa, ma anche unilaterale poiché le posizioni contrarie all’intervento oggetto del dibattito sono assolutamente dominanti21. Inoltre, il confronto avviene prevalentemente tra cittadini “attivi” e “competenti”.

In ogni caso, il grado di influenza e incisività che il dibattito pubblico è riuscito ad avere sulla decisione finale, dovrà essere valutato caso per caso: appare ovvio che molto dipenderà anche dalle capacità strutturali che il soggetto proponente avrà di rispondere a tutte le questioni sollevate nel corso del dibattito. Tuttavia, una certa

20 Per avere una visione dettagliata degli elenchi delle categorie si veda il sito internet

www.debatpublic.fr.

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119 dottrina ha sottolineato come la portata di tale influenza nel caso del dibattito pubblico sia alquanto limitata22.

La stessa dottrina sottolinea anche come la partecipazione, così congeniata, presenti un carattere marcatamente consultivo, oltre a non risultare immune a rischi di manipolazione da parte del potere politico: benché alla regia del débat public sia posta un’autorità amministrativa indipendente, la promozione dello stesso spetta pur sempre, nella maggior parte dei casi, ad attori istituzionali23. Il problema sorge quando l’obiettivo non è la costruzione di una scelta condivisa e partecipata, ma la soppressione del dissenso o la formazione del consenso su una scelta già compiuta.

Occorre tuttavia sottolineare come, malgrado queste criticità e l’evidente carattere perfettibile del modello, il dibattito pubblico sulle grandi infrastrutture rappresenti «una rottura radicale rispetto al clima di compiaciuto e borioso autoritarismo che contrassegna in Italia24 la progettazione delle grandi opere»25. Il nostro ordinamento, infatti, non prevede forme obbligatorie di consultazione e dialogo diretto con le comunità locali26.

Tra le criticità del sistema italiano di gestione dei conflitti ambientali, vi è sicuramente una sorta di «aporia intrinseca»27. Il tradizionale approccio centralistico, il quale implica il coinvolgimento del territorio soltanto dopo l’adozione della scelta localizzativa, si innesta su un apparato burocratico-amministrativo che in seguito alla riforma del Titolo V della nostra Carta costituzionale è divenuto marcatamente decentrato e che, in teoria, imporrebbe la

22 M. Zinzi, La democrazia partecipativa in Francia alla luce delle recenti riforme legislative, in

Dir. pubb. comp. eur., 2014, pp. 822 ss.

23 Ivi, p. 828.

24 Nell’ordinamento italiano l’applicazione del principio di partecipazione in materia ambientale è

stato espressamente negato dalla legge generale sul procedimento amministrativo, laddove la l. n. 241/1990, ex art. 13, ha escluso la partecipazione in tema di procedimenti di pianificazione territoriale sulla base del carattere generale dei provvedimenti stessi. Il legislatore regionale invece, da poco più di un decennio, si sta adoperando per colmare tale lacuna attraverso leggi ad hoc che spesso garantiscono, talvolta attraverso la previsione di tipici strumenti partecipativi, la possibilità di presentare osservazioni, in linea con il modello della Convenzione di Aarhus.

25

L. Bobbio, Le specificità del dibattito pubblico sulle grandi infrastrutture, in U. Allegretti (a cura di), Democrazia partecipativa, op. cit., p. 297.

26 Cfr. L. Casini, L’inchiesta pubblica, op. cit. e A. Tonetti, La partecipazione nelle procedure di

localizzazione di opere pubbliche: il caso italiano, in A. Macchiati e G. Napolitano (a cura di), È possibile realizzare le infrastrutture in Italia?, Bologna, Il Mulino, 2010.

27 R. Occhilupo, G. Palumbo, P. Sestito, Le scelte di localizzazione delle opere pubbliche: il

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120 partecipazione di tutti i livelli di governo alle decisioni relative a programmazione, localizzazione e realizzazione delle opere infrastrutturali. Il risultato è che i poteri locali, formalmente esautorati dai processi di scelta localizzativa, trovano poi il modo, anche attraverso i poteri amministrativi che per altri versi a loro fanno capo, di intralciare la realizzazione dei progetti ponendo ostacoli ai passaggi burocratici e procedimentali successivi.

Nel nostro Paese si è cercato spesso di affrontare il tema dei conflitti ambientali attraverso la semplificazione normativa e l’irrigidimento dei processi, ma la poca trasparenza nelle modalità di costruzione delle scelte pubbliche e l’adozione di decisioni a porte chiuse, tra soggetti che non di rado si trovano in posizioni di conflitto di interesse28, non ha certo portato ad un miglioramento della tempistica di progettazione e realizzazione29.

Ciò che è necessario, invece, consiste nel ristabilire un clima di fiducia sui progetti infrastrutturali, ma per rafforzare la fiducia si devono limitare le situazioni di conflitto di interesse e aumentare la trasparenza dei processi decisionali, a partire dalle definizione di piani e programmi, fino ad arrivare ai progetti. In questo senso, la prevenzione e la ricomposizione dei conflitti richiede l’inclusione nel processo decisionale di tutti gli attori coinvolti, riponendo una profonda attenzione sul bilanciamento dei vari interessi in gioco e delle varie istanze manifestate.

Pertanto la diffusione di questi meccanismi partecipativi, se condotti nel rispetto delle regole procedurali e dei cittadini, non può che giovare alla democrazia, all’ambiente e alle comunità.

Tra le tecniche in crescita per produrre effetti più concreti attraverso la costruzione collettiva di materiali informativi approvati da più attori, vi è oggi la creazione di “osservatori”, i quali mescolano attori sociali, istituzionali e accademici con il compito di monitorare costantemente i processi. Il fine è quello di garantire agli abitanti una certezza sul controllo di ogni fase successiva alla conclusione del percorso dialogico.

28

Per approfondimenti sul tema si veda M. Bartolomeo, La Governance incompleta delle infrastrutture lombarde: conflitti di interesse come causa di conflitti locali, in Belli et al. (a cura di), Territori regionali e infrastrutture. La possibile alleanza, Milano, Franco Angeli, 2008.

29 Si veda M. Bartolomeo et al., Libro Bianco su Conflitti territoriali e Infrastrutture di Trasporto,

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121 Non a caso, l’Osservatorio Internazionale delle Democrazie partecipative (OIDP), da alcuni anni, si impegna nel creare guide metodologiche e nello stimolare la costituzione di osservatori locali per accrescere le relazioni positive di fiducia tra istituzioni e cittadini.

Solitamente un osservatorio nasce per allentare una tensione politica e sociale divenuta intollerabile, creando un ambito di confronto tecnico più o meno neutro. È chiaro che le diverse parti intendono la costituzione dell’osservatorio in maniera diversa: ci sarà chi lo riterrà il luogo ideale per dare voce e credibilità alle ragioni del “no”, chi lo guarderà con diffidenza e perplessità, chi lo individuerà quale strumento di confronto e mediazione. Ma ciò che sicuramente sarà, è uno spazio di confine in cui scienza e politica tenderanno ad intrecciarsi alla ricerca di una convergenza su una qualche soluzione alternativa al fine di ricomporre la controversia. Inoltre, «l’Osservatorio viene segnato da una potente ambivalenza: da un lato costituisce l’estrema ratio del confronto, senza il quale non si può che ricorrere alla forza e allo stato di eccezione; dall’altro evidenzia l’impossibilità di rinunciare all’opera, per quanto si possa rivendicare l’esistenza di un’”opzione zero”»30.

30 D. Padovan e M. Magnano, Genesi e ruolo dell’expertise nelle controversie ambientali. Il caso

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