CAPITOLO I
L’INIBITORIA E LE SUE DECLINAZIONI
POSITIVE MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVE
Sommario: 1. La tutela inibitoria: cenni introduttivi – 2. La tutela inibitoria e i diritti della personalità. – 3. La tutela inibitoria ed i diritti reali. – 4. La tutela inibitoria e la proprietà industriale. – 5. L’inibitoria e la tutela del contraente debole.
1. - La tutela inibitoria: cenni introduttivi.
La tutela inibitoria o azione inibitoria, a seconda che se
ne voglia sottolineare la dimensione sostanziale o
processuale,
si
concretizza,
in
prima
battuta,
nel
provvedimento
1del giudice, diretto a prevenire o ad ottenere
1 Tale provvedimento si sostanzia in una sentenza, quando la pronuncia segue ad un giudizio a cognizione piena ed in tal caso si parla di inibitoria finale; in un’ordinanza, quando il provvedimento è pronunciato a seguito dell’instaurarsi della procedura secondo le norme di cui agli artt. 669 bis e ss. C.p.c. ed in tal caso ci si riferisce, viceversa, alla c.d inibitoria provvisoria. Tuttavia si anticipa sin d’ora che la netta cesura tra le due tipologie sembra sfumare alla luce della nuova formulazione dell’art. 669 octies c.p.c., il quale, a seguito delle modifiche apportate dal D.l 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005 n. 80, degrada a mera facoltà l’inizio del giudizio di merito, in caso, fra gli altri, di provvedimento cautelare «idoneo ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali».
la cessazione di una condotta illecita, lesiva di determinate
situazioni giuridiche.
L’approssimazione di tale definizione evidenzia tutta la
difficoltà di delineare una nozione precisa ed unitaria di uno
strumento di tutela per il quale il nostro ordinamento non
prevede una norma generale.
Pur in assenza di una disciplina generale e comune,
dall’analisi delle species tipicamente riconducibili al genus
inibitoria si desume che presupposti della stessa sono il
sussistere
dell’illecito
e
l’irrilevanza
del
danno
e
dell’elemento psicologico.
Per quanto concerne il requisito positivo della
sussistenza dell’illecito e quello negativo dell’assenza di
danno, strettamente connessi, tanto da giustificarne una
trattazione unitaria, è opportuno rilevare che, specie in
passato, ancorare l’inibitoria all’illecito non si rivelava
operazione di facile definizione, posto che l’illecito era
impropriamente sovrapposto all’ipotesi normativa di cui
all’art. 2043 c.c., con la conseguenza che difficilmente si
avvertiva illecito senza danno.
Una simile impostazione veniva criticata dal momento
che essa si fondava su un presupposto errato
2che confondeva
l’effetto (il danno) con la causa (l’illecito)
3, creando una sorta
di commistione tra l’uno e l’altro.
In sostanza, mentre l’art. 2043 c.c. rappresentava e
rappresenta una delle possibili reazioni dell’ordinamento
2 Si confronti R.S
COGNAMIGLIO, Illecito (voce), Diritto vigente, in Nov. Dig. It., VIII, 1962.
3 Una posizione intermedia è tenuta da C.M.B
IANCA, in Diritto Civile, La
Responsabilità, 5, Milano, 1994, p. 786, il quale se da un lato afferma
testualmente che “l’inibitoria presuppone il danno ingiusto” dall’altro ha cura di precisare però che esso va inteso “non come evento già prodotto ma come evento da impedire”.
all’atto illecito, quella che, per intendersi, può essere
stimolata ove, tra l’altro, sia individuabile un danno ingiusto,
nell’ipotesi diversa in cui si verifichi la lesione continuata o
almeno periodica di una posizione giuridica meritevole di
tutela o il pericolo, concretamente apprezzabile, che tale
violazione possa consumarsi, allora il rimedio maggiormente
calzante all’esigenza di tutela preventiva sarà appunto
rappresentato dall’inibitoria
4.
Anche l’altro requisito, consistente nella irrilevanza
della sussistenza del dolo o della colpa, ha incontrato quelle
resistenze che inizialmente si giustificavano alla luce di una
supina trasposizione dei requisiti dell’illecito aquiliano
all’inibitoria
5.
Ma pur con varie sfaccettature
6l’assenza di colpa è ed è
stata additata dalla dottrina dominante quale tratto
caratterizzante l’inibitoria.
4 E’ questo l’elemento caratterizzante l’inibitoria, questa sua vocazione ad assurgere a tutela preventiva. Il profilo che varrebbe a differenziarla nel modo più compiuto dalla tutela risarcitoria la quale tende “ a riparare quello che è avvenuto in passato”. In tal senso A. FRIGNANI, L’injuction nella
common law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974, p. 419.
Il rilievo è senz’altro condivisibile anche se la riscoperta funzione deterrente della responsabilità civile è destinata a metterlo un po’ in ombra.
5
In tema si veda P. FORCHIELLI, Il problema della responsabilità senza
colpa, in Riv. trim. dir. proc. Civ., 1967, p. 1378; R. SCOGNAMIGLIO,
Responsabilità per colpa e responsabilità oggettiva, in Studi in memoria di
Torrente, II, Milano 1968. 6
A. FRIGNANI, opera citata, pur condividendo tale tesi, nell’imbarazzo e disagio di imputare una specifica attività al soggetto, ai fini dell’azione inibitoria, visto che essa prescinde dalla colpa, mutua dal diritto penale la distinzione tra illecito di condotta ed illecito di evento, per cui unicamente l’evento potrà essere addebitato ad un soggetto solo a titolo di dolo o colpa. C. RAPISARDA, Profili della tutela civile inibitoria, Padova, 1987, p. 90 afferma che l’inibitoria “tende comunque a garantire l’attuazione del diritto, prescindendo da ogni valutazione del comportamento dell’obbligato”. G.M.ARMONE, Commento sub art. 1469 sexies, in La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, a cura di A.BARENGHI, Napoli, 1996,
Tuttavia, per una ragione logica prima ancora che
sistematica, vista l’assenza di una norma generale nel tema
che ci occupa è forse opportuno procedere ad individuare,
perlomeno
descrittivamente,
le
ipotesi
specifiche
riconducibili a tale istituto.
Senza avere alcuna pretesa di completezza, ed anzi
facendo ammenda sin d’ora per la parzialità di tale
elencazione, che pur cerca di non essere arbitraria, ci si
riferisce, in particolare, a norme specifiche, inscrivibili nelle
categorie dei diritti della personalità, dei diritti reali, della
proprietà industriale e della tutela del contraente debole.
2. La tutela inibitoria ed i diritti della personalità.
L’inibitoria, nell’ambito dei diritti della personalità, è
prevista espressamente dagli artt. 7
7e 10
8c.c., ma risulta
applicabile anche alle ipotesi disciplinate dagli artt. 8 e 9 c.c.,
propone, invece, di concedere l’inibitoria sulla base del solo accertamento dell’illecito quando la norma sia chiara nell’escludere l’elemento soggettivo, negli altri casi di concederla se presenti i criteri di imputazione normalmente operanti nella responsabilità civile.
7 L’art. 7 c.c., rubricato “tutela del diritto al nome” dispone che “La persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo salvo il risarcimento dei danni. L’autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali”.
8 Tale disposizione, sotto la rubrica “Abuso dell’immagine altrui” recita che “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.
per effetto dello specifico rinvio al sistema dei rimedi di cui al
già menzionato art. 7 c.c.
9.
L’articolo 7 c.c., a prescindere che si versi nell’ambito
della azione di reclamo o di usurpazione, tutela il nome
mediante il ricorso all’inibitoria, salvo il risarcimento del
danno.
La richiesta di inibitoria, conformemente alla sua
funzione eminentemente preventiva, è legittimata anche
quando vi sia soltanto la possibilità di subire un nocumento,
10ma questo non si sia ancora realizzato
11e prescinde dal
9L’art. 7 c.c. , tra l’altro, è stato letto estensivamente, con il precipuo scopo
di ricomprendere nel suo raggio di azione anche la tutela dei segni distintivi delle persone giuridiche. Tale ricostruzione non ha convinto quanti abbiano osservato come, nelle persone giuridiche o associazioni non riconosciute, mancando l’immagine della persona nel senso di proiezione fisica della medesima, «i segni figurativi vengono in un certo qual modo a sostituire detta immagine. Mentre il nome della persona fisica equivale alla denominazione della persona giuridica, alla ditta dell’impresa o alla ragione sociale della società, l’immagine della persona fisica trova nelle persone giuridiche il suo surrogato nei segni distintivi delle medesime (stemmi, emblemi, insegne, gonfaloni, bandiere, sigilli ecc.).» Con la logica conseguenza che la tutela dei segni figurativi della persona giuridica non deve al più essere ricondotta all’art. 7 c.c quanto all’art. 10 c.c rubricato «abuso dell’immagine altrui». Si confronti in tal senso M. COMPORTI,
Sfruttamento abusivo dell’immagine altrui e dei segni distintivi delle persone giuridiche, Siena ,1997.
10 Si veda in tal senso A. F
RIGNANI, L’injuction nella common law e
l’inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974, p. 252, il quale sembra ritenere
che l’inibitoria di cui all’art. 7 sia esemplificativa delle caratteristiche strutturali comuni a tale istituto, in primo luogo essendo sufficiente la mera possibilità che si verifichi il pregiudizio data la sua “proiezione verso il futuro” e “la sua funzione prettamente preventiva” .
11 Tuttavia l’esistenza dell’eventuale pregiudizio deve essere specificatamente accertata; in tal senso si veda Cass. Civ. Sez. I, 16 luglio 2003, n. 11129, in Giust. Civ. 2004, I, 2746, per la quale “In tema di tutela di diritto al nome, l’accoglimento della domanda di cessazione del fatto lesivo è subordinata alla duplice condizione che l’utilizzazione del nome altrui sia indebita e che tale comportamento possa derivare un pregiudizio alla persona al quale il nome sia attribuito. Sotto quest’ultimo profilo, quantunque a
profilarsi di una condotta per così dire qualificata dell’agente,
esula cioè dall’accertamento dell’eventuale dolo o colpa di chi
pone in essere il fatto lesivo.
L’art. 10 c.c. ha, invece, per oggetto la tutela del "segno
distintivo essenziale, volto a rappresentare le sembianze,
l'aspetto fisico del soggetto", nonché "l'espressione, il modo
d'essere della personalità nel suo complesso" .
12Anche in tal caso è possibile ricorrere all’inibitoria per
far cessare l’abuso ed ottenere il risarcimento del danno ove
l’immagine (propria, dei propri genitori o dei figli) sia stata
esposta o pubblicata senza consenso
13o comunque con
pregiudizio del decoro o della reputazione della persona o
dei congiunti sopra descritti
14.
giustificare l’accoglimento della misura sia sufficiente la possibilità di un pregiudizio, non essendo necessario che esso si sia già verificato, tuttavia la ricorrenza di detta possibilità deve essere accertata in concreto”.
12 In tal senso si veda M.D
OGLIOTTI, in Trattato di diritto privato, diretto da P.RESCIGNO, Torino, 2, 1982.
13
Il consenso può essere prestato ed acquisito senza particolari vincoli formali, come emerge per esempio da Cass. Civ. 10 giugno 1997 n. 515, edita in Giur. Mer., 1977, I, 55.
Tuttavia a fronte della libertà di forma, il consenso deve essere rigorosamente verificato ed effettivamente sussistente al momento dell’utilizzo, poiché "quell'estrinsecazione diffusa dell'immagine, la quale ancorché in tempi lontani possa essere sembrata consona a se stessi, può, in seguito non trovare più rispondenza alle mutate esigenze e connotazioni della propria personalità" Mutate le circostanze che lo avevano originato, il consenso dovrà intendersi revocato: così App. Roma, 8 settembre 1986, in Foro it., 1987, I, 919
.
14 L’art. 10 c.c. deve essere applicato in combinata lettura con gli art. 96 e 97 l. 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d’autore, i quali hanno cura di precisare in che misura ed entro quali limiti sia lecita la divulgazione dell’immagine di una persona .
In particolare l’art. 96 prevede che “Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente.
3. - La tutela inibitoria e i diritti reali.
Nell’ambito del diritto di proprietà e dei diritti reali si
richiamano a titolo esemplificativo le azioni di cui all’art. 949
c.c., 1079 c.c. e da ultimo, né per collocazione sistematica né
per rilievo pratico, l’art. 844 c.c.
Gli artt. 949 c.c. e 1079 c.c. sono speculari l’uno all’altro:
il primo consente al soggetto legittimato (il proprietario) di
agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da
altri, il secondo legittima il titolare della servitù ad agire per
ottenerne il riconoscimento in giudizio contro chi ne contesti
l’esercizio.
Ma ad ogni buon conto, a prescindere che l’azione
venga intentata per ottenere un riconoscimento negativo (art.
949 c.c.) o positivo (art. 1079 c.c.), entrambe le disposizioni si
sostanziano in primo luogo in un accertamento.
Accanto ed oltre l’azione di mero accertamento
15, le due
disposizioni, modulando i mezzi di tutela a seconda
Dopo la morte della persona ritrattata si applicano le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell'art. 93”, mentre l’art. 97 dispone che “Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla riputazione od anche al decoro nella persona ritrattata.”
15 A prescindere dai principi generali, per l’azione negatoria l’autonomia ontologica della azione di accertamento si deduce dalla combinata lettura degli artt. 949, 2651 e 2653 n. 1 c.c. . In tal senso a titolo esemplificativo si veda G. TAMBURRINO, Le servitù, in Giurisprudenza sistematica Bigiavi, XVI, 2° ed., Torino, 1977, pag. 200 e seguenti.
dell’offesa subita, consentono di ottenere che il giudice ordini
la cessazione di turbative e molestie (l’art. 1079 c.c. parla di
impedimenti) oltre al risarcimento dei danni e alla remissione
in pristino, ma quest’ultima solo nell’ipotesi in cui sia stata
intentata l’actio confessoria.
E le due disposizioni non richiedono alcun esame circa
l’esistenza di un eventuale comportamento colposo
imputabile al potenziale convenuto, rilevando unicamente la
“lesione”
16oggettiva del diritto reale vantato
17.
Tale caratteristica è in parte riconducibile, ma per
quanto riguarda l’inibitoria, come si è avuto modo di
accennare non solo, alla realità
18delle azioni.
Di talché, i rimedi tesi alla cessazione delle molestie (o
impedimenti) e turbative e al risarcimento del danno
potranno essere qualificati come azioni petitorie reali
Per l’azione confessoria l’esperibilità della sola azione di accertamento è confortata dallo stesso dato letterale dell’art. 1079 c.c. In tal senso si veda M. COMPORTI, Estr. da Le servitù prediali, in Trattato di diritto privato diretto da P.RESCIGNO, Vol. 8, tomo 2, Torino 2002, p. 252.
16
E’ opportuno sgomberare subito il campo da possibili equivoci: se si vuole far coincidere il termine “lesioni”, in modo del tutto atecnico, col termine danno allora quanto accennato non potrà essere applicato anche alla inibitoria che, invece, come si avrà modo di approfondire nel proseguo, per sua natura mira non solo e non tanto ad eliminare e punire le lesioni già perpetrate quanto ad arrestare quelle in corso e a prevenire quelle future.
17 In tal senso S. F
ERRERI, Negatoria, confessoria (azioni), in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ., Vol. XII, Torino, 1995, pag. 8 e ss.
18
Quello del rapporto, talvolta alternativo talaltra cumulativo, tra azioni reali e personali è tema di enorme interesse che tuttavia esula dalla presente trattazione.
Per una disamina sull’argomento si vedano M.COMPORTI, Contributo allo
studio del diritto reale, Milano, 1977, e Le servitù prediali, estratto dal
Trattato di diritto privato diretto da P.RESCIGNO, Proprietà, Torino, 2002 pag. 249; A. DI MAJO , La tutela civile dei diritti, 3, 4° ed., Milano 2003, pag. 80 e ss; A.GAMBARO, Il diritto di proprietà, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale, diretto da A.CICU e F.MESSINEO, continuato da L.MENGONI, Volume VIII, tomo 2, Milano, 1995, pag. 874 e ss.
“sempreché venga in discussione, o in via principale, o in via
incidentale, la situazione reale nel suo contenuto o nel suo
esercizio, ossia si tratti di cc.dd. molestie di diritto”
19.
Altrimenti, in caso di molestie di mero fatto
20, il soggetto
legittimato potrà agire o mediante l’azione di risarcimento, ex
art. 2043 c.c., o mediante l’azione di manutenzione
21.
L’interprete, ex plurimis, sarà chiamato a verificare se la
fattispecie lesiva rientri nell’alveo della negatoria o della
tutela di cui all’art. 844 c.c. posto che vi è una zona grigia di
interferenza tra l’una e l’altra.
Anzi l’art. 844 c.c. e la tutela da esso approntata contro
le immissioni eccedenti la normale tollerabilità, in passato,
era additata quale species del genus negatoria.
2219 Così testualmente M.C
OMPORTI, op. cit., pag. 249.
20 Non mancano tuttavia voci discordi, espresse da quanti ammettono la tutela inibitoria contro molestie di fatto continuative o periodiche quale corollario necessario dell’idea di esclusività di cui all’art. 832 c.c. In tal senso A. GAMBARO, op. cit., pag. 921 e 922 .
La questione si interseca con la tradizione di cui sono depositarie le azioni petitorie. Vale a dire con la circostanza che esse, secondo opinione diffusa, rappresentano la continuità con le azioni tipiche previste dal processo formulare romano. Senza, peraltro, raggiungere risultati differenti da quelli che sarebbe possibile ottenere limitandosi ad applicare l’art. 832 c.c.
L’azione di rivendica e negatoria hanno “più una giustificazione di carattere storico che operativo”. In tale senso A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, 3, 4° ed., Milano 2003, pag. 85.
21 Vero è che l’avvento dell’azione atipica a discapito del processo formulare consente, o meglio dovrebbe consentire, di modulare l’azione in base al diritto sostanziale da far valere in giudizio. Con la nota conseguenza che il
nomen iuris dato dalle parti alla fattispecie non vincola il giudice, perché tale
arduo compito è indefettibilmente ed esclusivamente a lui medesimo rimesso. Ma ciò non toglie che la qualificazione data dal giudice non possa supplire all’eventuale carenza allegatoria e istruttoria della parte sulla quale incombe il relativo onere.
22 In tale senso Cass. Civ. 8 marzo 1982 n. 1469 per la quale “l’azione tendente a far valere il divieto delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità, a norma dell’art. 844. C.c., rientra tra le azioni negatorie a tutela della proprietà le quali sono dirette a far dichiarare e sanzionare non soltanto
La disposizione, come è noto, stabilisce che “Il
proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di
fumo o calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili
propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano
la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione
dei luoghi.
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve
contemperare le esigenze della produzione con le ragioni
della proprietà. Può tener conto anche della priorità di un
determinato uso”.
Come è noto, l’elencazione dei fenomeni immissivi non
è strettamente tassativa ma meramente indicativa.
La disciplina, infatti, è passibile, in via analogica, di
applicazione a ipotesi diverse da quelle rammentate, come
mostra il riferimento all’espressione aperta “propagazioni
simili”, purché si tratti, comunque, di fattispecie che
condividano, con le ipotesi tipicamente individuate, i
caratteri della materialità, mediatezza e continuità.
Il requisito della materialità impone che l’immissione sia
fisicamente apprezzabile
23.
In caso contrario l’art. 844 c.c. non troverà spazio
applicativo in ragione della circostanza che, ove il fenomeno
l’inesistenza delle vere e proprie servitù vantate sul fondo dell’attore, ma anche a far accertare l’inesistenza di qualsiasi diritto, nonché la illegittimità di turbative e molestie in danno del fondo stesso, al fine di ottenerne la cessazione per l’avvenire.”
In dottrina F.DE MARTINO, Della Proprietà, in Commentario A.SCIALOJA e G.BRANCA, Bologna- Roma 1976.
23 In tal senso già Cass. Civ. Sez. II 6 marzo 1979, n. 1404, in Giurisprudenza Agricola Italiana, 1979 II, pag. 539 e ss, per la quale per materialità dell’immissione deve intendersi quella che “cada sotto i sensi dell’uomo ovvero influisca oggettivamente sul suo organismo (ad es: radiazioni nocive) o su apparecchiature (ad es: correnti elettriche e onde elettromagnetiche)….”.
immissivo non importi effetti fisicamente misurabili, non
potrà invocarsi lo jus excludendi del proprietario.
Perché, pur con i contemperamenti e le evoluzioni che
qui di seguito, perlomeno brevemente, si cercherà di
riassumere e tratteggiare, l’art. 844 c.c. nasce, come la sua
collocazione sistematica espressamente dichiara, quale norma
di tutela proprietaria
24tesa alla regolamentazione e alla
limitazione del diritto dominicale e delle sue attribuzioni
25.
Il requisito della mediatezza, poi, viene comunemente
riferito alla circostanza che l’immissione non debba risolversi
in un facere in alienum, ma piuttosto nella propagazione
dell’attività, compiuta nel fondo finitimo e comportante
disturbi eccedenti il limite della normale tollerabilità.
La continuità
26si riferisce invece alla tendenziale
ripetitività del fenomeno, di talché, in difetto di essa, si
applicheranno le disposizioni di cui agli art. 2043 e ss., purché
ne ricorrano i presupposti.
La norma ruota e si incardina intorno al parametro della
normale tollerabilità, che rappresenta la misura ed il limite al
diritto di proprietà e alle facoltà che da esso discendono al
proprietario, come emerge dalla formulazione in negativo
24 Oggetto primario dell’art. 844 c.c., infatti, è la tutela del godimento del fondo che subisce le immissioni e non tanto, ma casomai solo in via indiretta, l’attività che la causa. In tale senso C.SALVI, Immissioni (voce), in Enc. giur. Treccani, volume XV, Roma, 1989.
25 In tal senso A. G
AMBARO, Il diritto di proprietà, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale, diretto da A.CICU e F.MESSINEO, continuato da L. MENGONI, Volume VIII, tomo 2, Milano, 1995, pag. 495 e ss., per il quale testualmente “benché variamente attenuato ed elaborato il jus excludendi del proprietario continua a costituire la base remota della disciplina delle immissioni nel nostro sistema, conferendo ad essa quella linearità sistematica che ne è la caratteristica distintiva”.
26
La continuità o almeno periodicità presuppone l’attualità dell’intollerabile aggressione e non il semplice pericolo di essa.
della disposizione (“Il proprietario di un fondo non può
impedire le immissioni….”)
27.
E la individuazione concreta della nomale tollerabilità
28è rimessa all’interprete, in particolar modo al giudice di
merito, chiamato a definirla in base e sulla scorta della
condizione dei luoghi e del contemperamento delle esigenze
della produzione con le ragioni della proprietà e, in via
meramente sussidiaria, tenendo eventualmente conto anche
del c.d. preuso.
Nell’ipotesi in cui le immissioni siano accertate come
intollerabili, il soggetto legittimato potrà impedirle; potrà,
cioè, agire in via inibitoria onde ottenere quegli accorgimenti
utili a ricondurre le immissioni alla normale tollerabilità, fatto
salvo comunque il diritto al risarcimento dei danni patiti.
2927 In tale senso N. I
RTI, Proprietà e Impresa con particolare riguardo al
diritto agrario, Napoli, 1965, pag. 10 e ss., per il quale l’art. 832 c.c. deve
essere affrontato in combinata lettura con le disposizioni che impongono dei limiti al diritto di proprietà fra cui, come è noto, figura anche l’art. 844 c.c . 28 L’opportunità di ancorare la normale tollerabilità alla valutazione di criteri concreti è stata riconosciuta subito dalla giurisprudenza. Si confronti, per esempio, Cass. Civ. 27 luglio 1983 n. 5137, in Mass. Giust. Civ., 1893 pag. 1341, la quale stabilisce che “la tollerabilità è quella «consentita in un determinato momento storico ed in un luogo determinato, ed avvertita come tale dalla coscienza sociale», e la valutazione deve avvenire in concreto, tenendo conto di natura, entità e causa delle immissioni, delle condizioni e delle caratteristiche dei luoghi (ex art. 844, 1 comma)” da intendersi comunemente nel senso sociale del “carattere derivante dalle attività che normalmente vi si svolgono e dal sistema di abitudini della vita della popolazione locale”.
29 In tal senso R.P
ICARO, Il divieto di immissioni tra relazioni economiche e
bisogni esistenziali, Napoli, 2000, pag. 322 e ss.
Tale autore, infatti, pur ammettendo in astratto la configurabilità di una inibitoria negativa ritiene in concreto che sia difficilmente prospettabile, specie ove l’immissione derivi da un’attività produttiva.
Condividendo così l’impostazione di A.GAMBARO, op. cit., il quale ha cura di precisare che oggetto dell’inibitoria è sempre l’immissione e non l’attività produttiva che eventualmente la origina.
La norma si riferisce espressamente solo al proprietario:
“Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni
… se non superano la normale tollerabilità”; proprietario che,
dunque, a contrario, può impedirle nel caso di suo
superamento.
Ma se la lettera della norma parrebbe univoca la ratio
della stessa consente, invece, di estendere la legittimazione
anche ai titolari di diritti reali minori, perché, come osservato
in modo estremamente chiaro dalla suprema Corte
30, l’art.
844 c.c. è, in definitiva, posto a tutela del diritto reale di
godimento di un fondo “sia questo compreso nel fascio di
facoltà di cui è compreso il dominio ovvero costituisca
specifico oggetto di un ius in re aliena”.
Tale soluzione, l’individuazione cioè del bene, inteso in
senso lato, oggetto di tutela da parte dell’art. 844 c.c., non è
certo immediata, dal momento che non manca chi consideri
la norma in esame quale mezzo di tutela del bene (fondo) in
senso stretto.
E la dicotomia non è priva di ricadute pratiche, perché
ritenere l’art. 844 c.c. come posto esclusivamente a
salvaguardia del bene propriamente inteso porta a
concludere che in caso di immissioni moleste il risarcimento
possa unicamente indirizzarsi al danno subito dal fondo
31.
30 Cass. Civ., 11 novembre 1992, n. 12133, in Foro It., 1994, I, 205. 31
A titolo esemplificativo Cass. Civ., 5 agosto 1992, n. 9298. Tra l’altro pronunce di questo tenore potevano essere emesse tranquillamente dalle Corti che avevano in mente la pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Cost., 23 luglio 1974, n. 247, in Giur. It., 1975, I, 1, 584 e ss, con nota di C.SALVI, Legittimità e razionalità dell’art. 844 c.c.) la quale, ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 844 c.c. laddove consente al proprietario di agire contro le immissioni intollerabili mentre altrettanto non consente a chiunque altro si trovi danneggiato dalle stesse immissioni, affermava il carattere reale dell’azione tesa a considerare “solo l’interesse del proprietario ad escludere ingerenze da parte del vicino sul fondo proprio,
L’art. 844 c.c, però, è stato oggetto, nel corso del tempo,
di una rilettura, per così dire costituzionalmente orientata,
che gli ha trasmesso nuova linfa vitale, consentendogli di
superare la logica strettamente proprietaria alla quale era
originariamente legato.
In particolare la sentenza n. 10186 del 1998, pronunciata
a Sezioni Unite dalla Suprema Corte, ha riconosciuto al
soggetto leso l’utilizzo dell’art. 844 c.c. per conseguire la
cessazione delle esalazioni nocive alla salute.
Sulla scia di tale pronuncia la giurisprudenza ha
intensificato l’utilizzo della disposizione in commento,
impiegandola, in particolare, in lettura combinata con l’ampia
produzione normativa antinquinamento (a titolo meramente
esemplificativo la legge 22 febbraio 2001 n. 36 in materia di
inquinamento elettromagnetico
32), quale estrema difesa eretta
a baluardo del diritto alla salute del soggetto danneggiato,
per ovviare al problema di una disciplina di settore che
prevede soglie di rischio ritenute in astratto accettabili, ma in
concreto lesive del diritto alla salute.
…..e ciò senza riguardare, ma anche senza pregiudicare, la protezione di interessi diversi, eventualmente spettanti anche ad altre persone o ad intere collettività”.
In buona sostanza la lesione di interessi diversi, quali salute e ambiente, avrebbe dovuto essere rimessa alla tutela di norme anche di carattere pubblicistico, ferma restando, ovviamente l’ammissibilità della tutela risarcitoria di cui all’art. 2043 c.c.
32 La riconducibilità delle onde elettromagnetiche al fenomeno delle immissioni è stato autorevolmente sostenuto da Cass. Civ., Sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893, in Foro It. 2001, I, 141, sulla scorta della affermata ricorrenza nelle prime delle caratteristiche sintomatiche delle seconde, posto che tali onde si propagano sul fondo altrui come conseguenza indiretta del passaggio della corrente sugli elettrodotti e hanno carattere materiale, perché sono oggettivamente e fisicamente misurabili, con apposita e specifica apparecchiatura.
Ed in particolare la giurisprudenza ha intensificato
proprio l’utilizzo dell’inibitoria delle immissioni eccedenti la
normale tollerabilità .
4. - La tutela inibitoria e la proprietà industriale.
L’inibitoria si presta in modo particolarmente calzante
alla tutela dei beni immateriali, rectius dei diritti su essi
gravanti.
Non è affatto una coincidenza che sia stata una
disposizione appartenente a questa area normativa a fornire,
per prima, la definizione più compiuta e puntuale di
inibitoria
33. Ci si riferisce all’articolo 156 legge 633/1941 per il
quale, «Chi ha ragione di temere la violazione di un diritto di
utilizzazione economica a lui spettante in virtù di questa
legge, oppure intende impedire la continuazione o la
ripetizione di una violazione già avvenuta, può agire in
giudizio per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia
interdetta la violazione».
L’inibitoria veniva prevista anche dalla legge afferente i
marchi registrati e dalla legge sulle invenzioni da due
disposizioni così affini, gli artt. 63
34l. marchi e 83
35l.
invenzioni, da consentire una trattazione unitaria.
33 C. R
APISARDA SASSON, voce “Inibitoria”, in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ., IX, Torino, 1993 p. 474 e ss.
34
L’art. 63 disponeva che “Il titolare dei diritti sul marchio registrato o in corso di registrazione” potesse “chiedere che” fosse “disposta l'inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell'uso di quanto” costituiva “contraffazione del marchio secondo le norme del codice di procedura civile
concernenti i procedimenti cautelari.
Le
due
disposizioni
disciplinavano
l’inibitoria
provvisoria. Non vi era invece una norma che richiamasse
esplicitamente l’inibitoria definitiva.
Tuttavia non si era mai dubitato della possibilità di
esperirla comunque ed a prescindere da una norma che
espressamente la prevedesse, da un lato rinvenendone la ratio
giustificatrice negli art. 2569
36e 2577
37c.c., che riconoscono al
titolare del marchio e dell’invenzione un diritto di esclusiva
38,
dall’altro argomentandone l’ammissibilità sulla base degli
artt. 66 l.m. e 86 l.i., i quali stabilivano, tra l’altro, che delle
cose costituenti violazione dei diritti di marchio e delle cose
violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento”
35
L’art. 83, così come sostituito dall'art. 26, comma 1, D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 198 prevedeva che “Il titolare dei diritti di brevetto per invenzione industriale” potesse “chiedere che” fosse “disposta l'inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell'uso di quanto” costituiva “contraffazione del brevetto, secondo le norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari.
Pronunciando l'inibitoria il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento”.
36 La disposizione, rubricata “Diritto di esclusiva”, prevede (in seguito alla modifica operata dall’art. 81, d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480) che “Chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato .
In mancanza di registrazione il marchio è tutelato a norma dell’articolo 2571”.
37 L’articolo, sotto la rubrica “Contenuto del diritto”, recita che “ L’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge.
L’autore, anche dopo la cessione dei diritti previsti dal comma precedente, può rivendicare la paternità dell’opera e può opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera stessa, che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.”
38
In tal senso T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni
costituenti violazione dei diritti di brevetto per invenzione
industriale non potesse essere interdetto l’utilizzo quando
appartenessero a chi ne facesse uso personale o domestico
comunque in buonafede, così ammettendo, a contrario e fuori
dall’ipotesi predetta, la possibilità di inibirne la suddetta
utilizzazione.
La
questione
appare
tuttavia
archiviata
39e
definitivamente
chiarita
dal
codice
della
proprietà
industriale
40, il quale disciplina espressamente sia l’inibitoria
finale, all’art. 124, sia quella cautelare, all’art. 131.
39 Se mai abbia costituito un problema visto che non solo la dottrina ma anche la giurisprudenza ha sempre ammesso la possibilità di ricorrere ad una inibitoria finale; in tal senso si pronunciava la già risalente sentenza emessa dal Tribunale di Milano, 2 novembre 1961, in Riv. dir. ind., 1963, II, p. 163. 40 Il Codice della Proprietà Industriale trova il proprio humus nell’esigenza di armonizzare la stratificata, composita ed alluvionale legislazione esistente in materia.
Proprio per tale ragione quantomeno stupisce e solleva critiche la scelta di confinare all’esterno di esso la disciplina dei diritti di autore e connessi, per i quali, dunque, rimane in vigore la l. 631/1941 e successive modifiche. Decisione discutibile secondo la medesima Relazione governativa al d. lgs. 30/2005, in Guida al Diritto, Dossier Mensile, 3, 2005 p. 84 e ss., che individua, con rammarico, quale unica ragione dello scorporo del diritto di autore dal Codice della Proprietà Industriale una diversa ripartizione delle competenze ministeriali, rientrando il diritto di autore nelle attribuzioni del Ministero dei Beni Culturali, ed essendo, invece, gli altri istituti gravitanti intorno all’orbita della proprietà immateriale, compresi nelle attribuzioni del Ministero delle attività produttive.
Sotto altro profilo il Codice della Proprietà Industriale è sintomatico del conflitto latente tra il tramonto dell’idea illuministica di codificazione e la comunque persistente necessità di organizzare sistematicamente le norme che afferiscono ad una medesima materia. «Le codificazioni incentrate sull’unità del soggetto giuridico e sulla centralità e sistematicità del diritto civile stanno, quindi, lasciando spazio a micro-sistemi legislativi, dotati di una razionalità più debole, non fondati sull’idea di immutabilità della società civile, improntati a sperimentalismo ed incentrati su logiche di settore, di matrice non esclusivamente giuridica.
Cambia in tal modo l’idea di codificazione…..Siamo in una fase storica nella quale all’idea regolativa del codice si è sostituita l’esistenza di discipline
Le due norme sono contenute nel Capo III, intitolato
“Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale”,
nella sezione prima, dedicata alle disposizioni processuali.
In particolare, l’inibitoria finale, come poc’anzi
rammentato, è disciplinata dall’art. 124 d.lgs. 10 febbraio 2005
n. 30 sotto la rubrica “misure correttive e sanzioni civili”.
Per quello che interessa lo strumento remediale in
commento, l’art. 124
41prevede che “con la sentenza che
accerta la violazione di un diritto di proprietà industriale
possono essere disposti l’inibitoria della fabbricazione, del
commercio e dell’uso delle cose costituenti violazione del
diritto, e l’ordine di ritiro definitivo dal commercio delle
medesime cose nei confronti di chi ne sia proprietario o ne
abbia comunque la disponibilità . L’inibitoria e l’ordine di
ritiro definitivo dal commercio possono essere emessi anche
sistematicamente organizzabili in una pluralità di codici di settore. A questa codificazione di nuova generazione appartiene senz’altro il codice dei diritti di proprietà industriale …» Si veda in tal senso il Parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo recante il Codice dei diritti di Proprietà Industriale, reso dall’Adunanza Generale del 25 ottobre 2004, n. sezione 10548/04, in Il diritto Industriale, n. 1/2005, p. 119 e ss.
41 L’art. 124 razionalizza ma sostanzialmente ripropone il contenuto degli art. 66 l.m. e 86 l.i.. Tuttavia, pur camminando nell’alveo della precedente legislazione, uniforma - fatta eccezione per il diritto di autore e connessi come brevemente accennato nella precedente nota - la risposta dell’ordinamento alle violazioni dei diritti di proprietà industriale (reagendo, quindi, a titolo esemplificativo anche alle violazioni dei marchi non registrati, delle indicazioni geografiche e delle informazioni segrete, precedentemente tutelabili con il ricorso alla disciplina della concorrenza sleale).
La formulazione originaria dell’art. 124 è stata rivista in seguito alla modifica apportata dal d.lgs. n. 140/06, che, in attuazione della Direttiva Enforcement, prevede, accanto all’inibitoria, un ordine di ritiro definitivo dal commercio delle “cose costituenti violazioni del diritto” e un ritiro temporaneo, ove i prodotti costituenti violazione dei diritti di proprietà industriale siano suscettibili, previa adeguata modifica, di una utilizzazione legittima con possibilità di reinserimento a seguito degli adeguamenti imposti a garanzia del rispetto del diritto.”
contro ogni intermediario, che sia parte del giudizio ed i cui
servizi siano utilizzati per violare un diritto di proprietà
industriale.
Pronunciando l’inibitoria, il Giudice può fissare una
somma dovuta per ogni violazione o inosservanza
successivamente constatata e per ogni ritardo nell’esecuzione
del provvedimento ….”.
L’inibitoria, dunque, ancillare alla sentenza di
accertamento, si atteggia come una delle sanzione civili
approntate contro la violazione dei diritto di proprietà
industriale
42.
L’idea, peraltro, non è affatto nuova ed in tal senso il
codice sembra recettivo di quell’orientamento che aveva
individuato nella inibitoria definitiva, appunto, una sanzione
civile che l’ordinamento commina in caso di accertata
contraffazione
43.
L’idea appariva ulteriormente corroborata dalla
circostanza che la concessione dell’inibitoria definitiva non
richiedesse – e non richieda tutt’ora- né il dolo né la colpa del
contraffattore
44né che il titolare del diritto di esclusiva avesse
già subito un vulnus al proprio patrimonio
45.
L’inibitoria cautelare è viceversa disciplinata dall’art.
131
46, il quale legittima il titolare di un diritto di proprietà
42 In tal senso si esprime G.F
LORIDIA, Il riassetto della proprietà industriale, Milano, 2006 pag. 517, sub art. 124.
43 In tal senso A.F
RIGNANI, L’injunction nella common law e l’inibitoria nel
diritto italiano, Milano, 1965, pag. 311 e M.ROTONDI, Diritto Industriale, Padova, 1965
44
Si confronti Trib. Catania, 29 marzo 1994, in Giust. Civ., 1995, I, p. 830. 45 In tal senso Trib. Terni, 31 maggio 1989, in Giur. Ann. dir. ind., 1990 p. 248.
46 L’art. 131, così come l’art. 124, in seguito alla modifica apportata dal d.lgs. n. 140/06, prevede la possibilità di chiedere in via cautelare un ordine di ritiro dal commercio delle cose costituenti violazioni del diritto di proprietà
industriale a richiedere l’inibizione della fabbricazione, del
commercio e dell’uso delle cose costituenti violazioni
imminenti del suo diritto, proseguimento o ripetizione delle
violazioni in atto .
Il provvedimento cautelare perde la sua efficacia se il
giudizio di merito non inizia nel termine stabilito dal giudice
nel provvedimento medesimo o, in mancanza di diversa
indicazione, nel termine di 20 giorni lavorativi o trentuno di
calendario decorrenti dalla pronunzia dell’ordinanza, se
avvenuta in udienza, o dalla sua comunicazione se riservata.
Tuttavia l’art. 131 codice proprietà industriale, al
comma 1 quater, ha cura di chiarire che, quanto riportato nel
capoverso precedente non trova applicazione nel caso di
provvedimenti di urgenza pronunciati ex art. 700 cpc e nel
caso degli altri provvedimenti cautelari “idonei ad anticipare
gli effetti della sentenza di merito.”
La circostanza merita un breve chiarimento.
La formulazione originaria dell’art. 131 codice proprietà
industriale, infatti, prevedeva unicamente la possibilità per il
titolare del diritto della proprietà industriale di ricorrere
all’inibitoria e la possibilità per il giudice che la pronunziava
di “fissare una somma dovuta per ogni violazione o
inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo
nell’esecuzione del provvedimento”
47.
industriale anche contro eventuali soggetti i cui servizi siano utilizzati per violare il predetto diritto.
47 Misura analoga è prevista dall’art. 124 codice proprietà industriale.
E’ opportuno sottolineare che l’art. 131, originariamente, riproduceva pedissequamente gli artt. 63 l.m. e 83 l.i. così come riformulati nel 1996 in attuazione dell’accordo TRIPs.
In particolare l’art. 41 del TRIPs prescrive che i paesi membri adottino procedure uniformi “in modo da consentire un‘azione efficace contro qualsiasi violazione dei diritti di proprietà intellettuale contemplati dal
Novellato dal d.lgs. n. 140/06, recettivo della Direttiva
Enforcement, l’art. 131
48se da un lato prevede la perdita di
efficacia del provvedimento inibitorio, ove non venga iniziato
il giudizio di merito
49, dall’altro recepisce la riforma operata
dal D.l 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 14 maggio
2005 n. 80, che degrada a mera facoltà l’inizio del giudizio di
merito, posto che il nuovo testo dell’art. 669 octies commi 6 e 7
cpc testualmente recita che “Le disposizioni di cui al
presente articolo e quella di cui al primo comma dell’art. 669
nonies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai
sensi dell’art. 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei
ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal
codice civile o da leggi speciali nonché ai provvedimenti
emessi a seguito di denuncia di nuova opera di danno temuto
ai sensi dell’art. 688, ma ciascuna parte può iniziare il
giudizio di merito.
L’estinzione del giudizio di merito non determina
l’inefficacia dei provvedimenti di cui al comma precedente,
anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso
di causa”.
presente accordo, ivi compresi rapidi mezzi per impedire violazioni e mezzi che costituiscano un deterrente contro ulteriori violazioni”.
Per una analisi maggiormente approfondita della misura compulsoria prevista dai commi 2 degli art. 124 e 131 d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 si rinvia all’ultimo capitolo.
48 In realtà, in materia, l’ultrattività dei provvedimenti anticipatori era già contemplata dall’art. 23 d.lgs. n. 5/2003, il quale dispone che “nelle controversie di cui al presente decreto, ai provvedimenti d’urgenza e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito non si applica l’art. 669 octies del codice di procedura civile, ed essi non perdono la loro efficacia se la causa non viene iniziata ” .
E il provvedimento che pronuncia l’inibitoria è, con
voce pressocchè univoca
50, individuato quale provvedimento
anticipatorio per antonomasia
51con la conseguente
attenuazione di strumentalità del medesimo rispetto al
giudizio di merito.
5. - L’inibitoria e la tutela del contraente debole
Ed, infine, l’azione inibitoria trova spazio quale
strumento di tutela del contraente debole.
Tale affermazione richiede qualche chiarimento, posto
che si intende ricomprendere nell’ambito di tale categoria,
non solo l’inibitoria posta a tutela del consumatore, alla quale
si dedicherà il secondo capitolo, rappresentando essa il cuore
della presente trattazione, ma anche l’inibitoria di cui all’art.
9, comma 3, legge 18 giugno 1998, n. 192 in materia di
subfornitura e quella di cui all’art. 8, comma 1 lett. a), d.lgs. 9
ottobre 2002, n. 231 in materia di ritardi dei pagamenti nelle
transazioni commerciali.
50 Perché, viceversa, individuare i criteri per stabilire se un provvedimento cautelare sia anticipatorio o conservativo non è operazione di facile soluzione.
Non manca per esempio chi ritiene che se il provvedimento cautelare reso
ante litem, in materia societaria, non contenga l’indicazione del termine per
l'instaurazione del giudizio di merito, le parti possano legittimamente considerare il provvedimento come anticipatorio e quindi non proseguire il giudizio di merito, senza per questo rischiare la declaratoria di inefficacia della misura ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c.; in tale senso R. TISCINI, I
nova del procedimento cautelare societario: la cd. strumentalità attenuata ed il cd. giudizio abbreviato, in Giur. It., 2004, IV, 2209 ss.
51 Sulla natura del provvedimento anticipatorio dell’azione inibitoria cautelare di cui all’art. 1469 sexies, comma 2, c.c. si confronti D.AMEDEI-N. SOLDATI, Il processo societario: prima lettura sistematica delle novità
introdotte dal d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, Milano, 2004. Si veda anche G.
Se alcuna perplessità suscita la definizione quale
contraente debole del consumatore, lo stesso non può dirsi
per l’impresa protagonista dei rapporti negoziali di cui alla l.
192/1998 e al d.lgs. 231/2002.
La disciplina consumeristica ci ha abituati a guardare
senz’altro senza avversione alcuna e forse, addirittura, con un
pizzico di simpatia al «tramonto del mito della legge uguale
per tutti»
52.
Alla tradizionale indifferenza per lo status dell’autore
dell’atto, quale risultato dell’unificazione del codice civile con
il codice di commercio, la tutela del consumatore ha sostituito
un’attenzione particolare per l’autore del negozio, dalla
quale deriva che il rapporto riceve un diverso trattamento
giuridico e risponde a regole differenti a seconda di chi lo
ponga in essere.
Tale impostazione, salutata inizialmente quale nuova
conquista, è apparsa ulteriormente superata dall’evoluzione
del diritto positivo, che sembra aver partorito un nuovo
paradigma
contrattuale
disposto
a
dare
asilo,
indifferentemente, ai contratti del consumatore, alla
disciplina sull’abuso di dipendenza economica e alla lotta
contro i ritardi di pagamento; nel quale le espressioni, se non
proprio comuni, comunque assai vicine, di «significativo
squilibrio»
53, «eccessivo squilibrio»
54e «grave iniquità»
55determinano una progressiva erosione delle mura della
52 G.S
TELLA RICHTER, Il tramonto di un mito: la legge uguale per tutti, in Giust. Civ., 1997, 2.
53
L’espressione è utilizzata nell’art. 33, comma 1, Codice del consumo. 54 In termini di eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi si esprime l’art. 9, comma1, l. 192/1998 in materia di subfornitura.
55 Il riferimento è all’art. 7, comma 1, d. lgs. 231/2002, che sanziona con la nullità l’accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento che risulti gravemente iniquo.
«cittadella dell’autonomia privata»
56a garanzia e vantaggio
della congruità dello scambio.
E nel quale il minimo comun denominatore trascende
dalla
«categorizzazione
socio-economica
delle
parti
56 L’espressione è utilizzata da G. C
OLANGELO, L’abuso di dipendenza
economica, in Lezioni di diritto privato europeo, raccolte da G.ALPA e G. CAPILLI, Torino, 2007, p. 717.
contraenti»
57, consistendo piuttosto nell’asimmetria di potere
contrattuale
58.
57 In tale senso si confronti V.R
OPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppo di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, p. 769 ss, il quale
precisa come «il nuovo paradigma contrattuale, pur edificato originariamente sulle discipline dei contratti del consumatore (intesi come contratti tra un consumatore e un professionista), si nutre in verità anche delle discipline di contratti che non hanno questa caratterizzazione soggettiva, perché prescindono dalle menzionate qualità socio-economiche delle parti, o addirittura postulano nelle parti qualità diverse. Ovvero: nato nel campo dei contratti del consumatore, il nuovo paradigma contrattuale manifesta una forza espansiva che lo proietta al di là di quel campo». Il che appare confermato, prosegue l’autore, dalla circostanza stante la quale, se per isolare i tratti distintivi del nuovo paradigma, l’indagine è originariamente partita dalle discipline dei contratti del consumatore si è poi ben presto estesa, a titolo esemplificativo, ai contratti di subfornitura ed ai contratti di agenzia, che notoriamente involgono e coinvolgono due professionisti; ai contratti bancari e finanziari che, se da un lato vedono protagonista un professionista dall’altro non obbligatoriamente registrano la presenza di un consumatore; ed, infine, anche alle locazioni abitative così come disciplinate dalla Legge n. 431/1998, le quali prescindono da una specifica caratterizzazione socio-economica delle parti.
E, a sei anni di distanza dalla formulazione di tali considerazioni, l’esistenza della categoria dei contratti asimmetrici sembra ulteriormente confermata dalle nuove evoluzioni legislative. A tal proposito è sintomatico il decreto legge n. 7/2007 convertito nella legge n. 40/2007 ed in particolare l’art. 7 comma 1 che prevede il divieto di penali per i mutui accesi non solo per l’acquisto di unità immobiliari adibite ad abitazione da parte di persone fisiche ma anche per l’acquisto di immobili destinati «allo svolgimento della propria attività economica o professionale», sempre che il mutuatario sia una persona fisica. In tal senso si veda V.ROPPO,Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»), in Riv. dir. priv., n. 4 2007, p. 669 e ss.
58 Il contratto asimmetrico cioè è in grado di coniugare ed abbracciare tanto le ipotesi negoziali riconducibili al “secondo contratto”, riguardante i rapporti contrattuali tra professionista e consumatore (B2C), tanto la categoria del “terzo contratto” afferente a rapporti contrattuali sperequati tra professionisti (B2B), sulla scorta della considerazione che la diversa declinazione terminologica riflette la differente impostazione epistemologica: esprimersi in termini di secondo contratto e terzo contratto equivale a contrapporre le due categorie; coniare invece l’espressione “contratto asimmetrico” evidenzia
Dell’inibitoria in materia di subfornitura si occupa, in
modo peraltro un po’ laconico, l’art. 9 della legge 192/1998.
A onor del vero l’articolo in esame è noto per ben altro
contenuto, vale a dire, per aver cristallizzato
59il divieto di
abuso di dipendenza economica.
Il primo comma dell’art. 9 si suddivide in tre periodi
aventi tre diverse funzioni: alla funzione prescrittiva del
primo periodo (“E’ vietato l’abuso da parte di una o più
imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si
trova, nei suoi o nei loro riguardi una impresa cliente o
fornitrice. …”), segue la funzione descrittiva del secondo
periodo (“… Si considera dipendenza economica la
situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei
rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo
squilibrio di diritti ed obblighi. …”) ed, infine, chiude la
funzione valutativa del terzo periodo, volta a fornire
all’interprete il criterio da seguire per individuare la presenza
la volontà di conciliarle, volontà sorretta dalla convinzione che ciò sia possibile in ragione degli elementi strutturali in parte comuni ad entrambe. In tal senso sempre V.ROPPO, ult. op. cit, specificatamente pag. 696.
Sul terzo contratto non può non citarsi l’autore al quale è ascrivibile la paternità di tale nozione, R. PARDOLESI, Prefazione a G. Colangelo, in L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un’analisi economica e comparata, Torino, 2004 .
59 Il legislatore, infatti, in tema di subfornitura si è limitato a disciplinare un fenomeno ben conosciuto alla prassi e “perfettamente sedimentato nella vita economica al momento della emanazione della legge”. Si veda in tal senso F. MACARIO, Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata nella
subfornitura, in Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata, a
cura di L.FERRONI, Napoli, 2002, p. 131 e ss.
Che la subfornitura fosse una tessera della realtà socio-econimica ben prima della promulgazione della legge 192/1998 è confermato ulteriormente dall’interesse da essa suscitato in attenta dottrina. Si veda per esempio R. PARDOLESI, Subfornitura industriale e diritto: un rapporto difficile, in L’artigianato nell’economia e sul territorio, Analisi delle tendenze evolutive, a cura di U.GOBBI, Roma, 1985.
di una situazione di abuso di dipendenza economica (“…La
dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della
reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di
reperire sul mercato alternative soddisfacenti.”).
60Il divieto di abuso di dipendenza economica
61, che
rappresenta il nodo centrale della legge sulla subfornitura, è
stato oggetto di viva attenzione da parte della dottrina in
ragione della sua travagliata genesi
62e delle sue ricadute
applicative.
60 Per la “diversificazione teleologica” dei tre periodi del primo comma dell’art. 9 si veda A. BARBA, L’abuso di dipendenza economica: profili
generali, in La subfornitura nelle attività produttive a cura di V.CUFFARO, Napoli, 1998, p. 297 e ss., specificatamente p. 328.
61 Sulle articolate implicazioni del divieto di abuso di dipendenza economica, si confronti S. PAGLIANTINI, Tutela del consumatore e congruità dello
scambio: il c.d. diritto all’equità nei rapporti contrattuali, in La disciplina
dei diritti dei consumatori e degli utenti, a cura di A.BARBA, Napoli, 2000, soprattutto p. 372-375.
62 Come è noto, infatti, i progetti iniziali prevedevano la collocazione del divieto di abuso di dipendenza economica quale art. 3 bis della legge 10 ottobre 1990 n. 287, in materia di concorrenza .
Era stato poi il parere contrario espresso dalla stessa autorità garante e scoraggiare un simile inserimento e a determinare il confluire dell’abuso di dipendenza economica in seno alla subfornitura piuttosto che alla disciplina della concorrenza.
L’autorità garante in particolare aveva ritenuto che “… i rapporti di subfornitura non equi, laddove imposti a soggetti che non godono di possibilità economiche e scelte alternative” affondano “le radici nella tematica dell’equilibrio contrattuale e più precisamente nella valutazione del rapporto negoziale tra le parti. Le patologie di questo rapporto trovano rimedio nel divieto e conseguente invalidità di clausole vessatorie come previsto nelle norme della proposta di legge e nelle garanzie stabilite a favore della parte più debole . La loro disciplina pertanto va inquadrata nell’ambito delle norme civilistiche e relative obbligazioni contratte”.
Per un’analisi ricognitiva della differenza concettuale corrente tra la nozione di posizione dominante e abuso di dipendenza economica si veda A.BARBA, op. cit., che, in estrema sintesi, lo descrive in termini di contrapposizione tra relatività ed assolutezza, nel senso che lo stato di dipendenza economica rileva nello specifico rapporto contrattuale instauratosi tra i due protagonisti della relazione negoziale, laddove la posizione dominante di un impresa ha il
In particolare, la questione centrale, attinente tale
disposizione, riguarda l’ultimo profilo menzionato, cioè
l’ambito applicativo del divieto di abuso di dipendenza
economica.
Vale a dire se l’art. 9 sia in grado di svincolarsi dalle
strettoie della disciplina del contratto di subfornitura
63e
possa applicarsi, in via analogica, ad ambiti merceologici o
comunque ad ipotesi che trascendono e prescindono dalla
subfornitura medesima.
Premesso che sotto il profilo letterale non esistono
ostacoli in tal senso, posto che il plurimenzionato art. 9 non
contiene riferimenti espliciti atti ad incatenarlo alla
subfornitura, il divieto di abuso di dipendenza economica è
stato, da più voci
64, inteso come precetto di ampia portata,
carattere della assolutezza poiché la sua predominanza viene percepita come tale da tutti gli altri operatori che praticano il mercato nazionale o almeno una porzione rilevante di esso .
Si veda altresì A.FRIGNANI, La subfornitura internazionale . Profili di diritto
della concorrenza, in Diritto del commercio internazionale, 2000, p. 683 e ss.
63 Il quesito circa il reale ed effettivo humus applicativo dell’art. 9 è in parte connesso, ma non totalmente sovrapponibile, con la questione riguardante la natura giuridica della subfornitura, che oscilla tra il suo inquadramento quale contratto nominato di (relativamente oramai) nuovo conio o quale “primo statuto del contraente debole professionale”, contenente dunque una disciplina trasversale applicabile ad una serie di tipi contrattuali diversi, qualora ricorrano i requisiti di cui all’art. 1 l. 192/1998.
In tema, e a titolo esemplificativo vista la vastissima letteratura esistente, si vedano V.BUONOCORE, in Contrattazione di impresa e nuove categorie
contrattuali, Milano, 2000, pag. 57 e ss.; V. FRANCESCHELLI, La subfornitura
un nuovo contratto commerciale, in La Subfornitura a cura di V.
FRANCESCHELLI, Milano, 1999, p. 2 e ss.; R.LECCESE, Commento all’art. 1, in La subfornitura Commento alla legge 18 giugno 1998 n. 192, a cura di G. ALPA e R.CLARIZIA, Milano, 1999, p. 32 e ss; F.PROSPERI, Il contratto di
subfornitura e l’abuso di dipendenza economica, Napoli, 2002.
64 Nel senso della ampia portata applicativa dell’art. 9 l. 192/1998 si veda Trib. Bari, 6 maggio 2002, in Corr. Giur., 2002, 8, p. 1063 e ss, con nota di S. BASTIANON, Rifiuto di contrarre, interruzione arbitraria delle relazioni