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1-Premessa La normativa italiana in materia di commercio internazionale di armamenti. CAPITOLO I

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CAPITOLO I

La normativa italiana in materia di commercio

internazionale di armamenti.

1-Premessa

Il contesto storico-economico all’interno del quale si è evoluta la normativa italiana in materia di commercio internazionale di armamenti, dal secondo dopoguerra in poi, è talmente ricco di eventi rilevanti da dover essere ripercorso, per sommi capi e senza alcuna pretesa di completezza, all’esclusivo fine di poter compiere successivamente un attento studio sul settore in modo diacronico. L’elemento da considerare come punto di partenza è quello che vede, dalla fine del secondo conflitto mondiale e l’inizio del bipolarismo, un’espansione delle spese militari soprattutto in Russia e negli Stati Uniti, nonché ovviamente tra gli alleati all’interno della Nato e del Patto di Varsavia. Questa corsa agli armamenti ha dato inizio all’attuale complesso militar-industriale, poiché esigue erano le imprese che, per esperienza maturata nel settore, garantivano elevati standard di qualità e tecnologici, causando lo sviluppo di barriere d’entrata ed uscita nel settore1. Con la fine della guerra fredda ed il crollo dell’URSS si è avuta un’inversione di tendenza, si è assistito infatti ad un crollo della domanda globale di equipaggiamenti e della spesa militari; quest’evoluzione drastica e repentina ha comportato profondi cambiamenti nel settore della produzione, perché, se in precedenza le aziende che fabbricavano sistemi bellici erano statali e provvedevano al fabbisogno nazionale, successivamente l’industria ha dovuto consolidarsi oltre i confini

1 C. Bonaiuti e G. Beretta, Finanza e armamenti: istituti di credito e industria militare tra mercato e

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nazionali, con la formazione di imprese commerciali indipendenti che però continuavano a riscuotere notevoli sussidi statali2. A questo punto le imprese in concorrenza tra loro hanno avvertito l’esigenza di avviare un processo di ristrutturazione o di fondersi per raggiungere una portata internazionale, in particolare in Europa le industrie europee hanno reagito alla crisi secondo tre direttive: concentrazione dei gruppi d’eccellenza tecnologica; internazionalizzazione dei gruppi attraverso partecipazioni azionarie, coproduzioni, join ventures, consorzi e fusioni; privatizzazione delle industrie militari dipendenti dallo Stato mediante la creazione di società miste. Si sono così sviluppate forme di collaborazione tra imprese di Paesi diversi (es. la BAE System, risultato della fusione della British Aerospace e della Gec Marconi, ma che acquisisce anche imprese statunitensi ed australiane) che, unite all’entrata di capitali finanziari anche nel mercato della Difesa, hanno ridotto il potere di controllo degli attori statuali sulla produzione e sulle esportazioni3. Questa fase di assestamento commerciale trova il suo epilogo con l’attacco alle torri gemelle dell’11 Settembre 2001, quando l’esigenza torna ad essere di natura politico-strategica, ovvero la difesa da un nemico comune: il terrorismo. A partire da quell’evento è impressionante l’aumento della spesa militare mondiale, trainata dagli Stati Uniti, che tocca vette simili a quelle della guerra fredda.

2- L’evoluzione normativa italiana in materia dal dopoguerra

al 1990.

Il commercio internazionale di armamenti è inscindibilmente legato ai problemi della Difesa e della Sicurezza, sia da un punto di vista giuridico che economico-finanziario.

2 G. Burrows, il commercio delle armi, Roma, 2003, p15.

3C.Bonaiuti e G.Beretta, Finanza e armamenti: istituti di credito e industria militare tra mercato e

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Ebbene, ricercando fonti normative che regolamentino tale fenomeno, ci si rende conto della scarsa attenzione che esso ha ricevuto nella seconda metà del Novecento, in particolare fino agli anni Novanta, e non solo da parte del legislatore, ma anche delle analisi dottrinali e teoriche.

Le ragioni di questo disinteresse diffuso sono da ricondurre plausibilmente ad un atteggiamento ideologico diffuso in ampi strati della popolazione nazionale e nelle élites culturali che vedono nello strumento militare e nelle problematiche legate alla sua gestione ed evoluzione un vero e proprio tabù istituzionale4, e a ciò va aggiunta, per completare il quadro, la situazione storico-economica venutasi a creare con l’inizio della guerra fredda (di cui sopra).

Tutto ciò si ripercuote sul piano normativo e porta ad una carenza di disciplina organica della materia, per non dire ad un “vuoto legislativo” vero e proprio, che mette in difficoltà chiunque ne ricerchi cronologicamente l’evoluzione.

Il primo tassello da cui partire non può non essere la Carta Costituzionale, da cui traiamo i princìpi generali che regolano la materia ed all’interno dei quali si sviluppa la normativa di rango primario; vanno essenzialmente considerati due articoli: il primo è l’art.11, in cui troviamo sancito il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ed il riconoscimento di un’eventuale limitazione della sovranità, in condizione di parità con gli altri Stati, necessaria ad un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le Nazioni, promuova e favorisca le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Sono stati sprecati fiumi d’inchiostro sull’interpretazione di questo articolo, ma una sua analisi dettagliata svierebbe il discorso da quella che è la disciplina del commercio internazionale di armamenti, di cui esso si limita indirettamente a tracciare la cornice.

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F. Grassi Nardi, Economia della difesa e della sicurezza: disciplina giuridica e profili economici, in M.Giusti ed E.Bani, Complementi di diritto dell’economia, Padova, 2008, p129.

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Il secondo è l’art 117, che fa rientrare al punto d) la difesa e le Forze armate, la sicurezza dello Stato, le armi, munizioni ed esplosivi all’interno della competenza esclusiva statale. La conseguenza immediata di tale dettato costituzionale è la presenza, a livello nazionale, di sole fonti di rango primario volte a disciplinare la materia. Scendendo dal rango costituzionale a quello legislativo, l’unica fonte di quel periodo che sembra opportuno citare è la l.624/1950, ancora vigente, che regola la composizione e le linee generali di funzionamento del Consiglio Supremo di Difesa (organo a rilevanza costituzionale previsto dall’art 87, c.9 della Costituzione); questa legge però tratta solo vagamente ed in modo non squisitamente tecnico i problemi economico-industriali, contenendo solo cenni sulla possibilità che essi possano entrare nella discussione attuata in seno al Consiglio5.

Nel 1975 venne emanato un decreto dal Ministro del Commercio con l’estero (D.M. 20/03/1975) sul controllo delle esportazioni di materiale bellico, mai pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Il 18 Aprile 1975 venne emanata dal Parlamento la legge n.110 che mirava a definire le varie tipologie di armi e munizioni, distinguendo tra “armi da guerra” e “armi comuni da sparo”, riferendo in materia di porto d’armi, istituendo la Commissione Consultiva Centrale per le armi e il catalogo nazionale delle armi comuni da sparo. L’art 1 dava una definizione di “armi da guerra” contenente tre caratteristiche essenziali che devono coesistere: la spiccata potenzialità offensiva, la destinazione attuale o potenziale al moderno armamento di truppe nazionali, l’utilizzazione per l’impiego bellico. La giurisprudenza si accontentava semplicemente che l’arma avesse l’attitudine all’impiego bellico per la sua potenzialità d’offesa.

Questa legge, ancora vigente, disciplina tutt’ora l’esportazione delle “armi comuni da sparo” (insieme al Testo Unico di Pubblica Sicurezza), per le quali si prevede una particolare licenza rilasciata dal Questore

5 F. Grassi Nardi, Economia della difesa e della sicurezza: disciplina giuridica e profili economici, op.cit.,

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della Provincia in cui risiedono i richiedenti dopo una valutazione positiva sui soggetti.

Come si può notare da questi rapidi cenni, fino agli anni Novanta era prevalente l’idea per cui bisognasse provvedere alla sicurezza interna allo Stato di cui il cittadino era acquirente, piuttosto che badare al perseguimento della pace e della sicurezza internazionale.

Bisognerà attendere l’ultimo decennio del Ventesimo secolo perché si possa avere traccia dello sviluppo di un dibattito politico-istituzionale, che porterà negli anni ad una maggiore attenzione verso le tematiche giuridico-economiche del settore da un punto di vista non più meramente interno.

3-La legge 185/90 sul controllo dell’esportazione,

importazione e transito dei materiali d’armamento

A lungo il tema del commercio con l’estero di beni d’armamento è stato considerato e gestito come una forma di normale commercio internazionale pur riconoscendone alcune peculiarità6; almeno fino all’emanazione della legge 185/90, frutto di un compromesso tra diverse forze politiche ed economiche. Essa ha una particolare importanza per due motivi principali: i contenuti e l’articolazione, rigorosi e lungimiranti, che hanno aperto la strada al dibattito europeo e le modalità con cui è stata approvata. Questa innovazione nel panorama legislativo ha infatti origine dalla pressione della società civile a seguito anche delle indagini svolte nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro (BNL), diventata lo snodo principale delle esportazioni di armamenti verso l’Iraq di Saddam Hussein; vennero scoperti dall’FBI i “libri grigi” della contabilità parallela della banca dai quali risultò che le

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F.Grassi Nardi, Economia della difesa e della sicurezza: disciplina giuridica e profili economici, op.cit., p 136

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operazioni finanziarie riguardavano anche l’acquisizione da parte di Saddam di tecnologie strategiche per la produzione in proprio di armamenti.

Tale episodio fu soltanto la goccia che fece traboccare un vaso colmo di politiche esportative basate esclusivamente su interessi economici e commerciali, a discapito di una politica estera basata sul perseguimento della pace e della sicurezza. Ci si rese conto della necessità di un sistema normativo organico e rigoroso, poiché l’unica disciplina che regolasse il controllo e i vincoli sulla vendita delle armi, spesso sottoposta tra l’altro a segreto militare, era il desueto Testo Unico della Pubblica Sicurezza.

Si può affermare che tre sono state le direttrici in base alle quali è stata regolamentata la materia da questa legge7, infatti essa ha: subordinato le decisioni sui trasferimenti di armamenti alla politica estera e di difesa dello Stato secondo i princìpi della Costituzione repubblicana; introdotto controlli governativi con la previsione di procedure per il rilascio delle autorizzazioni prima della vendita e vigilanza sulla destinazione finale degli armamenti; richiesto una dettagliata informazione al Parlamento sull’attività svolta in materia attraverso la pubblicazione annuale della Relazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Con la legge 185/90 sono stati introdotti i principi, i divieti ed i vincoli ai quali deve essere uniformata l’azione politica del Governo in materia di controllo delle operazioni di esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento. L’enunciazione dei princìpi avviene già all’interno dell’art.1 della legge, quando sancisce che le operazioni di importazione, esportazione e transito dei materiali d’armamento, nonché la cessione di licenze di produzione, devono essere conformi alla politica estera, di difesa e di sicurezza dell’Italia, regolamentate secondo

7 C. Bonaiuti, La l.185/90: nuove norme sul controllo, esportazione, importazione e transito di materiale

d’armamento, in M. Brunelli, Produzione e commercio delle armi: industria militare e politiche per la difesa, Bologna, EMI, 2003, pp. 171-191.

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i princìpi della Costituzione italiana che ripudia la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali. Esse inoltre vanno effettuate esclusivamente da aziende iscritte al Registro Nazionale delle Imprese (tenuto presso il Ministero della Difesa dal Segretariato Generale della Difesa, Direzione Nazionale degli Armamenti) e solo con governi esteri o con imprese dagli stessi preventivamente autorizzate.

Un rapido accenno merita proprio questo elemento fondante della legge, ovvero il Registro Nazionale delle Imprese, che prevede dei requisiti soggettivi necessari per l’iscrizione nell’art.3:

Per le imprese individuali e le società di persone: la cittadinanza dell’imprenditore o del legale rappresentante o residenza in Italia degli stessi, purchè cittadini di paesi esteri con i quali l’Italia abbia stipulato un trattato di cooperazione giudiziaria;

Per le società di capitali costituite in Italia ed quivi esercitanti attività relative a materiale d’armamento: la residenza in Italia dei rappresentanti legali, purchè cittadini italiani, ovvero di Paesi esteri con i quali esista un trattato di collaborazione giudiziaria; Per i consorzi di imprese: una o più imprese facenti parte dello

stesso consorzio devono essere già iscritte ed il rappresentante legale deve essere cittadino italiano o di un Paese legato all’Italia da un accordo di collaborazione giudiziaria.

Vengono poi previste cause ostative all’iscrizione al registro o comportanti la revoca o decadenza dello stesso: la dichiarazione di fallimento; l’appartenenza ad associazioni mafiose o segrete; le condanne riportate dal titolare dell’impresa o dal suo legale rappresentante per reati di commercio illegale di materiali d’armamento; l’assunzione di personale ex dipendente dell’amministrazione statale prima di tre anni dalla cessazione del servizio attivo, in violazione dell’art.22 della stessa l.185/90.

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L’art.1 stabilisce poi una serie di divieti e vincoli cui le Amministrazioni competenti devono attenersi nel rilasciare le autorizzazioni all’esportazione. Si precisa che non sono vietate le importazioni definitive o temporanee di materiale di armamento effettuate direttamente dall’Amministrazione dello Stato, o per conto di questa, per la realizzazione dei programmi di armamento ed equipaggiamento delle forze armate e di polizia.

Sempre all’art.1 la legge introduce specifici divieti ad effettuare transazioni commerciali con l’estero qualora: manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali; abbiano come oggetto tipologie di materiali afferenti le armi chimiche, biologiche o nucleari, nonché quelle idonee alla manipolazione dell’uomo e della biosfera ai fini militari. A queste si sono aggiunte successivamente alla pubblicazione della legge le mine antiuomo e le bombe a frammentazione che, in base alla Convenzione di Ottawa, non possono più essere costruite.

L’art 1 vieta inoltre le operazioni di esportazione quando: i materiali siano destinati a Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le delibere del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere; nel paese di destinazione la politica delle autorità governative risulti in contrasto con i princìpi dell’art.11 della Costituzione Italiana; nei confronti di un determinato Paese sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione Europea; in un Paese vengano perpetrate, da parte dei relativi governi, gravi violazioni delle Convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite o dell’Unione Europea; nei confronti di un Paese, tra quelli beneficiari degli aiuti ai sensi della l.49/1987, venga accertato che le relative autorità governative destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del Paese.

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L’art. 1 dispone infine che sono escluse dalla disciplina della presente legge: le esportazioni temporanee effettuate direttamente per conto dell’Amministrazione dello Stato per la realizzazione di propri programmi di armamento ed equipaggiamento delle forze armate e di polizia; le esportazioni o concessioni dirette da Stato a Stato, ai fini di assistenza militare, in base ad accordi internazionali; il transito di materiali di armamento ed equipaggiamento per i bisogni di forze dei Paesi alleati, secondo la definizione della Convenzione sullo statuto delle forze della Nato; le armi sportive e da caccia e relative munizioni, le armi e munizioni comuni da sparo, armi corte da sparo non automatiche, antiche ed esplosivi diversi da quelli ad uso militare. Dopo l’elencazione di principi, divieti e vincoli per l’Amministrazione, la presente legge ha individuato in modo univoco l’ambito d’applicazione della legge e quindi i materiali che devono essere considerati d’armamento. Vengono considerati d’armamento “quei materiali che, per requisiti o caratteristiche tecnico-costruttive o di progettazione, sono tali da considerarsi costruiti per un prevalente uso militare o di corpi armati o di polizia”. La dizione “prevalente uso militare”, tra le più avanzate del contesto internazionale, si riferisce non solo a prodotti ad esclusivo uso militare, ma anche ai prodotti ad uso duale (materiali destinati principalmente ad uso civile, ma che hanno caratteristiche idonee per essere utilizzati anche in ambito militare) e pone fine all’ormai anacronistica distinzione tra “armi comuni da sparo” e “armi da guerra”.

Successivamente vengono elencate varie categorie di materiali di armamento, individuate ai sensi della legge e degli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia (armi nucleari, biologiche, chimiche, da fuoco automatiche, ecc), aggiornate in relazione allo sviluppo tecnologico, alla realizzazione di nuovi materiali e sistemi d’arma ed all’evoluzione degli accordi internazionali.

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L’elenco dei materiali d’armamento è oggetto di Decreto ministeriale, emanato dal Ministro della Difesa di concerto con i Ministri degli altri Dicasteri interessati.

La l.185/90 stabilisce nel dettaglio: le procedure per il rilascio delle autorizzazioni; gli organi competenti e i termini temporali entro i quali l’Amministrazione deve decidere in merito alle singole autorizzazioni. Il sistema autorizzatorio e di controllo che viene istituito è chiaro, articolato e penetrante.

Ai Ministeri degli affari esteri, della difesa, dell’economia e delle finanze, dell’interno è affidata, a vario titolo, l’autorità di contribuire al perfezionamento dell’iter istruttorio e rilasciare le autorizzazioni di competenza, al fine di evitare il più possibile, con il coinvolgimento di più Amministrazioni, i casi di collusione, corruzione e illeciti (CESPI IAI, 1998).

La legge individua più fasi nella complessa ed articolata procedura per il rilascio delle autorizzazioni e tiene conto della pluralità degli aspetti (di politica estera, di difesa, di sicurezza e di carattere tecnologico e industriale) che sottendono alle operazioni di import ed export dei materiali per la sicurezza e difesa:

una prima fase, direttiva e di indirizzo, ai sensi dell’art.6 della

l.185/90, è stata inizialmente affidata al Comitato

interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD), costituito dai Ministri dei vari Dicasteri competenti, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con il compito di “formulare gli indirizzi generali per le politiche di scambio nel settore della difesa e dettare direttive d’ordine generale per l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali d’armamento”. Dopo la soppressione del CISD, la delicata funzione è stata assegnata al CIPE, che successivamente ne ha disposto la devoluzione al Ministero degli Affari Esteri. Si prevede che la suddetta funzione debba essere esercitata d’intesa con i Ministeri della Difesa, Sviluppo Economico e con

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l’apposito Ufficio di Coordinamento della Produzione dei Materiali d’Armamento (UCPMA) istituito presso la Presidenza del Consiglio.

una seconda fase, istruttoria, finalizzata all’acquisizione di tutti gli elementi necessari per il rilascio dell’autorizzazione alla prosecuzione delle trattative contrattuali e successivamente dell’autorizzazione all’esportazione del materiale (diversi sono i requisiti e le condizioni in caso di operazioni per i Paesi non appartenenti all’Unione Europea, come elencato nell’art.11). Alla domanda di autorizzazione, contenente “il tipo di materiale da esportare, la quantità, il valore, i compensi per le intermediazioni finanziarie, il destinatario intermedio, il destinatario finale” va allegato il Certificato d’uso finale (CUF), rilasciato dalle autorità governative del Paese destinatario, attestante che il materiale verrà esportato per proprio uso e non verrà riesportato senza la preventiva autorizzazione delle autorità italiane.

una terza fase, consultiva, nella quale i Ministeri degli Affari esteri e della Difesa si possono avvalere di un ulteriore parere dei Dicasteri partecipanti al Comitato Consultivo di cui all’art.7 della l.185/90 (il parere è facoltativo per l’autorizzazione alle trattative contrattuali e per le autorizzazioni verso Paesi NATO ed UE; obbligatorio per il rilascio delle autorizzazioni all’esportazione, importazione e transito ed alla cessione all’estero delle licenze industriali di produzione).

Un’ultima fase, di controllo, finalizzata ad accertare ogni ottemperanza alle prescrizioni indicate nel provvedimento autorizzativo ed alle disposizioni di legge. I tipi di controlli successivi possibili sono tre: quello a dogana, grazie al quale si verifica che il materiale che lascia lo Stato corrisponda a quello autorizzato dal Ministero; il certificato di arrivo a destino con cui l’impresa deve comunicare al Ministero degli Affari esteri la

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conclusione, anche se parziale delle operazioni autorizzate ed inviare la documentazione attestante l’ingresso della merce nel paese destinatario; l’autorizzazione alle transazioni bancarie inerenti l’importazione, esportazione o transito di materiale d’armamento, successiva all’invio da parte delle banche, al Ministero del tesoro, delle informazioni a riguardo.

Il sistema per le autorizzazioni previsto dalla l.185/90 attribuisce un ruolo primario ai pareri che l’UAMA (Unità per le Autorizzazioni di materiali d’Armamento presso il Ministero degli Affari Esteri) è tenuta ad esprimere. Tali pareri maturano in assidua sinergia con le competenti Direzioni Generali del Ministero degli Affari Esteri al fine di realizzare un permanente monitoraggio della situazione geo-politica e strategica dei Paesi e delle aree regionali verso i quali s’indirizzano le esportazioni di materiali d’armamento. Successivamente la concertazione interministeriale, per le ulteriori fasi procedurali, trova la sua espressione ultima nell’attività espletata dal Comitato Consultivo (presieduto dal Ministero degli Affari Esteri ed al quale partecipano il Ministero della Difesa e le altre Amministrazioni indicate dalla legge: Ministeri dell’Interno, dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente, Agenzie delle Dogane) che è incaricato di fornire valutazioni obbligatorie sulle richieste di autorizzazione di transazioni con Stati extra NATO e UE.

Il Ministro degli affari esteri può- allegando la motivazione- vietare la prosecuzione, disporre condizioni o limitazioni, oppure, sentito il comitato consultivo (salvo eccezioni previste in seguito per casi particolari) e di concerto con il Ministro delle finanze, concedere l’autorizzazione per l’esportazione e l’importazione definitive o temporanee all’estero delle licenze industriali di produzione. L’autorizzazione deve essere rilasciata per un periodo pari o superiore a quello previsto per l’esecuzione del contratto, eventualmente prorogabile.

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Questa legge enfatizza la trasparenza, prevedendo un’approfondita informazione al Parlamento e di conseguenza all’opinione pubblica sulle esportazioni d’armi italiane. Infatti l’art.5 della legge 185/90 introduce l’obbligo gravante sul Presidente del Consiglio dei ministri di riferire dettagliatamente al Parlamento in ordine alle autorizzazioni rilasciate, alle operazioni eseguite, alle destinazioni dei beni oggetto di provvedimenti autorizzatori, alle operazioni finanziarie autorizzate e svolte nel corso dell’anno precedente, includendo nella relazione dettagli quantitativi e qualitativi.

E’ in questo modo possibile collegare, attraverso i sei allegati compilati dai ministeri coinvolti in base alla propria area di competenza, il prodotto esportato, la sua quantità e il suo valore, il destinatario e il Paese di destinazione, il mittente, la banca d’appoggio.

Nella sezione III della legge si ritrovano le procedure di sospensione o revoca dell’autorizzazione “in caso vengano a cessare le condizioni prescritte per il rilascio”, e gli obblighi a carico delle imprese al fine di sconfiggere i traffici illeciti di armamenti (l’art.20 prevede infatti che l’impresa debba tempestivamente comunicare al Ministro degli affari esteri la conclusione, anche se parziale, delle operazioni autorizzate ed inviare al Ministro stesso la documentazione attestante l’entrata della merce nel paese destinatario).

Sempre nella stessa sezione viene aggiunto, per la prima volta, un efficace sistema sanzionatorio con la previsione, accanto a sanzioni amministrative e civili, di alcune norme penali per reati quali la falsità nella documentazione, l’inosservanza delle prescrizioni amministrative e la mancanza dell’autorizzazione all’esportazione. Tale quadro fa apparire l’Italia come uno dei Paesi con la normativa più avanzata e severa in materia di trasferimento di armamenti.

Dopo l’approvazione di questa legge è cambiato il quadro geopolitico ed il profilo dei destinatari delle armi italiane, con una diminuzione netta delle esportazioni a Stati aggressivi o repressivi.

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Tuttavia alcuni rappresentanti delle industrie italiane hanno lamentato un’asimmetria rispetto alle altre legislazioni nazionali, che ha penalizzato la competitività delle imprese, eccessiva è stata ritenuta la trasparenza, l’assolutezza dei divieti, la procedura autorizzatoria, ed è stata anche criticata la dizione troppo ampia di materiale d’armamento. Tali spinte verranno parzialmente recepite in futuro per garantire una minore asimmetria ed un ammorbidimento del rigore di alcuni divieti in materia.

4- Dalla legge 185/90 alla ratifica dell’accordo di

Farnborough.

Gli anni Novanta del secolo scorso segnano l’inizio di un dibattito politico-istituzionale, che in un certo senso è il precursore di una maggiore attenzione verso le tematiche giuridico-economiche del settore, ma da un altro punto di vista costituisce il portato necessario dei nuovi indirizzi di sviluppo delineatisi alla fine del decennio precedente nel campo dell’industria militare e della sicurezza, indirizzi che sono collegati alle modifiche del quadro strategico internazionale.

Il primo segnale di mutamento è dato dalla legge 18 febbraio 1997, n.25 – integrata dal D.Lgs 464/97- che, oltre a contenere una riforma strutturale dei vertici militari, mira a dare una più certa configurazione dei poteri del Ministro della difesa e chiari riferimenti alla primaria rilevanza delle questioni economiche, finanziarie e industriali della difesa e della sicurezza8.

Questo processo va avanti con un susseguirsi di normative, sia sotto forma di legge che di atti di rango primario delegati all’esecutivo (L.380/99, L.331/2000, D.Lgs 215/2001), che mirano ad un adeguamento del settore alle nuove necessità economico-operative della

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F. Grassi Nardi, Economia della difesa e della sicurezza: disciplina giuridica e profili economici, op. cit., p.130.

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produzione, del procurement (con questo termine nella prassi commerciale internazionale si intende far riferimento a quelle particolari discipline giuridiche, meccanismi burocratici, prassi amministrative e regole tecniche attraverso le quali si procede all’acquisizione di beni e servizi da parte di “soggetti pubblici”9

), della ricerca e dello sviluppo dei prodotti militari, e che cercano di creare delle condizioni appropriate per sostenere la trasformazione in atto ed i suoi riflessi sull’economia statale.

Nel gennaio 2002 si è aperta anche in Italia la discussione sulla ratifica ed esecuzione dell’accordo di Farnborough e sulla revisione della l.185/90 che ha portato all’emanazione della l.148/2003, recante il titolo “Ratifica ed esecuzione dell’accordo quadro tra la Repubblica francese, la repubblica federale di Germania, la repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attività dell’industria europea per la difesa”.

Questo accordo nasce dalla difficoltà di procedere a livello europeo ad un’elaborazione di una politica europea degli armamenti e dalla decisione, da parte di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna di istituire l’Occar (Organismo Congiunto di Cooperazione in Materia di Armamenti, di cui si tratterà più approfonditamente nel prossimo capitolo), grazie al quale si diede un’accelerazione al processo prevedendo che, in mancanza di concreti passi nella definizione dell’identità comune di difesa, questi quattro Stati avrebbero perseguito autonomamente il loro modello di cooperazione su accordi bi o multilaterali.

Così, il 9 settembre 1999, a Farnborough, i quattro Paesi fondatori dell’Occar hanno sottoscritto un accordo per dotare l’organismo di personalità giuridica e permettergli di stipulare contratti direttamente con le industrie. Il 27 luglio 2000 venne siglato un successivo accordo

9F. Grassi Nardi, Economia della difesa e della sicurezza: disciplina giuridica e profili economici, op.cit., p.

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quadro, preceduto da una lettera di intenti, tra sei Paesi (gli stessi del precedente con l’aggiunta di Svezia e Spagna), per “creare una struttura politica e giuridica necessaria a facilitare la ristrutturazione industriale al fine di promuovere una base tecnologica e industriale europea per la difesa più competitiva e forte nel mercato globale e contribuire in tal modo alla realizzazione di una politica europea comune di difesa e sicurezza”.

Dei numerosi aspetti contenuti nel trattato, quel che più ci interessa è la terza parte, che incide direttamente sulle esportazioni di materiale di armamento realizzato in coproduzione tra industrie dei paesi dell’accordo. In sintesi si prevede: un notevole snellimento degli scambi di pezzi e componenti, ma anche di prodotti finiti nel contesto di coproduzione tra i sei paesi parte, che si orienta verso la creazione di una “licence free zone” tra gli stati partecipanti; nel caso di esportazione della coproduzione finita a stati non parte dell’accordo, questo prevede : un meccanismo decisionale comune preventivo per stabilire a quali paesi è lecito esportare i sistemi d’arma prodotti congiuntamente; successivamente l’applicazione delle normali procedure autorizzative nel paese nel quale ricade il contratto di export.

Viene poi prevista la “licenza globale di progetto” che ha l’effetto di eliminare la necessità di autorizzazioni specifiche per il Trasferimento degli Articoli per la Difesa e dei Servizi per la Difesa interessati alle destinazioni consentite dalla suddetta licenza, per la durata della stessa; la ratio che si persegue è una velocizzazione dei tempi di produzione e un alleggerimento delle complesse procedure per l’esportazione di ogni singolo pezzo o componente, riconducendo tutto ad un’unica autorizzazione che comprende al suo interno tutte le movimentazioni di materiale d’armamento di quella coproduzione. Il trattato non specifica come essa vada redatta, lasciandone la regolamentazione ai singoli Paesi, ed in Italia è stata prevista dall’art.7 della legge 148/2003.

Un altro punto importante della legge è l’introduzione di una forma di trasparenza ex post sulle coproduzioni che ricadono sotto la licenza

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globale di progetto, prevista all’art.4, nonché una rendicontazione annuale da parte delle singole industrie.

Nell’art.6 vengono esplicitati i contenuti della autorizzazione globale di progetto, infatti alla domanda di licenza globale di progetto deve essere allegata copia dell’autorizzazione a trattare e devono essere indicati: la descrizione del programma congiunto, con indicazione del tipo di materiale d’armamento che si intende produrre; le imprese dei Paesi di destinazione o di provenienza del materiale ove già individuate nell’ambito del programma congiunto; l’identificazione dei destinatari nell’ambito del programma congiunto, essa non è richiesta qualora si tratti di membri della NATO o dell’UE o di un Paese con cui l’Italia abbia stretto apposite intese intergovernative.

Si estende quindi la Licenza Globale di Progetto a tutte le coproduzioni intergovernative ed interindustriali dei Paesi NATO ed UE, mentre l’Accordo la circoscriveva solo alle coproduzioni tra i sei Paesi firmatari, lasciando aperto in questo modo un problema di estrema rilevanza sul settore della sicurezza interna ed internazionale, della trasparenza e dei controlli, data la presenza di alcuni tra gli Stati NATO ed UE che si contraddistinguono per controlli poco rigorosi.

Dopo la ratifica dell’accordo di Farnborough, la situazione rimane essenzialmente invariata fino al 2012, quando, considerata la rapida evoluzione del commercio internazionale di armamenti, ci si accorge della necessità impellente di apportare delle modifiche al sistema.

5-Le modifiche del 2012 alla l.185/90 e la disciplina attuale.

Il D.Lgs n.105/2012 apporta delle modifiche alla legge n. 185/90 sul controllo dell’esportazione dei materiali di armamento, attuando la direttiva 2009/43/CE, che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa.

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Da tempo vi era l’esigenza di adeguare il sistema dei controlli ai cambiamenti che hanno coinvolto il settore degli armamenti, su cui la globalizzazione ha provocato grandi trasformazioni a livello europeo e internazionale. Ormai le principali industrie della difesa sono diventate holding internazionali, con partecipazioni incrociate, che fanno coproduzioni di progetti internazionali10.

Per la prima volta si lascia al Governo un’ampia discrezionalità, dati gli indirizzi generici previsti nella legge delega, ed è stato previsto: un’estensione dei controlli alle armi da fuoco esportate a forze armate o di polizia; l’inserimento di attività precedentemente non considerate, quali l’intermediazione e la delocalizzazione produttiva. una serie di modifiche sostanziali al trasferimento dei materiali di armamento nell’Unione Europea, con la conseguenza del doppio binario di autorizzazioni: all’interno dell’UE, con Paesi terzi;

Analizziamo più specificamente le modifiche ai controlli e ai divieti contenuti nell’art.1 della l.185/90.

Si estende la disciplina ai casi di delocalizzazione produttiva (ossia il trasferimento da parte dell’impresa di processi produttivi e fasi di lavorazione di armamenti presso Paesi terzi) e di trasferimenti intangibili. Andrà presentata quindi domanda di autorizzazione al Ministero degli affari esteri non solo per esportazioni, ma anche per importazioni, intermediazioni, cessioni di licenza di produzione, delocalizzazioni produttive, trasferimenti intangibili di software e tecnologie.

Si rinviene poi, la previsione di un potere di veto dei servizi di intelligence sulle esportazioni, poiché, in presenza di informazioni classificate (ogni informazione, atto, attività, documento, materiale o cosa, cui sia stata attribuita una delle classifiche di segretezza), la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento informazioni per la sicurezza) deve esprimere dei pareri vincolanti sul rilascio

10E. Emmolo, Le modifiche del 2012 alla disciplina sui controlli delle esportazioni di armi della legge

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dell’autorizzazione all’avvio delle trattative contrattuali e al rilascio

delle autorizzazioni all’esportazione e della licenza globale11

. L’estensione dei poteri è molto ampia, poiché non pochi sono i casi in cui le domande di licenza di un’impresa abbiano, tra le varie informazioni, alcune coperte dal segreto di Stato ( sulle relazioni internazionali col Paese acquirente, sull’impresa produttrice, ecc) e di fatto introduce un potere di veto dei servizi segreti su decisioni prese dal Ministero degli esteri e della difesa.

Si estende l’applicazione dei divieti al transito e all’intermediazione di armi, oltre ad un nuovo divieto per la cessione all’estero delle licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva di materiali d’armamento qualora concernenti Paesi: in stato di conflitto armato; la cui politica estera confligge con l’art.11 della Costituzione; sottoposti ad embargo dall’ONU o dall’UE; in cui i governi siano responsabili di gravi violazioni ai diritti umani; che ricevono aiuti da parte dell’Italia, ma destinano risorse eccedenti le esigenze di difesa al proprio bilancio militare; in tutti quei casi in cui manchino adeguate garanzie sulla destinazione dei prodotti.

Il divieto di esportazione si estende anche verso Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa).

Viene infine esteso il divieto di fabbricazione, importazione, esportazione, transito e intermediazione di mine terrestri anti-persona e di munizioni a grappolo.

Una nota degna di evidenza è che si assiste ad un cambiamento di prospettiva, perché il legislatore mira a regolare e indirizzare i controlli non più in base all’oggetto del trasferimento, ma al destinatario, per cui tutti i controlli previsti dalla l.185/90 si applicheranno solo nel caso in cui i trasferimenti siano diretti a Forze Armate o di polizia e non quando

11E. Emmolo, Le modifiche del 2012 alla disciplina sui controlli delle esportazioni di armi della legge

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siano dirette ai privati. Dunque, in base al soggetto importatore, l’impresa dovrà avviare per l’esportazione l’iter di controlli al Ministero degli affari esteri a partire dalle trattative contrattuali.

Questo decreto legislativo introduce vari controlli sull’attività di “intermediazione” posta in essere obbligatoriamente da soggetti iscritti al registro nazionale delle imprese di armi. I mediatori sono coloro che negoziano o organizzano transazioni che possono comportare il trasferimento di beni figuranti nell’elenco comune dei materiali d’armamento da uno Stato membro o da uno Stato terzo verso un qualsiasi altro Stato e che acquistano, vendono o dispongono il trasferimento di tali beni in loro possesso da uno Stato membro o terzo verso un qualsiasi altro Stato membro o terzo12.

Queste operazioni di controllo vengono effettuate nel rispetto dei princìpi della posizione comune 2003/468/PESC sul controllo dell’intermediazione di armi, tuttavia l’Italia, non estendendo i controlli alle intermediazioni svolte fuori dal territorio nazionale da cittadini residenti o stabiliti in Italia, non ha colmato una lacuna che porta ad una carenza di giurisdizione qualora le attività avvengano “estero su estero” (es. cittadino straniero imputato per intermediazione illegale di armi se le armi non hanno attraversato il territorio italiano).

Viene esteso ulteriormente l’obbligo di informativa del Governo nei confronti del Parlamento, per trasparenza, alle autorizzazioni globali di trasferimento e alle autorizzazioni generali, nonché alle armi ad uso civile, qualora siano destinate a forze di polizia.

Recependo la direttiva comunitaria 2009/43/CE, che mira ad un ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri nel settore del commercio di armi, il decreto legislativo introduce modifiche al sistema di controllo e autorizzazione. Adesso per i trasferimenti intracomunitari di materiale di armamento le imprese hanno a disposizione tre modelli di autorizzazione:

12E. Emmolo, Le modifiche del 2012 alla disciplina sui controlli delle esportazioni di armi della legge

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Autorizzazione generale di trasferimento: con cui il Ministero degli affari esteri, con decreto, autorizza direttamente i fornitori stabiliti nel territorio nazionale a effettuare trasferimenti di materiali d’armamento, specificati nell’autorizzazione stessa, a una o più categorie di destinatari situati in un altro Stato membro.

Autorizzazione globale di trasferimento: è il singolo fornitore a richiederla al Ministero degli affari esteri, per un periodo di tre anni rinnovabile, con il fine di trasferire specifici materiali d’armamento, senza limitazioni di quantità e valore, a destinatari autorizzati situati in uno o più Stati membri. Può essere rilasciata anche per consentire i trasferimenti che riguardano programmi di equipaggiamento delle Forze armate o di polizia nazionali.

Autorizzazione individuale di trasferimento: viene rilasciata dal Ministero degli affari esteri, su richiesta del singolo fornitore, per il trasferimento di una specifica quantità e per uno specifico valore di determinati materiali di armamento ad uno specifico destinatario in una o più spedizioni, quando la domanda di autorizzazione è limitata a un solo trasferimento, pertanto non vi è la necessità di varie operazioni. Il Ministero degli affari esteri può sospendere provvisoriamente gli effetti dell’autorizzazione generale verso un destinatario situato in un altro Stato membro che non rispetti le condizioni allegate all’autorizzazione generale medesima, nonché per la tutela degli interessi essenziali di sicurezza nazionale, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, informando gli altri Stati membri e la Commissione delle ragioni della misura di salvaguardia accettata. Un’ultima innovazione consiste nella certificazione che stabilisce l’affidabilità dell’impresa destinataria, in particolare per quanto concerne la sua capacità di rispettare le restrizioni all’esportazione dei materiali di armamento ricevuti da un altro Stato membro usufruendo di un’autorizzazione generale di trasferimento; essa è rilasciata

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dall’UAMA, d’intesa con il Ministero della difesa, alle imprese già iscritte al registro e ha una durata di 3 anni13.

Un’impresa viene valutata nella sua affidabilità in base all’esperienza comprovata in attività inerenti la difesa (livello di osservanza dell’impresa delle restrizioni all’esportazione, di eventuali decisioni giudiziarie in materia, dell’autorizzazione a produrre o a commercializzare materiali d’armamento e dell’impiego di personale dirigente con esperienza) e anche in base all’attività industriale pertinente nel settore dei materiali di armamento all’interno della Comunità, in particolare la capacità di integrazione di sistemi o sottosistemi.

L’impresa, nel richiedere la certificazione, si impegna ad adottare tutte le misure necessarie per rispettare e far rispettare tutte le condizioni particolari relative all’utilizzo finale e all’esportazione di ciascuno dei componenti o dei prodotti ricevuti e di fornire informazioni dettagliate sugli utilizzatori finali o l’impiego finale di tutti i prodotti esportati, trasferiti o ricevuti dall’impresa stessa e la descrizione del programma interno di conformità o del sistema di gestione dei trasferimenti e delle esportazioni messo in atto nell’impresa.

Il Ministero degli affari esteri può revocare il certificato, d’intesa con il Ministero della difesa, qualora si constati che l’impresa titolare di un certificato non risponda più ai criteri e alle condizioni previste dal certificato, informando la Commissione europea e gli altri Stati membri della propria decisione.

In conclusione, per completare il quadro di dettaglio delle procedure amministrative, serve l’emanazione di un regolamento di esecuzione per definire i requisiti e le condizioni di utilizzabilità delle autorizzazioni, le modalità della tenuta del registro dei trasferimenti, nonché quelle della sua verifica e gli obblighi informativi cui è subordinata l’utilizzazione dell’autorizzazione di trasferimento.

13 E. Emmolo, Le modifiche del 2012 alla disciplina sui controlli delle esportazioni di armi della legge

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A completare l’excursus storico e la normativa vigente in materia si inserisce il dPR 49/2013 in materia di appalti del Ministero della Difesa, esso detta la disciplina esecutiva e attuativa in materia di contratti aventi per oggetto: forniture di materiale militare e loro parti, di componenti o di sottoinsiemi; lavori, forniture e servizi correlati al materiale di cui alla lettera a), per ognuno e per tutti gli elementi del suo ciclo di vita; lavori e servizi per fini specificamente militari. Per quanto non previsto in questo regolamento, si applicherà il codice dei contratti pubblici. Termina qui l’evoluzione della normativa italiana in materia di commercio internazionale di armamenti per come la si è voluta inquadrare nella premessa a questo capitolo. Bisognerà adesso inserirla nel contesto europeo ed internazionale, in modo da ampliare il panorama di riferimento e consentire un’analisi più approfondita della normativa estera (rispetto ai pochi, ma inevitabili rimandi già effettuati nel presente capitolo), per poi poter finalmente analizzare il cuore di questa trattazione: il complesso militar-industriale-bancario ed alcuni casi specifici di coproduzione europei ed internazionali.

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